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Cosa può fare l’Italia per rilanciare la UE?

Sabato a Roma la “Convenzione sul ruolo dell’Italia per rilanciare l’obiettivo della Federazione Europea”

Il 13 gennaio 2012 si svolge la conferenza stampa organizzata dal Movimento Federalista Europeo (MFE) e dalla Gioventù Federalista Europea (GFE) in vista della “Convenzione sul ruolo dell’Italia per rilanciare l’obiettivo della Federazione Europea” promossa dal movimento federalista e dalla sua sezione giovanile e previsto per sabato mattina, il 14 gennaio, presso il Teatro Capranica di Roma. Alla conferenza stampa di venerdì, alla sala stampa della Camera dei Deputati (via della Missione 4) interverranno Lucio Levi (presidente del Mfe), Sandro Gozi (presidente intergruppo parlamentare per la federazione europea), Paolo Acunzo (vicesegretario del Mfe) e Tommaso Visone (direzione nazionale Gfe).

Verranno illustrati i punti principali al centro dell’iniziativa e sarà presentata l’iniziativa che si terrà a Roma in occasione del vertice Monti-Merkel-Sarkozy il 20 gennaio 2012. Per il Movimento Federalista Europeo, che non è un partito ma un’associazione di cui fanno parte persone di tutti gli orientamenti convinte della necessità di accelerare ed approfondire il percorso in direzione di una Europa effettivamente unita anche politicamente e socialmente, il vertice svoltosi a Bruxelles l’8 e 9 dicembre 2011 e l’accordo con cui la Germania e la Francia hanno cercato di avviare il rafforzamento dell’unione monetaria (accordo di cui al momento non fa parte il Regno Unito per scelta del governo britannico) indica che si è aperta una nuova fase nel processo europeo, pur in presenza di divisioni.

Diventa ancora più significativo adesso il ruolo che l’Italia può giocare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, sottolineano i federalisti, che evidenziano soprattutto gli incontri dei capi di stato e di governo di Francia, Germania ed Italia nella promozione del metodo federale al posto di quello untergovernativo e per introdurre piani di sviluppo sostenibile nelle proposte di trattato per una unione fiscale ancora poco definita. Il Movimento Federalista perciò ha proposto ai rappresentanti delle principali forze politiche, sindacali, imprenditoriali e della società civile italiana una Convenzione per la federazione europea, obiettivo reso più urgente dalla situazione globale, che una Europa unita nell’utilizzare le proprie risorse economiche, cognitive e politiche può affrontare adeguatamente.

Sabato 14 gennaio i lavori presieduti da Lucio Levi, presidente nazionale della Mfe, vedranno l’intervento di esponenti e rappresentanti di IDV, PD, PDL, Radicali, Partito Repubblicano, sindacati ed organizzazioni europeiste come il Movimento Europeo, la JEF Europa, la GFE, l’Aiccre, il Cife, gruppi della società civile come Acli, Ami, Cad, Cilap, European Alternatives, Fare Futuro, Osservatorio Europa, Altramente; le conclusioni saranno affidate a Franco Spoltore, segretario nazionale della Mfe. La partecipazione va comunicata in anticipo ed accompagnata da nominativo ed organizzazione di riferimento.

 

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Anders Borg è il politico più popolare in Svezia

Il Ministro delle Finanze sta superando anche il Primo Ministro Fredrik Reinfeldt, intanto nell’opposizione si discute sulle strategie di comunicazione

Dallo scorso anno la popolarità di Anders Borg, Ministro delle Finanze in Svezia, è in crescita, superando anche il Primo Ministro, Fredrik Reinfeldt. La crisi internazionale è stata affrontata bene dal mercato svedese, che resta uno dei più solidi. Al terzo posto nel gradimento dell’elettorato, dopo Borg e Reinfeldt, viene il Ministro degli Esteri, Carl Bildt.

Il governo di Centrodestra in Svezia mantiene quindi un consenso abbastanza stabile, anche se le opposizioni riguadagnano terreno rispetto ai risultati delle ultime elezioni. Nel maggiore partito di opposizione, I Socialdemocratici, Ylva Johansson, la quale è stata Ministro, ha rilevato che la forza di Centrosinistra che ha amministrato a lungo la Svezia, raggiungendo obiettivi importanti nella costruzione dello stato sociale e nella promozione dell’economia, non ha per il momento riconquistato le percentuali che di regola otteneva quasi in tutte le competizioni elettorali fino a pochi lustri or sono.

Commentando perciò il distacco che ancora separa la coalizione guidata dal Partito dei Moderati attualmente al governo e la propria formazione politica, Ylva Johansson ha auspicato che il leader dei Socialdemocratici Hakan Juholt riorganizzi il partito per evitare che la situazione dei consensi si cristallizzi così come appare adesso. Attualmente Johansson è la vicepresidente della commissione dei Socialdemocratici sul Mercato del Lavoro.

Aldo Ciummo

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Strasburgo al lavoro

 

La sessione plenaria al Parlamento Europeo dal 12 al 15 settembre 2011

di   Aldo Ciummo

 Il Parlamento Europeo a settembre torna al lavoro su temi molto attuali come Frontex e il controllo delle frontiere, al centro delle cronache a seguito dei sommovimenti delle sponde sud ed est del Mediterraneo oppure l’Energia e le regole che impongono all’industria di condividere parte delle informazioni rilevanti in questo campo strategico per l’autonomia dell’Europa.

