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A San Lorenzo l’Europa nelle immagini di Marco Di Niscia

Il fotografo romano ha ripercorso in una esposizione che rimarrà aperta fino al 12 maggio paesi e personaggi del continente

Si intitola “Solo Due Ruote” la mostra nella quale il giovane fotografo romano Marco Di Niscia ha voluto ripercorrere, in una esposizione presso la Galleria 291 Est (Viale dello Scalo San Lorenzo 45, Roma) i suoi viaggi nel continente europeo, dalla Francia alla Svezia passando per Londra.

Pavese, citano i curatori della mostra, affermava che nel viaggio nulla è nostro tranne l’aria, il sonno, i sogni, il mare, il cielo, mentre Robert Capa dichiarava che se una foto non era riuscita significava che non si era andati abbastanza vicini. Il fotografo romano Marco Di Niscia ha fatto suoi alcuni di questi concetti, viaggiando con una bicicletta, una tenda ed una macchina fotografica.

Di Niscia ha studiato presso l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata (ISFCI) di Roma, prima di iniziare il suo percorso professionale nel mondo delle immagini. Dal 2009 in poi ha partecipato a diverse esposizioni collettive. Attualmente vive e lavora a Roma.

Aldo Ciummo

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Sì, l’Europa

L’andamento elettorale in Francia conferma l’affermazione della sinistra, che segue la riuscita dei progressisti in Danimarca, Irlanda, regionali in Germania

Il populismo non paga, se Sarkozy prende i voti di Le Pen perde quelli dei centristi: non dappertutto in Europa i vari leghismi sono accettati perfino dai maggiori partiti di origine progressista, il razzismo in Europa è chiamato col suo nome e determina, ad esempio in Francia, l’allontanamento anche di forze conservatrici come i centristi di Bayrou da chi vergognosamente scende a patti col Fronte Nazionale con le sue politiche populiste di destra, anacronistiche in un paese multiculturale come la Francia e come è l’Europa unita.

La vittoria di Hollande, se saranno confermate le previsioni, determinerà uno spostamento a sinistra dell’intera Unione Europea, che per fortuna di qualsiasi prospettiva di crescita inizierà a lasciarsi alle spalle il metodo del rigore a tutti i costi. Un altro fatto positivo sarà che verranno nuovamente nominate le classi sociali, di cui la destra economica politica e sociale non vuole parlare, preferendo giocare al bersaglio con le parti più deboli della popolazione come gli immigrati, ma le classi esistono e nel caso delle più privilegiate vengono appoggiate dalle varie destre populiste e tecniche, che hanno approfittato dell’emergenza delle crisi che hanno determinato per instaurare uno stato di democrazia controllata dove la partecipazione è pressochè sparita.

Ecco perchè le forze di sinistra in Europa non devono barricarsi nel principio della difesa di simboli scomparsi e dello scontro tra conventicole politiche che tengono in ostaggio partiti e asfissiano movimenti, ma affrontare l’avversario che è la destra nelle sue varianti liberista, tecnocratica, populista, conservatrice, spesso associate tra loro. Il progressismo non è una funzione inutile di testimonianza, ma serve a innescare una alternativa europea al disastro creato dai conservatori negli ultimi venti anni.

Aldo Ciummo

 

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Venticinque aprile, grazie ai partigiani l’Europa è libera

Gli Arditi del Popolo in Italia, i repubblicani in Spagna, gli operai che impedirono ai fascismi di dilagare nel Regno Unito, partigiani e lavoratori in tutta Europa hanno posto le basi per la libertà della UE

di Aldo Ciummo

Il 25 aprile è ancora più importante oggi, con l’occidente pressato da crisi e speculazioni che mettono a dura prova soprattutto le parti più deboli della popolazione: lavoratori, studenti, immigrati, pensionati, settori sociali portatori di capacità di partecipazione democratica che hanno difeso l’Europa dal nazifascismo sessantotto anni fa, nel 1943, quando abitanti di stati come l’Italia costretti alla guerra ed alla miseria dalle dittature di destra hanno voltato le spalle a quei sistemi basati sull’oppressione e nonostante le forze militari organizzate che si trovavano di fronte hanno abbattuto gli ostacoli che separavano i loro paesi dalla democrazia.

La Liberazione dai fascismi ha permesso il superamento delle ideologie barbare che governavano mettendo i poveri gli uni contro gli altri, un rischio, quello del populismo di destra che fa scudo alle forze responsabili delle contraddizioni sociali rendendo nemici gli uni degli altri gruppi che condividono le stesse difficoltà, l’emigrazione, il precariato, lo sfruttamento, che oggi nel duemila è più accentuato rispetto a qualche anno fa, perchè lavoratori, precari, giovani, pensionati, professionisti, disoccupati, si lasciano dividere maggiormente anche a causa della forza culturale di un modello di sviluppo fallimentare che si poggia sul razzismo, sul consumismo e sull’individualismo: l’ultraliberismo alleato delle leghe identitarie e dei gruppuscoli nostalgici.

