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UE, Claude Moraes alla guida della commissione per le libertà civili

 

La commissione LIBE, formata giovedì, ha eletto oggi come presidente il laburista britannico Moraes

 

 

 

Il laburista inglese Claude Moraes è stato eletto alla presidenza della commissione per le Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni (Libe) durante l’assemblea costitutiva che ha avuto luogo oggi, lunedì 7 luglio, a Bruxelles.

Giovedì 3 luglio l’Europarlamento aveva eletto i sessanta componenti della commissione, che resteranno in carica per due anni e mezzo: il Partito Popolare Europeo (PPE) conta diciotto rappresentanti nella Libe, il gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D) ne ha quindici mentre i Conservatori e Riformisti (ECR) ne hanno sei e i Liberali e Democratici Europei (ALDE) cinque.

Sono rappresentati, entrambi da quattro eurodeputati, anche il gruppo della Sinistra Unita Europea/Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL) ed i Verdi-Alleanza Libera Europea (Verts/ALE) e l’Europa per la Libertà e la Democrazia Diretta, che conta a sua volta su quattro esponenti nella commissione, stesso numero di eurodeputati assegnato ai non iscritti.

Uno dei primi argomenti che la commissione dovrà affrontare è la questione della protezione dei dati, che ha tenuto banco nell’anno passato e che entrerà in ulteriori capitoli specifici adesso, dato l’avanzamento delle trattative per la Transatlantic Trade and Investment Partnership ed i problemi che alla sua conclusione possono essere posti proprio a causa delle diversità di valutazione, tra UE ed USA, riguardo alle politiche di controllo dei dati personali. Ma anche diritto di asilo e contrasto alle discriminazioni rientrano tra le competenze della LIBE.

Moraes sarà coadiuvato dai vicepresidenti Kinga Gàl (PPE, Ungheria), Iliana Iotova (Socialisti e Democratici, Belgio), Jan Philip Albrecht (Verdi, Germania), Barbara Kudrycka (PPE, Polonia) eletti lunedì dall’assemblea della commissione.

Aldo Ciummo

La Slovacchia presenta la propria letteratura contemporanea

Le letterature europee all’Accademia di Ungheria,  la Commissione Europea tra gli organizzatori

Venerdì 21 marzo l’Accademia d’Ungheria a Roma ha ospitato presso la sua sede una serata dedicata alle letterature europee, con la partecipazione di poeti provenienti da diversi paesi della UE.

Per l’Ungheria c’era Sándor  Kányádi, originario della Transilvania e fondatore dell’Accademia Digitale delle Lettere. Editore, negli anni cinquanta, dell’Almanacco Letterario (Irodalmi Almanach), si è spesso occupato, nelle sue opere, dei problemi delle minoranze e del rapporto dell’individuo con la comunità circostante.

Katarína Kucbelová (Slovacchia), creatrice del premio letterario slovacco (Anasoft Litera) ha pubblicato quattro raccolte di poesie, le più recenti tra le quali sono state le raccolte “Piccola grande città” nel 2008 e “Sa quello che fa” nel 2013, che sono apparse in decine di lingue nelle riviste letterarie internazionali.

I poeti intervenuti, oltre a quelli già citati, sono stati Karl Lubomirski (Austria), Ekaterina Josifova (Bulgaria), Sarah Zuhra Lukanić (Croazia), Ulrike Draesner (Germania), Bianca Menna (Italia), Wojciech Bonowicz (Polonia), José Tolentino Mendonça (Portogallo), Peter Borkovec  (Repubblica Ceca), Daniela Crăsnaru (Romania), Dušan Šarotar  (Slovenia), Zingonia Zingone (Spagna), Daniela Attanasio e Paolo Febbraro. Nel pomeriggio si era svolto anche un reading presso la “Casa delle Letterature”.

L’iniziativa (patrocinata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura e dalla Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco)  è stata organizzata dalla Commissione Europea, dall’Eunic, dall’assessorato alla cultura del comune di Roma, dalla Casa delle Letterature, dal Forum Austriaco di cultura a Roma, dall’Istituto Bulgaro di cultura, dal Centro Ceco, dall’Ambasciata della Repubblica di Croazia nella repubblica italiana, dalla Federazione Unitaria Italiana Scrittori, dal Goethe Institut, dall’Istituto Polacco a Roma, dall’Istituto Camoes Portugal, dall’Istituto Slovacco a Roma, dall’Accademia di Romania, dall’Ambasciata della Repubblica di Slovenia a Roma e dall’Istituto Cervantes.

