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UE: la riforma sulla protezione dei dati sarà votata nell’Europarlamento

Il dibattito nella commissione per i diritti civili ha sottolineato l’importanza di regole comuni nella UE

Tanto il regolamento quanto la direttiva sulla protezione dei dati dovranno essere votati al più tardi in ottobre, questa è la conclusione raggiunta nel corso della discussione di martedì 9 luglio nella commissione per i Diritti Civili dell’Europarlamento. Gli europarlamentari ritengono che l’itinerario della legislazione comunitaria in materia sia lento e insistono molto sul ruolo di regole simili all’interno della Unione Europea.

Il regolamento riguarderà l’insieme dei dati (dei cittadini europei) trattati, mentre la direttiva sarà in merito al segmento particolare dei dati trattati per ragioni di polizia in procedimenti giudiziari.  La prima a votare sarà la Commissione per le Libertà Civili, che fornirà poi all’Europarlamento il mandato per iniziare il negoziato con il Consiglio dei Ministri, nel quale sono rappresentati gli stati componenti la UE.

Quasi cinquemila emendamenti testeranno le due parti menzionate della legge, ma i negoziati all’interno dell’assemblea dovrebbero riassorbirne un numero consistente, velocizzando l’iter dell’approvazione.  Philipp Albrecht (Verdi-Alleanza Libera Europea, Germania) ha detto che la votazione non dovrebbe ritardare oltre ottobre. Dimitrios Droutsas (Socialisti e Democratici, Grecia) ha sottolineato che il periodo è adatto ad affrontare l’argomento: il dibattito sul programma statunitense “Prism” ha reso l’opinione pubblica internazionale attenta al tema. Axel Voss (PPE, Germania) ha dichiarato che gli eurodeputati sono concentrati sul problema, ma che questo richiede minore precipitazione nella sua soluzione legislativa.

Sarah Ludford (Alleanza dei Liberali e Democratici, Regno Unito) ha affermato che la scelta migliore non è la ricerca del consenso, ma l’elaborazione di una legislazione efficace. Cornelia Ernst (Sinistra Unitaria Europea, Germania) ha detto invece che l’obiettivo non può essere soltanto un compromesso tra gli stati componenti, ma piuttosto il raggiungimento di regole comprensibili in tutta la Unione Europea.  Il prossimo incontro rilevante della commissione per le Libertà Civili è stato fissato per il 5 settembre.                                                                                                                 

Schleswig-Holstein, bene la sinistra progressista e gli ambientalisti

Germania, nelle elezioni regionali bene la sinistra che nel complesso batte i conservatori, entra nel land il Partito dei Danesi

La Spd, il Partito dei Socialdemocratici, pareggia i conti con la Cdu, entrambe le liste infatti sono arrivate attorno al trenta per cento. I Verdi arrivano al quattordici per cento e il Partito Pirata, nato in Svezia e radicatosi rapidamente nel Nord Europa, è intorno all’otto per cento. Complessivamente i progressisti e le nuove forze politiche di sinistra superano la coalizione conservatrice, che oltre alla Cdu include i Liberali della Fdp, in buona salute contro ogni previsione (con l’otto per cento quando erano dati al di sotto del sei): questi sono i risultati dello Schleswig-Holstein dove hanno votato circa due milioni e mezzo di cittadini tedeschi.

Anche lo Ssw, il partito che rappresenta la minoranza danese nel parlamento regionale (la Germania è uno stato federale a tutti gli effetti) avrebbe ottenuto tre deputati nell’assemblea. Se i dati delle più recenti consultazioni federali in Germania significano qualcosa, anche nello stato più importante della UE per dimensioni demografiche e produttive la linea del rigore a tutti i costi potrebbe essere presto modificata non soltanto a causa del cambiamento del panorama politico circostante, dalla vittoria di Hollande all’ondata di sinistra in Inghilterra, ma anche da uno spostamento in favore di Socialdemocratici e Verdi all’interno, senza contare che la disgregazione politica in Grecia può fornire qualche consiglio alla cautela agli stati fondatori della UE quando si vanno a toccare le spese sociali.

In Grecia come in Francia il dato preoccupante di una avanzata di forze antidemocratiche e destrorse esiste, ma non può oscurare il fatto principale: la crescita esponenziale di quanti vogliono un maggiore equilibrio nella distribuzione delle risorse ed un diverso modello di sviluppo, in Francia Hollande ha ottenuto quasi il cinquantadue per cento e con lui il suo Partito Socialista, stando alle prime rilevazioni, mentre in Grecia i partiti di ispirazione progressista, radicale e di sinistra democratica che si trovano, rispetto al Pasok, più a sinistra, sommati arrivano almeno al venticinque per cento dei consensi. I dogmi del Fiscal Compact nella UE potrebbero presto dover fare i conti con le esigenze di compattezza sociale, che è auspicabile i progressisti europei applichino facendo rete tra i vari paesi.