I due modelli della destra autoritaria (che in un percorso a tappe ci crisi in crisi verso lo smantellamento dei diritti sociali e della dignità del lavoro sono entrambi responsabili ed espressione della crescita delle diseguaglianze e delle nuove povertà e dei nuovi conflitti) sono complementari tra loro: rispettivamente la destra neoliberista alla Bush (di cui Sarkozy e Berlusconi sono stati varianti nazionali) e la destra comunitaria nazionalista dei vari Le Pen e Wilders.

La destra liberista impoverisce e svuota i diritti, la destra populista, leghista, nostalgica e neofascista cerca di offrire un tetro riparo comunitario nell’identitarismo nazionale o regionale, che sfocia regolarmente nella violenza dell’esclusione verso gruppi più deboli (costituito spesso dai cittadini immigrati) che gli estremisti di destra ed i populisti cercano di isolare e additare a responsabile dei guasti derivanti dall’iniquità della distribuzione delle risorse e dall’inefficienza della protezione sociale, danni che da venti anni a questa parte sono provocati da forze politiche conservatrici e liberiste sempre alleate dei populismi, dell’estrema destra e dai leghisti di varia estrazione, dai separatisti in Belgio agli xenophobi in Italia.

L’Europa e l’occidente di settanta o di novanta anni fa insegna molto, perchè ci furono lavoratori, immigrati, anziani, giovani, studenti che pur trovandosi ad affrontare organizzazioni forti e prive di scrupoli come gli eserciti fascisti e nazifascisti in Germania, Spagna, Italia, affrontarono con coraggio i fascismi e riuscirono, a partire dalla forza della ragione, ad espellere il fascismo dall’Europa. Si batterono contro il fascismo ed a favore della libertà italiana gli Arditi del Popolo, che erano socialisti, repubblicani, anarchici e comunisti che impedirono che il Centro Italia cadesse nelle mani dei rappresentanti dei grandi proprietari terrieri e degli industriali (questi ultimi riuscirono poi ad imporre la dittatura soltanto con l’aiuto dei poteri forti italiani, dalla Chiesa all’esercito) così come i partigiani si batterono pagando con la prigionia e con la vita, sconfiggendo la dittatura repubblichina e l’esercito tedesco a partire dal 1943.

La lotta contro il fascismo, che permise all’Europa di avviarsi a diventare l’Unione Europea di oggi, con frontiere aperte e rappresentanza della partecipazione popolare, si svolse fin dall’inizio anche in altri paesi, (non solo in Spagna, dove solo l’intervento di eserciti e aviazioni straniere piegò il paese a subire la dittatura). Nel 1936 a Cable Street, nell’East End londinese, i fascisti dovettero tornare indietro perchè una folla di centomila manifestanti, operai, immigrati, studenti, li ricacciò indietro, permettendo al Regno Unito di restare libero e di dare l’enorme contributo che Londra diede per la liberazione del resto d’Europa dalle dittature fasciste che purtroppo si erano ormai installate in Germania, Italia, Spagna ed altri paesi. L’Irlanda aveva sconfitto nel 1934 le Blueshirt, gruppi fascistoidi con i quali i proprietari terrieri volevano scaricare i costi delle vicissitudini economiche dell’epoca sulle parti più povere della popolazione, Eamon de Valera e l’Irish Republican Army, alleati, avevano infatti sbarrato la strada ad ogni tendenza autoritaria nell’isola.

Il resto è storia, non furono solo gli interventi degli stati rimasti democratici, come Francia, Usa e Regno Unito, a liberare l’Europa dal nazifascismo avviandola a diventare una federazione di stati democratici dove i diritti sostanziali vengono considerati complementari a quelli politici, ma furono anche le popolazioni che negli stati oppressi da dittature come l’Italia e la Germania o occupati da queste, dalla Serbia alla Norvegia, a ribellarsi ai governanti ed agli occupanti ed a cominciare a scrivere costituzioni come quella italiana, basate sulle tradizioni democratiche comunista, socialista, repubblicana, cattolica popolare, liberale, costituzioni che in gran parte vanno ancora attuate nella garanzia dei diritti sociali, per tutti, anche per gli immigrati che sono nuovi cittadini e risorse da valorizzare in un occidente che cambia, e che soltanto se incarnate dall’impegno delle popolazioni della nostra Europa, dagli studenti ai lavoratori, dagli immigrati agli anziani, possono diventare anticorpi efficaci contro gli attacchi che, dal liberismo intransigente ai populismi e nuovi fascismi di destra rischiano di snaturare ciò che l’occidente, Europa e Stati Uniti hanno rappresentato di positivo proprio a partire dalla liberazione dalle forze militariste, ultracapitaliste e razziste che i partigiani riuscirono a respingere.

