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Diritti, ora si riconoscano anche quelli degli immigrati

Il Consiglio dei Ministri ha parificato i nati nel matrimonio o non, l’aula regolarizzi ora anche i nati in Italia

Il decreto del Consiglio dei Ministri che ha riconosciuto l’uguaglianza tra nati nel matrimonio o meno all’interno del codice civile, sia pure riferito ad una residua distinzione formale, contribuisce a definire l’Italia come un paese civile. E’ auspicabile che ora sia il Parlamento a superare i diversi ostacoli posti negli anni scorsi da gran parte delle compagini conservatrici (e da una eccessiva incertezza nel campo alternativo a queste ultime) e riconosca come cittadini italiani quanti sono nati nel territorio nazionale e vi hanno studiato e lavorato.

La valutazione delle diverse situazioni è necessaria, così come l’obiettivo di una integrazione effettiva e comprensiva dell’acquisizione dei princìpi della democrazia costituzionale di cui si entra a far parte, ma ai nuovi cittadini, provenienti da altre parti del mondo, è urgente dare una prospettiva chiara di diritti ottenibili in tempi certi e realistici, non più attraverso un calvario annoso che non tiene conto della realtà di centinaia di migliaia di persone, spesso professionalmente qualificate ed ormai integrate da anni, anzi molte volte italiani di fatto dopo un percorso scolastico ed in tutte le esperienze di attività nel paese ospitante, persone che il paese ostacola frenando il suo stesso sviluppo.

La comunicazione distorta di un sistema più interessato a evidenziare esclusivamente tematiche securitarie ed a determinare deprezzamenti del valore del lavoro attraverso il ricatto di permessi brevi, che non a rendere maggiormente semplice e logica la vita di tutti i cittadini, inclusi gli immigrati, rende difficile da anni riconoscere i diritti dei nuovi cittadini, nati in Italia o che vi lavorano e vivono da tanti anni:  lo ius soli è una realtà nella gran parte d’Europa e del mondo occidentale, un princìpio portatore di maggiore equità nella certezza della dignità delle persone e del lavoro dell’intera popolazione e non solo di un segmento, un parlamento che intenda rappresentare un paese laico nel senso più ampio del termine deve riconoscere al più presto anche questo diritto.

Welfare scosso dalla crisi, ma il modello svedese regge

Si sono protratte per giorni le proteste nelle periferie della capitale,  alla base delle tensioni  nelle aree urbane ci sono problemi sociali inediti

A Stoccolma si sono registrati per giorni interi incidenti, in seguito alle proteste di strada scaturite dalla morte di un uomo che aveva aggredito agenti di polizia con un’arma da taglio. Le associazioni vicine agli immigrati hanno dichiarato che, oltre l’aspetto criminale degli scontri, occorre considerare il tema considerando nella prospettiva delle contraddizioni sociali che hanno causato tensioni simili anche altrove in Europa.

Il “Dagens Nyheter”, uno dei giornali più importanti in Svezia, ha riportato la dichiarazione di un portavoce della polizia, riferendo di una inchiesta avviata in merito all’accaduto. Le forze dell’ordine locali sono abituate al dialogo e gli incidenti hanno avuto conseguenze  soprattutto a discapito di molti cittadini delle periferie, che hanno visto automobili e beni danneggiati da parte dei manifestanti, in alcune occasioni agenti sono stati aggrediti.

Parte degli osservatori ritiene che (anche in un paese all’avanguardia nella tutela delle minoranze e delle pari opportunità) occorrano ancora nuovi passi per assicurare l’integrazione della consistente parte della popolazione proveniente da altri paesi e continenti. Gli immigrati in Svezia possono contare su una serie di tutele e sugli stessi diritti di tutti i cittadini,  ma la crisi economica europea sta colpendo anche stati che sulla base di una duratura solidità finanziaria hanno costruito nel tempo modelli di welfare.

Le cause delle proteste, trasmesse nei giorni scorsi dalle tv internazionali, sono prevalentemente sociali, in un paese che come il resto del mondo occidentale non è esente dalle crisi economiche, difatti, non si vedono grandi tensioni legate alla nazionalità, in uno stato che oggettivamente ha leggi ferree contro le discriminazioni e che secondo la maggior parte delle analisi internazionali ha sempre creato le migliori condizioni per l’integrazione dei nuovi cittadini, fatti sottolineati dal giornale “Svenska Dagbladet”.

Alcune organizzazioni giovanili hanno criticato le istituzioni, accusandole di avere a volte confuso l’intera comunità degli immigrati con gli autori degli atti che hanno disturbato la vita di Stoccolma per giorni. Le proteste hanno avuto inizio dalla morte di un uomo armato che la polizia ha colpito dopo che questi aveva brandito una grossa arma da taglio.Si può rilevare che nel Regno Unito un incidente simile, conclusosi con la morte di un pubblico ufficiale aggredito con un aggressione terroristica, non ha ovviamente lasciato le autorità esenti da critiche, che in quel caso si sono appuntate sull’epilogo dell’attacco e sulla scarsa protezione dei militari. Anche nella vicenda che ha dato inizio ai problemi qui menzionati, difficilmente un’aggressione con un arma avrebbe potuto avere un esito neutro. Un altro aspetto, riportato da commentatori di diversi paesi, è l’infiltrazione di organizzazioni malavitose, che utilizzando talvolta l’immigrazione come vettore, mette a dura prova il modello di integrazione, complessivamente efficiente.