Aldo Ciummo

 

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Populismo di destra, un pericolo per l’Europa

Le difficoltà sociali che l’Europa deve affrontare lasciano ancora spazio a pessime tendenze da cui nessun paese è al riparo

Nonostante la crisi economica stia mettendo a dura prova il tessuto sociale in molti paesi dell’Unione Europea e gli squilibri nella distribuzione delle risorse aggravino questa situazione, complessivamente al momento i populismi di destra stanno arretrando, sia nei paesi del Mediterraneo, che vedono riorganizzarsi progetti di alternativa sociale progressista (come risposta all’iniquità della gestione della crisi come elaborata dai rappresentanti tecnici delle tendenze liberiste di destra), sia negli stati economicamente più solidi che hanno sperimentato ugualmente negli scorsi anni l’emergere di forze politiche euroscettiche (a volte con sfumature xenophobe preoccupanti) si guardi al Belgio e ad alcuni paesi scandinavi dove le liste ultraconservatrici che avevano ottenuto qualche consenso negli anni passati si stanno ritirando ad ogni elezione, perdendo voti nelle elezioni che si sono svolte nel 2011 e nel 2012.

Attualmente si sta svolgendo in Norvegia il processo all’estremista di destra che l’estate scorsa ha causato la morte di decine di persone ad Oslo e sull’isola di Utoya, sollevando preoccupazioni ulteriori sull’aggressività dei gruppi xenophobi, ultraconservatori o integralisti religiosi cristiani in Europa e nella Unione Europea, anche se formalmente la Norvegia non fa parte della UE. Mentre in Norvegia ci si è trovati di fronte all’azione di un criminale isolato, la tragedia del paese nordico ha attirato l’attenzione sul fatto preoccupante che in molte parti d’Europa i partiti che portano avanti discorsi inaccettabilmente razzisti e populisti di estrema destra vengono perfino accettati negli esecutivi di governo oppure accolti in una sorta di cooperazione informale con altre forze di destra tradizionale e più moderate.

Per quanto riguarda la Norvegia ed i paesi vicini, l’azione criminale isolata di un estremista di destra, oggetto del processo in atto, non può far registrare molti contatti con la realtà politica e la società colpita da quell’attentato, perchè i partiti che portano avanti idee inaccettabili per razzismo e xenophobia sono sempre stati abbastanza isolati nelle istituzioni in Norvegia (anche in Svezia ed in Finlandia non sono mai stati ammessi in compagini governative i gruppi di estrema destra, anche quando si trattava di liste che non avevano una chiara tendenza ultraconservatrice come nel caso del partito dei “Veri Finlandesi”) e quando i movimenti politici hanno fatto parte di esecutivi in qualche appoggio esterno, come in Danimarca, non si trattava di forze politiche propriamente estremiste. Inoltre le posizioni di chiusura verso l’immigrazione hanno sempre raccolto consensi solo marginali e i candidati che si rifacevano a queste posizioni hanno generalmente evitato di aderire a vere e proprie ideologie estreme.

E’ stato sottolineato da molti giornali in Europa, dopo la tragedia che ha colpito la Norvegia, che le forze politiche conservatrici o liberali che esprimono critiche riguardo alle politiche dell’immigrazione o della laicità hanno diritto di partecipare alla vita politica (senza vedersi associate ad atti orribili compiuti da estremisti di destra o alle forze ultraconservatrici più estreme). Bisogna però dire che non è logico preoccuparsi soltanto delle conseguenze estreme del razzismo e dell’estremismo di destra, quando queste si verificano come è avvenuto a spese di uno stato come la Norvegia che resta un modello di democrazia, anche nel modo civile con il quale ha affrontato la tragedia e sta portando avanti il processo al responsabile di quel massacro, perchè è molto preoccupante in Europa anche la diffusione silenziosa del razzismo, della xenophobia, dell’ultraconservatorismo e di tutte le minacce alla società aperta e multiculturale: un fenomeno, questo del populismo di destra, che da anni si sviluppa soprattutto a livello culturale e specialmente nell’Europa continentale, venendo a volte quasi accettato, (soprattutto nell’area mediterranea e nell’est) purtroppo anche da spezzoni del mondo politico e istituzionale.