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Continuità in Italia con la destra tecnica

Mentre alla UE si risponde con conti gravanti sulle fasce più colpite dal ventennio di destre liberiste e monopoliste, ci rimettono gli immigrati

di Aldo Ciummo

Di europeo, nello stivale, si vede poco: vengono introdotte le norme di rigore, caricate selvaggiamente sulle spalle delle parti della società che hanno pagato negli ultimi venti anni i costi delle scelte ultraliberiste in fatto di diritti del lavoro e delle politiche monopoliste riguardo alla concorrenza, decisioni di governi espressamente di destra e non solo.

Intanto si assiste, nella cronaca nera e giudiziaria delle maggiori città, ad attacchi agli immigrati ed a altri bersagli di una insofferenza popolare incanalata contro il diverso da una comunicazione di massa che negli anni del berlusconismo e di alternative “politicamente corrette” non poteva dirigersi contro rendite e squilibri determinati da interessi antichi, che oggi continuano ad avere una spropositata voce in capitolo, tanto che si permettono di impedire a coloro che lavorano in fabbrica di eleggere i propri rappresentanti.

E’ evidente quanti danni abbia fatto il liberismo selvaggio associato all’assenza di concorrenza (che oggi viene perpetuata con la protezione dei soggetti televisivi del monopolio) alle condizioni materiali della piccola e media impresa e della maggior parte della popolazione, così come è grave che la necessità per la destra di distogliere l’attenzione dai veri problemi e dalle vere iniquità abbia determinato campagne razziste e di chiusura che a varia intensità hanno attraversato il dibattito e l’intrattenimento pubblico in Italia, tendenze coltivate anche (per quindici anni su diciassette) da soggetti politici che oggi si propongono come alternativi agli ex alleati e dirigenti della propria coalizione di destra.

E’ preoccupante anche, però, l’insistenza con cui l’area progressista ha costantemente evitato o annacquato i temi del lavoro, dell’integrazione, della presenza sul territorio, del ruolo dei sindacati, del dialogo coi movimenti, dell’equità, del diritto all’istruzione e della lotta al razzismo. Con l’eccezione delle parentesi influenzate da Romano Prodi, (che culturalmente non era di sinistra ma dimostrava attenzione per i temi sociali) per il resto si è assistito ad aggregazioni di Centrosinistra intente soprattutto ad accreditarsi verso un asse della politica che i dirigenti degli ex partiti di sinistra consideravano evidentemente ormai spostato a destra, oltre che a condividerne molte scelte e molti interessi.

Questi presupposti, accettati dalla maggior parte dei dirigenti di forze che erano state di sinistra, sono stati smentiti dai fatti, a volte nella forma di vere e proprie dimostrazioni di consolidata opinione proprio da parte della maggioranza dell’ elettorato di riferimento delle liste maggiori che rappresentavano queste posizioni ultramoderate: ad esempio, in Puglia il PD insiste due volte a rifiutare una consultazione democratica della coalizione affermando che un candidato più a sinistra non può vincere e poi questo candidato vince due volte quelle consultazioni interne e poi prevale due volte contro l’area nettamente favorita in quella regione; in seguito un altro candidato della sinistra alternativa batte il Centrodestra nella sua roccaforte, Milano, dopo aver patito molto per convincere il maggiore partito della coalizione a sostenerlo, nel frattempo, a Napoli, un partito accusato tutti i giorni di essere populista eclissa un candidato rigettato dall’elettorato ma difeso da dirigenti di partito erroneamente confortati dal fatto che a livello nazionale possono scegliere i candidati in contrasto con l’opionione di coloro – gli elettori – che dovrebbero avere il diritto di sceglierseli.

Oggi, c’è continuità in Italia rispetto alle politiche di Centrodestra che hanno raddoppiato un debito pubblico che ora  il governo della destra tecnica chiede di pagare soltanto alla parte più in difficoltà della popolazione ma anche alla parte più in salute perchè più produttiva (piccole e medie imprese e professionisti), questa continuità c’è perchè non si affrontano le rendite, una parte delle quali generatesi in quella zona grigia che ha contribuito a creare la crisi (capitali anonimi e scudati oggetto di prelievi risibili in percentuale) ma si aggrediscono miti pensionati, precari e mondo produttivo, con misure classiste fin da quando esiste l’economia come l’iva, i carburanti e i tagli dei servizi sociali e pubblici.

