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Tony Abbott prende il posto di Kevin Rudd

Kevin Rudd, da poco subentrato a Julia Gillard come premier australiano, non ha retto le divisioni del suo schieramento e il peso economico dei sostenitori di Abbott

Niente da fare per i Laburisti guidati da Kevin Rudd, premier uscente dopo essere subentrato all’inizio di questa estate a Julia Gillard (a sua volta preferita dal partito laburista a Rudd per sostituirlo nel ruolo di primo ministro nel 2010). Le stesse divisioni interne che hanno portato i progressisti australiani a mettere in primo piano ora l’uno ora l’altro leader ne hanno determinato una costante erosione nei consensi che nelle elezioni di sabato 7 settembre 2013 ha consegnato il successo a Tony Abbott, che rappresenta i conservatori (Liberali). Kevin Rudd ha preso atto del risultato e si è congratulato con Abbott.

I dati disponibili non sono definitivi, ma indicano chiaramente che gli eletti con Abbott avranno (nell’ipotesi più ottimistica per i loro avversari) circa ottanta seggi sui centocinquanta della camera bassa, inoltre ci sono segnali che a situazione definita nei vari collegi la maggioranza di Tony Abbott potrebbe essere ancora più solida, anche se non al senato, dove le difficoltà derivate dal sistema elettorale con più preferenze (tese a rappresentare al massimo la volontà degli elettori) lasciano immaginare che i problemi visti durante la coalizione dei Laburisti con Verdi e indipendenti potrebbero presentarsi nel corso della legislatura anche per i Conservatori.

Bob Hawke, in passato ministro laburista, ritiene che gli errori dei Laburisti sono stati determinanti nella sconfitta. Molti annotano che per Rudd vincere non sarebbe stato facile, dato il fuoco di sbarramento dei media legati a Rupert Murdoch, che in Australia non hanno fatto in nessun modo mistero dell’avversione dell’imprenditore per i Laburisti. Forte è stata anche la dispersione dei consensi verso diverse forze minori come i Verdi, gli Indipendenti e la lista dell’imprenditore Clive Palmer, oltre naturalmente a quella di Assange (tuttora a Londra nell’ambasciata ecuadoregna e quindi impossibilitato ad avere un peso effettivo nella competizione).

I Laburisti hanno contrattaccato direttamente chiamando in causa Rupert Murdoch, che con i suoi mass media li ha criticati continuamente. Il Primo Ministro laburista Kevin Rudd sosteneva, indirettamente, che il piano del governo progressista di portare la connessione veloce a tutti i cittadini non piaceva a Murdoch, che avrebbe visto come conseguenza immediata il calo di attrattiva delle proprie televisioni via cavo e avrebbe posto quindi i suoi sforzi per assicurare la vittoria a Tony Abbott.

Anche i Conservatori hanno un piano per la banda larga, differente sia negli investimenti previsti, che sarebbero minori, sia nella rete individuata (le infrastrutture di rame esistenti invece della fibra ottica, almeno nei grandi centri e nelle regioni più densamente popolate). Una storia a sé dentro le elezioni è quella dei molti candidati laburisti irlandesi presenti nelle consultazioni australiane, la cui rielezione o meno emergerà dai dettagli della contesa, ancora indefiniti. Alcuni di questi, come Ursula Stephens, vedranno i propri dubbi risolversi ancora più tardi, quando saranno noti i risultati riguardanti il Senato.

Questi candidati hanno portato la propria campagna elettorale nei luoghi di origine, legati per molti aspetti al paese di immigrazione. Altri laburisti con le stesse origini sono Laura Smyth, Brendan O’ Connor (ministro australiano uscente al Lavoro), Deborah O’ Neill. I cattolici sono la maggioranza relativa ma le sorti elettorali dei candidati dipendono in Australia (come in Eire e in Ulster) dalla geografia dei collegi e dalla classificazione dei candidati del territorio indipendentemente dalla somma delle schede, perciò la distribuzione irregolare di questo elettorato molto vicino ai Laburisti australiani non assicura la vittoria del partito, che infatti non si è verificata.

Il peso dei candidati di origine irlandese però è rilevante ed è il motivo per cui a proposito di collegi elettorali situati nel Nuovo Galles del Sud o nel Victoria si leggono i nomi delle località di Wicklow, Belfast, Tralee, Kilkenny, dove in realtà i candidati hanno dovuto spesso recarsi per avvantaggiarsi di duraturi legami da una parte all’altra del mondo. Lo stesso avviene d’altronde (come si è visto nel 2008 quando Obama fu eletto negli Usa) nei ripetuti casi in cui i leader dei Democratici statunitensi si accreditano in Irlanda per assicurarsi l’appoggio di importanti segmenti della società oltreoceano che conservano gelosamente le proprie origini.

Ai Laburisti australiani però l’attenzione ai diversi settori della cultura locale non è bastata, perché le divisioni nel partito hanno oscurato un dato che il mondo guarda con interesse: una crescita economica che per quanto in rallentamento non è stata frenata dalla crisi economica globale. I Conservatori guidati da Tony Abbott sono cresciuti nei consensi in base ad una proposta che è apparsa unitaria ed ha fatto leva sul proposito di destinare una quota maggiore delle risorse nella creazione di infrastrutture, percepite come essenziali in un paese molto esteso e dove sono presenti grandi aree poco abitate. Uno dei problemi che l’esecutivo si troverà di fronte è l’emergente contraddizione tra una tradizionale politica di vicinanza alle posizioni degli Stati Uniti ed una emergente interdipendenza con l’economia della Cina.