Aldo Ciummo

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Tilt con la Fiom: “in nome dell’austerità si ipoteca anche il futuro”

All’assemblea della Fiom a Bologna è intervenuta l’associazione della sinistra diffusa “Tilt” che riunisce giovani appartenenti a diverse forze progressiste ed alla società civile

di  Aldo Ciummo 

Un futuro di diritti, che il presente ingombro di dogmi ultraliberisti e conservatori riciclati dalle fallimentari esperienze finanziarie globali degli ultimi due decenni sembra avere archiviato, è invece la domanda che proviene dal paese reale, difficilmente rappresentato dagli studi sulle curve quotidiane dello spread che sembra essere l’unica passione della destra tecnica che governa oggi l’Italia.

La destra tecnica dei Monti, Fornero, della noia del lavoro e della sfortuna dello studio, propone ed impone a tamburo battente ricette che in Portogallo hanno raddoppiato in un anno il debito ed incrementato la mortalità tra i pazienti della spesa sanitaria pubblica tagliata con l’accetta ed in Grecia hanno portato il paese nelle condizioni conosciute, a cui anche l’Italia comincia per gradi ad assuefarsi.

Sono trascorsi soltanto pochi mesi dal passaggio, comprensibilmente indolore, dalla destra populista delle campagne mediatiche contro la cultura dei diritti e del lavoro ad una destra tecnica dei fatti quotidiani contro contro un assetto democratico fondato anche sulla partecipazione sostanziale alle opportunità di istruzione, lavoro, autonomia e partecipazione di tutte le parti della popolazione.

Tilt è una associazione a cui appartengono ragazzi di diversi partiti di sinistra, studenti, lavoratori, immigrati, precari, il cui orientamento comune è il rifiuto di una logica distorta, che vorrebbe mettere l’operaio che difende le conquiste realizzate nei decenni e lo studente che vede l’assetto attuale della società cercare di prevenire in anticipo la sua libertà e la sua autonomia attraverso la negazione dei diritti allo studio ed alla formazione, la stessa logica distorta che attraverso le televisioni e le campagne stampa dei governi Berlusconi e Monti ha cercato in questi anni di mettere precari contro immigrati.

Difendere l’articolo 18 e condividere il percorso della Fiom in questo senso, unitamente a sottolineare il valore della sua difesa della dignità ed espressione dei lavoratori nei luoghi di produzione, significa promuovere il diritto di tutti quei giovani che sono spesso cittadini di serie B a causa di un debito creato da altri (impoverendo anziani e adulti) solo per approdare ad una crisi di sistema che dovrebbe diventare finalmente il punto di partenza per cambiare le cose e non per riproporre i soliti dogmi neoliberisti e conservatori di destra che hanno rovinato intere società, da un lato e dall’altro dell’Atlantico.

Nello stesso modo, per i lavoratori ed i professionisti dei luoghi di produzione e del malconcio sistema imprenditoriale italiano, indebolito dalla impossibilità di espandere o conservare i consumi da parte del sessanta per cento della popolazione, condividere il percorso di quanti oggi iniziano il liceo o un istituto professionale con la sicurezza di non potersi iscrivere all’università (o di poter scegliere di farlo soltanto per approdare a maggiori disagi al termine del proprio impegno) significa tutelare i propri diritti, salvaguardandoli dalla concorrenza certa di una riserva di “stranieri in patria”, nati con una cittadinanza formale ma costretti dall’assenza di tutele minime e di prospettive civili a concorrere al ribasso nel mondo del lavoro con anziani esodati che gli studiosi dello spread considerano un ingombro.

I sindacati italiani sono stati la forza che ha impedito alle resistenze alla modernizzazione (da parte di gruppi che hanno sempre cercato di fare dell’Italia un terreno di sperimentazione di forme autoritarie di capitalismo) di trattenere indietro l’Italia: Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Fiom, la Fiom più di altri e pagando prezzi maggiori, hanno consentito al paese di trasformare il testo della sua Costituzione, una delle più complete in fatto di diritti sociali, in qualcosa di vissuto veramente nella consapevolezza dei diritti propri e dei diritti altrui, motivo per cui i sindacati, specialmente quelli di sinistra, hanno difeso giustamente sia italiani che nuovi cittadini sui luoghi di lavoro, coscienti del fatto che salvaguardare la dignità degli altri significa lottare concretamente per la propria.