Gli attuali governanti e quelli immediatamente (ed a lungo) precedenti ripetono che l’Italia è forte del suo risparmio privato. I fatti però hanno dimostrato che concentrare massicciamente questo patrimonio nelle mani di pochi noti, alcuni dei quali oggi protagonisti di prepotenze illegali contro sindacati storici, non è un metodo saggio per utilizzare questa presunta forza (anche perchè spesso poi queste risorse una volta accantonate vengono spostate in depositi che non sono tassabili in Italia ed in Europa), come non lo è operare questo spostamento di risorse attraverso la spoliazione della maggior parte della popolazione e delle sue parti più produttive: l’Europa è piena di paesi con meno capitale accumulato ma maggior redistribuzione le cui economie includono ogni anno di più decine di migliaia di italiani qualificati.

In Italia, se l’obiettivo è avvicinare lo stivale al resto d’Europa, non solo nei conti ma in parametri basilari di civiltà, solidarietà e laicità, finchè non esisteranno qui destre e alternative democratiche liberali simili a quelle tedesca, inglese, francese, la sinistra deve fare il suo lavoro, senza imitare le destre liberiste e leghiste come è avvenuto nel tragitto verso elezioni disastrose per il centrosinistra ma soprattutto caratterizzate da anni interi di incomprensibile adeguamento dell’area progressista ai princìpi antisociali che hanno portato alla crisi economica: le forze di alternativa debbono stare nella realtà ma senza accettarne una interpretazione forzata come quella che ancora oggi, dal governo in carica, viene proposta. Le misure antisociali dell’ortodossia liberista non producono una vera crescita, solo una società più debole, dove settori della popolazione lasciati in balìa delle difficoltà quotidiane ed affidate alla discutibile cura culturale dei leghismi producono fenomeni anacronistici come gli infami atti di intolleranza contro immigrati (cittadini che contribuiscono al progresso del paese molto di più di molti sostenitori della chiusura all’immigrazione) cui purtroppo si assiste e che una sinistra che voglia chiamarsi così deve cominciare a contrastare culturalmente, socialmente e politicamente sul territorio.

Europa nazione “insulare” o nazione di nazioni come il Regno Unito?

Nel corso dell’iniziativa “Transeuropa” che ha riunito a Roma questa settimana studiosi di diversa estrazione, un contributo interessante all’analisi è venuto dal Regno Unito
Con l’organizzazione delle Rappresentanze di Commissione Europea, Ambasciata Irlandese, Svedese, Finlandese, Danese, dell’UK e del British Council e di numerose altre ambasciate europee, oltre che dell’assessorato alle politiche culturali del comune di Roma si è svolto all’Ara Pacis di Roma il 3 e 4 marzoTranseuropa Express, un appuntamento in occasione del quale storici e studiosi di varia estrazione discutono sulla coesione culturale in Europa, ogni anno con un tema specifico al centro dell’agenda.

L’argomento scelto per questa edizione era “Storia ed identità: l’Europa degli intellettuali”, in sintesi il ruolo che in maniera analoga a quella giocata nella costruzione delle identità nazionali si richiede a chi si occupa di cultura nella nascita dell’Unione Europea che si avvia alla sua coesione politica, dopo il completamento del mercato interno.

Ad occuparsi in particolare dell’identità europea in base ad un confronto con quella del Regno Unito è stato Paul Torday, che dopo una carriera di business ha avviato una attività di scrittore. Con un suo testo e con l’intervento di questa settimana, Torday ha voluto sottolineare come il Regno Unito abbia già da lungo tempo alcune delle caratteristiche multinazionali che negli ultimi decenni sono diventate tipiche della nascente Unione Europea.

L’U.K è infatti una “nazione di nazioni”. Una affinità ulteriore con l’Europa è colta da Torday nelle nuove comunità di internet, spesso globali. “Dopo il successo di Waterloo si è sviluppata la famosa insularità inglese, ma dalla metà del 1900 l’impero è diventato parte della storia – ha detto Paul Torday ripercorrendo rapidamente la storia del R.U – gli scrittori indiani e americani in lingua inglese sono disponibili a tutti e anche per questo l’identità odierna di chi vive a Londra è più che mai risultato di spinte globali”.

Lo studioso britannico nota soprattutto il travasamento dell’identità inglese in una gran parte delle abitudini globali attraverso la lingua ed attraverso le nuove tecnologie, in parte anche con i social network, osservazioni che lo spingono ad affermare che “si vede forse più britannicità guardando il mondo nei media che per strada nelle città inglesi”.