Naturalmente, le azioni violente di una parte del tutto minoritaria dei nuovi cittadini non devono condurre in nessun modo ad una etichettatura negativa dell’immigrazione e gli sforzi di integrazione debbono continuare, a maggior ragione per evitare che si creino fenomeni di emarginazione che in tempi di crisi possono emergere anche nei paesi più avanzati. Il Primo Ministro svedese Fredrik Reinfeldt ha espresso l’intenzione di proseguire nella valutazione delle dinamiche sociali e nel dialogo con tutte le parti della società.

Aldo Ciummo

Sinistra e Libertà favorevole alla ricostruzione della sinistra nei territori

Dopo il netto chiarimento da parte di Vendola della appartenenza a sinistra di SEL potrebbe andare avanti in tutta Italia la prospettiva di iniziative politiche comuni con Prc e IdV

L’Italia non è estranea alla serie di cambiamenti che in tutta la UE, dal Regno Unito alla Germania, ha determinato una crescita di prospettive progressiste, permettendo già in questi ultimi mesi alle sinistre di sviluppare proposte alternative a quel rigore a senso unico che è stato innalzato soprattutto in Italia a protezione di posizioni patrimoniali acquisite, ma purtroppo si è anche manifestata la crescita, in Francia ed in Grecia, di formazioni destrorse capaci di mettere a rischio l’integrazione democratica in Europa. In Italia, accanto al crollo nei consensi dei gruppi conservatori, che hanno in gran parte prodotto la crisi economica del paese, si sono presentate forme di rifiuto dell’attività partitica abbastanza prive di contenuti politici coerenti e fortemente esposte al rischio di evoluzioni destrorse.

Vicino al cosidetto voto antipolitico si è assistito ad una astensione, massiccia nel campo della sinistra e motivata politicamente, dato lo spostamento verso il Centro politico da parte del maggior partito di opposizione di origine progressista (assieme ad un abbandono concreto dei territori) ed a seguito della funzione di di vigilanza ad un museo di simboli assunta da alcuni partiti minori. Questa consistente astensione è un fenomeno preoccupante, non tanto nel suo manifestarsi nelle ultime consultazioni elettorali, quanto nella fuoriuscita permanente dalla partecipazione civile in cui rischia di sfociare, ma non è un fatto irreversibile, come dimostrato dai risultati che una sinistra presente  (Sinistra e Libertà, Rifondazione Comunista, Italia dei Valori) ha ottenuto in molte parti dell’Italia, superando ostacoli consolidati dalla Puglia a Milano, da Cagliari a Genova.

I territori del Centro Italia dove si è votato a maggio del 2012 hanno ricalcato il dato nazionale di partiti in difficoltà (perchè ridotti a liste personali), senza assistere però ad una crescita consistente di tentativi di sfruttare mode passeggere o populismi: qui esistono perciò spazi agibili per la sinistra, al di fuori delle liste personali decennali e dei simboli di testimonianza.

La disgregazione del terreno progressista non ha cancellato, anzi accentua la necessità della sinistra, a maggior ragione in territori che, anche se dotati di energie e di risorse, sono stati ulteriormente isolati dalla pressione della crisi globale, associata alla chiusura prodotta da due di decenni di amministrazioni miopi a livello tanto nazionale e locale, col risultato di trattenere indietro (rispetto ai progressi sia pure parziali di molti stati europei) un paese come l’Italia che era stato uno dei fondatori dell’Unione Europea. Una parte significativa della popolazione vicina alle varie tendenze progressiste è oggi alle prese con la disgregazione sociale di questi anni, ma è consapevole che il territorio non è slegato dal resto della nostra Europa.

Fin da quando riempivano l’attualità, Berlinguer e Delors proseguivano, costruendo l’economia sociale di mercato, il percorso che Jean Monnet e Luigi Einaudi avevano iniziato per rafforzare la conquista europea della liberazione dai totalitarismi: ma come tanti fenomeni preoccupanti dimostrano, mentre le difficoltà dividono la società, partecipazione e sviluppo non sono ancora garantiti.

I territori nel centro Italia hanno le potenzialità per diventare centri di eccellenza e se la sinistra ritorna compatta (evitando l’assimilazione ai governi conservatori e tecnici e l’isolamento in una funzione di pura protesta) può essere uno dei motori dell’alternativa progressista che è già iniziata in Puglia, a Milano, Cagliari, Genova.

Se non si cade in urgenze sterili legate ai calendari politici ed alle esigenze dei vari funzionariati consolidatisi nel tempo nei partiti vecchi e nuovi e si provvede invece a costruire una sinistra forte, coordinata nel quadro nazionale e saldamente collegata al panorama europeo, sono molte le novità sostanziali che sarà possibile introdurre nelle amministrazioni e così nel territorio, collegando le iniziative locali al contesto della Unione Europea e sviluppando sinergie utili a dissodare un terreno sociale che nei decenni in cui è stato sano non ha certo costruito la propria riuscita sull’isolamento.