E’ importante che questa solidarietà tra componenti diverse della vera sinistra, che non accetta il razzismo e non accetta lo smantellamento della Costituzione nata dalla Resistenza, non cambi e anzi trovi adesso nella rinnovata ostinazione dei ragazzi, studenti, immigrati, precari, professionisti a non accettare un futuro a due corsie (per la maggior parte della popolazione da una parte e per i figli dei tecnici dall’altra) il collante per una opposizione sociale ai programmi di concentrazione delle opportunità e delle risorse che il Centrodestra ha confusamente portato avanti per venti anni e che la destra tecnica sta finalizzando con efficienza scientifica e con profitto, avvantaggiandosi cinicamente del disorientamento creato dalla crisi economica e dalle speculazioni finanziarie che l’hanno creata.

Per questo Tilt ha sottolineato a Bologna e sta evidenziando in tutta Italia che i tecnici e la destra non devono arrogarsi il diritto di togliere tutele ai lavoratori ed ai disoccupati, agli immigrati ed ai pensionati, permettendosi, vergognosamente, di farlo in nome di generazioni di studenti e di ragazzi che non conoscono e di cui attaccano i diritti definanziando la scuola, la ricerca e la formazione.

Per gli stessi motivi, la parte della popolazione nata quando ormai l’Unione Europea nel senso attuale del termine era già stata costruita e il suo Parlamento era ormai votato dai cittadini sa che questa Unione Europea non può dirsi compiuta, se le garanzie sociali scritte nel manifesto di Ventotene non vengono difese dai cittadini europei attraverso la partecipazione politica quotidiana. Vicino alla lotta per la tutela dei diritti dei lavoratori più attaccati oggi c’è la promozione di strumenti come il welfare universalistico in Europa, che incontrano un solo ostacolo nel divario di patrimoni e opportunità in Europa, in maniera particolarmente accentuata in Italia.

Professionisti, precari, immigrati devono collaborare con i lavoratori delle industrie e con i disoccupati se vogliono fronteggiare quel mondo composto da concentrazioni patrimoniali, mediatiche, politiche (aggravatesi con la legge elettorale che consente alle dirigenze di autonominarsi nelle elezioni), che sta aggredendo da un nuovo ventennio a questa parte, le fasce più deboli e produttive della popolazione con una vera e propria lotta di classe alla rovescia. Tilt rappresenta soltanto una delle realtà della sinistra italiana e dell’opposizione alla destra populista dei Berlusconi e dei Bossi ed a quella destra tecnica che ne è la continuazione scientifica.

L’interesse dell’esperienza di Tilt risiede nella collaborazione di ragazzi di diversi partiti di sinistra e di non iscritti ai partiti, anche in considerazione della costante consegna alla destra del paese che è stata causata da una litigiosità tra gruppi di orientamento di sinistra incomprensibile per chiunque ritenga prioritario portare avanti politiche progressiste, rispetto all’elezione di un esponente o di un altro, evidentemente più importante per tutte quelle liste che a turno hanno anteposto a tutto l’esigenza di lucidare vecchi simboli sconosciuti alla maggior parte dell’elettorato.

Per queste ragioni Tilt e le altre forze di sinistra che di tale non hanno conservato soltanto il nome sono state in piazza a Bologna e sono in strada in Italia per affermare con iniziative concrete che la logica del “si salvi chi può”, promossa cinicamente dai tecnici della destra per frammentare il mondo del lavoro dividendolo da quello del precariato e spezzando l’uno e l’altro in partite iva, ricercatori e altro ancora non deve interessare tutti coloro i cui diritti sono sotto attacco in questo momento e che perciò debbono preoccuparsi di proporre un modello diverso di paese e di Europa.  

 

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Il governo norvegese promuove lo sviluppo sostenibile e la cooperazione

Nel 2012 partono due importanti progetti, uno porterà energia nel Sud del Mondo, l’altro rafforzerà il mercato dell’energia alternativa in Scandinavia

Due progetti significativi per l’economia globale ed interna sono stati approvati recentemente in Norvegia. Energia e solidarietà sono al centro dell’avviamento del progetto “Energising Development”, con il quale la Norvegia sta contribuendo a fornire energia ai paesi in via di sviluppo, con 64 milioni di corone nei prossimi tre anni.

“Energising Development” è un progetto che riguarda celle solari, piccoli impianti elettrici, biogas, ampliamento della rete elettriche di scuole. Il Ministro per l’Ambiente e lo Sviluppo, Erik Solheim (del Partito della Sinistra Socialista), sta seguendo attentamente il progetto che è stato già sperimentato, nel Sud del Mondo, da Germania ed Olanda dal 2005, interessando 8 milioni di persone ed 11.000 scuole.

