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La UE chiede più sicurezza per la navigazione

 Il Parlamento Europeo ritiene che gli strumenti militari non siano sufficienti a rimuovere le cause dell’insicurezza delle rotte marittime
Durante la settimana scorsa, giovedì, l’Europarlamento ha chiesto ai governi con una risoluzione che la protezione delle navi europee venga sì rafforzata, ma nel quadro di progetti che affrontino anche le cause del fenomeno della pirateria sulle rotte marittime. In particolare, a livello europeo ormai si ritiene che sia necessario un maggiore coordinamento tra l’Unione Europea e la Nato.
All’inizio del 2012 le navi che erano state messe a disposizione dagli stati componenti l’Unione Europea per rafforzare l’operazione UE Navfor Atalanta sono state ridotte da otto a tre, perciò esiste una criticità anche sul versante difensivo tradizionale oltre che un problema legislativo che i deputati europei propongono di affrontare mediante l’istituzione di tribunali speciali per questi reati.
Centonovantuno marinai di navi europee si trovano tuttora in ostaggio e sette navi non sono state ancora rilasciate. Esiste poi il problema di autorità regionali, diverse dallo stato di bandiera, che arbitrariamente ordinano provvedimenti di arresto o di blocco di navi, un fatto che in base al diritto internazionale è assimilabile ad un sequestro illegale.
I fenomeni di pirateria che si sono andati moltiplicando negli ultimi anni hanno posto un altro problema ancora, ossia l’accordo ormai urgente su regole comuni per disciplinare l’uso di personale armato che è sempre più frequente sulle navi e che in assenza di una adeguata legislazione internazionale sulla minaccia alle rotte commerciali viene utilizzato come soluzione. La risoluzione è stata approvata con 434 voti favorevoli, 100 contrari e 5 astensioni.
Aldo Ciummo

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Unione Europea: per l’Europarlamento la strategia nel Mediterraneo passa attraverso l’economia

Il Parlamento Europeo nella risoluzione sul Mediterraneo meridionale adottata oggi ha chiesto agli stati componenti di favorire la stabilità economica

L’Unione Europea ha fatto finora troppo poco in concreto per la democrazia nel Mediterraneo meridionale, mentre, promuovendo relazioni commerciali, la stabilità che dovrebbe essere l’approdo della primavera araba cui si è assistito in questi ultimi anni può essere raggiunta e messa in sicurezza.

Giovedì 10 maggio, in una risuluzione sulla strategia commerciale della UE per il Mediterraneo meridionale, adottata con 476 voti a favore, 64 contro e 40 astensioni, il Parlamento Europeo ha chiesto alla Unione Europea ed agli stati componenti maggiori sforzi per sostenere la transizione verso la democrazia nei paesi che sono stati interessati dai cambiamenti politici negli ultimi anni.

Il Parlamento Europeo ritiene che la strategia commerciale della Unione Europea dovrebbe concentrarsi nel dare appoggio alle piccole e medie imprese, in alcuni paesi protagoniste per un terzo dell’occupazione esistente.

La richiesta si rivolge soprattutto alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, che dovrebbe quindi indirizzare gli investimenti, mentre la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) sarebbe incaricata di fornire alle piccole imprese programmi di microcredito, altri interventi riguarderebbero l’emersione della parte sommersa di economia.

Si sta parlando molto anche della possibilità di istituire una zona di libero scambio euromediterranea, da cui i paesi europei potrebbero trarre benefici economici, nella risoluzione inoltre si sottolinea la necessità di ridurre la povertà e la disoccupazione, soprattutto nelle campagne di stati che sono, per la loro vicinanza, interlocutori naturali dell’Europa.

Aldo Ciummo

 

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A Roma l’incontro di TILT con gli studenti

L’iniziativa si chiama prossima fermata “Esperanza”, incontro a Roma tra gli studenti cileni ed italiani, saranno presenti Nichi Vendola e Maurizio Landini

Sabato 11 febbraio al caffé letterario di via Ostiense 95 (Roma) si svolgerà l’incontro tra gli studenti italiani e cileni “Esperanza” promosso dalla rete “Tilt”, attiva in Italia sui temi del superamento del precariato, della diffusione dello sviluppo sostenibile e della partecipazione democratica di giovani, donne, immigrati.