Sicuramente l’esperienza sociale britannica, rimandandoci ad un’area politico culturale molto avanzata e che ha contribuito alla diffusione delle istituzioni democratiche e della cultura europea in gran parte del pianeta (ed anche dato molto all’Europa sia in termini di peso economico e di prestigio che di pressione per il miglioramento delle istituzioni democratiche dentro la stessa UE) costituisce un paragone valido per elaborare strategie in grado di evitare all’Unione Europea quel rifugio nella “insularità” di cui parla Torday e che l’Inghilterra si è lasciata alle spalle con un esempio di accoglienza che al di là dei dibattiti legittimi sul multiculturalismo prosegue verso una sempre maggiore integrazione: in questo senso sono leggibili anche i richiami odierni di Cameron ad un sostegno più forte al liberalismo tra i nuovi cittadini, che significa piena inclusione dei nuovi arrivati senza inculturazione nè creazione di segmenti isolati dalla società ma scambio culturale sulla base dell’accettazione dei princìpi della nazione di arrivo.

Aldo Ciummo

Il Commissario UE al bilancio in visita in Italia

 

Janusz Lewandowski domani sarà in Italia per la sua prima visita ufficiale come responsabile per la programmazione finanziaria ed il bilancio

Il Commissario Europeo Janusz Lewandowski arriverà in Italia domani, 14 settembre, per incontrare una serie di esponenti del Governo Italiano, tra cui il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gianni Letta, il Ministro degli Esteri, Franco Frattini, il Ministro degli Affari Regionali Raffaele Fitto ed il Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.

L’Unione Europea, le cui competenze restano spesso avvolte nell’indefinito quando non guardate con sospetto per ampi settori dell’opinione pubblica in Italia, copre con il suo bilancio quote quantitativamente limitate, ma strategiche, della copertura finanziaria per lo sviluppo delle aree depresse, dell’avvio di progetti economiche emergenti e per l’equilibrio tecnologico tra le diverse regioni del continente.

L’Unione Europea non è soltanto il volano efficace di una economia e di una cultura integrata che comprende i paesi di recente ingresso, i fondatori e importantissime nazioni che si sono aggregate nel tempo a partire dagli anni settanta con l’ingresso di Regno Unito, Irlanda e Danimarca, ma rappresenta anche anche uno spazio di cooperazione istituzionale assieme al quale lavorano anche gli altri paesi sviluppati della sua area che ancora formalmente non ne fanno parte.

Il Bilancio è uno dei mezzi che l’Europa ha per fare il passo in avanti rappresentato dalla politica, perchè non si ripeta il vuoto che nella crisi greca ha permesso che le speculazioni colpissero così duramente uno stato membro e con questo potenzialmente lesionassero l’intera costruzione comunitaria, che difatti ne ha risentito in maniera significativa.

E’ bene che il rapporto tra gli stati costituenti e le istituzioni della UE si rafforzi ulteriormente, perchè si arrivi a meccanismi di sostegno automatico in casi di gravi difficoltà di una regione, costestualmente però sarà necessario rendere più rigorosi i controlli, per evitare che il peso degli errori compiuti da paesi in difficoltà venga fatto ricadere sempre sulle nazioni che come Germania e Svezia hanno trainato la crescita della Ue in questi anni anche grazie a criteri coerenti di rigore finanziario.

In occasione della visita del Commissario  alla programmazione finanziaria ed al bilancio Lewandowski si svolgerà anche una audizione davanti alle Commissioni Affari Europei e Bilancio congiunte di Camera e Senato.

Aldo Ciummo

“Norway Your Way” promuove la conoscenza delle regioni del Nord Europa

 

Successo per il concorso “Norway Your Way” ideato per accrescere la conoscenza del nord in Europa
 
Il grafico Hermes Mangialardo, assieme a musicisti, artisti ed attori provenienti anche da Francia, Inghilterra, Germania e Russia sarà in Norvegia alla metà di agosto ed avrà la possibilità di documentare diversi aspetti della cultura e delle tradizioni del paese scandinavo. Elisabeth Ones, responsabile del Turismo in Innovasjon Norge per l’Italia, ha dichiarato: “siamo veramente contenti del successo della campagna così come del livello di molti contributi che ci hanno meravigliato per creatività ed immaginazione”.
 
Hermes Mangialardo ha riscosso l’approvazione alla fine del concorso per la qualità della animazione che ha realizzato e per la capacità di racchiudere in due fotogrammi lo spirito del paese che ha promosso. Il successivo itinerario che il gruppo di artisti europei seguirà è stato elaborato tenendo presenti la conoscenza del territorio degli abitanti delle regioni norvegesi.
 