Inoltre nella prima parte del 2012 Norvegia e Svezia hanno dato inizio con un accordo al mercato unico dei certificati verdi per la produzione di energia rinnovabile. La Norvegia si è assunta, dalla fine del 2011, l’impegno di aumentare fino al 67,5% la propria quota di uso di energia rinnovabile, entro il 2020.

Anche se la Norvegia non fa parte della UE, a differenza della Svezia, i due stati cooperano strettamente in molti importanti progetti come quello qui menzionato. Il Ministro per l’Energia, Ola Borten Moe, ha chiarito che lo scopo è gettare le basi  per rendere fondamentale l’energia rinnovabile nei due paesi. 

Aldo Ciummo

 

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Nuove stagioni della cooperazione UE-USA

In Europa si apre un ciclo di appuntamenti di approfondimento delle relazioni internazionali nell’epoca della necessità di una rinnovata cooperazione occidentale

Domani, 14 settembre, a Roma lo IAI, istituto di affari internazionali, si incontra sul tema “Politica estera, uso della forza e lotta al terrorismo. Europa e Stati Uniti a confronto”, verrà presentato in questa occasione il rapporto Transatlantic Trends 2011, sugli orientamenti dell’opinione pubblica americana e di quella europea. L’argomento è complesso, come si è sottolineato spesso su queste pagine l’azione a guida statunitense negli anni tra 2000 e 2008 ha mostrato la sua inefficacia in relazione a diversi aspetti importanti, ma problemi di valutazione sono emersi anche in Europa, dove i modelli di integrazione francese ed inglese sono entrati in crisi.

A Vienna, il 14 e 15 settembre, sarà presentato il documento “Recent Policy Developments Regarding European Access to Space” (di Veclani, Sartori e Rosanelli) che verrà inserito come contributo nello “Yearbook on Space Policy 2010-2011” (Springer, pubblicazione prevista a inizio del 2012). Nell’ambito aerospaziale si esprime una delle competizioni nelle quali Europa e Stati Uniti si confrontano con altri modelli di sviluppo.

Il 22 settembre, a Roma si svolgerà il seminario sul tema “Promoting Regional Integration: lessons learned from UE-Latin American Relations”, comprendente la discussione sul documento di Miguel Haubrich-Seco “Decouping Trade from Politics: the EU and Region-Building in the Andes”. E’ importante il ruolo anche di esempio istituzionale che la UE gioca in molte parti del mondo, ma occorre ora superare la fase pur significativa della integrazione economica e portare il continente a livelli di coesione istituzionale, sociale e culturale che rendano Europa e Stati Uniti in grado di affrontare le scommesse attuali, mantenendo una funzione di primo piano in un contesto dove la crescita economica di alcune aree concorrenti non è equilibrata dal punto di vista delle condizioni sociali e della tutela dei diritti.

Entra nel vivo del progetto “MedPro: prospective analysis for the Mediterranean Region” (finanziato dalla Commissione Europea) un altro seminario il 22 e 23 settembre a Bruxelles. Il Mediterraneo è un’area di primo piano per l’Unione Europea, il che è anche alla base delle preoccupazioni per il rispetto degli standard minimi di pluralismo, solidarietà e concorrenza da parte dei paesi, europei e non, più attardati nelle stagioni dello stato patrimoniale personale, risalenti a prima della nascita degli stati nazionali e foriere di gravi retrocessioni da parte dei mercati e rifiuti da parte del contesto occidentale nel terzo millennio.

Il 28 settembre a Roma, con “The EU and the Libyan crisis: in quest of coherence?” Nicole Koenig fornisce lo spunto per una riflessione sulla crisi regionale che ha posto e pone più problemi a qualsiasi avanzamento dei progetti euromediterranei, una situazione che rilancia l’insieme delle difficoltà ad operare nell’area, dato il dilemma tra stabilità, ormai neppure più garantita dai vecchi e discutibili depositari di questa garanzia sulla sponda sud ed est del Mediterraneo, e diritti, il cui cammino dovrebbe acquistare costanza attraverso gli sforzi dei gruppi emergenti in Libia, Siria e negli altri paesi che sono sotto i riflettori a seguito della primavera araba. Le guerre preventive non hanno aiutato e neppure la fiducia incondizionata concessa fino a ieri ai diversi raìs.