Tiene banco logicamente anche la crisi dell’Eurozona e altri temi ad essa legati, come la posizione del Consiglio sul bilancio 2012, e le iniziative dell’Unione Europea sui problemi registrati in Libia, in Siria e nell’Africa dell’Est. E’ molto atteso l’intervento del Presidente polacco in Plenaria (Varsavia ha la presidenza questo semestre).

Altri argomenti importanti sono il controllo sulle trivellazioni offshore e le norme ambientali, l’impegno contro la corruzione nei paesi UE, i diritti dei cittadini, l’ambiente e la commissione petizioni, la mediazione in cause civili e le nuove regole europee per garantire un risparmio in materia ai cittadini.

Lungi dall’essere il mostro tecnocratico che una produzione letteraria costantemente alimentata da classi dirigenti molto più direttamente impegnate nella produzione di debito dipingono, l’Unione Europea continua ad essere un meccanismo, politicamente debole sì e scarsamente vicino a grandi porzioni della sua popolazione pure, ma perlomeno in grado di permettere un travaso non indifferente di risorse da nazioni con i conti in ordine (la cui opinione pubblica inizia comprensibilmente a dare segni di preoccupazione) a paesi che destinano indirettamente all’acquisto di giocatori fondi altrui che dovrebbero essere destinati all’ambiente.

Su queste pagine web ripetiamo volentieri quindi che la crisi sarà un pò meno in grado di nuocere sia alle imprese che al famoso uomo della strada il giorno in cui gli stati più responsabili e (fortunatamente) dotati di maggior peso in Europa riusciranno ad imporre regole coattive, che siano tese non certo a manovre inique dal punto di vista della distribuzione delle risorse (quelle le hanno approvate gli stati nazionali, specialmente alcuni, si veda l’Italia) ma a raggiungere se necessario con sanzioni e sentenze un effettivo ottenimento del rispetto di paramentri comuni (anche di standard civili).

Le richieste che cominciano a sollevarsi dai maggiori stati fondatori, valga per tutte un maggior controllo di come i fondi concessi vengono spesi, vanno nella direzione giusta: è ormai visibile quali risultati scadenti abbia prodotto l’autoattribuzione, da parte di paesi irregolari, di presunte eccezionalità che dovevano permettere di cavarsela sempre senza sforzi, tanto che tre di questi stati nazionali, in area euromediterranea, sono diventati esplicitamente una eurozavorra.

Registi svedesi al Milano Film Festival

Alla manifestazione che si svolgerà dal 9 al 18 settembre 2011 il regista Ernst de Geer e il film cinese prodotto dalla Svezia nel 2010

 Due film svedesi parteciperanno al MIFF, il Milano Film Festival (dal 9 al 18 settembre): nella nuova categoria per corti, opera di registi under 40, concorre il regista e sceneggiatore Ernst de Geer, con la sua pellicola “Axis and Allies” (2010).

Si tratta del primo progetto di ampio respiro in seguito agli studi alla Stockolms Filmskola, la scuola di Cinema di Stoccolma. Una delle giornate del Festival sarà dedicata all’immigrazione.

 Tra i documentari proiettati ci sarà “The Chinese are coming town” (Kieserna Kommer) del 2010. La regista del film è di origine cinese e si chiama Ronja Yu, vive in Svezia fin dal 1989, mentre la produzione è svedese.

 Il documentario è stato trasmesso dalla tv svedese (SVT) ed è la storia di un imprenditore cinese e del suo progetto di aprire uno stabilimento nella città svedese di Kalmar.

Sei risposte sulle biblioteche

Aldo Ciummo / Intervista con Hellen Niergaard, Consulente capo dell’Associazione delle Biblioteche Danesi (Prima Parte) 
 
 
 
Le biblioteche sono nate nell’era della comunicazione analogica; possono soddisfare le attuali esigenze della società?
 

Le biblioteche, come tutte le istituzioni che concernono la conoscenza naturalmente dovrebbero riflettere i cambiamenti nei formati dell’informazione ed adattarsi ad essi. Le biblioteche pubbliche, come altre istituzioni pubbliche in Danimarca ed in molti altri paesi, attualmente stanno aggiornando i propri servizi in accordo con gli sviluppi della società della conoscenza, il loro focus sulle fonti on line e la trasformazione nelle abitudini di consumo mediatico dei cittadini. Allo scopo di fornire accesso sia all’informazione alla conoscenza ed ai formati di cultura analogici che a quelli digitali.

Nell’aggiornamento più recente della legislazione bibliotecaria danese, “Act regarding Library Services”, dal 2000, si afferma che: “l’obiettivo delle biblioteche pubbliche è promuovere l’informazione, l’istruzione e le attività culturali rendendo disponibili libri, periodici, libri interattivi ed altro materiale disponibile, come musica registrata e fonti elettronici di informazioni, inclusi internet e mezzi multimediali.”
 