Parteciperanno all’incontro Camila Vallejo, leader degli studenti cilena; il segretario della Fiom Cgil, Maurizio Landini; il presidente di Sinistra Ecologia Libertà, Nichi Vendola; la portavoce nazionale di Tilt, Maria Pia Pizzolante e molti movimenti ed associazioni che non sono scomparsi durante gli anni del fallimento delle ricette liberiste, ma attraverso diverse iniziative di alternativa si sono confrontate arrivando in molti casi a lavorare insieme a nuove prospettive.

E’ diffusa la sensazione che viaggino ormai tutti assieme studenti, immigrati, persone che lavorano e che cercano di costruire progetti di partecipazione in tutta Europa come in altri paesi del Sud del Mondo che ormai è (per capacità di competere nell’economia mondiale e per squilibri nella distribuzione delle ricchezze che accompagnano anche da loro una fuorviante definizione di “sviluppo”) in molti casi occidente e come in molti altri paesi di un nord del mondo spesso in crisi sia nella sua posizione tradizionale di forza economica che nell’emergere delle contraddizioni sociali a questa connesse.

Forse non è un caso che quest’ultimo anno i mass media, in diverse occasioni, non siano riusciti a distinguere i manifestanti di Occupy Wall Street da quelli del Mediterraneo, e che i due livelli si siano quasi fusi, nella pratica e nei contenuti, nelle proteste che avvengono oggi sulla sponda sud dell’Europa, in Grecia ed altrove.”Incontrare Camilla Vallejo sarà come guardarsi allo specchio – dice la responsabile di Tilt Maria Pia Pizzolante, gli studenti che hanno scosso il Cile di Pinera sono parte della nostra stessa generazione, consapebole che una buona parte del futuro parte dallo studio e dalla formazione pubblica.”

Per TILT non si può parlare del sapere senza affrontare i nodi del lavoro. “Vallejo è cresciuta nella provincia di Santiago, che oggi racconta la stessa storia che potremmo sentire a Milano, Roma, Napoli, Palermo” spiega la responsabile di Tilt. Camilla Vallejo studia geografia all’Università del Cile ed il suo impegno politico, sfociato nel movimento degli studenti diventato centrale in Cile a partire dal giugno 2011, rispecchia quelli che hanno attraversato l’Italia nel 2010.

L’incontro di sabato è quindi soprattutto una occasione per parlare di sinistra politica e sindacale, uno spazio troppo a lungo lasciato vuoto dalle istituzioni e che in particolare le nuove generazioni stanno iniziando di nuovo a riempire, per difendersi dall’aggressione evidente e persistente da parte di ben determinate fasce di età e di reddito.

Aldo Ciummo

 

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Foad Aodi: i giovani egiziani non hanno ancora vinto davvero

La riflessione del presidente dell’Associazione dei Medici Stranieri in Italia: la partecipazione e la correttezza delle elezioni sono una vittoria, ma dove sono i giovani eletti?

A ridosso delle elezioni egiziane, un grande avvenimento per la democratizzazione di una regione importante vicino l’Europa, il presidente dei medici stranieri in Italia riflette su un dato: neppure uno dei cinquantasei candidati che rappresentavano i maggiori protagonisti del cambiamento è riuscito ad essere eletto.

Naturalmente esistevano in Egitto forze, a partire da quelle militari e religiose, molto più organizzate e dotate di mezzi, tanto che molti hanno deciso di non prendere parte ad elezioni molto condizionate dai rapporti di forza pre-esistenti, ma la lista nata dai movimenti di piazza ha preso solo il 5 per cento.

Pesa quindi, sottolinea Foad Aodi, la divisione in molte liste dei ragazzi che hanno partecipato alla primavera egiziana. Si potrebbe aggiungere che a questo punto sarà molto importante il ruolo dell’Europa nel sostenere le richieste di partecipazione e di crescita che vengono dalla sponda sud del Mediterraneo.