Aldo Ciummo

Michael Higgins presidente dell’Irlanda, la città di Dublino sempre più a sinistra

I dubbi sulla regolarità di alcuni episodi nell’ex partito di governo sono stati fatali per le aspirazioni di Sean Gallagher, mentre il candidato del Labour, Higgins, è stato riconosciuto come proposta autorevole

di   Aldo Ciummo

L’Irlanda continua nello spostamento significativo di vecchi equilibri, scomparsi assieme al ruolo di partito semi-permanente di governo accordato nei decenni passati al Fianna Fàil (una forza conservatrice di centro nazionalista), dopo la vittoria alle politiche di quest’anno dell’alleanza formata da Fine Gael (centrodestra liberale) e Laburisti, che ha portato Enda Kenny alla carica di Taoiseach (Primo Ministro).

Adesso è la volta della Presidenza della Repubblica, il nuovo Uachtaràn na hEireann è Michael D. Higgins, sostenuto dal Partito Laburista, una forza che partendo da un ruolo storicamente secondario (non oltre il quattordici per cento ancora in anni recenti) ha compiuto un ingresso ragguardevole nell’arena dei maggiori soggetti politici in Irlanda, a partire dalle elezioni europee del 2009 che hanno anche anticipato il peso che i laburisti stavano acquisendo a Dublino, dove oggi sono il primo partito e hanno raccolto un altro successo con l’elezione, nelle suppletive del collegio di Dublino Ovest, di Patrick Nulty. Il Fianna Fàil scompare da Dublino.

Sean Gallagher era favorito fino all’inizio di questa settimana, con un vantaggio di una decina di punti percentuali su Higgins, mentre gli altri candidati rimanevano molto indietro. L’emergere di una possibile irregolarità nelle modalità della raccolta dei fondi per il Fianna Fàil, in realtà del tutto presunta e legata ad una limitata donazione di un privato al FF (non in questa elezione) ha fatto crollare in pochi giorni il consenso di Gallagher.

Probabilmente a permettere a Higgins di diventare il nono presidente della repubblica irlandese è stata anche la voglia di riportare al centro una figura in grado di ricordare l’immagine presidenziale che lo stesso candidato del Labour ha tratteggiato dichiarando di voler essere “un presidente di cui andare fieri”. Il suo maggiore avversario, Sean Gallagher, ha detto “sono sicuro che sarà quel presidente” e lo ha ringraziato per la campagna positiva. Ma il primo a contratularsi con Michael Higgins è stato David Norris, uno dei candidati sconfitti, che ha una lunga storia per i diritti delle minoranze in Irlanda.

Sono stati battuti anche la cattolica Dana Rosemary Scallon, la civica Mary Davis e Gay Mitchell, che correva per il Fine Gael (il maggior partito di governo, mentre il secondo è il Labour in base alle ultime elezioni politiche nazionali), mentre ha avuto un buon risultato, che supera quello del partito, il candidato dello Sinn Féin Martin Mc Guinness, uno dei dirigenti dello Sinn Fein in Irlanda del Nord, con un passato nell’Ira: la lista nazionalista con sfumature socialiste ha intercettato molto del malcontento dovuto alla crisi in questi ultimi anni ed alle elezioni politiche di questa primavera ha tallonato i tre partiti maggiori.

I primi risultati sono arrivati da Dublino Midwest e danno Higgins oltre il 40 per cento, Gallagher poco sopra il 20, Mc Guinness al 16 per cento, Norris intorno al dieci, Gay Mitchell al sei, Mary Davis e Dana Scallon intorno al tre per cento a testa. Gli esiti che arrivano dalle altre circoscrizioni non sono molto diversi. Dublino Sudovest ricalca praticamente la situazione del collegio precedente, in particolare per i due principali contendenti. Ieri mattina Michael Higgins, accompagnato dalla moglie Sabina e dai figli Michael e Daniel è rimasto per un pò intrappolato nel traffico nella zona ovest di Galway, hanno riportato i giornali.

Nel Kildare i due politici in testa sono preponderanti con il 45 per Higgins e il 25 per Gallagher. Mc Guinness è un pò più debole a Dublino Ovest e Sud ed in quest’ultima ripartizione Higgins va ancora più forte, con oltre il 50% dei voti. In Dun Laoghaire (Dublino) la storia è la stessa, con Gallagher e Mc Guinness meno votati che in altre aree. Il conteggio finale arriverà questa sera ma le indicazioni sono chiare. Il Fianna Fàil, teoricamente più vicino a Gallagher e seriamente destabilizzato dalle elezioni che alcuni mesi fa lo hanno visto spintonato da largamente primo (e longevo) partito di maggioranza a malapena terzo, si è congratulato con Higgins attraverso il leader del FF Michael Martin, che ha affermato: ” sarà un eccellente presidente e rappresentante per l’Irlanda”.

Nel Tipperary (sud) Higgins e Gallagher sono testa a testa e McGuinness è un candidato forte con il 13 per cento, mentre a Donegal Nordest (vicino l’Irlanda del Nord) il primo è McGuinness dello Sinn Fein con il 32 per cento ed in controtendenza seguono Gallagher (ventotto) e dietro Higgins (ventitre), a Limerik (sud della repubblica) Higgins prende più della metà dei voti, in Cavan Monaghan (appena a sud dell’Irlanda del Nord, a nordovest di Dublino) è primo Gallagher e seguono, alla pari Higgins e McGuinness.