Aldo Ciummo

Europa: fare passi avanti sulle unioni civili

In una risoluzione giovedì il Parlamento Europeo ha condannato gli atteggiamenti delle istituzioni che incoraggiano le discriminazioni omofobiche

 

Giovedì è stata approvata con un’ampia maggioranza una risoluzione del Parlamento Europeo con la quale l’assemblea ha affermato che gli stati componenti la UE dovrebbero dare l’esempio nella lotta contro l’omofobia. In particolare, gli eurodeputati hanno invitato governi e parlamenti nazionali ad elaborare istituti giuridici come le unioni registrate rispettando così i diversi orientamenti sessuali delle persone.

Esiste il problema di paesi che non fanno parte della Unione Europea ma che aspirano ad intrattenere crescenti contatti con la UE (Federazione Russa, Ucraina, Moldavia) e nei quali il discorso politico purtroppo non è esente da incitamenti all’odio verso settori minoritari della popolazione, discriminazioni che includono l’ostilità verso alcuni orientamenti sessuali. Gli accordi della UE con paesi terzi sono subordinati al rispetto dei diritti fondamentali.

Nella risoluzione presentata dai gruppi del Partito Popolare Europeo, Socialisti e Democratici, Alleanza dei Liberali e Democratici Europei, Verdi/Alleanza Libera Europea e GUE/NGL (Sinistra Unitaria Europea-Sinistra Verde Nordica) si sottolinea che tutti i cittadini europei debbono vedersi riconosciuto lo stesso rispetto. Strumenti legislativi come le unioni registrate rappresentano un passo avanti fattibile, se negli stati esiste la volontà politica, dato che la maggioranza dei cittadini negli stati sono già favorevoli al riconoscimento di pari diritti alle coppie.

Il documento è stato approvato con 430 voti a favore, 105 contrari e 59 astensioni. Nella risoluzione si registrano le violazioni dei diritti fondamentali tuttora frequenti nell’Unione Europea e si esprime preoccupazione per gli sviluppi che limitano la libertà di espressione e di associazione: in sei paesi (Federazione Russa, Ucraina, Moldavia, Lituania, Lettonia, Ungheria) alcuni dei quali facenti parte della UE, sono state purtroppo introdotte norme liberticide che sono state utilizzate per arrestare e multare cittadini di orientamento sessuale diverso dalla maggioranza ed anche cittadini eterosessuali che hanno espresso sostegno verso i diritti di omosessuali, lesbiche, norme che il Parlamento Europeo ha individuato come elementi che legittimano le violenze e l’intolleranza.

Aldo Ciummo

Strasburgo: “il muro di silenzio intorno alla Russia va rotto”

Mosca capitale della Russia, gli eventi storici qui condizioneranno tutto il futuro anche economico dell'Europa Unita, che intrattiene con la Federazione Russa rapporti vitali

Mosca capitale della Russia, gli eventi storici qui condizioneranno tutto il futuro anche economico dell'Europa Unita, che intrattiene con la Federazione Russa rapporti vitali

L’organizzazione non governativa russa “Memorial” ha vinto il Premio Sacharov 2009 dedicato a chi si batte per la democrazia, il riconoscimento verrà assegnato il 16 dicembre 2009.

 

 

 

 

 

 

Un riconoscimento ed un segnale di presenza da parte della nostra Europa verso tutti coloro che in Russia lottano per la difesa dei diritti e delle libertà e contro la restaurazione strisciante dello Stato che può tutto verso gli individui: è il premio europeo Sacharov 2009, attribuito al gruppo russo Memorial,  rappresentatoda Oleg Orlov, Sergei Kovalev e Lyudmila Alexeva, il presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek ha annunciato questa mattina la decisione, la consegna avverrà a Strasburgo il 16 dicembre.