Più recentemente, nel 2009, un rapporto su “Le Biblioteche Pubbliche nella Società della Conoscenza” è stata pubblicata dall’Agenzia Danese per le Biblioteche ed i Media del Ministero della Cultura. Esso contiene raccomandazioni di un comitato nazionale e vede la biblioteca come il centro culturale e dell’apprendimento sul territorio. Il documento sottolinea che “nella società della conoscenza gli sforzi della biblioteca pubblica di favorire la scoperta, l’istruzione e le attività culturali è più importante di quanto lo sia mai stato in precedenza” e che “oggi la biblioteca è anche il posto per esserci ed incontrarsi, dove si ottengono istruzioni, si usa internet o si trova supporto nel centro cittadino di servizi”. In ultimo si indicano una serie di servizi di city hall incorporate nelle biblioteche pubbliche in aree urbane e suburbane particolari (nel 21% dei municipi nel 2010). I consigli del rapporto per ulteriori sviluppi delle biblioteche sono divisi in cinque linee di azione: Biblioteche aperte (24 ore al giorno e 7 giorni alla settimana di apertura), Ispirazione ed apprendimento, la biblioteca danese digitale, Partnerships e Sviluppo Professionale.
 
Quanto è importante nel dibattito l’architettura, al fine di ottenere un cambiamento effettivo nelle attività bibliotecarie?
 
Dal momento che la biblioteca pubblica sta cambiando radicalmente in termini di concezione e di servizi, nello stesso modo l’edificio che ospita la biblioteca dovrebbe essere aggiornato. Il design dell’edificio dovrebbe anche riflettere il cambiamento nell’utilizzo effettivo della biblioteca. In accordo con le analisi danesi circa il 50% (Traflitaelling/KL, 2004, Trafikanalyse Arhus/Moller, 2005) degli utenti visita le biblioteche pubbliche per altre ragioni che non prendere a prestito i libri.
L’ambiente fisico della biblioteca di conseguenza sta cambiando da una stanza caratterizzata da raccolte stampate e diventando un luogo comune aperto per la cultura, l’apprendimento e fornendo con intuito accesso sia a collezioni fisiche che a risorse digitali ed a orientamento professionale di tipi differenti.
Per promuovere un dibattito sui concetti e la moderna architettura della nuova biblioteca, nel 2009 l’Associazione Danese delle Biblioteche (DLA) ha pubblicato “Library Space: Inspiration for building and design”. Con questo libro l’Associazione vuole stimolare un ripensamento del progetto e della costruzione della biblioteca, da un luogo orientato al prodotto ad un luogo orientato all’utente. Allo scopo di fornire ai cittadini servizi significativi, aggiornati e di alta qualità nella società della conoscenza nel ventunesimo secolo: a vantaggio del singolo utente e della società nel suo insieme.
 
Nel corso della Conferenza (sulle Biblioteche svoltati presso il Goethe Institut di Roma nel maggio 2011 ndr) il dibattito ha sottolineato anche il ruolo delle biblioteche in favore dell’integrazione dei cittadini e della inclusione sociale; cosa può fare l’architettura in concreto?
 
Probabilmente non esiste una risposta corretta alla domanda ma una cosa è molto importante. L’architettura dovrebbe essere aperta ed accogliente – e meno come una fortezza di libri del passato, formale. Questa domanda porterà ad una architettura insignificante e poco interessante? Personalmente io non penso questo. Al contrario – ogni edificio bibliotecario dovrebbe incontrarsi con l’ambiente circostante ma anche fungere da punto di riferimento locale per la conoscenza e la cultura; qualcosa di cui essere orgogliosi e dalla quale essere attirati sia che si sia abituati a frequentare la biblioteca oppure no, che si sia intellettuali o meno.
Un recente esempio internazionale di un carattere scultorio molto suggestivo è la Biblioteca Pubblica di Seattle, dell’architetto olandese Rem Koolhas. Dieci qualità più una sono considerate cruciali per qualsiasi edificio bibliotecario. Il direttore delle Biblioteche Universitarie del Regno Unito, il professor Andrew McDonald, nelle “Dieci maggiori qualità di un buono spazio bibliotecario” (IFLA Library Building Guidelines: Development & Reflections, p. 13-29. Saur, 2007), aggiorna e converte i dieci comandamenti degli anni settanta sulle architetture bibliotecarie dell’architetto britannico Faulker Brown.
Idealmente, afferma McDonald, il nuovo spazio della biblioteca dovrebbe essere: funzionale, accessibile, vario, interattivo, favorevole, ambientalmente adeguato, sicuro e tranquillo, efficiente, adatto alle nuove tecnologie e – per di più – dovrebbe avere il fattore “oomph” or “wow”. Le parole chiave qui sono quelle che parlano di inclusione sociale: accessibile, differenziato, interattivo e non ultimo favorevole; lo studioso lo descrive come uno spazio con una alta qualità umana che motiva e ispira le persone”.
 

Finlandia: “più cooperazione in Europa”

L’ex primo ministro Paavo Lipponen e attuale candidato alla presidenza della Repubblica per i Socialdemocratici chiede una maggiore cooperazione europea.

Paavo Lipponen, ex primo ministro e candidato dei Socialdemocratici finlandesi per la presidenza della Repubblica, ieri è intervenuto nel dibattito sulla Unione Europea, affermando che i paesi più piccoli sono quelli che hanno più da guadagnare da una Europa veramente unita di fronte alle crisi ed alle opportunità presentate dall’attuale contesto internazionale.  

Lipponen ha parlato anche delle difficoltà di armonizzare tutte le esigenze e dei rischi di influenza esclusiva delle nazioni che hanno maggiore peso. Il politico finlandese ha osservato che è facile abbandonare un progetto ma poi è difficile riportarlo in funzione e si è riferito proprio all’Europa, attraversata da scetticismi sulle capacità di tenere insieme realtà diverse ed affrontarne i problemi.