Aldo Ciummo

Scandinavia, la democrazia dimostra la sua forza

Democrazia più forte dopo la condanna dell’attentato di un anno fa causava la morte di decine di ragazzi nell’isola di Utoya

Il procedimento giudiziario che ha fatto seguito al grave attentato dell’estate scorsa in Norvegia ha compiuto il suo iter, senza che si verificassero manifestazioni violente nè pressioni sulle autorità. La democrazia ha dimostrato la sua forza in Norvegia, portando alla condanna di un estremista di destra che in nome di ideologie anacronistiche di intolleranza ha causato la morte di decine di ragazzi che si riunivano pacificamente sull’isola di Utoya per discutere di politica come era tradizione da molti anni. Il populismo di destra è un pericolo per l’Europa, tendenze politiche conservatrici particolarmente virulenta sono evidenti oggi nell’Europa continentale, orientale e mediterranea, mentre nonostante episodi isolati le posizioni xenophobe non stanno attecchendo nel Nord dell’Europa e negli stati vicini.

E’ necessario comunque che l’Europa stia in guardia verso il ripresentarsi di fenomeni politici di estrema destra, preuccupanti in periodi di crisi economica e conseguente tensione internazionale. E’ importante in questi frangenti difendere i princìpi di pluralismo che si è soliti considerare acquisiti, per questo i giovani socialdemocratici svedesi l’anno scorso dopo l’attentato hanno organizzato un congresso politico come era previsto, perchè la Svezia è un paese molto vicino per cultura alla Norvegia e perchè la decisione di far svolgere i dibattiti in Scandinavia nonostante i timori per la sicurezza è stata fin da allora, poco dopo l’accaduto, una riaffermazione significativa dei valori di democrazia e di progresso sociale che hanno reso gli stati nordeuropei un punto di riferimento per il mondo.

Il crimine commesso dall’imputato del processo ha fallito nel suo intento di radicalizzare il dibattito, perchè le forze politiche norvegesi hanno continuato il dibattito a favore dell’integrazione di tutte le componenti della società e tutti i partiti sono rimasti pienamente legittimati a svolgere il proprio ruolo di rappresentanza, dal momento che lo stato non ha voluto dare un peso eccessivo ad idee razziste del tutto minoritarie nella società ed a un crimine isolato che mirava a dare visibilità a queste idee squilibrate. Anche i parenti delle vittime sono rimasti saldi nel non cedere alla diffusione di odio. Poco più di un anno fa i giovani norvegesi si erano incontrati nuovamente sull’isola sulla quale l’attentato era avvenuto, un luogo che era sempre stata il simbolo del pluralismo e della democrazia norvegesi. Il primo ministro Jens Stoltenberg esprimeva la propria adesione assieme a tutte le forze politiche al proseguimento dei valori di libertà e solidarietà che caratterizzano da tanti decenni il paese, princìpi di democrazia ai quali si erano stretti subito anche i vicini stati di Svezia, Danimarca, Finlandia e che non sono stati danneggiati da un attentato nato da posizioni ultraconservatrici nettamente minoritarie.

La maggioranza di Centrosinistra in Norvegia non ha mai approfittato dell’accaduto per delegittimare le opposizioni ed il Centrodestra nelle sue varie espressioni non si è mai avvicinato alle posizioni estremiste dell’autore del massacro, anche i partiti storicamente più legati alle critiche verso l’immigrazione hanno anzi accelerato un percorso di apertura e riflessione maggiore sui temi del multiculturalismo. Le manifestazioni dei norvegesi sono state tutte in favore del rafforzamento del pluralismo istituzionale e sociale, senza che venissero intaccate le norme della garanzia di un processo equilibrato dell’imputato, nonostante le dimensioni terribili delle conseguenze dei reati commessi. La Norvegia ha dato una grande prova di civiltà nel procedimento legale, una civiltà contrapposta alla barbarie del razzismo e dell’intolleranza che purtroppo esistono tuttora in Europa, accentuate spesso dai populismi che si diffondono assieme alla crisi economica mondiale.

Ma in Norvegia lo stato ha dato una chiara prova di nervi saldi di fronte al dramma. Anche i paesi più direttamente colpiti dall’attentato, Svezia, Danimarca, Finlandia, Islanda hanno reagito subito con grande capacità di affermare le regole democratiche, in aprile ad Oslo si è svolta una grande manifestazione a favore della legalità ed in solidarietà con le vittime dell’estremismo di destra. Perciò qui si è scelto di non concentrare l’informazione sulle terribili cifre della tragedia di un anno fa e di non concentrare l’informazione nemmeno sulle idee criminali degli estremismi destrorsi ma di sottolineare che nel Nord Europa ed in tutto il continente europeo la stragrande maggioranza della popolazione intende continuare a promuovere la libertà, la partecipazione e l’integrazione che hanno reso l’occidente più forte ed aperto a partire da questi ultimi sessantasei anni, fin dalla sconfitta dei totalitarismi fascisti che intendevano rinchiudere in una gabbia la nostra Europa.

Aldo Ciummo

 

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Accordo al Consiglio UE, un passo avanti per l’Europa

L’accordo per limitare i differenziali apporta conseguenze positive per l’economia dell’eurozona, ma segna soprattutto una svolta a favore dell’Unione politica europea

Il calo dei differenziali e i rialzi delle borse venerdì mattina sono stati gli indicatori più superficiali della vittoria politica che l’Unione Europea ha segnato con l’accordo di Bruxelles al Consiglio Europeo. Stati come la Germania, economicamente più organizzati e che hanno dato oggettivamente di più nella storia della unificazione economico politica europea dagli accordi del ’57 di Roma ad oggi, dopo aver realizzato che qualsiasi disponibilità maggiore di mezzi sarebbe rimasta inefficace in un contesto di politiche nazionali isolate hanno compreso la necessità di una vera integrazione di decisioni economiche e quindi politiche con altri stati, alcuni dei quali effettivamente responsabili di aver posto dei freni allo sviluppo socioeconomico continentale negli ultimi venti anni, ma che hanno dato indubbiamente significativi contributi alla costruzione politica della UE e che rappresentano, per molti aspetti, una parte importante della sua produzione industriale, della cultura e delle potenzialità della comunità europea.