Buzek ha ricordato di venire da Solidarnosc, uno dei movimenti che ha liberato la Polonia da uno dei più duri regimi dell’Est europeo, un richiamo che merita di essere raccolto da una Unione Europea che, verso il grande vicino storico ma anche verso il Kurdistan turco, la Palestina, il Mediterraneo, l’Iran e tutte le aree dove i diritti sono compressi (e spesso con essi la vita umana), ha dei doveri di iniziativa democratica. Il mondo è profondamente cambiato e sarebbe un tragico ritardo culturale negare agli attivisti russi l’aiuto da cui dipende il futuro non solo della Ex Urss ma anche dell’Europa, che dalle sue politiche è strategicamente condizionata.

Il centralismo dell’ex Urss, che riprende in parte quello sovietico, non è il contraltare di un supposto “impero” occidentale sviluppato, peraltro a sua volta in rapido mutamento, un cambiamento che ne favorisce politiche sempre meno schematiche. Coloro che vivono l’Europa e gli Stati Uniti hanno la facoltà di portare avanti azioni e movimenti politici anche di rottura e di completa alternativa (anche perchè qui tali azioni non si concludono se non in rarissimi casi con la morte violenta di chi le promuove), qualsiasi iniziativa democratica non può avere come presupposto la negazione del supporto a chi si batte contro regimi autocratici, oppure a democrazia fortemente controllata (quest’ultimo è il caso della Federazione Russa).

A gestire sistemi militarizzati di produzione o monopoli statali inattaccabili non sono lavoratori, nei paesi sottosviluppati. Nello stesso tempo, soltanto una piccola parte dei lavoratori e delle fasce di popolazione in difficoltà in occidente sono operai salariati: gli altri sono immigrati, precari, studenti, professionisti e anche in massiccia parte pensionati, microimprenditori e abitanti autoctoni degli stati nazionali d’Europa.

Nella stragrande maggioranza dei paesi della Unione Europea la sinistra ha intrapreso lo sforzo di rappresentare le persone staccandosi da schemi risalenti a prima della caduta del muro di Berlino, in due terzi dell’Europa i partiti ecologisti e radicali, liberaldemocratici di sinistra e movimenti nati dalla contestazione no global non difendono i vecchi regimi che hanno sfruttato i lavoratori e compresso le libertà. Le nuove sinistre si propongono di dialogare con vaste fasce dell’elettorato, caratteristica che, unita ad un’attidudine all’ apertura all’esterno, ai gruppi sociali, permette loro di portare avanti iniziative sostanziali (i verdi hanno più del dieci per cento in Germania, i movimentisti più del dodici per cento in Portogallo e queste situazioni si verificano pressochè ovunque tranne che in Italia, Spagna e Grecia, ma limitatamente agli ultimi due casi il principale partito di opposizione adotta una agenda politica progressista e non teme di difenderla, circostanza che lo ha portato al governo).

Il dinamismo della sinistra a livello continentale è dovuto chiaramente anche a motivi storici. La sinistra tedesca, anche movimentista ed alternativa, ha dovuto sostenere come prima cosa, nella parte orientale del paese, una dura lotta contro il regime comunista filosovietico, lotta dalla quale provengono molti dei suoi dirigenti, almeno nel caso dei Verdi. La necessità di mantenere rapporti costruttivi con i vicini ha portato le socialdemocrazie nordiche ad un’effettivo interesse per le condizioni di vita dei suoi lavoratori, unito alla difesa dei diritti individuali che oltre i confini erano negati. In tutti i paesi dell’Est i politici non possono ignorare il valore della libertà accanto a quello dell’uguaglianza, anche esso negato nei regimi dell’Est nel passato. Quanto al Regno Unito ed ai paesi legati alla sua tradizione, i fortissimi movimenti dei lavoratori si sono sempre tenuti alla larga da chi faceva il lavoro di parlare del lavoro e contemporaneamente reprimeva sistematicamente i lavoratori, come è successo a Praga, Budapest, Danzica in decenni diversi, fino alla vigilia del crollo del muro. Per questo l’UK era un modello di partecipazione e del servizio pubblico e per molti versi lo è tuttora, anche dopo la ristrutturazione neoliberista degli anni ’80, come pure lo è per la “laicità” ideologica dei movimenti di sinistra e per  i diritti.