Ritornando alle elezioni suppletive di Dublino circoscrizione Ovest, con l’elezione di Patrick Nulty il Labour conferma l’andamento positivo avviato diventando il primo partito della città nelle elezioni europee del 2009 e (nella capitale) anche alle politiche, ma un altra corrente di sinistra maggioritaria riconferma la sua forza in città, l’area movimentista che permise alle liste a sinistra del Labour di ottenere un eurodeputato (sui dodici irlandesi a Strasburgo) del Socialist Party e che con la formula dell’United Left Alliance (ULA) ha portato quattro deputati del Socialist Party e del People Before Profit nel parlamento irlandese questo marzo.

Ruth Coppinger (Socialist Party) infatti ha ottenuto circa il 20 per cento nella circoscrizione ovest chiamata alle urne per un seggio del Dàil Eireann, composto da 166 deputati. Il Fianna Fàil qui ha ottenuto il 21 per cento con un altro McGuinness, David, da non confondere con quello più noto dello Sinn Fèin, Martin. Il FF però resta senza rappresentanti a Dublino e questo è indicativo dell’attuale situazione del partito che ancora con Bertie Ahern e Brian Cowen pareva in grado di reggere questa crisi di consenso come aveva fatto in tante occasioni nei decenni. Riguardo all’eletto, Patrick Nulty (28 anni) si è impegnato molto per i senzatetto.

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Abbassamento dell’età elettorale, dibattito urgente

La proposta di Sandro Gozi e altri deputati sottolinea una contraddizione che trattiene l’Italia in una situazione di scarsa rappresentatività

di  Aldo Ciummo

Modificare gli articoli 56 e 58 della Costituzione, riguardanti l’elezione dei deputati e senatori: la recente proposta di Sandro Gozi e di altri deputati come Graziano, Formichella, Cementero (espressione di un lungo impegno in questo senso da parte dei sottoscrittori) mirata a permettere l’elezione in Parlamento di rappresentanti delle ultime generazioni ed il voto anche al Senato da parte di cinque milioni di cittadini che ad oggi non sono intitolati ad esercitarlo, potrebbe aprire un dibattito molto ampio, soprattutto considerando che l’Italia si trova vicina alla possibilità di un riavvicinamento all’Europa.

Logicamente si osserva, da parte dei promotori che l’abbassamento dell’età di elettorato dei candidati e dei votanti produrrebbe quasi automaticamente un maggior peso di temi oggi ignorati e una maggiore partecipazione di parte della popolazione. Ma a questi cambiamenti occorrerebbe aggiungere rilevanti modifiche delle dinamiche di partecipazione e di decisione a molti altri livelli della società, dato che la libertà politica si sviluppa in condizioni di effettiva partecipazione ed autonomia, aspetti il cui percorso oggi deve procedere in una situazione di fragilità della società italiana ben note a tutti.

Certo l’abbassamento dell’età necessaria per essere eletti in Senato da 40 a 25 anni e di quella richiesta per votare a 18 completerebbe la rappresentanza (per altro oggi inficiata dall’impossibilità di indicare le preferenze elettorali e dalla presenza di meccanismi di premio maggioritario distorsivi delle proporzioni che emergono dal voto). In realtà anche il limite di 25 anni d’età resterebbe un dato che si discosta da quello della maggiore età.  Alla Camera il limite alla eleggibilità andrebbe abbassato a 18 anni, come chiedono gli autori della proposta, consentendo l’apporto di una parte importante della cittadinanza a decisioni che soprattutto in questo periodo storico influenzano maggiormente il futuro di questo settore della popolazione, ad esempio in materia di istruzione, lavoro ed ambiente.

Attualmente l’Italia e Cipro sono i paesi europei con la più alta età richiesta per il riconoscimento dell’elettorato. In undici paesi nella UE l’età che consente di votare e di essere eletti negli organi rappresentativi è la stessa. Al di là della proposta specifica, che apre un dibattito importante in Italia, in un momento in cui l’agenda delle generazioni anziane è più forte e preponderante che mai in tutti i settori della vita associata e nella geografia istituzionale, si possono aggiungere alcune considerazioni sulle opportunità di democratizzare, in maniera realistica, le organizzazioni decisionali in Europa.

Nelle recenti elezioni regionali tedesche si è visto come il land di Brema abbia consentito il voto a partire dai sedici anni, una decisione che ha tenuto conto del fatto che proprio la parte della popolazione “in entrata” nella realtà del lavoro ha il maggior interesse e diritto di partecipare ai cambiamenti. I media europei ed  italiani hanno riportato l’intenzione, affermata dalle regioni di Brandeburgo ed Amburgo (che come Brema sono Stati della Repubblica Federale) di adottare regole simili per le future consultazioni. Meccanismi attivati non in uno stato “avventurista”, ma nella nazione che molto concretamente sta reggendo, con pochi vicini, l’intera UE.

Una riflessione che si può tagliare su misura per il caso italiano (di sovrarappresentazione della terza età in tutti i settori della vita associata) è il seguente: una correzione abbastanza incisiva dei sistemi di partecipazione e di decisione, inclusiva di parti della popolazione (giovani, donne, immigrati) oggi determinanti più che in passato nella gestione delle trasformazioni in atto, ma sottorapresentate politicamente, si tradurrebbe anche in un riequilibrio necessario in uno stato dove la preponderanza numerica delle anziani generazioni è di per sè un fattore che trattiene il paese in tendenze che lo allontanano dal resto del continente.