In questa svolta politica, insufficiente ma determinante per il segnale che la comunità manda a livello internazionale, la Francia ha ricoperto un importante ruolo di stimolo, anche se le dimensioni effettive della sua economia non rendevano praticabile una funzione persuasiva sulla base del peso concreto del paese, anche per questo si può dire che ci si è trovati di fronte ad una vera dinamica politica, in cui non sono stati importanti soltanto gli argomenti che facevano leva su aspetti deterrenti o su scambi di interessi limitati (che non sono mancati) ma inizia a formarsi anche una consapevolezza autentica del difficile contesto in cui si muove l’Europa e delle opportunità che a questa area politico culturale si apriranno solo se l’Unione politica europea comincia davvero ad esistere oltre le divisioni di stato e di schieramento.

Ad indicare questa necessità non sono tanto le reazioni più positive delle piazze economiche dei paesi come la Spagna (tra i più in difficoltà negli ultimi mesi) e di quelle che in tutto il mondo guardano all’Europa, nè la ragguardevole operazione sostenuta dagli stati per rafforzare le risorse della Banca Europea degli Investimenti in questo frangente, ma l’evidenza che si è manifestata attraverso le crisi finanziarie e gli attacchi speculativi degli ultimi anni della impossibilità (da parte degli esecutivi di qualsiasi orientamento) di tutelare i propri sistemi di protezione sociale ed il proprio livello di vita dai sommovimenti frequentissimi dell’ambiente economico e politico internazionale, in assenza di un mercato comune che non costituisse anche il terreno d’azione di un governo unitario europeo.

Occorre naturalmente andare adesso oltre i temi istituzionali e portare dentro l’organizzazione europea (per molti versi costruita a tavolino nonostante la sua lunga storia) l’esistenza concreta dei cittadini europei, elaborando forme di partecipazione che consentano una vera democrazia continentale e promuovendo la crescita socioeconomica attraverso la redistribuzione dei mezzi materiali e delle opportunità, la ricerca e l’innovazione, per arrivare ad una maggiore coesione territoriale e sociale, ma non basteranno gli sforzi regionali e statali, in una situazione in cui i cambiamenti nell’equilibrio finanziario delle diverse borse mondiali è in grado di compromettere la capacità di finanziare i propri sistemi di protezione sociale e le proprie infrastrutture da parte di paesi interi.
Questo è ciò che i fondatori dell’Unione Europea intuirono nel secondo dopoguerra, a seguito della liberazione dai fascismi che diede inizio alla libertà in Europa, il fatto che la democrazia e l’uguaglianza di opportunità nel continente avrebbero potuto svilupparsi soltanto avviando gli stati ad una cooperazione che avrebbe dovuto diventare integrazione prima economica ed infrastrutturale, poi culturale e infine politica, il passo che bisogna compiere oggi.
Aldo Ciummo

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Il 26 maggio la manifestazione dei giovani per una alternativa al liberismo

Il coordinamento di movimenti, giovani, reti per una alternativa alla precarietà, al rigore ed al liberismo organizza l’iniziativa “La meglio gioventù”

Tilt, la rete della sinistra diffusa, che include ragazzi delle diverse forze di sinistra ed anche giovani che non sono iscritti a nessun partito, sta promuovendo assieme ai movimenti, agli studenti ed alle diverse reti contro la precarietà esistenti sul territorio italiano una giornata di iniziativa chiamata “La meglio gioventù” e diretta a modificare la situazione sociale in Italia.

Le giovani generazioni sono quelle maggiormente sotto attacco quando si parla di crisi e di precarietà, perchè i governi tecnici di destra intendono pagare il debito nato dalle scelte liberiste degli ultimi venti anni proprio svendendo il futuro dei ragazzi che studiano, lavorano, vivono in occidente e questo soprattutto in Italia, dove la concorrenza è debole ed il welfare estremamente carente.

Dove lo stato non investe in istruzione e dove le imprese non investono in ricerca, perchè l’uno preferisce tagliare sui diritti e le altre giocare al ribasso sui salari, le idee e le volontà dei ragazzi si scontrano contro un muro di gomma che separa le opportunità di una minoranza privilegiata dalle difficoltà di molti sempre meno garantiti nonostante l’impegno e le esperienze.

Si studia per migliorare la vita di tutti, ma coloro che escono dai luoghi di formazione troveranno, dopo la riforma Monti, ancora intatta la giungla delle quarantasei forme contrattuali, molte delle quali avrebbero dovuto essere eliminate, almeno a sentire le promesse del governo tecnico di destra che l’Italia si è ritrovata dopo le chiacchiere e gli sprechi dell’esecutivo di destra populista berlusconiano-leghista.

I contratti a progetto aumenteranno soltanto come costo, che peraltro sarà scaricato sulle spalle delle partite Iva che subiranno un aumento dei contributi. I giovani e la sinistra sociale avevano intuito immediatamente che le pari opportunità per le generazioni più recenti erano, per l’esecutivo diretto da miliardari, solo pretesti per estendere l’abuso già visto nella Fiat a danno di coloro che avevano ancora contratti stabili, guadagnati attraverso tutta una vita e non con la partecipazione ad un cerchio ristretto fatto di multinazionali e incarichi tecnici.