 La Finlandia ha mantenuto, durante i dibattiti sulle crisi europee, una posizione costruttiva pur ricercando ovviamente delle garanzie sulle modalità di utilizzo dei contributi che i paesi con un bilancio più equilibrato assegnano alle regioni in difficoltà.

Il risultato delle elezioni di aprile ha confermato una stragrande maggioranza europeista che infatti è stata alla base della formazione del nuovo governo. Durante le crisi economiche interne degli anni novanta, la Finlandia ha rimesso in moto la propria economia senza grandi interventi esterni e scommettendo con lungimiranza sui settori dell’istruzione e della ricerca.

Aldo Ciummo

Una grande società, pressata da contraddizioni globali

Nelle città inglesi emergono le capacità uniche di cooperare per aiutare le persone colpite dalle distruzioni, ma anche problemi irrisolti che emergono da tempo in tutto il continente 

 

 di Aldo Ciummo

 

La grande società, che forse Cameron ha immaginato quando ha iniziato un percorso oggi simile ad altre destre prodighe di tagli e misure speciali che hanno preceduto l’attuale governo in UK, è qualcosa sempre esistito nel Regno Unito: sono le centinaia di persone che stanno aiutando finanziariamente e umanamente Aaron Biber, un barbiere ottantanovenne il cui negozio quarantennale a Tottenham è stato distrutto da una folla (dotata di un singolare concetto di libertà, una deviazione che ha mandato in fumo gli appartamenti di famiglie e procurato un trauma cranico ad un anziano la cui colpa era tentare di spegnere un incendio).

La “Big Society” che la coalizione di Cameron ha pensato di inventare (e che non sta traendo grandi incoraggiamenti dalla riduzione delle opportunità di iscriversi all’università e dagli altri tagli a senso unico che anche altri paesi cominciano a sperimentare): una grande società che esiste adesso come ieri in Inghilterra per aiutare Aaron e altri incolpevoli bersagli di distruzioni, grande da tanti punti di vista, sopravvissuta a grandi conflitti contro stati meno liberali e alle stagioni oligarchiche degli anni ottanta.

Tariq Jahan è un altro esponente di questa società, in questi anni e in questi giorni additata a torto come una area sociopolitica che ha incoraggiato il liberismo nella sua versione estrema, da molti che dimenticano lo stato sociale esemplare per molti aspetti che tuttora funziona nel Regno Unito. Jahan ha perso il figlio, che cercava di difendere il suo quartiere a Birmingham da saccheggiatori, ma non ha incoraggiato vendette, anzi ha dato un contributo importante perchè una comunità di immigrati duramente provata mantenesse la calma e la ragione.

Gli immigrati come Jahan sono la dimostrazione del grado di integrazione possibile in Inghilterra. Il successo che il suo esempio ha riscosso nei quartieri a forte identità etnica è un segno di quanto la maggioranza, in ogni settore del paese, sappia come il Regno Unito non lascia spazi alla discriminazione su base nazionale. Gli stessi scontri non hanno assunto nessuna caratteristica di questo tipo. Riguardo ai fenomeni di autodifesa dei quartieri, molto preoccupanti, si tratta di eventi resi comprensibili dal rischio accertato di vedere case e attività distrutte, ma nei quartieri come Eltham e Enfield, dove la maggioranza delle persone scese in strada a tutela di un’area erano inglesi, sono apparse sulla stampa in maniera affrettata giustapposizioni con gruppi xenophobi minoritari in Inghilterra ed estranei alle zone di cui hanno cercato di strumentalizzare i problemi, gruppi in realtà tenuti lontano dalla popolazione delle aree citate.

Difficilmente altri paesi avrebbero retto un simile caos senza che degenerasse in problemi interetnici, un esito infausto che le comunità dei diversi quartieri hanno evitato nel Regno Unito. Le proteste nate da un fatto contingente e deragliate in azioni dalle conseguenze gravissime, incluse vittime, hanno origine in un contesto di diritti effettivamente violati in Occidente dalla massiccia redistribuzione verso l’alto (o se si preferisce concentrazione dei beni, delle opportunità e delle decisioni in poche mani) un processo storico che alle istituzioni economiche e politiche piace spesso chiamare crisi, come se fosse un evento indipendente dalla volontà umana.

Il senso dei diritti di cittadinanza in paesi come il Regno Unito è più forte che altrove in Europa, in altri paesi dove una classe media che ormai non è più tale si lascia comprimere assieme alle fasce più deboli della società, anche queste dotate di sempre minore possibilità e capacità di promuovere le proprie istanze. Anche nel Regno Unito la comparsa sulla scena di categorie che dalle strade alcuni vorrebbero togliere completamente è avvenuta con modalità del tutto deviate, conducendo a violenze gratuite e sfiorando la guerra tra poveri, mentre le dimostrazioni di solidarietà delle comunità che hanno cercato di risollevare i propri quartieri dalle distruzioni hanno mostrato la solidità del tessuto sociale nel Regno Unito, ma anche evidenziato il rischio di chiusura dei diversi gruppi etnici in sè stessi e dell’insorgere di fenomeni di vigilantismo che contengono i germi della criminalizzazione di persone meno benestanti e meno tutelate.