Il Mediterraneo sarà nuovamente al centro della scena a Barcellona, in occasione dell’Assemblea Generale e della Conferenza Annuale della rete euromediterranea, si tratta di occasioni rilevanti per lo scambio di informazioni e prospettive, l’Europa e di conseguenza gli Stati Uniti, che lavorano da sempre assieme nella difesa del continente dalle varie forme di intolleranza e dispotismo politico e religioso tipiche dell’ultimo secolo, devono considerare attentamente questa area geopolitica che è una delle più importanti in ragione della sua posizione diplomatica tra culture diverse e prestigiose e che come la primavera araba ha dimostrato esprime energie capaci di elaborare anche in condizioni difficili una strada originale allo sviluppo dei diritti e delle riforme politiche.

Il 13 ottobre a Roma un convegno tratterà dei “Centocinquanta anni di diplomazia italiana: la diplomazia dell’integrazione”, in collaborazione con Luiss-Guido Carli, nell’ambito del Festival della Diplomazia. Come più volte sottolineato su queste pagine web, i processi di sviluppo e di integrazione non passano solo per le legittime alternative e posizioni nè solo per gli auspicabili e urgenti cambiamenti, ma anche attraverso la capacità di perseguire obiettivi comuni nel tempo e nella realtà, che è ciò che si spera l’Europa abbia fatto e stia facendo da Nizza all’Atto unico fino al recente Trattato di Lisbona.

Aldo Ciummo

Registi svedesi al Milano Film Festival

Alla manifestazione che si svolgerà dal 9 al 18 settembre 2011 il regista Ernst de Geer e il film cinese prodotto dalla Svezia nel 2010

 Due film svedesi parteciperanno al MIFF, il Milano Film Festival (dal 9 al 18 settembre): nella nuova categoria per corti, opera di registi under 40, concorre il regista e sceneggiatore Ernst de Geer, con la sua pellicola “Axis and Allies” (2010).

Si tratta del primo progetto di ampio respiro in seguito agli studi alla Stockolms Filmskola, la scuola di Cinema di Stoccolma. Una delle giornate del Festival sarà dedicata all’immigrazione.

 Tra i documentari proiettati ci sarà “The Chinese are coming town” (Kieserna Kommer) del 2010. La regista del film è di origine cinese e si chiama Ronja Yu, vive in Svezia fin dal 1989, mentre la produzione è svedese.

 Il documentario è stato trasmesso dalla tv svedese (SVT) ed è la storia di un imprenditore cinese e del suo progetto di aprire uno stabilimento nella città svedese di Kalmar.

Europa: attenzione ai populismi

A fine agosto la Commissione Europea si occuperà del problema dei nazionalismi che stanno crescendo nel continente in forme diverse

di    Aldo Ciummo

Due giorni a Bruxelles per definire un programma dei lavori che riguarderà anche la prevenzione dei populismi. Bisogna dire che in parte i buoi sono già scappati: durante gli anni in cui i rischi del terrorismo sono stati spesso usati per dipingere con tratti grotteschi intere culture extraeuropee alcuni fenomeni di intolleranza sono stati in qualche modo favoriti dalla propaganda governativa in occidente, per giustificare azioni militari che spesso avevano poco di legale, in base all’assetto diplomatico che il mondo si era dato fino agli anni novanta proprio per evitare l’uso indiscriminato della forza e le sue conseguenze culturali.

Un altro elemento che ha favorito l’insorgere di fenomeni di rinazionalizzazione, molto spesso poco edificanti, è stata la lontananza delle istituzioni dalla gente comune in tempi in cui le crisi economiche (o comunque si vogliano chiamare i massicci processi di redistribuzione delle risorse a favore delle concentrazioni di capitali finanziari) rendono gli effetti dei cambiamenti sociali e culturali più pesanti per le parti più deboli (ormai maggioritarie) della popolazione.

L’immigrazione e l’integrazione rappresentano risorse importanti per la crescita della nostra Europa e dell’Occidente, sia per quanto riguarda i movimenti migratori interni al nostro continente ed alle aree più legate culturalmente e politicamente alla UE sia per quanto concerne le culture che entrano a far parte dell’Europa provenendo dall’Asia, dall’Africa, dal Mediterraneo e dalle altre zone più interessate dal fenomeno.