Un elemento che si può aggiungere alle considerazioni del presidente AMSI, che ha una conoscenza di prima mano delle situazioni nel mondo arabo e mediterraneo, è una generale necessità di rafforzare l’azione delle giovani generazioni in un contesto che in molti paesi, non soltanto in quelli ancora in via di sviluppo ma anche in molti sviluppati o in declino, è bloccato dalla autolegittimazione e riproposizione su base censitaria-familiare delle classi dirigenti.

Nell’anno entrante, anche in un’area industrializzata come l’Europa a trainare lo sviluppo socioeconomico sono in tutte le stime la Germania (che si sta occupando assieme a pochi vicini di gestire una difficile situazione, pur con gli esborsi che ha dovuto di fatto subire a vantaggio di altre parti d’Europa) ed il Regno Unito (chiacchiere a parte, l’unico paese in crescita secondo le previsioni), mentre i paesi caratterizzati da scarsa concorrenza e iniqua distribuzione delle risorse arrancano nonostante i ritocchi istituzionali.

Aldo Ciummo

 

Strasburgo al lavoro

 

La sessione plenaria al Parlamento Europeo dal 12 al 15 settembre 2011

di   Aldo Ciummo

 Il Parlamento Europeo a settembre torna al lavoro su temi molto attuali come Frontex e il controllo delle frontiere, al centro delle cronache a seguito dei sommovimenti delle sponde sud ed est del Mediterraneo oppure l’Energia e le regole che impongono all’industria di condividere parte delle informazioni rilevanti in questo campo strategico per l’autonomia dell’Europa.

Tiene banco logicamente anche la crisi dell’Eurozona e altri temi ad essa legati, come la posizione del Consiglio sul bilancio 2012, e le iniziative dell’Unione Europea sui problemi registrati in Libia, in Siria e nell’Africa dell’Est. E’ molto atteso l’intervento del Presidente polacco in Plenaria (Varsavia ha la presidenza questo semestre).

Altri argomenti importanti sono il controllo sulle trivellazioni offshore e le norme ambientali, l’impegno contro la corruzione nei paesi UE, i diritti dei cittadini, l’ambiente e la commissione petizioni, la mediazione in cause civili e le nuove regole europee per garantire un risparmio in materia ai cittadini.

Lungi dall’essere il mostro tecnocratico che una produzione letteraria costantemente alimentata da classi dirigenti molto più direttamente impegnate nella produzione di debito dipingono, l’Unione Europea continua ad essere un meccanismo, politicamente debole sì e scarsamente vicino a grandi porzioni della sua popolazione pure, ma perlomeno in grado di permettere un travaso non indifferente di risorse da nazioni con i conti in ordine (la cui opinione pubblica inizia comprensibilmente a dare segni di preoccupazione) a paesi che destinano indirettamente all’acquisto di giocatori fondi altrui che dovrebbero essere destinati all’ambiente.

Su queste pagine web ripetiamo volentieri quindi che la crisi sarà un pò meno in grado di nuocere sia alle imprese che al famoso uomo della strada il giorno in cui gli stati più responsabili e (fortunatamente) dotati di maggior peso in Europa riusciranno ad imporre regole coattive, che siano tese non certo a manovre inique dal punto di vista della distribuzione delle risorse (quelle le hanno approvate gli stati nazionali, specialmente alcuni, si veda l’Italia) ma a raggiungere se necessario con sanzioni e sentenze un effettivo ottenimento del rispetto di paramentri comuni (anche di standard civili).

Le richieste che cominciano a sollevarsi dai maggiori stati fondatori, valga per tutte un maggior controllo di come i fondi concessi vengono spesi, vanno nella direzione giusta: è ormai visibile quali risultati scadenti abbia prodotto l’autoattribuzione, da parte di paesi irregolari, di presunte eccezionalità che dovevano permettere di cavarsela sempre senza sforzi, tanto che tre di questi stati nazionali, in area euromediterranea, sono diventati esplicitamente una eurozavorra.

Il vero problema è la negazione dei diritti degli immigrati

Gli scontri a Bari e Crotone di questi giorni sono il risultato delle condizioni inaccettabili nelle quali le persone vengono tenute

Bari, Crotone, immagini della cronaca ormai quotidiana, di binari bloccati e strade occupate dagli scontri, ma soprattutto teatro di una quotidianità molto meno evidenziata dalla informazione a senso unico delle televisioni nazionali e dei maggiori mezzi di informazione: le condizioni di vita, non solo materiale, di persone che ora rischiano di restare come fantasmi privi di documenti anche fino a diciotto mesi nei centri di identificazione e di espulsione.