Sarebbe davvero un disastro sociale se gli immigrati che si sono costruiti con fatica qualcosa in occidente si tramutassero in tutori di un ordine discutibile contro giovani delle città che vedono innalzare le soglie (economiche) di accesso alle università, nello stesso modo in cui sarebbe un disastro sociale se una maggioranza spaventata additasse le persone di origine straniera come responsabili di una situazione. La realtà è che tante critiche verso il modello del Regno Unito rappresentano una fuga da problemi che stanno insorgendo nello stesso modo nel resto d’Europa e nell’occidente, trovando una molla nella compressione dei diritti e delle opportunità delle giovani generazioni e delle fasce popolari della cittadinanza.

L’illusione della destra di Cameron e di quella europea di aggiustare l’economia con ulteriori tagli alle spese sociali e di dare alle strade del proprio paese un senso di cittadinanza con gli idranti è fallimentare. L’esempio che ha reso l’Inghilterra il grande paese che è viene dai valori che permettono a Aaron di essere aiutato da tutta la sua città ed a Jahan di spegnere i rancori tra le comunità, princìpi che hanno sviluppato le tradizioni di liberalismo e socialdemocrazia inglesi attraverso l’integrazione di comunità diverse: è vero che una forma latente di segregazione si è fatta strada nelle turbolenze economiche e nella rapidità dei cambiamenti, ciò che ha spinto Cameron a parlare della necessità di non accontentarsi della compresenza di comunità “non belligeranti” ma di chiedere a tutti di aderire ai valori della nazione di cui si è entrati a far parte, ma questa big society non la si manterrà togliendo diritti allo studio e alla mobilità sociale ed imponendo scelte estranee alla tradizione britannica con la repressione poliziesca.

C’è una relazione tra le esplosioni di disagi e la serie di tagli che la destra ha promosso a partire dall’autunno, quando i problemi di ordine pubblico sono iniziati. L’atteggiamento sbagliato di attaccare il modello di sicurezza sociale inglese o il modello di liberalismo inglese riemerge sul continente ad ogni crisi che sorge, perchè in Europa concentrarsi sulle particolarità serve a sfuggire al quadro generale, di cui si sono avuti scorci poco edificanti negli ultimi anni, dalle banlieu parigine dove a nelle sommosse non c’erano solo immigrati alle proteste di immigrati nell’Italia del sud, comune denominatore la negazione dei diritti.

E la prospettiva generale suggerisce che non solo ieri in Grecia o oggi in Spagna, ma in tutta Europa e nell’Occidente sarà impossibile parlare di integrazione tagliando fuori giovani e immigrati come si sta facendo un pò dappertutto, in maniera particolarmente virulenta a Sud nella UE. La situazione rende evidente che i diversi gruppi cui si deve la crescita della nostra Europa nell’insieme hanno bisogno di partecipazione e opportunità per sviluppare le qualità che si sono viste nei gesti di solidarietà che si moltiplicano in Inghilterra verso coloro che hanno perso le proprie abitazioni ed attività: la paura e l’ordine pubblico possono (a caro prezzo) tenere insieme le varie comunità per un giorno o una settimana, ma per restare una nazione o addirittura diventare un insieme di nazioni come dovrebbe essere l’Europa, ci vogliono diritti e democrazia, elementi la cui tenuta sostanziale è stata messa a dura prova, in maniera crescente, negli ultimi trenta anni.

Milano: Italia ed Europa per la Strategia 2020

 

Il 14 giugno i rappresentanto della Commissione Europea e delle comunità scientifiche si incontrano nel primo appuntamento di quest’anno con “Economia e Società Aperta”

 L’edizione di quest’anno di “Economia e Società Aperta”, forum internazionale lanciato da Università Bocconi e Corriere della Sera nel 2007 ed organizzato in collaborazione con la Rappresentanza in Italia della Commissione Europea è incentrata sulla Strategia Europa 2020, ci sarà quindi una riflessione sullaa politica economica e sulle riforme strutturali in Italia e nella Unione Europea.

 L’iniziativa ha preso spunto dalle raccomandazioni adottate dalla Commissione Europea il 7 giugno 2011 per orientare gli stati componenti dell’Unione Europea nell’elaborazione delle loro priorità economiche e sociali in modalità adatte ad assicurare il rispetto degli impegni assunti su crescita, occupazione e finanze pubbliche.

La prima data è quella del 14 giugno (un secondo appuntamento seguirà in autunno) alle 14.30, con una conferenza alla Bocconi, intitolata “Quali Riforme per la crescita? Italia ed Europa per la Strategia 2020”, interverranno rappresentanti della Commissione Europea, del Fondo Monetario Internazionale, della comunità scientifica italiana ed internazionale.

 L’incontro anticipa la riunione del Consiglio Europeo del 23 giugno e del 24 giugno, durante il quale verranno discusse ed approvate le raccomandazioni. I relatori sono Lucio Battistotti, Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea; Tito Boeri, professore della Bocconi, il Direttore per l’Europa del Fondo Monetario Internazionale Antonio Borges; Franco Bruni, professore della Bocconi; Anne Bucher, Direzione delle Riforme Strutturali e Competitività della DG (direzione generale) ECFIN della Commissione Europea; il Direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli; Stefano Grassi (direzione del coordinamento politico ed Europa 2020 (Segretariato Generale Commissione Europea); il Direttore Generale del Tesoro e Presidente del Comitato Economico e Finanziario dell’Unione Europea Vittorio Grilli; il Presidente di RCS Media Group Piergaetano Marchetti, il Direttore Generale Assonime Stefano Micosi; il Presidente della Università della Bocconi Mario Monti; Antonio Spilimbergo (Economista presso il Fondo Monetario Internazionale); il Rettore della Università Bocconi Guido Tabellini.