Nella proposta citata non si parla nè delle elezioni tedesche, che fanno parte della cronaca, nè di aspetti demografici del paese, che sono dinamiche di lunghissimo periodo. Ed anche volendo aggiungere, dopo aver letto la proposta, osservazioni sulla realtà italiana, occorre tenere fermo il principio che tutte le parti della società contribuiscono in maniera importante alla crescita italiana: purchè non ci si diriga in modo eccessivamente miope verso l’espulsione di  settori della popolazione dalla partecipazione alla vita del paese, come negli ultimi quindici anni si sta purtroppo cercando di fare in Italia contro le  recenti generazioni, che invece sono comprensibilmente al centro di significativi investimenti nelle aree più avanzate dell’ Unione Europea.

Gli investimenti UE per la futura crescita

 

Giugno si è chiuso con l’impegno della Commissione Europea su alcuni punti fondamentali come sviluppo e formazione: anche il Parlamento Europeo è impegnato nella definizione di linee guida che peseranno sui cambiamenti nelle regioni della UE

di    Aldo Ciummo

Se si chiede dove va l’Europa forse il modo migliore per iniziare a cercare risposte è guardare dove investe: una caratteristica del bilancio Ue è che contemporaneamente è esiguo rispetto al reddito lordo dei cittadini dei ventisette ma significativo rispetto ai settori di cui l’Europa deve occuparsi senza le uscite fisse tipiche dello stato nazionale (controllo del territorio, spesa pensionistica e le altre voci ad oggi coperte soprattutto o unicamente dagli stati).

La dotazione finanziaria comunitaria è importante in particolare nei confronti di quelle regioni dove interventi e sostegni mirati servono a riequilibrare situazioni di svantaggio o di mancato collegamento rispetto alla comunità nel suo complesso e perciò ad assicurare la competitività europea nel suo insieme.

Dal 29 giugno sappiamo che il bilancio pluriennale per il periodo 2014-2020 presenta, tra le innovazioni rilevanti, il Meccanismo per collegare l’Europa, dedicato a progetti transnazionali nel campo dell’energia, dei trasporti, delle tecnologie dell’informazione: il fine è consolidare il mercato interno.

Finanziamenti maggiori andranno alla ricerca ed alla innovazione, fondi anche destinati alle ultime generazioni, nel mirino della crisi economica globale in corso.

Per i prossimi sette anni si propongono 1025 miliardi di euro in stanziamenti di impegno (1,05%) del reddito nazionale lordo della UE) e 972, 2 miliardi di euro in stanziamenti di pagamento (1% del reddito nazionale lordo della UE).

Janusz Lewandowski, Commissario per la Programmazione Finanziaria ed il Bilancio, ha affermato che redistribuendo tra le priorità le risorse è possibile incoraggiare le infrastrutture transnazionali, la ricerca e lo sviluppo, l’istruzione e la cultura, con effetti positivi anche nelle relazioni con i vicini a Sud ed a Est della nostra Europa.

UE: iniziative congiunte col Mercosur

Questa settimana l’Unione Europea ha portato avanti importanti contatti con l’America Latina, mercato ed ambiente istituzionale emergente

Martedì si è svolto in incontro tra il vicepresidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittella (gruppo dei Socialisti e Democratici) ed il presidente del Paraguay, Fernando Lugo Mendez. Gli argomenti trattati erano l’avanzamento dei negoziati con il Mercosur, il processo di integrazione continentale in America Latina e la necessità di azioni congiunte nelle questioni mondiali.

L’accordo di libero scambio con i paesi del Mercosur è stato definito un accordo che deve essere in grado di gestire il settore del commercio attraverso concessioni reciproche. Pittella ha auspicato una conclusione positiva dei negoziati che sono ripresi recentemente.

Il Parlamento Europeo ha affermato la propria disponibilità a collaborare con i paesi dell’America Latina, se richiesto, per supportare con l’esperienza europea il processo di integrazione in corso nel continente nel rispetto delle differenze nazionali e con l’obiettivo di creare una organizzazione sovranazionale come avvenuto in Europa.

Il vicepresidente del Parlamento Europeo ha incoraggiato il presidente del Paraguay Fernando Lugo a continuare negli sforzi messi in atto con il Mercosur, con l’Unasur e con le varie organizzazioni a carattere sovranazionale dell’area ed ha sottolineato che nell’attuale situazione internazionale sono necessarie forme di governo mondiali per le questioni più importanti come sviluppo sostenibile e migrazioni.

Aldo Ciummo

Occidente unito nelle questioni internazionali

 

 L’Istituto Affari Internazionali IAI nella sua analisi sulla sicurezza globale richiama ad una più forte cooperazione UE-USA a protezione dello spazio  atlantico

 

di Aldo Ciummo

Una cooperazione tra Europa e Stati Uniti più forte e concrieta a protezione dello spazio atlantico favorirebbe la sicurezza globale nel suo insieme.

Per l’Istituto Affari Internazionali di Roma l’Europa si trova di fronte alla necessità di acquisire maggiore visione per arrivare ad una difesa effettiva.

Si è più volte ripetuto che la situazione attuale richiede il superamento di prospettive antiche e l’adozione di una collaborazione tra i soggetti storicamente vicini per interessi e valori condivisi.

L’Unione Europea dovrebbe giungere a livelli di elaborazione paragonabili a quelli statunitensi e trasformare il supporto in vera e propria partnership.

Su queste basi i due paesi possono accordarsi su punti di partenza comuni e iniziare a lavorare su temi specifici, a cominciare dai vari capitoli della sicurezza interna ed esterna.