La mobilitazione del novantanove per cento che esiste anche in Italia e che nell’ottanta per cento dei casi inizia ad essere veramente sotto attacco nei suoi diritti quotidiani non deve vedere divisi giovani e anziani, immigrati ed esodati, precari e professionisti, perchè tutte queste categorie possono salvaguardare il loro futuro soltanto elaborando assieme alternative al rigore per molti (che l’accrescimento delle risorse a disposizione di una piccola minoranza registrato da tutte le statistiche dimostra essere piuttosto una difesa accanita dei patrimoni acquisiti ed uno sviluppo per i privilegi di pochissimi).

La precarietà non è una emergenza del mercato del lavoro, ma è piuttosto il più grande attacco alla democrazia italiana degli ultimi decenni, che dai De Gasperi ai Berlinguer e dai Togliatti agli Einaudi è stata pensata e costruita come democrazia sostanziale, tendente alla riduzione delle diseguaglianze, obiettivo in gran parte raggiunto dai legislatori e dai protagonisti delle lotte sociali fino agli anni settanta, un esempio di equilibrio sociale che pur mutilato da contraddizioni ed ingiustizie è stato messo insieme in modo da assicurare alla popolazione istruzione e progresso grazie all’impegno di settori della società anche molto diversi tra loro per idee e fini, una tendenza all’avanzamento storico che è stata interrotta dai governi del monopolio selvaggio delle imprese più forti nel rapporto con il settore pubblico e del liberismo selvaggio contro i diritti sociali: gli esecutivi di Centrodestra a guida berlusconiana e leghista ed anche i governi deboli di Centrosinistra che hanno spesso accettato passivamente questi paradigmi dandone per scontata la vittoria culturale in Occidente ed aprendo la strada ai danni delle crisi.

Ora in tutti i paesi dell’Occidente, compresa l’Italia pure se con un sensibile ritardo, la popolazione torna a cercare modelli di vero sviluppo sociosostenibile ed ecosostenibile, dopo che i professori del mercato autoregolamentato oggi incaricati di risolvere i danni che hanno creato sono riusciti ad affossare, con le politiche produttive e sociali degli ultimi venti anni, anche quella loro economia finanziaria che avevano indicato come soluzione di ogni problema.

Le forze di sinistra, giovani, professionisti, immigrati, precari, hanno proposte migliori di quelle che stanno distruggendo Grecia e Portogallo. Le reti che manifesteranno a Roma il 26 maggio chiedono di investire su Università e Ricerca (tanto più che l’Iva e le tasse sui carburanti le pagano proprio lavoratori e studenti), di riconvertire ecologicamente il sistema industriale per creare maggiore occupazione (non lo ha fatto qualche ricercatore stravagante, lo ha fatto ad esempio la Germania, oggi supera di diverse volte l’economia italiana), di realizzare un modello di welfare universale (dal Regno Unito al Belgio e dalla Germania all’Irlanda esiste qualcosa del genere, proporlo in Italia suscita reazioni singolari). Per questo il 26 maggio può essere uno degli inizi di un diverso modello di paese in una Europa ed in un Occidente che hanno davvero urgenza di uscire dalla gabbia del rigore associato al liberismo selvaggio.

Aldo Ciummo

Adesso l’Italia risponda con la politica alle crisi

La partecipazione popolare allo sviluppo socioeconomico ed un percorso di politiche progressiste sono sempre più necessari mentre la società subisce eventi traumatici

La società italiana ha subìto un colpo allo stomaco sabato, con l’attacco a sangue freddo contro persone che andavano a scuola, una aggressione che ha ferito di conseguenza tutta la società italiana ed europea come si vede dalle reazioni che si sono avute ovunque e che nella penisola hanno dimostrato una notevole capacità di partecipazione democratica, con le manifestazioni spontanee che si sono avute. L’ambiente dell’istruzione è, assieme al mondo del lavoro, la parte più importante della società, di più perchè contribuisce a strutturare in maniera decisiva la capacità di sviluppo futuro del paese, sviluppo nella accezione più ampia. Non a caso i paesi che stanno dimostrando maggiore capacità di adattamento e di coesione in un mondo in rapido mutamento sono quelli che investono sempre in questo settore.

Se ci sono soggetti che intendono colpire la democrazia in Italia ed in Europa, sia che questi soggetti siano riconducibili a manovre autoritarie conservatrici (come si è visto altre volte nella storia italiana) sia che si trovino nella volontà delle mafie di intimidire la popolazione di una parte dell’Italia, l’istruzione rappresenta un baluardo contro questi soggetti sociali e politici deviati, perchè la cultura è alla base della libertà, della solidarietà e della partecipazione democratica, in particolare la cultura come si esprime nella scuola, attraverso la condivisione nell’apprendimento e la collaborazione reciproca nella formazione.

Ora fa molto male vedere le immagini della ragazza che è stata vittima e delle altre persone ferite, ma se gli attentatori riuscissero, con questa infamia, a generare fenomeni di chiusura e di disorientamento, l’Italia entrerebbe in una spirale drammatica, perchè le prime cose che verrebbero danneggiate sarebbero il diritto dei ragazzi ad una scuola aperta, il valore della apertura reciproca tra settori diversi della società, la formazione come processo che avanza nella condivisione della formazione (dentro e fuori dalle strutture scolastiche), la presenza del dibattito e della solidarietà nella partecipazione democratica, tutti elementi che da sessantasette anni sono aspetti fondanti la vita sociale in un paese come l’Italia ed in Europa e che verrebbero mutilati dalle conseguenze della paura e della chiusura che ne consegue.