Ma torniamo al riconoscimento per la democrazia attribuito all’organizzazione “Memorial”, da Strasburgo, una delle tappe che offre spunti di approfondimento anche alle tradizioni di opposizione cresciute in situazioni tutelate in Europa, dove era presente la protezione delle forze di opposizione maggiori ma in totale assenza del contatto con la durezza del socialismo reale, come Italia e Francia. I premiati dall’Europa per il contrasto alle misure liberticide nell’ex Urss sono:

Oleg Orlov, attuale direttore di Memorial, condannato il 6 ottobre da un tribunale di Mosca a risarcire il presidente ceceno Ramzan Kadyrov per diffamazione ed obbligato a ritirare le sue dichiarazioni in cui accusava Kadyrov di essere responsabile dell’omicidio dell’attivista di Memorial Natalia Estemirova. Il 23 novembre 2007  è stato rapito in Inguscezia e minacciato di morte, poi rilasciato.

Sergei Kovalev, fondatore della prima associazione dei diritti umani in Russia nel 1969, il “Gruppo di iniziativa per la Difesa dei Diritti Umani nell’Urss” è anche fra i creatori di Memorial. Kovalev ha sempre denunciato le tedenze autoritarie  dei governi di Boris Eltsin e Vladimir Putin. Nel 1996 ha dato le dimissioni dalla presidenza della commissione per  i diritti umani istituita da Eltsin per protesta. Nel 2002 ha istituito una commissione d’inchiesta per investigare sulle bombe esplose in vari appartamenti a Mosca nel 1999. I lavori della Commissione si sono interrotti a seguito dell’ assassinio, l’avvelenamento e la persecuzione dei suoi membri.

Lyudmila Mikhailovna Alexeyeva, ha fondato insieme ad Andrei Sacharov ed altri il Gruppo “Mosca-Helsinki” che doveva monitorare l’osservanza, da parte dell’Urss, degli accordi di Helsinki nel 1975 (che stabilivano standard minimi di legalità che avrebbero dovuto essere rispettati anche nell’Europa orientale). Alexeyeva milita a favore dei diritti umani fin dagli anni ’60. A quei tempi protestava contro il regime chiedendo processi giusti per i dissidenti e mass media obiettivi. E’ stata per questo espulsa dal Partito Comunista e allontanata dal suo lavoro di editrice per una rivista scientifica. Nel periodo dopo la caduta del muro di Berlino ha criticato spesso il Cremlino, accusando il governo di incoraggiare gli estremisti con le sue politiche nazionaliste, dalle deportazioni di massa dei georgiani nel 2006 ai raid della polizia contro gli stranieri nelle strade di Mosca, fino alla condotta dei russi in Inguscezia.

Nei paesi occidentali europei come l’Italia e la Francia, dove il Partito Comunista era più forte ed occupava davvero uno spazio sociale, quel partito era anche una comunità con una cultura, e ad esempio in Italia è stato un fondamentale argine a rischi reazionari, uno strumento potente per l’emancipazione dei lavoratori che creavano la ricchezza del paese e un baluardo contro la malavita nel Sud dell’Italia. In un’epoca di assenza della sinistra e delle istanze che storicamente essa porta avanti, l’epoca nella quale invece più ve ne sarebbe bisogno, quella comunità manca.

Ma quella formula di autodifesa dei lavoratori conteneva anche un loro ingabbiamento e il condizionamento dell’intero campo della sinistra e dei movimenti per l’uguaglianza che si esprimeva tragicamente nell’appoggio incondizionato a schemi mentali e sistemi politici molto cinici: Indro Montanelli, che era un grande testimone, liberale le cui idee erano in gran parte discutibili ma il suo sguardo sulle cose era onesto, ricordava di aver ascoltato gli slogan dei deputati comunisti italiani alla radio mentre seguiva in Ungheria i fatti del ’56 (“viva l’armata rossa!”) e mentre in Ungheria l’esercito sovietico uccideva nelle cantine operai e studenti. Se la sinistra, di cui si avverte un forte bisogno in Europa, ritornerà forte, starà al senso critico e alla volontà di partecipazione diretta delle fasce sociali che la ricostruiranno assicurare una onestà intellettuale maggiore ed una minore legnosità.