L’animazione rappresenta il paese nordico come una evasione dal traffico metropolitano e come l’ingresso in un contesto dominato dalla natura e in equilibrio con l’ambiente. La Norvegia infatti punta fortemente sul proprio ruolo di stato attento al rapporto con l’ecosistema anche per incrementare un turismo particolarmente interessato alle bellezze naturali delle coste e delle province più settentrionali.

Aldo Ciummo

Sandro Gozi: “molto arretrate le condizioni delle donne in Italia”

 

Ieri a Roma si è svolto il convegno tra liberali di diverse aree politiche, Emil  Kirjas, di Liberal International, ha sottolineato l’arretratezza culturale nazionale

La Sala delle Colonne della Camera dei Deputati, a via Poli, ha ospitato ieri sera un incontro tra deputati e senatori riconducibili all’area liberale, oggi dispersa in diverse formazioni in Italia. Un dibattito che sotto alcuni aspetti si può considerare estraneo alle preoccupazioni sociali che attanagliano l’Italia ma interessante dal punto di vista della singolarità politica della penisola, in tempi in cui la presenza dei liberali a livello continentale è massiccia e si pensi a stati cardine come Germania e Regno Unito, caso quest’ultimo nel quale il partito di Nick Clegg ha anzi avviato un esperimento inedito per Londra, con la coabitazione di governo con un’altra forza.

Da un punto di osservazione cosciente della situazione sociale in cui versa l’Italia e di conseguenza dell’opportunità di promuovere cambiamenti nella redistribuzione delle risorse ma anche delle condizioni di accesso all’istruzione ed all’iniziativa, un dibattito sulla assenza della politica liberale in Italia rappresenta comunque un punto di partenza a monte, perchè già nella carenza degli strumenti di libertà classici (su tutti, il pluralismo) si può individuare una arretratezza che non solo rende difficile lavorare per l’inclusione sociale dei molti che a cominciare dagli immigrati contribuiscono in modo più che significativo alla vita del paese, ma pone quest’ultimo in condizioni di grave ritardo nei confronti di parecchi suoi vicini e della maggioranza degli stati industrializzati.

A questo proposito Emil Kurjas, di Liberal International, ha potuto osservare che l’Italia ha “un disperato bisogno di liberalismo”. Altri intervenuti, come Vincenzo Olita, hanno sottolineato il valore della partecipazione, mentre Gianni Vernetti ha affermato che si sta assistendo alla crisi del sistema bipolare imposto alla cittadinanza negli ultimi sedici anni. La discussione ha toccato anche aspetti della Costituzione tanto messi sotto esame (per usare un eufemismo) in questo periodo, frutto anche dell’apporto liberale.

Sandro Gozi ha ricordato che attualmente nel Parlamento Europeo esiste la tendenza a creare uno schieramento di fatto tra Liberali, Ambientalisti e Verdi sulle questioni di maggiore interesse pubblico e che anche in casi di rilievo in cui le nazioni vedono una collaborazione tra Liberali e Conservatori, questi ultimi per storia hanno poco da spartire con la destra mediterranea (si guardi David Cameron in Inghilterra).  Gozi ha osservato che in Italia, al di là degli schieramenti classici ci sono da colmare ritardi strutturali dovuti alla cultura, dove la donna in molte situazioni è vista soltanto come moglie e poi ne deriva il quadro medievale cui assistiamo anche nella rappresentanza.

Tra gli intervenuti anche Gianfranco Passalacqua, Edoardo Croci, Luigi Compagna, Andrea Marcucci, Stefano De Luca, con posizioni anche molto diverse tra loro, con un approccio comunque molto fiducioso nella capacità della politica di intervenire nel quadro generale, forse troppo fiducioso, perchè nel liberalismo permane l’assunto della capacità di regolarsi del mercato, presupposto che come vari autori dell’iniziativa hanno dovuto ammettere è stato molto messo in crisi dai fatti degli ultimi anni. Però è attuale l’esigenza di restituire al paese strumenti di elaborazione e di critica di cui le due principali fazioni (questo è quello di cui si tratta ad oggi) sono ormai prive e nei confronti dei quali anzi sono spesso ostili, si pensi al Centrodestra ed a quanto pesantemente sta riducendo l’accesso della cittadinanza a quegli strumenti.