Una reclusione che prelude ad un rifiuto è quanto di più contrastante con la Costituzione che l’Italia si è data ad un prezzo molto alto e che con estrema difficoltà sta conservando in questi ultimi venti anni di colpi quotidiani alle sue caratteristiche sostanziali: la carta italiana esprime molto chiaramente l’affermazione di diritti universali che escludono limiti di reddito, nazionalità, religione e che rappresentano valori abbastanza chiari da non essere eclissati dalle diversità del contesto sociale odierno rispetto alla data della sua firma.

Persone che non hanno commesso nessun reato non dovrebbero essere recluse a tempo praticamente indeterminato in base a decreti tesi ad accontentare parte del pubblico di una comunicazione generalista sulla cui obiettività e pluralismo ci sarebbe molto da ridire, pubblico peraltro largamente in disaccordo con queste distorsioni dei princìpi costituzionali e con l’allontanamento dalle consuetudini di apertura consolidate in Italia dal dopoguerra al 1993, nonostante l’ampiezza della propaganda che si è imposta in seguito.

La realtà dei cie e dei cara, centri di prima accoglienza spesso inesistenti o assimilabili per concretezza del trattamento riservato a coloro che vi vengono trattenuti, rende del tutto comprensibile l’insorgere di sommosse fra i destinatari di questa gestione non proprio illuminata dell’ordine pubblico, non da parte di chi è costretto a gestirlo ma di un governo e di forze politiche che anche all’interno opposizione spesso condividono nei fatti l’emergere di una cultura che collega i diritti alla provenienza ed al reddito, sganciandoli dalle persone.

Funge da parziale alibi dell’esecutivo (obiettivamente non lo è) l’assenza della UE, prodiga di richiami ai diritti ma latitante in fatto di supporto organizzativo, materiale e logistico, di fronte a fenomeni storici che riguardano il continente nel suo complesso e vedono l’Italia come uno dei paesi al centro di trasformazioni che difficilmente possono essere gestite da un gruppo arroccato a difesa del proprio mantenimento con il sostegno di forze regionali con sfumature xenofobe e dotate di una vista che non supera i confini del circondario.

Il motivo per cui oggi alle 17.30, mentre il Senato discute il decreto Maroni sui rimpatri European Alternatives e altri gruppi terranno un presidio all’esterno, è che la UE non sarà questa e non sarà l’Italia a incoraggiare preoccupanti segnali di chiusura nella nostra Europa, che si pone come forza di apertura nel mondo di oggi.

Le ingenti risorse che vengono dissipate per recludere cittadini senza altre colpe che essere stati costretti da svariati e tragici eventi ad abbandonare i propri paesi sono risorse sufficienti ad iniziare un lavoro sull’integrazione che raccolga le migliori esperienze europee ed includa progressivamente il sostegno ai cambiamenti in atto nel Mediterraneo, coerentemente con i diritti umani.

Aldo Ciummo

Pavlos Yieroulanos: “all modes of transportation, all culture and sport venues and aspects of life are returned to normality”

The Statement of the Ministry of Culture and Tourism, Mr Pavolos Yeroulanos (released 30th of June).

“Greece is turning page towards financial stability and growth. In this effort, an austerity plan was voted by Greek Parliament yesterday resulting to temporary demonstration and disruptions in the center of the city of Athens.

These events, altough unfortunate, were local and do not represent in any way everyday life in the city. Visitors in Athens continue to enjoy secure and tranquil environment and a very vibrant cultural experience.

All modes of transportation, all culture and sport venues and aspects of life have returned to normality and visitors can enjoy the experience they planned for.

No other city of location in Greece was affected by these disruptions.”

Strasburgo: “Europa più unita per i diritti”

 

La questione siriana in particolare è al centro delle critiche degli eurodeputati liberali, ambientalisti ed euroscettici su una gestione delle crisi eccessivamente improntata alla realpolitik

di Aldo Ciummo

La richiesta principale degli eurodeputati dei gruppi ALDE (liberali), ECR (conservatori) e Verdi è un approccio più equilibrato alle crisi definite della primavera araba, con l’inclusione del presidente siriano Bashar al-Asad nella lista dei funzionari oggetto di sanzioni comunitarie.