Una maggiore condivisione delle informazioni porterebbe ad un risposta più rapida ai problemi ed a una nuova cooperazione tra Europa e Nato. L’obiettivo più importante è una collaborazione integrata di sicurezza e politica.

Ulster: DUP e Sinn Féin guideranno il processo di pace

 

Le elezioni dello scorso fine settimana hanno consegnato definitivamente le chiavi dell’esecutivo nordirlandese al partito lealista del DUP che avversò gli Accordi del Venerdì Santo ed agli eredi della lotta armata nazionalista irlandese, lo Sinn Fein: ora dovranno davvero lavorare insieme

Il risultato è lo stesso delle precedenti elezioni politiche dell’Ulster, con la conferma del primato del Democratic Unionist Party: l’ultima trincea dove il predicatore integralista Ian Pasley aveva raccolto i protestanti contrari al processo di pace ed all’inclusione dello Sinn Fein nell’esecutivo il DUP dopo i difficili esperimenti di coabitazione a Stormont (il castello sede del governo autonomo), è una forza che ha imparato sotto la guida di Peter Robinson a guardare avanti.
 
Vengono confermate anche le prospettive di governo dello Sinn Fein, ex braccio politico dell’Ira che con il disarmo del 2005 ha messo fine alla guerra in Irlanda del Nord ed è oggi condotto da Martin Mc Guinness, a lungo vice di Jerry Adams.

Il DUP ha quasi 200.000 voti e trentotto seggi: il suo consenso stabile oggi unisce tradizione identitaria dei lealisti fedeli al Regno Unito e consapevolezza della necessità di proseguire nella collaborazione di tutte le componenti della vita associata in Ulster.
 
Lo Sinn Féin continua a crescere (pur non mantenendo il primato consentitogli per la prima volta nelle europee del 2009 dalla scissione della lista Traditional Unionist Voice dal DUP), arrivando quasi al ventisette per cento e guadagnando ventinove seggi, uno in più di quelli che aveva a Stormont.
 
L’Ulster Unionist Party, storico partito maggioritario tracollato dopo aver firmato gli Accordi del Venerdì Santo (1998) che prevedevano l’inclusione dello Sinn Féin nell’esecutivo, è stato protagonista, in questa contesa elettorale, di un disastroso tentativo di riprendersi gli elettori ceduti da allora al partito intransigente del DUP (oggi riposizionatosi come partito di governo): Tom Elliott, alla guida dell’UUP, ha alzato i toni definendo il tricolore irlandese una bandiera straniera, con il risultato di alienarsi il suo elettorato moderato, contribuendo così alla rinascita nelle urne del Partito dell’Alleanza, presenza moderata minoritaria ma importante della politica nordirlandese.
 
Quasi svanito negli anni del dialogo tra sordi susseguitisi dopo gli accordi che avrebbero dovuto portare ad una rapida riconciliazione, il Partito dell’Alleanza si vede ricosciuta la sua scelta di unire protestanti e cattolici favorevoli al superamento del conflitto sulla base della priorità dei problemi concreti con otto seggi ed un posto quasi sicuro nell’esecutivo.
 
L’UUP è caduto da diciotto a sedici seggi. Continua a perdere consensi anche lo SDLP (Social Democratic Labour Party), partito nazionalista irlandese moderato che, in maniera analoga a quanto accaduto ai danni dell’UUP in favore del DUP nei primi anni dello scorso decennio, si è visto sottrarre voti dallo Sinn Fein, premiato inizialmente per la sua intransigenza identitaria e poi per la più fattiva gestione dello scenario post-accordi di pace (1998) e post-disarmo dell’Ira (2005). 
 
La complessità del sistema elettorale e della rappresentanza territoriale ha consentito che con quasi settemila voti in più rispetto al protestante UUP (la forza più colpita dal proseguire dell’emorragia di consensi degli intransigenti verso il Dup e adesso anche dei moderati verso l’Alleanza), l’SDLP sia meno rappresentato nel numero dei suoi seggi, peraltro diminuito da sedici a quattordici. Nel nuovo esecutivo il DUP avrà quattro ministri, lo Sinn Fein tre, l’SDLP, l’UUP e il Partito della Alleanza probabilmente uno a testa.
 
Il Partito dell’Alleanza potrebbe risultare gratificato con un ministero per il leader David Ford nella rappresentanza, ma solo dopo il completamento dei calcoli che riguardano ad esempio l’unionista protestante indipendente David McClarty, separatosi dal DUP per protesta verso la nuova politica “dura” impressa da Tom Elliott all’UUP (partito che fu autore, assieme al SDLP, degli Accordi di Pace inizialmente criticati e giudicati insufficienti per ragioni diverse dalle opposte forze del DUP e dallo Sinn Fein): eletto ad Est Derry, McClarty se decidesse di riunirsi all’Ulster Unionist Party potrebbe far assegnare al partito due ministeri, mentre l’Allenza rischierebbe di perdere l’incarico nell’esecutivo.

Questi sono nel dettaglio i risultati aggregati dalla BBC ieri: Democratic Unionist Party 38 seggi, due in più in confronto al 2007 (si vota ogni quattro anni) con 198.436 voti equivalente al trenta per cento dei suffragi; Sinn Fein ventinove seggi (uno in più rispetto alla precedente legislatura) con 178.224 consensi che significano il 26,9 per cento dei voti espressi. L’Ulster Unionist Party ha ottenuto sedici deputati, due in meno di quattro anni fa, con 87.531 voti ed il 13, 2 per cento dei voti; il Social Democratic e Labour Party ha totalizzato quattordici seggi (due in meno di quelli che aveva in assemblea finora) con 94.286 equivalenti al 14,2 per cento del consenso espresso; il Partito dell’Alleanza otto (uno in più) con 50.875 preferenze che gli hanno consentito di raggiungere il 7,7 nel calcolo percentuale.