Aldo Ciummo

L’Inghilterra è ancora patria di diritti e di cosmopolitismo

 

Il Regno Unito cambia ulteriormente in tempi di crisi e di emigrazioni, gli inglesi restano favorevoli ad una integrazione dei nuovi cittadini ed all'arricchimento reciproco delle culture ma emergono come in tutta Europa difficoltà che mettono alla prova soprattutto le fasce più esposte della popolazione

Esistono fenomeni preoccupanti come la crescita del BNP, forza politica che ha posizioni controverse in materia di immigrazione, ma i cambiamenti elettorali non possono essere letti unidirezionalmente ed occorre comprendere la crisi della società industriale nel Regno Unito e le fortissime pressioni esercitate dalle trasformazioni globali sulla gente comune

 

di    Aldo Ciummo

 

Lo scorso fine settimana, sul Times, un articolo di Carol  Midgley approfondiva con un vero e proprio reportage i cambiamenti – non tutti positivi – intervenuti nella società inglese negli ultimi venti anni a causa della fine dell’epoca del pieno impiego e degli operai e l’inizio di un’era forse ancora più appassionante, sotto il profilo del ruolo della conoscenza, dell’incontro tra le culture, dell’innovazione del sapere, ma molto dura per intere categorie che si è soliti inquadrare nella classe media e mediobassa e che semplicemente nel ventennio del liberismo internazionale hanno perso la propria identità, processo bruscamente evidenziato dalla chiusura delle fabbriche e di molte aziende.

Il BNP, forza politica che purtroppo ha introdotto anche in un paese come l’U.K (tuttora esempio di accoglienza, di diritti garantiti e sicuramente di vero multiculturalismo solidale e presenza di comunità coesa) elementi di propaganda ostili all’immigrazione ed all’integrazione. Va detto che il British National Party resta un fenomeno elettoralmente marginale, in uno stato incompatibile per propria storia e società con manifestazioni di tipo fascista.

Ciò che è interessante nell’analisi di Migdley è che laddove liste come il Bnp raggiungono consensi, magari a livello locale, non riescono a farlo sulla base del rifiuto dell’integrazione. Un elevatissimo numero di cittadini inglesi ha origini straniere, lo stesso Regno Unito è uno stato multinazionale, una nazione di nazioni che può fare da esempio di ingegneria politica e di senso di appartenenza multiplo alla stessa UE alla cui crescita contribuisce, dove l’esperienza del confronto con gli altri è un carattere che definisce la società del luogo ed è tra le origini del suo alto grado di progresso.

Le forze, minoritarie, che in alcune aree attraggono consensi poi utilizzati per portare avanti politiche poco favorevoli all’integrazione, convincono molte persone con una propaganda in gran parte incentrata su carenze di lavoro e di servizi, certo in un contesto dove specie i più anziani sono disorientati dalla trasformazione di interi quartieri in “terre straniere” per l’alta concentrazione di immigrati completamente diversi per cultura e per l’avanzare delle attività commerciali “comunitarie” all’interno di questi gruppi di recente arrivo, a fronte di una tradizione industriale e di abitudini di appartenenza che, per le delocalizzazioni economiche e la globalizzazione culturale, sembrano svanire.

D’altronde, nel suo reportage l’autrice dell’articolo sul Times, pur sottolineando la preoccupazione per il diffondersi di opinioni “nazionaliste” in qualche modo, ammette che anche tra i giovanissimi crescono invece attività socioculturali e civiche favorevoli all’integrazione e che l’ammirevole tradizione di accoglienza e di mutuo scambio culturale, tipica del Regno Unito, prosegue positivamente nonostante le contraddizioni della attuale crisi.

Mentre è opportuno esprimere soddisfazione per il modo in cui, complessivamente, anche il sistema dell’istruzione britannico sostiene lo sviluppo di una società ancora più aperta, è bene però non sottovalutare la pressione che le trasformazioni economiche e sociali rapidissime impongono alla gente, a fasce di persone cresciute nel periodo dell’industria e anche del terziario, ma pure famiglie alle prese con la ridefinizione della produzione e della comunità oggi, dalla capacità e possibilità da parte di questi gruppi di confrontarsi serenamente con soggetti diversi e dalla opportunità di integrarsi offerta a questi altri protagonisti della Ue di oggi (immigrati, giovani) dipende la fisionomia della Comunità del continente nei decenni futuri.

L’ Europa non sarà questa

 
 

A Rosarno è esplosa una nuova rivolta di immigrati. Questo è quello che accade quando si tratta la vita umana come una merce e si considerano le persone mera forza lavoro. Rivolte di clandestini – tali quando si tratta di reclamare diritti ma non quando si accetta che costruiscano parte della nostra ricchezza – si sono verificate in questi anni in Italia come in Francia ed in Grecia.

A  Rosarno tra ieri ed oggi è scoppiata una rivolta di extracomunitari, dopo il ferimento di alcuni di loro da parte di “ignoti”. Come di consueto quando sono trascinati per le braccia e per le gambe a rivoltarsi contro situazioni inaccettabili che ne mettono a rischio la semplice incolumità, gli immigrati diventano una notizia, non sono tali quando lavorano al nero costruendo parte importante della ricchezza dei nostri paesi, nè quando sono rinchiusi in silenzio nei centri di detenzione appositi, per il reato di essere entrati clandestinamente nel territorio che, diciamo così, li “ospita”.

