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L’Inghilterra è ancora patria di diritti e di cosmopolitismo

 

Il Regno Unito cambia ulteriormente in tempi di crisi e di emigrazioni, gli inglesi restano favorevoli ad una integrazione dei nuovi cittadini ed all'arricchimento reciproco delle culture ma emergono come in tutta Europa difficoltà che mettono alla prova soprattutto le fasce più esposte della popolazione

Esistono fenomeni preoccupanti come la crescita del BNP, forza politica che ha posizioni controverse in materia di immigrazione, ma i cambiamenti elettorali non possono essere letti unidirezionalmente ed occorre comprendere la crisi della società industriale nel Regno Unito e le fortissime pressioni esercitate dalle trasformazioni globali sulla gente comune

 

di    Aldo Ciummo

 

Lo scorso fine settimana, sul Times, un articolo di Carol  Midgley approfondiva con un vero e proprio reportage i cambiamenti – non tutti positivi – intervenuti nella società inglese negli ultimi venti anni a causa della fine dell’epoca del pieno impiego e degli operai e l’inizio di un’era forse ancora più appassionante, sotto il profilo del ruolo della conoscenza, dell’incontro tra le culture, dell’innovazione del sapere, ma molto dura per intere categorie che si è soliti inquadrare nella classe media e mediobassa e che semplicemente nel ventennio del liberismo internazionale hanno perso la propria identità, processo bruscamente evidenziato dalla chiusura delle fabbriche e di molte aziende.

Il BNP, forza politica che purtroppo ha introdotto anche in un paese come l’U.K (tuttora esempio di accoglienza, di diritti garantiti e sicuramente di vero multiculturalismo solidale e presenza di comunità coesa) elementi di propaganda ostili all’immigrazione ed all’integrazione. Va detto che il British National Party resta un fenomeno elettoralmente marginale, in uno stato incompatibile per propria storia e società con manifestazioni di tipo fascista.

Ciò che è interessante nell’analisi di Migdley è che laddove liste come il Bnp raggiungono consensi, magari a livello locale, non riescono a farlo sulla base del rifiuto dell’integrazione. Un elevatissimo numero di cittadini inglesi ha origini straniere, lo stesso Regno Unito è uno stato multinazionale, una nazione di nazioni che può fare da esempio di ingegneria politica e di senso di appartenenza multiplo alla stessa UE alla cui crescita contribuisce, dove l’esperienza del confronto con gli altri è un carattere che definisce la società del luogo ed è tra le origini del suo alto grado di progresso.

Le forze, minoritarie, che in alcune aree attraggono consensi poi utilizzati per portare avanti politiche poco favorevoli all’integrazione, convincono molte persone con una propaganda in gran parte incentrata su carenze di lavoro e di servizi, certo in un contesto dove specie i più anziani sono disorientati dalla trasformazione di interi quartieri in “terre straniere” per l’alta concentrazione di immigrati completamente diversi per cultura e per l’avanzare delle attività commerciali “comunitarie” all’interno di questi gruppi di recente arrivo, a fronte di una tradizione industriale e di abitudini di appartenenza che, per le delocalizzazioni economiche e la globalizzazione culturale, sembrano svanire.

D’altronde, nel suo reportage l’autrice dell’articolo sul Times, pur sottolineando la preoccupazione per il diffondersi di opinioni “nazionaliste” in qualche modo, ammette che anche tra i giovanissimi crescono invece attività socioculturali e civiche favorevoli all’integrazione e che l’ammirevole tradizione di accoglienza e di mutuo scambio culturale, tipica del Regno Unito, prosegue positivamente nonostante le contraddizioni della attuale crisi.

Mentre è opportuno esprimere soddisfazione per il modo in cui, complessivamente, anche il sistema dell’istruzione britannico sostiene lo sviluppo di una società ancora più aperta, è bene però non sottovalutare la pressione che le trasformazioni economiche e sociali rapidissime impongono alla gente, a fasce di persone cresciute nel periodo dell’industria e anche del terziario, ma pure famiglie alle prese con la ridefinizione della produzione e della comunità oggi, dalla capacità e possibilità da parte di questi gruppi di confrontarsi serenamente con soggetti diversi e dalla opportunità di integrarsi offerta a questi altri protagonisti della Ue di oggi (immigrati, giovani) dipende la fisionomia della Comunità del continente nei decenni futuri.