L’integrazione però richiede volontà politica e risorse, difficilmente reperibili se le maggiori concentrazioni finanziarie non vengono toccate dai tagli e dalle imposte o vengono toccate in maniera marginale o anche matematicamente corretta ma non abbastanza proporzionale. Non è una considerazione originale l’affermazione che un cinque, dieci o quindici per cento tolto a soggetti, cittadini o nuovi cittadini, che fanno affidamento su un piccolo quantitativo di risorse per destinarle alle spese di abitazione, alimentazione e attività quotidiane pesa di più di un cinque, dieci o quindici per cento tolto a coloro che negli ultimi anni hanno fatto aumentare i consumi di extra lusso (vedere qualsiasi statistica) mentre il resto delle spese veniva compresso.  Non è una considerazione originale ma è un fatto che ci scordiamo spesso, un pò come il dato che, superficialità o meno, alla gente comune non piace molto fare sacrifici mentre altri rappresentano istituzioni.

A parte le opinioni di studiosi di economia appartenenti a piccoli gruppi che si trovano in condizioni molto migliori delle fasce di cittadini interessate dai fenomeni che analizzano, non è un mistero che l’andamento (negativo) dell’economia ha tenuto conto soprattutto della sorte della maggioranza della popolazione e dei consumatori, col risultato che sono cresciuti i paesi che nel mondo stanno promuovendo, con tante contraddizioni, la crescita del benessere della maggioranza della popolazione. Anche l’Occidente è cresciuto tra gli anni cinquanta e ottanta, quando ha considerato importante la democrazia anche sostanziale.

Occorre premettere questo perchè non a caso i populismi e i nazionalismi ruggiscono proprio in quei periodi storici ed in quelle aree urbane dove la gente viene portata alla disperazione attraverso la perentoria affermazione che la democrazia è viva e vegeta però comprende il fatto che in tanti non debbono mangiare. In questi periodi storici ed in queste aree geografiche, che crescono in maniera preoccupante in occidente, è molto difficile che le persone comuni siano aperte all’integrazione, perchè percepiscono che l’inclusione di nuovi cittadini, svantaggiati, si risolverà in una concorrenza sulle scarse risorse disponibili. Nelle stesse situazioni è poco probabile che i nuovi cittadini si sentano equiparati alla popolazione preesistente, perchè si vedono negati i mezzi per integrarsi con quest’ultima.

Insomma, ben venga la lettura da parte dei commissari europei del nuovo rapporto sulla xenofobia e sul populismo, che poi verranno discussi il 30 ed il 31 agosto (il documento è stato presentato in aprile per conto del Consiglio d’Europa da un gruppo di personalità tra le quali Emma Bonino) perchè la conoscenza del fenomeno è necessaria per contrastarlo, prevenirlo e soprattutto porgli di fronte delle alternative, però la cosa necessaria è dare diritti agli immigrati nella cittadinanza e nell’occupazione e mettere la società civile di approdo nelle condizioni di aprirsi all’integrazione.

E’ un problema il fatto che le proposte del Parlamento Europeo riguardo all’incremento delle risorse disponibili alla UE incontrino una così fredda accoglienza da parte di Commissione e Governi, perchè senza avere a disposizione le risorse per affrontare i problemi l’Europa potrà produrre prevalentemente discorsi, che sono importanti, ma che in situazioni di difficoltà delle popolazioni componenti la UE potrebbero risolversi addirittura in un vantaggio per i promotori dei fenomeni negativi di intolleranza reciproca che crescono in Europa, qualora questi soggetti riuscissero ad apparire più presenti alla realtà rispetto alle istituzioni.

Il vero problema è la negazione dei diritti degli immigrati

Gli scontri a Bari e Crotone di questi giorni sono il risultato delle condizioni inaccettabili nelle quali le persone vengono tenute

Bari, Crotone, immagini della cronaca ormai quotidiana, di binari bloccati e strade occupate dagli scontri, ma soprattutto teatro di una quotidianità molto meno evidenziata dalla informazione a senso unico delle televisioni nazionali e dei maggiori mezzi di informazione: le condizioni di vita, non solo materiale, di persone che ora rischiano di restare come fantasmi privi di documenti anche fino a diciotto mesi nei centri di identificazione e di espulsione.

Una reclusione che prelude ad un rifiuto è quanto di più contrastante con la Costituzione che l’Italia si è data ad un prezzo molto alto e che con estrema difficoltà sta conservando in questi ultimi venti anni di colpi quotidiani alle sue caratteristiche sostanziali: la carta italiana esprime molto chiaramente l’affermazione di diritti universali che escludono limiti di reddito, nazionalità, religione e che rappresentano valori abbastanza chiari da non essere eclissati dalle diversità del contesto sociale odierno rispetto alla data della sua firma.