Gli incrementi dei seggi, a causa di una legge elettorale molto rispondente alle esigenze di rappresentanza del territorio diviso in collegi, come in parte avviene anche in Eire, non descrivono perfettamente le effettive variazioni in termini di percentuali dei voti ottenuti dalle diverse liste, mentre aderiscono abbastanza fedelmente al successo o meno dei vari candidati.

La Traditional Unionist Voice di Jim Allister (che nelle consultazioni europee determinò la perdita del primato del DUP come prima forza elettorale e come unica forza protestante lealista “dura”) ha fallito nel suo obiettivo di ripetere l’exploit con il quale decurtò il Democratic Unionist Party di un terzo dei suoi consensi, arrivando al 13 per cento pur senza eleggere nessun europarlamentare: il TUV si è fermato ora al 2,5 per cento, con soli 16.480 voti, che gli valgono comunque un seggio, quello di Jim Allister nel North Antrim.

 I voti temporaneamente presi in consegna da Allister sono tornati alla creatura politica di Jan Pasley, quel DUP nato per riunire i più accaniti avversari dell’accordo con i nazionalisti irlandesi e gradualmente mutato da Robinson in un soggetto politico che sta traghettando la comunità protestante verso un futuro dove in molti considerano probabile una riunificazione delle sei contee con la Repubblica del sud.

Il maldestro tentativo dell’Ulster Unionist Party di intercettare una parte di quei voti, sterzando vistosamente lontano dalla tradizione di mediazione portata avanti dall’Uup negli ultimi venti anni, non ha sortito altri effetti che accelerare l’indebolimento del partito e dare l’impressione che, come recita una recentissima battuta nel Nord Irlanda, Tom Elliot in questa campagna elettorale ha fatto sembrare Jim Allister (il più estremo dei lealisti) pacifista come un dalai lama in confronto a lui ed all’immagine che ha cercato di dare all’Uup.

Anche i Verdi, la cui recente consistenza sia pure minoritaria segnala l’evoluzione dell’Irlanda del Nord verso una politica più simile a quella di altri paesi, hanno ottenuto un seggio con i loro 6.031 voti (lo 0,9 per cento), mentre il magro 0,8 per cento del People Before Profit Alliance (movimenti) con 5.438 voti conferma la minor forza in Ulster di queste liste, che intercettano molti consensi nella Repubblica. Si avviano ad una esistenza residuale invece le liste conservatrici unioniste indipendenti che raggiungono l’un per cento solo se sommate: UK Independence Party (lo 0,6 per cento con 4.156 voti), Progressive Unionist Party of Northern Ireland (0,2 per cento con 1493 voti ), British National Part (0,2 per cento 1252 voti).

Le consultazioni elettorali in Ulster quest’anno hanno fatto emergere anche rapidi cambiamenti ad esempio nel protagonismo delle minoranze, con l’ingresso nell’aula parlamentare della prima candidata di origini cinesi, Anna Lo, eletta a Belfast Sud per il Partito dell’Alleanza, rafforzando le speranze di molti commentatori inglesi ed irlandesi sulle opportunità di associare agli sforzi di superamento delle divisioni tutte le parti della comunità in una legislatura che per tre dei quattro anni che si trova di fronte non dovrà misurarsi con esigenze elettoralistiche di rilievo che possano dare respiro a contrapposizioni esacerbate.

Aldo Ciummo

Europa nazione “insulare” o nazione di nazioni come il Regno Unito?

Nel corso dell’iniziativa “Transeuropa” che ha riunito a Roma questa settimana studiosi di diversa estrazione, un contributo interessante all’analisi è venuto dal Regno Unito
Con l’organizzazione delle Rappresentanze di Commissione Europea, Ambasciata Irlandese, Svedese, Finlandese, Danese, dell’UK e del British Council e di numerose altre ambasciate europee, oltre che dell’assessorato alle politiche culturali del comune di Roma si è svolto all’Ara Pacis di Roma il 3 e 4 marzoTranseuropa Express, un appuntamento in occasione del quale storici e studiosi di varia estrazione discutono sulla coesione culturale in Europa, ogni anno con un tema specifico al centro dell’agenda.

L’argomento scelto per questa edizione era “Storia ed identità: l’Europa degli intellettuali”, in sintesi il ruolo che in maniera analoga a quella giocata nella costruzione delle identità nazionali si richiede a chi si occupa di cultura nella nascita dell’Unione Europea che si avvia alla sua coesione politica, dopo il completamento del mercato interno.

Ad occuparsi in particolare dell’identità europea in base ad un confronto con quella del Regno Unito è stato Paul Torday, che dopo una carriera di business ha avviato una attività di scrittore. Con un suo testo e con l’intervento di questa settimana, Torday ha voluto sottolineare come il Regno Unito abbia già da lungo tempo alcune delle caratteristiche multinazionali che negli ultimi decenni sono diventate tipiche della nascente Unione Europea.

L’U.K è infatti una “nazione di nazioni”. Una affinità ulteriore con l’Europa è colta da Torday nelle nuove comunità di internet, spesso globali. “Dopo il successo di Waterloo si è sviluppata la famosa insularità inglese, ma dalla metà del 1900 l’impero è diventato parte della storia – ha detto Paul Torday ripercorrendo rapidamente la storia del R.U – gli scrittori indiani e americani in lingua inglese sono disponibili a tutti e anche per questo l’identità odierna di chi vive a Londra è più che mai risultato di spinte globali”.