I diritti alle opportunità di istruzione, sviluppo e partecipazione della parte più giovane della società in Italia vanno sostenuti attraverso una partecipazione della società alle scelte che è irrinunciabile proprio nel momento in cui coloro che andrebbero tutelati vengono feriti da una infamia che lascia il paese senza respiro, mentre altri eventi negativi si vanno aggiungendo nei territori, senza che esistano strumenti di sostegno alle zone colpite da drammi e mentre l’assenza di una rappresentanza effettiva e di un sistema sociale solido aggravano la frammentazione e la disgregazione della società: per questo ora è più che mai necessario che l’Italia risponda, con la partecipazione politica, alla pericolosa alternativa di un richiudersi del paese in logiche feudali già rafforzate dalle difficoltà economiche e dalla perdita di diritti.

La politica è la partecipazione responsabile alla vita della comunità, per cui la mobilitazione antimafia e a favore dei diritti degli studenti di questi giorni è un inizio, il proseguimento efficace è la costruzione a partire dal mondo dell’istruzione, del lavoro, dei territori, di politiche progressiste che aprano l’Italia all’Europa, alla crescita dei diritti, al valore della produzione e della coesione, un percorso che dovrà essere costruito dal basso, data l’assenza di promotori efficaci di una crescita democratica complessiva ai vertici delle organizzazioni che hanno indirizzato il paese negli ultimi venti anni: un impegno progressista dovrà essere preso perchè le persone possano entrare nei luoghi dove si forma il loro futuro e possano uscirne con la possibilità concreta di proseguire in un’ottica di sviluppo, di solidarietà e di partecipazione.

Aldo Ciummo

Tilt con la Fiom: “in nome dell’austerità si ipoteca anche il futuro”

All’assemblea della Fiom a Bologna è intervenuta l’associazione della sinistra diffusa “Tilt” che riunisce giovani appartenenti a diverse forze progressiste ed alla società civile

di  Aldo Ciummo 

Un futuro di diritti, che il presente ingombro di dogmi ultraliberisti e conservatori riciclati dalle fallimentari esperienze finanziarie globali degli ultimi due decenni sembra avere archiviato, è invece la domanda che proviene dal paese reale, difficilmente rappresentato dagli studi sulle curve quotidiane dello spread che sembra essere l’unica passione della destra tecnica che governa oggi l’Italia.

La destra tecnica dei Monti, Fornero, della noia del lavoro e della sfortuna dello studio, propone ed impone a tamburo battente ricette che in Portogallo hanno raddoppiato in un anno il debito ed incrementato la mortalità tra i pazienti della spesa sanitaria pubblica tagliata con l’accetta ed in Grecia hanno portato il paese nelle condizioni conosciute, a cui anche l’Italia comincia per gradi ad assuefarsi.

Sono trascorsi soltanto pochi mesi dal passaggio, comprensibilmente indolore, dalla destra populista delle campagne mediatiche contro la cultura dei diritti e del lavoro ad una destra tecnica dei fatti quotidiani contro contro un assetto democratico fondato anche sulla partecipazione sostanziale alle opportunità di istruzione, lavoro, autonomia e partecipazione di tutte le parti della popolazione.

Tilt è una associazione a cui appartengono ragazzi di diversi partiti di sinistra, studenti, lavoratori, immigrati, precari, il cui orientamento comune è il rifiuto di una logica distorta, che vorrebbe mettere l’operaio che difende le conquiste realizzate nei decenni e lo studente che vede l’assetto attuale della società cercare di prevenire in anticipo la sua libertà e la sua autonomia attraverso la negazione dei diritti allo studio ed alla formazione, la stessa logica distorta che attraverso le televisioni e le campagne stampa dei governi Berlusconi e Monti ha cercato in questi anni di mettere precari contro immigrati.

Difendere l’articolo 18 e condividere il percorso della Fiom in questo senso, unitamente a sottolineare il valore della sua difesa della dignità ed espressione dei lavoratori nei luoghi di produzione, significa promuovere il diritto di tutti quei giovani che sono spesso cittadini di serie B a causa di un debito creato da altri (impoverendo anziani e adulti) solo per approdare ad una crisi di sistema che dovrebbe diventare finalmente il punto di partenza per cambiare le cose e non per riproporre i soliti dogmi neoliberisti e conservatori di destra che hanno rovinato intere società, da un lato e dall’altro dell’Atlantico.

Nello stesso modo, per i lavoratori ed i professionisti dei luoghi di produzione e del malconcio sistema imprenditoriale italiano, indebolito dalla impossibilità di espandere o conservare i consumi da parte del sessanta per cento della popolazione, condividere il percorso di quanti oggi iniziano il liceo o un istituto professionale con la sicurezza di non potersi iscrivere all’università (o di poter scegliere di farlo soltanto per approdare a maggiori disagi al termine del proprio impegno) significa tutelare i propri diritti, salvaguardandoli dalla concorrenza certa di una riserva di “stranieri in patria”, nati con una cittadinanza formale ma costretti dall’assenza di tutele minime e di prospettive civili a concorrere al ribasso nel mondo del lavoro con anziani esodati che gli studiosi dello spread considerano un ingombro.