L’aula nel suo complesso ha fatto notare al capo della politica estera europea Catherine Ashton che sono necessari maggiori sforzi diplomatici assieme a misure più chiare verso i governi di Siria, Bahrain e Yemen. La situazione in Siria viene definita come un grande disastro e come una Tienanmen araba dal leader dei liberali, Guy Vorhofstadt (Alde, Belgio) che assieme ad ECR e Verdi ha chiesto che il presidente siriano sia incluso al più presto nella lista concordata il 16 maggio per imporre il divieto di espatrio ed il congelamento dei beni a tredici alti funzionari siriani.

Non si può fare a meno di notare un eccesso di dichiarazioni di principio ed un difetto di indicazione di misure concrete, dato che riguardo alla effettiva rimozione delle attuali autorità, decisioni simili si rivelano di lunga e tormentata attuazione, si veda il caso libico. L’embargo sulle esportazioni di armi nei confronti di Siria, Bahrein e Yemen, una delle richieste chiave inoltrate agli stati componenti la Ue è però più che giustificata dalle circostanze ed è presente nelle prime due risoluzione elaborate da Gabriele Albertini (PPE) e Roberto Gualtieri (S&D). L’assemblea di Strasburgo ha anche chiesto alla UE di sospendere i negoziati per un Accordo di Associazione con la Siria e sanzioni mirate verso i regimi.

 L’Europarlamento ha accolto favorevolmente l’apertura a Bengasi di un ufficio Ue, annunciata da Catherine Ashton, per assistere il Consiglio Nazionale Transitorio in Libia. L’obiettivo è arrivare il prima possibile ad un cessate il fuoco, alle dimissioni del governo ed all’invio di maggiori aiuti alla città di Misurata. E’ stato chiesto anche di condurre una inchiesta sull’uccisione di alcuni dissidenti iraniani nel campo di Ashraf in Iraq e la maggioranza dei gruppi si è pronunciata per la restituzione delle tasse provenienti dai territori palestinesi attualmente trattenute dal governo di Israele.

I gruppi euroscettici ECR e EFD hanno criticato la scelta della UE di mantenere relazioni con Hamas dopo la riconciliazione del gruppo con Fatah. L’elemento importante che si registra è l’esigenza che sale dal Parlamento Europeo, in accordo con l’opinione pubblica comunitaria, di porre il rispetto dei diritti umani in una posizione migliore nell’agenda europea, rispetto alla realpolitik che si è vista spesso negli ultimi anni e di mettere la questione al centro degli accordi internazionali, ad esempio con la Federazione Russa. Significativa la proposta presentata da Marìa Muniz de Urquiza (S&D, Spagna) per un seggio permanente per l’Unione Europea nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’assemblea generale intanto ha approvato una status speciale che permetta alla UE di intervenire durante i lavori.

Occupazione e ambiente, l’esempio di Londra

Stephen Lowe, consigliere per gli Affari Globali dell’ambasciata britannica a Roma, in una recente intervista all’agenzia nazionale Ansa ha stimato in 800.000 i posti di lavoro creati nel settore ecosostenibile di beni e servizi. Si avvicina Copenaghen e sul piatto c’è un accordo importante per il futuro del pianeta. I paradisi del Pacifico sono a rischio e in Europa un innalzamento della temperatura e del livello dei mari colpirebbe molto duro a Nord come a Sud (ed anche in Italia)

 

Una ricerca, presentata oggi dall’ambasciatore britannico in Italia, Edward Chaplin, e di cui le maggiori agenzie hanno dato notizia, illustra gli effetti pesantissimi che il cambiamento climatico sortirebbe. Lo studio è una mappa interattiva tracciata dal MET, servizio metereologico britannico. Tra ottanta anni in Italia la temperatura potrebbe essere di otto gradi maggiore rispetto alla media nei giorni più caldi dell’estate, si immaginino le conseguenze cliniche su una parte significativa della popolazione, in un paese abitato da molti anziani e naturalmente esposto alla diffusione di malattie di importazione, in un mondo globalizzato.