Lo studioso britannico nota soprattutto il travasamento dell’identità inglese in una gran parte delle abitudini globali attraverso la lingua ed attraverso le nuove tecnologie, in parte anche con i social network, osservazioni che lo spingono ad affermare che “si vede forse più britannicità guardando il mondo nei media che per strada nelle città inglesi”.

Sicuramente l’esperienza sociale britannica, rimandandoci ad un’area politico culturale molto avanzata e che ha contribuito alla diffusione delle istituzioni democratiche e della cultura europea in gran parte del pianeta (ed anche dato molto all’Europa sia in termini di peso economico e di prestigio che di pressione per il miglioramento delle istituzioni democratiche dentro la stessa UE) costituisce un paragone valido per elaborare strategie in grado di evitare all’Unione Europea quel rifugio nella “insularità” di cui parla Torday e che l’Inghilterra si è lasciata alle spalle con un esempio di accoglienza che al di là dei dibattiti legittimi sul multiculturalismo prosegue verso una sempre maggiore integrazione: in questo senso sono leggibili anche i richiami odierni di Cameron ad un sostegno più forte al liberalismo tra i nuovi cittadini, che significa piena inclusione dei nuovi arrivati senza inculturazione nè creazione di segmenti isolati dalla società ma scambio culturale sulla base dell’accettazione dei princìpi della nazione di arrivo.

Aldo Ciummo

Irlanda: vince Enda Kenny, affonda il Fianna Fàil

Enda Kenny, insegnante, sportivo e leader del Fine Gael

Nelle elezioni che seguono il salvataggio europeo e il piano di austerità il partito di governo irlandese passa dal primo posto a lungo inespugnabile che gli elettori gli hanno riconosciuto per decenni ad una terza posizione che non gli garantisce nemmeno la guida delle nuove opposizioni

di    Aldo Ciummo

Enda Kenny, insegnante e sportivo e leader del Fine Gael, è il probabile Taoiseach (Primo Ministro) che dovrà rinegoziare le condizioni imposte da Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale ad una Irlanda che negli ultimi anni ha subìto un brusco risveglio dal quindicennio di crescita e spesa targato Bertie Ahern, il simbolo del Fianna Fàil che incassava i dividendi del fenomeno della tigre celtica, una epoca sfumata nel tribolato strascico di legislatura gestito da Brian Cowen. Il Parlamento irlandese è formato da 166 seggi e il Fine Gael avrà la necessità di allearsi con il Labour oppure con alcuni degli indipendenti eletti nella tornata elettorale che si è svolta ieri.

Bertie Ahern (in carica dal 1997 al 2008) si dimise appena un anno dopo dalla sua terza rielezione alla carica di Taoiseach e meno di un anno prima dell’inizio dei guai per l’economia della Repubblica, lasciando (primavera del 2008) al suo posto il suo ministro delle Finanze, Brian Cowen, presto bersagliato da un malcontento che aveva radici certo più antiche del 2009 e del 2010, negli investimenti pubblici e nell’indebitamento di un periodo, snodatosi durante gli anni novanta ed il primo decennio del 2000, in cui sembrava che lo sviluppo non dovesse finire mai.

L’intero panorama politico dell’Eire è capovolto come non succedeva dai tempi stessi in cui il Fianna Fàil dell’eroe nazionale Eamon De Valera pose le basi per un governo quasi ininterrotto dalla vigilia del secondo conflitto mondiale ad oggi (il partito dei “Soldati del Destino” è nato, come l’avversario Fine Gael, dopo la guerra di indipendenza e la guerra civile del 1921 dalla scissione dello Sinn Féin, il cui nome fu conservato dai militanti che non accettarono di entrare nel parlamento irlandese nonostante la partizione dell’isola accettata dal Fine Gael, ingresso nel Dàil che invece coloro che si sarebbero chiamati Fianna Fàil fecero, le tre forze più antiche dell’isola erano all’epoche correnti diverse dell’Irish Republican Army). Il Fianna Fàil crolla dal quaranta per cento e oltre dei consensi del 2007 e di molte elezioni precedenti all’attuale 17 per cento, che è più che dimezzato a Dublino, dove il Labour di Eamon Gilmore diventa primo partito, conservando ed ampliando il successo nelle elezioni europee ed amministrative riportato nella capitale nel 2009.

A vincere su scala nazionale, con il 36 per cento complessivamente nell’Eire ed un grosso risultato anche a Dublino, dove in tutte le circoscrizioni si spartisce i seggi con il Labour (con il 20 per cento suo probabile partner nel Governo entrante) è il Fine Gael di Enda Kenny, nato come partito di legge e ordine negli anni venti con Michael Collins, accettando il compromesso della divisione dell’isola e della permanenza del nuovo stato sotto l’ombrello del Commonwealth. Dopo la trasformazione dell’Irlanda in Repubblica e con l’inizio del duraturo successo del Fianna Fàil nel presentarsi come custode del nazionalismo democratico e di una stabilità conservatrice con sfumature sociali, il Fine Gael ha dovuto inventarsi una singolare identità progressista, che attraverso posizioni simili a quelle della vecchia AN italiana ed effimeri avvicinamenti al gruppo dei Socialisti europei lo ha portato a definirsi centro progressista e sedersi nei banchi del PPE. Oggi il partito reso credibile da Enda Kenny in anni di azione politica e lavoro sui temi di opinioni più sentiti dalla popolazione lancia una scommessa difficile in un era incerta.