Aldo Ciummo

Italia e Danimarca: centocinquanta anni di storia a confronto

Agli inizi di aprile una interessante conferenza ha dato a studiosi dei due paesi la possibilità di approfondire le vicende delle due nazioni

Il Convegno che ha avuto luogo a Via Omero a Roma il 7 ed 8 aprile 2011, promosso dall’Accademia di Danimarca (che ha sede in questo suggestivo angolo della capitale a ridosso di Villa Borghese) e che si è svolto grazie alla collaborazione della Reale Ambasciata di Danimarca e dell’Università di Copenaghen, ha permesso a studiosi di varie discipline di mettere a confronto l’Italia e la Danimarca, due paesi con un ruolo significativo nella creazione e nella crescita della Unione Europea. L’iniziativa, intitolata “L’Italia in Europa – L’Italia e la Danimarca” ed ideata in occasione del Centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, è stata aperta da un appassionato discorso del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, il quale ha sottolineato che le difficoltà e le incertezze che hanno costellato il percorso della nascita e dello sviluppo dell’Europa unitaria non hanno frenato un continuo progresso di quest’ultima in direzione non soltanto di una maggiore integrazione economica ed infrastrutturale, ma anche politica e sociale.
 
Il direttore dell’Accademia di Danimarca, Erik Bach, ha dato il benvenuto a tutti gli ospiti, provenienti da diversi istituti culturali, atenei ed organizzazioni: giovedì 7 aprile, nel corso di tutta la giornata, sono intervenuti Francesco Barbagallo (dalla Università degli Studi di Napoli Federico II) , sul tema “Nazione, Stato, Costituzione dall’Unità alla Repubblica”; Francesco Biscione (Istituto della Enciclopedia Italiana) su “Lo storicismo italiano, identità italiana in un contesto europeo”; Kristina Junge Jorgensen (dell’Università La Sapienza) sul Viaggio in Italia di Federico IV di Danimarca; Bent Holm (Università di Copenaghen), sull’identità comica “L’importanza dell’italianità di Holberg e della danesizzazione di Goldoni per la creazione del teatro nazionale danese”; Anna Maria Segala (Sapienza) su “L’Odin Teatret tra Italia e Danimarca” in dibattiti moderato da Gert Sorensen, dell’ Università di Copenaghen, da Paolo Borioni del Center for Nordic Studies di Helsinki e da Kristina Junge Jorgensen.

Venerdì 8 aprile si sono svolti i dibattiti sulla traduzione e sull’immaginario e la realtà storico-politica, con gli interventi di Hanne Jansen (dell’ Università di Copenaghen), su “L’Italia in Danimarca vista dall’ottica delle traduzioni”; di Anna Wegener (Università di Copenaghen) su “I libri di Bibi della scrittrice Karin Michaelis letti da adulti e bambini nell’Italia fascista”; di Bruno Berni (dell’Istituto Italiano di Studi Germanici) sul tema “Letteratura danese in traduzione italiana. Un panorama”; Jorgen Stender Clausen (Università di Pisa) su “Brandes e Garibaldi”, Mads Frese (“Information” Copenaghen) sulla “immagine dell’Italia contemporanea nella stampa” e di Paolo Borioni (Center for Nordic Studies Università di Helsinki) “Moralismo elitista e distorsioni populiste. Per una vera comparazione storico-scientifica.”
 
  
Francesco Barbagallo ha ripercorso le fasi che hanno portato l’Italia della seconda metà dell’ottocento a contraddistinguersi per la presenza di istituzioni accentrate, di derivazione giacobino napoleonica sotto il profilo della organizzazione dello stato, una impostazione alla quale avevano contribuito intellettuali di impostazione hegeliana. “Nello sviluppo manifatturiero e nella disponibilità di risorse energetiche l’Italia restava molto indietro rispetto agli stati nazionali di più antica unità – ha affermato Barbagallo – gli squilibri tra nord e sud del paese venivano letti ed affrontati dalla classe dirigente del nord ed anche dagli intellettuali del sud passati al nord come uno scontro di civiltà, da regolare attraverso lo stato d’assedio.” Il modello di stato italiano, sottovalutando la società civile, si poneva a metà tra stato etico tedesco, per lo sforzo di far identificare le masse nelle istituzioni ed il liberalismo britannico col suo modello di tutela delle libertà e delle proprietà. “I diritti dei cittadini non sono concepiti, in un modello come quello italiano, come limiti all’azione dello stato, ma come concessioni dello stato – ha aggiunto il docente dell’Università di Napoli – i primi partiti in Italia saranno quelli socialisti, repubblicani, popolari, che porteranno di forza la società nello stato.”
 
Barbagallo ha riflettuto su come la logica conseguenza dei sommovimenti sociali, ossia la ristrutturazione del sistema liberale in uno nuovo i cui indirizzi politici fossero dettati dalla democrazia dei partiti, sia naufragato assieme al tentativo liberale di strutturarsi in uno stato dei partiti, “il modello statocentrico si riproporrà sotto forma dello stato fascista, che progetta di nuovo l’integrazione forzata della società nello stato – ha concluso lo studioso – le forze che avevano combattuto per la Resistenza e per la Repubblica porteranno alla costituzione italiana, con una forte innovazione rispetto allo statuto liberale del Regno d’Italia. I partiti di massa iniziavano a comprendere la necessità di associare l’economia alla politica.”
 