I sindacati italiani sono stati la forza che ha impedito alle resistenze alla modernizzazione (da parte di gruppi che hanno sempre cercato di fare dell’Italia un terreno di sperimentazione di forme autoritarie di capitalismo) di trattenere indietro l’Italia: Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Fiom, la Fiom più di altri e pagando prezzi maggiori, hanno consentito al paese di trasformare il testo della sua Costituzione, una delle più complete in fatto di diritti sociali, in qualcosa di vissuto veramente nella consapevolezza dei diritti propri e dei diritti altrui, motivo per cui i sindacati, specialmente quelli di sinistra, hanno difeso giustamente sia italiani che nuovi cittadini sui luoghi di lavoro, coscienti del fatto che salvaguardare la dignità degli altri significa lottare concretamente per la propria.

E’ importante che questa solidarietà tra componenti diverse della vera sinistra, che non accetta il razzismo e non accetta lo smantellamento della Costituzione nata dalla Resistenza, non cambi e anzi trovi adesso nella rinnovata ostinazione dei ragazzi, studenti, immigrati, precari, professionisti a non accettare un futuro a due corsie (per la maggior parte della popolazione da una parte e per i figli dei tecnici dall’altra) il collante per una opposizione sociale ai programmi di concentrazione delle opportunità e delle risorse che il Centrodestra ha confusamente portato avanti per venti anni e che la destra tecnica sta finalizzando con efficienza scientifica e con profitto, avvantaggiandosi cinicamente del disorientamento creato dalla crisi economica e dalle speculazioni finanziarie che l’hanno creata.

Per questo Tilt ha sottolineato a Bologna e sta evidenziando in tutta Italia che i tecnici e la destra non devono arrogarsi il diritto di togliere tutele ai lavoratori ed ai disoccupati, agli immigrati ed ai pensionati, permettendosi, vergognosamente, di farlo in nome di generazioni di studenti e di ragazzi che non conoscono e di cui attaccano i diritti definanziando la scuola, la ricerca e la formazione.

Per gli stessi motivi, la parte della popolazione nata quando ormai l’Unione Europea nel senso attuale del termine era già stata costruita e il suo Parlamento era ormai votato dai cittadini sa che questa Unione Europea non può dirsi compiuta, se le garanzie sociali scritte nel manifesto di Ventotene non vengono difese dai cittadini europei attraverso la partecipazione politica quotidiana. Vicino alla lotta per la tutela dei diritti dei lavoratori più attaccati oggi c’è la promozione di strumenti come il welfare universalistico in Europa, che incontrano un solo ostacolo nel divario di patrimoni e opportunità in Europa, in maniera particolarmente accentuata in Italia.

Professionisti, precari, immigrati devono collaborare con i lavoratori delle industrie e con i disoccupati se vogliono fronteggiare quel mondo composto da concentrazioni patrimoniali, mediatiche, politiche (aggravatesi con la legge elettorale che consente alle dirigenze di autonominarsi nelle elezioni), che sta aggredendo da un nuovo ventennio a questa parte, le fasce più deboli e produttive della popolazione con una vera e propria lotta di classe alla rovescia. Tilt rappresenta soltanto una delle realtà della sinistra italiana e dell’opposizione alla destra populista dei Berlusconi e dei Bossi ed a quella destra tecnica che ne è la continuazione scientifica.

L’interesse dell’esperienza di Tilt risiede nella collaborazione di ragazzi di diversi partiti di sinistra e di non iscritti ai partiti, anche in considerazione della costante consegna alla destra del paese che è stata causata da una litigiosità tra gruppi di orientamento di sinistra incomprensibile per chiunque ritenga prioritario portare avanti politiche progressiste, rispetto all’elezione di un esponente o di un altro, evidentemente più importante per tutte quelle liste che a turno hanno anteposto a tutto l’esigenza di lucidare vecchi simboli sconosciuti alla maggior parte dell’elettorato.

Per queste ragioni Tilt e le altre forze di sinistra che di tale non hanno conservato soltanto il nome sono state in piazza a Bologna e sono in strada in Italia per affermare con iniziative concrete che la logica del “si salvi chi può”, promossa cinicamente dai tecnici della destra per frammentare il mondo del lavoro dividendolo da quello del precariato e spezzando l’uno e l’altro in partite iva, ricercatori e altro ancora non deve interessare tutti coloro i cui diritti sono sotto attacco in questo momento e che perciò debbono preoccuparsi di proporre un modello diverso di paese e di Europa.  

 

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Temi sociali al festival di Berlino

I registi italiani hanno fatto emergere quest’anno argomenti trascurati dalla cronaca governativa, come la situazione delle carceri e la repressione dei movimenti

di   Aldo Ciummo

Le maggiori agenzie hanno dato la notizia del premio ricevuto dai registi Paolo Taviani e Vittorio Taviani per il film “Cesare deve morire” (l’orso d’oro, un titolo che non tornava in Italia da ventuno anni). I due registi hanno lavorato con i detenuti riportando in evidenza un tema, le carceri, che la cronaca sposta spesso in secondo piano oppure tratta soltanto con il metro della propaganda securitaria, tipica dei governi fortemente conservatori che si avvicendano in Italia quasi ininterrottamente dal 1994. Intanto, con la riduzione delle risorse che la cura concreta dei contesti urbani subisce anche durante quest’anno, nella cronaca italiana i temi della sicurezza diventano soltanto un mezzo di aggressiva comunicazione, mirata a scaricare i disagi crescenti contro alcune parti della popolazione, che siano operai che manifestano o immigrati.