Persone che non hanno commesso nessun reato non dovrebbero essere recluse a tempo praticamente indeterminato in base a decreti tesi ad accontentare parte del pubblico di una comunicazione generalista sulla cui obiettività e pluralismo ci sarebbe molto da ridire, pubblico peraltro largamente in disaccordo con queste distorsioni dei princìpi costituzionali e con l’allontanamento dalle consuetudini di apertura consolidate in Italia dal dopoguerra al 1993, nonostante l’ampiezza della propaganda che si è imposta in seguito.

La realtà dei cie e dei cara, centri di prima accoglienza spesso inesistenti o assimilabili per concretezza del trattamento riservato a coloro che vi vengono trattenuti, rende del tutto comprensibile l’insorgere di sommosse fra i destinatari di questa gestione non proprio illuminata dell’ordine pubblico, non da parte di chi è costretto a gestirlo ma di un governo e di forze politiche che anche all’interno opposizione spesso condividono nei fatti l’emergere di una cultura che collega i diritti alla provenienza ed al reddito, sganciandoli dalle persone.

Funge da parziale alibi dell’esecutivo (obiettivamente non lo è) l’assenza della UE, prodiga di richiami ai diritti ma latitante in fatto di supporto organizzativo, materiale e logistico, di fronte a fenomeni storici che riguardano il continente nel suo complesso e vedono l’Italia come uno dei paesi al centro di trasformazioni che difficilmente possono essere gestite da un gruppo arroccato a difesa del proprio mantenimento con il sostegno di forze regionali con sfumature xenofobe e dotate di una vista che non supera i confini del circondario.

Il motivo per cui oggi alle 17.30, mentre il Senato discute il decreto Maroni sui rimpatri European Alternatives e altri gruppi terranno un presidio all’esterno, è che la UE non sarà questa e non sarà l’Italia a incoraggiare preoccupanti segnali di chiusura nella nostra Europa, che si pone come forza di apertura nel mondo di oggi.

Le ingenti risorse che vengono dissipate per recludere cittadini senza altre colpe che essere stati costretti da svariati e tragici eventi ad abbandonare i propri paesi sono risorse sufficienti ad iniziare un lavoro sull’integrazione che raccolga le migliori esperienze europee ed includa progressivamente il sostegno ai cambiamenti in atto nel Mediterraneo, coerentemente con i diritti umani.

Aldo Ciummo

Parlamento Europeo: più controllo sui derivati

In luglio sono state avanzate più proposte per tutelare i consumatori e gli investitori nell’attuale mercato finanziario

Il commercio dei derivati, un ambito difficile per il piccolo investitore e spesso non tanto facile neppure per i maggiori: il Parlamento Europeo se ne è occupato nel mese appena concluso. L’obiettivo, ora al centro di negoziati con gli stati componenti, è quello di ridurre le pratiche speculative legate alle vendite allo scoperto e avviare efficienti sistemi di indennizzo. Già si è parlato delle richieste di Olle Schmidt che rappresenta il gruppo ALDE (Liberali) per favorire le richieste di risarcimento giustificate dai cosidetti “cattivi consigli”. Purtroppo però gli europarlamentari hanno lasciato esiguo il tetto previsto.

Pascal Canfin dei Verdi (Verdi/Alleanza Libera Europea, Francia) ha inserito nella relazione sulle vendite allo scoperto una richiesta a risolvere le posizioni scoperte entro la fine di ogni giornata di negoziazione (una posizione tesa a regolare le vendite allo scoperto) e una limitazione all’acquisto di contratti di CDS (Credit Default Swap) ai proprietari di titoli di stato equivalenti (in sintesi un soggetto non dovrebbe poter vendere obbligazioni della Grecia su un tavolo e contemporaneamente poter giocare con i titoli del debito). Si registrano per la verità operazioni di dubbia coerenza da parte della politica europea, perchè se da una parte si rafforzano alcune norme sulle multe da applicare, dall’altra si diradano i controlli sulle vendite a breve termine.

Warner Langen (PPE, Germania) ha elaborato il testo sui prodotti derivati negoziati fuori borsa, mirando in sintesi a raggiungere una maggiore trasparenza nel mercato di questo tipo di prodotti finanziari, che prevedono rischi notevoli nei casi in cui qualcuna delle parti è insolvente.

Un ruolo importante lo avrà l’Autorità Europea di Sicurezza e di Mercato (ESMA). La caratteristica principale di prodotti derivati negoziati come gli OTC oggi infatti è che di fatto non sono soggetti a legislazioni ulteriori oltre quella che regola lo scambio tra le parti contraenti. Mentre è ben noto che le conseguenze delle distorsioni del mercato in Europa spesso sono collettive.