Francesco Biscione ha ricordato come fino agli anni settanta del novecento tutti i partiti parlassero dell’Italia come nazione, mentre negli ultimi anni è emersa una difficoltà a parlare del paese come di un soggetto unitario. “La riflessione sulla storia, per la politica italiana a partire dal secondo dopoguerra, è stata il punto di incontro maggiore – ha notato Biscione – dai primi anni quaranta dell’ottocento il problema che si presentava era costruire una politica unitaria in un paese segnato da problemi di frammentazione.” Lo studioso ha ricordato come gran parte della generazione della destra storica fosse composta da di intellettuali che erano anche uomini di stato in dialogo con l’Europa. “Con la società di massa, in cui esistono altri problemi come il lavoro e la democrazia oltre alla indipendenza nazionale, la classe politica non trova più referenti condivisi, la cultura inoltre si orienta verso soluzioni antiparlamentari – ha spiegato Biscione – il dato che la prima società di massa sia stata costruita di fatto dal fascismo ha portato a riflettere su una mancata riforma culturale in Italia. Gramsci legge entrambi gli aspetti del fascismo, quello di movimento sociale autentico di massa e quello di strumento conservatore di lotta di classe. In Croce manca la consapevolezza del passaggio alla società di massa. Nel fascismo ed in Gramsci esiste invece questa consapevolezza, a tratti carente invece nel Partito Socialista.” Lo studioso ha sottolineato anche come Pietro Scoppola ed Aldo Moro abbiano modificato la cultura cattolica, integrandola nel disegno costituzionale e come si sia adattato anche il Partito Comunista Italiano, nè rivoluzionario nè socialdemocratico, ma partito di massa nazionale e costituzionale. La cornice costituzionale insomma era un ambiente condiviso e questo spiega l’influenza che hanno potuto esercitare anche partiti piccoli come quello d’Azione.”
 
 
Gert Sorensen ha parlato da una prospettiva tutta danese de “Il Grand Tour in Italia, andata e ritorno”, introducendo il discorso con una citazione da Benedetto Croce, nell’osservazione in cui affermava che ogni storia deve includere un elemento di autobiografia, aspetto che emerge in tutte le descrizioni dei viaggiatori nordici in Italia, che risentono spesso dei miti dello stivale come paese di arte, di musei e di tradizioni antiche. “Un luogo colorato da un sottoproletariato pittoresco – ha detto Sorensen – un immaginario che nel milleottocento era già superato, per quanto in parte ancora verosimile all’epoca di scrittori come Andersen e nei quadri di Costantin Hansen. La vita in comune degli artisti danesi li portava ad un nostalgico isolamento, favorendo la creazione di mitologie autosufficienti.” Viene dipinta una Italia con le caratteristiche più congeniali ad un mondo intellettuale. “Wilhelm Marstrand, Ditlev Blunch, pittori di una natura ora selvaggia ed incontaminata ora animata da scene carnevalesche, offrono immagini di un mondo cristallizzato dopo il fallimento dei sommovimenti rivoluzionari – ha spiegato il docente dell’Università di Copenaghen – esiste anche un’altra versione del Tour in Italia, un rapporto tra una conoscenza più approfondita dei problemi italiani e lo spostamento in Italia di attività massoniche. I programmi progressisti dell’epoca parlavano già di Unione Europea.”
 
Bent Holm ha cominciato il suo discorso dalla constatazione che oggi ogni danese porta con sè personaggi del Tivoli, parco dei divertimenti di Copenaghen, pantomime che risalgono in realtà al millesettecento danese ed ai rapporti tra i protagonisti della Commedia dell’Arte italiana ed il nascente teatro borghese della Danimarca. “I testi vengono resi accessibili per il pubblico locale, i personaggi vengono danesizzati – ha ricordato il docente dell’Università di Copenaghen – Il teatro nazionale estero viene adattato, quello nazionale estraniato con l’adozione di modelli provenienti dall’estero, da qui il miscuglio di nomi danesi ed italiani in un unico mondo teatrale artificiale italo-franco-danese che rappresentava, nella convenzione, la Danimarca.” Dunque da un lato fenomeno autoctono, dall’altro una imitazione di modelli “romanzi”. Difatti la compagnia di Copenaghen fu diretta da Pietro Mingotti.
 
Anna Maria Segala ha citato un esempio molto noto dell’integrazione tra Italia e Danimarca: L’Olin Teatret, celebre gruppo teatrale danese creato da Eugenio Barba, al centro dei suoi studi. “Nel 1972, uno spettacolo ispirato a Dostoevsky mette il gruppo a contatto con realtà giovanili che erano estranee al teatro sia tradizionale che come si diceva allora impegnato – ha detto la docente dell’Università La Sapienza – in quegli anni in Danimarca fiorivano gruppi teatrali liberi, non organici alle politiche di decentramento. L’Olin Teatret ha oggi alle spalle quasi cinquanta anni di attività ed è lontano da luoghi e metodi del teatro sociale.” Si incontrano in questa esperienza teatro orientale, tradizioni delle avanguardie ed elementi della cultura locale.