Non solo per l’Italia, ma per tutto il Mediterraneo, una massiccia riduzione delle risorse acquifere significherebbe non soltanto l’acuirsi di problemi sociali già difficili a causa di inefficienze ed iniquità distributive (ed anche come conseguenza di problemi strutturali ed infrastrutturali), ma anche una riduzione delle risorse agricole capace di portare a contrazione della ricchezza, aumento della disoccupazione e disagi alimentari in alcuni paesi dell’Africa e del Medio Oriente.

Stephen Lowe ha reso noto che nel Regno Unito 800.000 posti sono stati creati nel settore della economia ecosostenibile, tra il comparto dei beni e quello dei servizi. D’altronde l’Inghilterra gode di una prospettiva maggiore di quella di molti altri paesi riguardo alle vicende globali, cui di certo non è estranea la profonda conoscenza storica dell’area del Pacifico, una delle più minacciate dalle trasformazioni indotte dall’inquinamento. Pensare al clima oggi è infatti innanzitutto un atto di responsabilità verso i paesi più fragili anche economicamente ed ad esempio verso gli arcipelaghi del Pacifico la cui tutela è un test valido per il resto del pianeta perchè essi rappresentano l’equilibrio tra uomo ed ambiente.

Nauru, isole Salomone, Marshall, Fiji, Kiribati, Tuvalu, Palau infatti rilanciano rispetto agli obiettivi del mondo sviluppato e chiedono una riduzione del 40% delle emissioni nocive entro il 2020. L’Europa ha proposto il venti per cento (riprendiamo questi dati dall’Ansa). Nel caso tutti gli stati contribuiscano, si penserebbe di fissare l’obiettivo del 30%. I paesi meno sviluppati vogliono che sia riconosciuto il diritto di promuovere quella che è un pò la loro rivoluzione industriale e che le nazioni più ricche li aiutino, se vogliono che tutti costruiscano una economia verde.

Un segnale molto positivo, anzi due segnali, sono venuti dall’annuncio di Barak Obama, che parteciperà al vertice nei giorni più importanti, seguito dal premier indiano Manmohan Singh, che ha detto che ci sarà anche lui. Rispetto agli Usa, l’Unione Europea ha fissato sempre paletti più elevati e specialmente adesso, sotto la Presidenza Svedese e con la spinta anche della Danimarca che ospita il vertice, sta lavorando per un accordo il più responsabile possibile.

Aldo Ciummo

Turchia: approda in Parlamento la proposta di pace con i Curdi

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Manifestazione dei parenti dei caduti del Pkk a Diyarbakir, il Pkk è la principale organizzazione armata curda, FOTO di Michele Vollaro

Potrebbe trattarsi di un passo fondamentale per avviare l’emancipazione di un popolo di trenta milioni di persone che vivono in un’area compresa tra Turchia, Iraq, Iran, Armenia e Siria. La maggior parte vivono proprio nel territorio della Turchia orientale

 
 
di   Michele Vollaro

È una curiosa coincidenza di date, quella che fa cominciare proprio il 10 novembre – data che in Turchia viene celebrato l’anniversario della morte di Mustafa Kemal Atatürk, fondatore della Repubblica – il dibattito parlamentare sulla questione curda.

Da mesi al centro dell’attenzione dei mezzi d’informazione e dell’opinione pubblica turchi, il tema di una normalizzazione dei rapporti tra la popolazione curda e il governo turco è oggetto di indiscrezioni, smentite e annunci di una proposta del primo ministro Recep Erdogan e di una parallela “road map” preparata da Abdullah Ocalan, fondatore del Partito dei lavoratori curdi (Pkk) che dal 1985 ha cominciato una lotta armata contro lo Stato e segregato dal 1999 in un carcere nell’isola di Imrali, nel mar di Marmara. E proprio oggi, in occasione del 71° anniversario della scomparsa di Atatürk, il governo guidato da Recep Tayyip Erdogan ha presentato al Parlamento di Ankara la sua proposta per porre fine al conflitto che da quasi 25 anni oppone lo Stato ai militanti curdi in lotta per il riconoscimento della loro identità come popolo.