Bisogna ricordare anche il film “Diaz, non pulire questo sangue” di Daniele Vicari, che ha vinto il premio del pubblico: il cinema fa in qualche modo quello che la televisione, controllata dal 1994 dai soggetti governativi che hanno organizzato i vertici internazionali, non ha potuto e voluto fare, cioè riporta una parte importante della cronaca, il G8 del 2001. L’aggressione da parte dello stato italiano contro manifestanti di molti paesi e i gravi abusi durante detenzioni illegali nel 2001 venne nascosta, negata, giustificata e minimizzata dalle televisioni e dalla stragrande maggioranza dei mass media attraverso le prese di posizione delle istituzioni, l’utilizzo dei maggiori telegiornali, la sovraesposizione e decontestualizzazione delle violenze compiute da frange minoritarie dei movimenti ed attraverso la dilazione delle notizie.

Il governo di Centrodestra italiano non fu solo nell’aggredire i movimenti attraverso diverse forme di repressione di piazza, istituzionale, mediatica e giudiziaria, ma ebbe la solidarietà di una parte consistente delle opposizioni, tuttora simile alle destre per indifferenza ai problemi sociali, chiusura all’immigrazione, fiducia nel liberismo selvaggio che ha portato alla crisi economica e che viene incredibilmente riproposto come soluzione assieme alla negazione della rappresentanza sociale (ad esempio nelle industrie) e se da questa situazione derivò negli anni immediatamente successiva una ricerca di coesione da parte dei movimenti, a lungo termine l’insieme di iniziative che sfociava nei Social Forum si è parzialmente disperso.

Certo i movimenti spesero la loro parte di errori, costosi in particolare in una società come quella italiana, con una tradizione conservatrice ed una popolazione di età media crescente (caratteri accentuati dall’accumularsi di controriforme nella scuola e nella comunicazione e dal ritorno dell’emigrazione) ed hanno sicuramente pesato sulla presenza dei movimenti nei territori almeno tre elementi: l’invadenza dei partiti strutturati (che si sarebbero peraltro poi avviati alla sparizione), le chiusure e gli estremismi di frange dei movimenti lontane dalla realtà sociale, l’assimilazione di gruppi facenti parte dei movimenti alle liste elettorali. Oggi le tematiche che rendevano tanto pittoreschi i movimenti agli occhi di molti sono gli unici argomenti  importanti in una società occidentale destabilizzata e danneggiata in profondità dai promotori finanziari del miracolo liberista: la tobin tax, la gestione condivisa delle risorse, lo sviluppo ecosostenibile, argomenti che vengono riconosciuto validi (anche se rigorosamente senza indicare una data in cui saranno introdotti nell’agenda delle misure da elaborare) perfino dagli stessi autori del fallito miracolo liberista che oggi ne socializzano le perdite e ne ripropongono come soluzione la trita filosofia, mentre guidano, sia pure con meno spettacolarità e più serioso tecnicismo, gli interessi della piccolissima frazione di società cui appartengono.

 

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Venerdì 17 febbraio a Roma dibattito sulla partecipazione e la solidarietà in Europa

L’incontro riguarda i limiti dell’azione europea concentrata sul rigore finanziario e la necessità di prevedere strumenti di partecipazione, solidarietà e democrazia

Venerdì 13 febbraio alle ore 15.00 presso gli uffici di informazione per l’Italia del Parlamento Europeo a Roma si svolgerà un dibattito intitolato “Il rigore finanziario non basta, serve un’Europa federale, solidale e democratica”, via Quattro Novembre 149. I lavori saranno presieduti dal vicepresidente del Cime (Rocco Cangelosi). Parteciperà il Direttore dell’Ufficio di informazione per l’Italia del Parlamento Europeo, Clara Albani, mentre le relazioni saranno dei deputati Roberto Gualtieri, Paolo Guerrieri, Alberto Quadrio Curzio, concluderà il presidente del Cime, Pieri Virgilio Dastoli. L’iniziativa sarà seguita dai lavori del consiglio nazionale del Cime.

Come la solidarietà latiti e lasci spazio a quelle che sono ormai gravi pressioni delle speculazioni del mercato sulle popolazioni della UE è visibile nella sorte che sta toccando alla Grecia, che dopo aver approvato uno dei piani di rigore che vanno per la maggiore di questi tempi (tanto rigore sulle parti meno avvantaggiate della società e poca chiarezza sulla strategia per raggiungere la crescita economica) vede rimandare nuovamente l’aiuto europeo. Le condizioni per concedere il prestito di centotrenta miliardi alla Grecia infatti per l’Eurogruppo non ci sono ancora.
Emergono atteggiamenti positivi da parte del maggiore paese cooperante con la UE, gli Stati Uniti, così come da parte della Cina. Purtroppo le istituzioni ed i privati non sono stati altrettanto lungimiranti qui nella Unione Europea, difatti se gli stati hanno fatto di tutto per aiutare il settore bancario senza porgli peraltro grossi vincoli per evitare gli errori del passato (che non sono stati errori inconsapevoli ma politiche che negli ultimi venti anni hanno concentrato ulteriormente i patrimoni in una piccola percentuale della popolazione dei paesi occidentali) come è noto non hanno potuto e soprattutto fare altrettanto laddove c’erano da tutelare non poche rendite, ma milioni di persone che oggi si scontrano disperatamente con le condizioni anticostituzionali che gli vengono imposte, come sta avvenendo da mesi in Grecia.
Aldo Ciummo
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