Aldo Ciummo

Finlandia, gli euroscettici potrebbero entrare nel Governo

 

L’attuale ministro delle Finanze Jirky Katainen potrebbe diventare premier dei moderati: ma avanza il “Perussuomalaiset” di Timo Soini, contrario agli aiuti agli stati europei in crisi
 
 

Il 17 aprile si vota in Finlandia e la Premier Mari Kiviniemi non ha escluso che il prossimo governo coinvolga i “Veri Finlandesi” (“Perussuomalaiset” in finlandese) guidati da Timo Soini: la lista che vuole ridurre l’immigrazione ed opporsi a piani di spesa della UE per salvare paesi in bancarotta peserà, secondo i sondaggi, oltre il sedici per cento delle preferenze, divenendo una forza indispensabile a garantire la governabilità nell’Eduskunta, il Parlamento unicamerale finlandese. L’attuale esecutivo comprende, oltre al “Partito di Centro” di cui Kiviniemi è la leader, la “Coalizione Nazionale” (Centrodestra), i “Verdi” e la lista Svedese.
 
A giudicare dalle dichiarazioni dei politici, non è l’immigrazione il tema che delinea le coalizioni: posizioni favorevoli alla forte restrizione dell’immigrazione, vicine a quelle dei “Veri Finlandesi”, emergono in partiti di governo come il Centro e la Coalizione Nazionale ed in parte dell’opposizione socialdemocratica, tanto che Jörn Donner, produttore cinematografico impegnato in politica, ha lasciato il Partito Socialdemocratico e si è ricandidato con il gruppo dei finlandesi di lingua svedese, dichiarando che i maggiori partiti dovrebbero differenziarsi di più dai populisti di Timo Soini su questioni come l’immigrazione e le politiche comunitarie.
 
La circostanza che potrebbe ostacolare l’adesione populista ad una coalizione conservatrice è la partecipazione al fondo permanente di sicurezza europea per il salvataggio degli stati in crisi.  Finora, i Socialdemocratici non hanno espresso posizioni nette, di fronte all’euroscetticismo di Timo Soini, mentre i partiti del Centrodestra hanno chiarito che non accetteranno nel governo liste che non sostengano le misure necessarie a favore dell’Unione Europea: questa questione potrebbe essere il fattore favorevole all’ascesa elettorale di Soini, che ha dichiarato che i Veri Finlandesi non sosterranno mai un impegno simile da parte di Helsinki.
 
Il Ministro delle Finanze, Jyrki Katainen, ha dichiarato che la partecipazione al salvataggio degli stati in difficoltà è in accordo con la posizione finlandese ed il Centro, che esprime la premier Mari Kiviniemi, potrebbe cedere la leadership del prossimo Centrodestra proprio a Katainen, esponente della Coalizione Nazionale. Il raggruppamento dei conservatori moderati è favorito: il 20% dei Socialdemocratici (“Sosialdemokrattinen Puolue”, in finlandese) è oggi eroso dagli euroscettici e dalle sinistre. Il Partito della Coalizione Nazionale (“Kansallinen Kokoomus”) conterebbe sul 20% ed i sondaggi posizionano appena di qualche frazione di punto percentuale indietro il partito di Centro, che tutela gli aiuti alle famiglie. Il Partito degli Svedesi si trova isolato nella difesa del ruolo della lingua svedese nello stato, che molti politici pensano di consegnare alla storia.
 
Togliere l’obbligatorietà dello svedese nelle scuole richiederebbe modifiche costituzionali e lo “Svenska Folkeparti” dovrebbe riuscire a mantenere lo status della madrelingua di circa il 5% dei finlandesi, una quota simile alla porzione di voti sulla quale la lista conta abitualmente. Il Partito della Coalizione, che non vuole innalzare le tasse, sarà alleato del Centro (“Suomen Keskusta”). Jutta Urpilainen, la leader dei socialdemocratici, sottolinea che il suo partito non accetterà innalzamenti dell’età pensionabile oltre i 63 anni e l’Alleanza della Sinistra (“Vasemmistoliitto”, forza stimata intorno al 7% dell’elettorato) rigetta l’eventuale entrata della Finlandia nella Nato, novità cui in realtà non sembrano tenere particolarmente neppure gli altri partiti. I Verdi (“Vihrea Liitto”) il cui consenso si aggira intorno al 9% ed il partito cristianodemocratico Kristillisdemokraatit, che probabilmente si attesterà di nuovo attorno al 4%, non avanzano pregiudiziali molto rigide rispetto all’ingresso nell’esecutivo.
  
La Finlandia è divisa in quindici distretti elettorali: i duecento parlamentari dell’assemblea unicamerale finlandese provengono da queste circoscrizioni, in maniera proporzionale al numero di abitanti che risiedono nelle varie regioni: Helsinki, Uusimaa, Varsinais-Suomi, Satakunta, Hame, Pirkanmaa, Kymi, South Savo, North Savo, North Carelia, Vaasa, Central Finland, Oulu, Lapland, Aland. Si vota soltanto per un particolare candidato di un singolo distretto. Nella legislatura uscente, il Partito della Coalizione Nazionale, alleato del Centro, ha cinquantuno deputati, uno in più del maggior alleato (che ha subìto defezioni verso il partito di Timo Soini, che ha ora sei seggi). Il più grande partito di opposizione, i Socialdemocratici, ha attualmente quarantacinque eletti, la Sinistra diciassette ed i Verdi quattordici. La lista degli Svedesi ha dieci seggi ed i Cristiano Democratici sette. Il 15 marzo si è svolta l’ultima sessione del Parlamento, che terminerà il suo mandato il 12 aprile, pochi giorni prima delle elezioni, il cui risultato sarà confermato soltanto il 20 aprile.
 
Aldo Ciummo