Abolizione dei limiti all’insegnamento della lingua curda e al suo utilizzo nelle trasmissioni radio e tv, rafforzamento dei governi locali, riforma dei programmi scolastici che negano l’esistenza del popolo curdo e ripristino dei nomi tradizionali dei villaggi del sudest: sono gli aspetti principali del piano presentati dal ministro degli Interni, Beşir Atalay, che però non ha fatto nessun accenno alla possibilità di disarmo e reintegrazione politica dei membri del Pkk, considerato ancora un’organizzazione terroristica nonostante l’iniziativa a inizio novembre di far tornare in Turchia dal nord dell’Iraq dei “gruppi di pace” composti da miliziani disarmati.

Nettamente contrari a “qualsiasi contatto con i terroristi che possa minare l’unità dello Stato” è stata espressa dai parlamentari  dei due partiti nazionalisti e conservatori Partito del Movimento Nazionalista (Mhp) e Partito Repubblicano del Popolo (Chp), entrambi all’opposizione. La cosiddetta “questione curda” riguarda più di 30 milioni di persone che vivono in un’area compresa tra Turchia, Iraq, Iran, Armenia e Siria, la maggior parte dei quali vive nel territorio della Turchia orientale. In seguito al disgregarsi dell’impero ottomano dopo la prima guerra mondiale, i curdi combatterono sotto il comando di Atatürk durante la guerra d’indipendenza turca, con la promessa di costruire una repubblica federale, in cui fosse rıconoscıuta la loro identità. Una promessa tradita dal futuro “Padre della Turchia”, che optò per una forte ideologia nazionalistica e la costruzione dı uno stato centralizzato.

Da allora i curdi combattono per la loro autodeterminazione. Una lotta che si è intensificata quando nel 1974 Ocalan fondò il Pkk e nel 1985 – pochi anni dopo l’ultimo colpo di stato realizzato dai militari turchi – quando si è optato per la lotta armata. Fino a oggi sono più di 45.000 le vittime del conflitto, in un susseguirsi continuo di tregue ed escalation belliche, più di 6.000 i detenuti politici curdi nelle carceri turche, dove negli anni passati hanno subito gravissime torture, paragonabili secondo numerose associazioni per i diritti civili solo a quelle subite dai prigionieri dei campi di concentramento nazisti.

Ultima in ordine di tempo, una massiccia campagna militare contro basi del Pkk nel nord dell’Iraq, cominciata all’inizio del 2008 e che la settimana scorsa il Parlamento di Ankara ha prorogato per un altro anno; incursioni che non hanno avuto altro effetto se non quello di moltiplicare il numero dei morti tra civili, militari e ribelli, inasprendo gli animi e le tensioni al punto che lo stesso capo di stato maggiore turco, Ilker Basbug, ha dovuto ammettere che i mezzi militari da soli non possono risolvere il problema curdo. 

Per la maggioranza dei turchi trovare una soluzione al conflitto con i curdi rimane, per ora, solo una questione d’immagine, funzionale al processo di adesione della Turchia all’UE. Sebbene il governo stia spingendo per un’inversione di tendenza rispetto alla retorica del nemico che ha coinvolto curdi e turchi per decenni, questi ultimi sono ben lontani dall’aver accantonato i fantasmi del passato e, più che sostenere attivamente il dialogo inaugurato da Erdogan, non vi si oppongono. Ad Ankara, dopo la presentazione del progetto di pace da parte del ministro degli interni, il dibattito parlamentare è stato aggiornato a giovedì, quando interverrà il primo ministro Erdogan, che in ogni caso ci ha tenuto a specificare che il suo governo non ha nessuna intenzione di garantire l’amnistia ai guerriglieri del Pkk, né tanto meno di minare l’integrità statuale.

Da parte sua, il Pkk ha diffuso un comunicato affermando che non abbandonerà la lotta armata fintantoché il governo di Ankara proseguirà le sue operazioni militari nelle regioni curde: “Discutere la questione curda in Parlamento – si legge nel comunicato del Pkk – è un’opportunità per risolvere il problema, ma compito del parlamento è discutere il modo per raggiungere la pace, non affrontare la questione per ottenere altri risultati politici”. 

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La manifestazione curda a Diyarbakir, FOTO di Michele Vollaro