Il lavoro sottopagato dei nuovi cittadini, spesso anche quando sono regolari e si tengono strette le condizioni che gli sono state dettate, è una realtà molto spesso tacitamente accettata e attivamente promossa da quelle stesse fasce sociali che della precarietà (straniera e generalizzata) del lavoro, si avvantaggiano e che poi attaccano la trasformazione della società, come se la presenza delle persone e di ciò che significano possa essere rifiutata come un fatto avulso dalla richiesta invece della forza lavoro. E come se i problemi di ordine pubblico scaturiti dalla marginalizzazione dei clandestin non derivassero dalla negazione dei diritti e con questi della partecipazione alla democrazia “ospitante”.

L’Europa, paese aperto come dimostra la sua storia anche recente, con l’ingresso di cittadini di origine straniera negli esecutivi di vari governi e città importanti in paesi avanzati (nel Regno Unito, in Olanda e in molti altri stati), fa dell’immigrazione, come forza lavoro anche qualificata ma non di meno come arricchimento culturale e sociale del continente, uno degli stimoli che la può portare a competere nel mondo di oggi, che non è un insieme di fortezze. Nonostante l’irrigidimento di una parte significativa della popolazione sul tema delle migrazioni, le culture politiche tradizionali in Italia non sono in sintonia con la gente comune, in buona parte politicamente laica o addirittura disinteressata – e non senza ragioni – alla politica del palazzo, l’integrazione non è un discorso partigiano: conservatori progressisti (nella improbabile ipotesi che l’Italia specialmente e l’Europa in generale possano dividersi lungo questa linea) sono tagliati da posizioni trasversali in materia.

I paesi più avanzati nella cultura della democrazia ed anche per questo indubitabilmente più forti pure economicamente (congiunture a parte) come Stati Uniti e Regno Unito, hanno accolto, nonostante aspre difficoltà iniziali, un gran numero di immigrati, anche raggruppati in comunità compatte ed estremamente diverse dal paese ospitante e grazie a queste esperienze oggi sono capaci di circoscrivere reazioni di tipo medioevale da parte di segmenti marginali popolazione autoctona (tendenze che peraltro lì si manifestano in presenza di una pressione demografica da parte delle “minoranze” di proporzioni ben diverse, nel senso di fortemente maggiori, rispetto a quelle conosciute dall’Italia o dalla Spagna).

L’Italia, assieme ad una gran parte dei paesi del sud e dell’est del continente ed in qualche misura in maniera comune a tutta la Ue, ha la fortuna di conoscere una immigrazione poco identitaria, perchè sfaccettata in mille comunità nazionali, con emigranti che si ritrovano in modo generalmente disomogeneo sul territorio nazionale con i propri concittadini e aspirano a diventare cittadini del paese di arrivo, pagando tasse ben prima di diventarlo e comunque buttando il sangue al nero nella costruzione della ricchezza dei propri benefattori ed ottenendo cittadinanza e servizi molto dopo, leggende a parte. Ben diversa la situazione in qualche stato europeo ed extraeuropeo, spesso definito ultraliberista da una sinistra rimasta ai primissimi anni cinquanta, ma dove non si fanno le differenze per il colore della pelle. Ma anche per quello lì ci sono società che non sono state schiantate dalla crisi, pur essendosela vista brutta.

I cittadini dell’area della Calabria dove si è verificata la rivolta hanno manifestato disagi reali. Come difficoltà concrete esprimono i lavoratori che si sentono messi nell’angolo dalla possibilità, per le aziende, di sfruttare immigrati che diventano così una concorrenza al ribasso. In tanti, soprattutto nelle generazioni più recenti che si rendono conto che comunque gli extracomunitari ci sono ed è meglio che un tetto dato che faticano lo abbiano e che in moschea o nella chiesa ortodossa se vogliono (e se come avviene pagano profumatamente tasse e documenti) possano andarci, si chiedono: ma non sarebbe meglio concedere ai nuovi cittadini gli stessi diritti che hanno gli altri, in modo che tra l’altro tutti possano reclamarli senza il ricatto del disperato che potrebbe fare lo stesso lavoro al nero perchè clandestino?

Sarebbe troppo facile, poi bisognerebbe investire nella ricerca industriale ed imprenditoriale piuttosto che nella precarizzazione del lavoro, ed in tanti perderebbero posizioni di rendita e postazioni di ruolo culturale. Non certo soltanto a destra.

Aldo Ciummo