Aldo Ciummo

STORIE D’ EUROPA | Quanto è difficile fare i portoghesi in Europa

 

 

Dentro la nostra Europa e fuori dalla Televisione c'è anche questo, se lo teniamo fuori non c'è nessun allargamento    FOTO di Aldo Ciummo, Roma, 2008

Dentro la nostra Europa e fuori dalla Televisione c'è anche questo, se lo teniamo fuori non c'è nessun allargamento FOTO di Aldo Ciummo (Roma)

L’Europa sta traendo linfa dall’apertura, al suo interno come oltre i suoi confini, ma per diventare europei occorre molto tempo, e perchè venga riconosciuto, a volte anche molto di più

 

 

 

 

 

 

Aurora De Freitas ha oggi 65 anni, 41 li ha spesi combattendo per i diritti dei suoi connazionali immigrati in Francia, non immigrati da terre lontanissime, afflitte da guerre o carestie, ma da un paese europeo, il Portogallo. Ieri l’Europa l’ha premiata per questo, con un premio che suona un pò come un simbolo stakanovista prestato al capitale, The Single Market Award, attribuito dalla Ue a una persona o organizzazione che ha migliorato con la propria azione il mercato interno, De Freitas forse lo ha fatto, ma soprattutto ha aiutato il volto sociale e autogestito dell’altra Europa, aiutando i cittadini portoghesi fin da quando questi non erano cittadini comunitari o lo erano con un sospetto di inadeguatezza sulle spalle, come i romeni e i bulgari oggi, come tutti quelli che, diceva Pasolini nel “Caos”, nelle sue rubriche, hanno la pelle e il volto bruciati dal sole delle epoche contadine, dal mestiere di vivere.
 
E’ singolare che solo una parte del proprio impegno venga ricosciuta a questa persona, la parte che ha migliorato le relazioni commerciali, solo la punta dell’iceberg in una società dove il contributo dell’attivismo dal basso da parte degli immigrati e delle comunità locali nelle province, nelle periferie, è il motore di quella integrazione reciproca che sta dipingendo l’Europa di oggi e che costruirà quella di domani, con la lenta apertura alle culture anche più lontane che continuamente si innestano in quelle di approdo, all’Esquilino come nelle banlieues parigine. Ed è limitativo riconoscere lo sforzo di una vita “politica” nel senso più significativo del termine, soltanto a chi oramai ha assunto già da ventitrè anni la patente di europeo.
 
Ma questa storia, la storia di una donna che trova lavoro come operaia e cucitrice a sedici anni, che a ventiquattro si trasferisce in Francia dove per altri diciotto anni sarà una extracomunitaria soggetta a tutta la precarietà con il suo corollario di permessi e di sfruttamento del lavoro, ma dedicherà tutto il suo tempo libero ad assistere gli altri immigrati del suo paese, il Portogallo, andando a lavorare all’alba per avere poi il tempo di confrontarsi con le istituzioni, fa pensare a molte altre storie velate dalla distrazione dell’efficenza contemporanea e dalla patinatura della comunicazione-spettacolo. Anche perchè come accade oggi con ungheresi e slovacchi, questa storia non è finita con l’accesso alla Ue. Ancora nel 2004 Aurora ha dovuto intraprendere una campagna per rendere più facile per la comunità portoghese avere la residenza in Francia, e lo stato da cui proviene è un membro della comunità fin dal 1986 ! Quanti anni ci vorranno perchè i cittadini dei Balcani siano considerati alla pari degli europei dei membri “doc” e quanti ce ne vorranno ancora perchè la società europea riconosca gli immigrati anche dagli altri continenti come persone e non soltanto come numeri destinati ad alimentare il mercato?
 
Il premio che Aurora De Freitas ha ricevuto è un premio, è scritto nel riconoscimento, ai cittadini che hanno compreso che lottare per i diritti all’interno di questo mercato è qualcosa per cui vale la pena di spendersi. “Faccio queste cose perchè non mi piace vedere la gente soffrire” ha dichiarato Aurora nel ricevere il Single Market Award, probabilmente sono tanti gli immigrati interni, comunitari e non, che la pensano come lei. Il migliore riconoscimento per loro sarebbe un’ Europa che non li vede soltanto come un grande mercato.
 
 
Aldo Ciummo