Il Fianna Fàil è letteralmente spazzato via dalla città più importante dell’irlanda: a Dublino i seggi dei quartieri popolari che furono la sua roccaforte sono stati presi al primo conteggio dai troskisti del Socialist Party e dai movimentisti del People Before Profit (alleati nel cartello United Left Association) e da uno Sinn Feinn che continua a radicarsi anche nel sud, confermando le indicazioni emerse dalle consultazioni europee e rafforzando i risultati ottenuti in Ulster, dove dal 2009 è primo partito. E’ il conto di una crescita dipinta dal FF come perpetua, ma anche di una crisi di identità: il Fianna Fàil che poteva dirsi nazionalista (per aver liberato l’Irlanda e poi averla fatta diventare una Repubblica) e allo stesso tempo rappresentarsi popolare (per aver costruito un grande settore pubblico nonostante il persistere di una emigrazione massiccia fino agli anni ottanta), il FF che poteva mantenere le sue roccaforti nelle zone rurali col supporto dei fondi europei dagli anni settanta in poi, ha perso la terra sotto i piedi a causa della stessa ondata che gli ha consentito di distribuire i dividendi della globalizzazione dagli anni novanta in poi, perchè la vecchia irlanda nazionalista e sociale cambiava.

L’Irlanda è diventata, negli ultimi venti anni, un paese sempre più giovane, dove le identità contano ma si sono modificate, anche grazie al Fianna Fàil ed alle politiche redistributive è un posto dove l’intolleranza non ha attecchito, ma oggi è una nazione dove un decimo della popolazione viene dal resto d’Europa ed i “Soldati del Destino” del Fianna Fàil sono anch’essi in crisi di identità: il FF ha condiviso per un decennio nel Parlamento Europeo gli spazi dell’UEN, il gruppo conservatore dell’Europa delle Nazioni, oggi è nel gruppo dei Liberali (A.l.d.e) e le incertezze nei temi sensibili lo dividono ulteriormente, in anni in cui non può mantenere il consenso con i sostegni materiali alle fasce di popolazione in difficoltà, come aveva sempre fatto.  Nell’ Europa di oggi  i fondi per l’Agricoltura e per la Coesione che ieri andavano all’Irlanda ed a pochi altri vengono ripartiti tra gli stati mitteleuropei e baltici, balcanici e saranno concessi presto a nazioni di prossimo ingresso.

Le cose non sono facili neppure per il Fine Gael (La Famiglia dei Gaeli) con il suo ottimo risultato elettorale dovrà dimostrare se quella del Governo uscente di fronte alle regole della finanza internazionale è stata davvero una resa e che sia possibile quindi rinegoziarla, alleggerendo il peso che il salvataggio pubblico delle banche per le spalle dei contribuenti. Se vuole fare questo il FG, sorta di An sia pure morbida, dovrà allearsi ancora una volta con il Labour, che tra i Socialisti europei siede davvero e da sempre, sia pure con posizioni moderate, e che rappresenta un pezzo del cataclisma che ha investito il Parlamento irlandese:  appena ieri una lista recintata tra i lavoratori del settore pubblico e che non credeva al 14% delle europee, oggi un partito quasi al 20 per cento che ha posizioni più chiare del Fine Gael (le alleanze tra i due partiti sono state il solo modo che FG e Labour hanno trovato di vincere ma non hanno mai prodotto amministrazioni durature). Anche questo è un segnale dell’epoca che si chiude, il Labour era l’unico partito di una certo seguito a non nascere dalla guerra di liberazione nazionale del 1920 e rimasto inchiodato da una sorta di minorità (da cui traeva origine il detto che l’Irlanda fosse una Repubblica con due partiti e mezzo, Fianna Fàil in maggioranza, Fine Gael in condizione di minoranza abbastanza netta e costante nonostante il suo peso e Labour poco al di sopra del dieci per cento per la maggior parte della usa esistenza).

A completare le novità di questa tornata elettorale in Irlanda l’onda di estrema sinistra, che riporta in Parlamento i trotzkisti di Joe Higgings: il dissidente del Labour è stato previdente nella sua alleanza con i movimentisti del People Before Profit, dopo il successo che entrambe le formazioni avevano riscosso nelle amministrative di Dublino già nel 2009, contemporaneamente all’entrata in Parlamento Europeo del comunista d’Irlanda. Dublino è un’altra storia (come e più che nelle elezioni europee), la United Left Alliance (Socialist Party e People Before Profit) e lo Sinn Feinn (che continua a crescere) conquistano molte circoscrizioni, dopo Labour e Fine Gael che sono i big della situazione anche in città. Al Fianna Fàil di Dublino resta soltanto un seggio (su quarantasette).

Lo Sinn Féin si sta stabilizzando come una forza al dieci per cento, radicandosi anche nel sud come principale forza antagonista popolare sia tra i nazionalisti che tra i giovani di sinistra e nelle aree vicine al Nord arriva ad ottenere il 15 per cento dei consensi. Una vera ondata però è anche quella degli indipendenti, che tutti assieme totalizzano il quindici per cento e molti dei quali sono eletti (molti di loro guardano a sinistra). Dopo i liberisti del PD (Progressive Democrats), radicali d’Irlanda scomparsi nel 2008 prendendo atto della sostanziale sparizione nelle preferenze degli elettori, la stessa sorte sembra toccare invece ai Verdi di John Gormley, cui l’esperienza di coalizione col Fianna Fàil giunta al termine è stata letale, con uno striminzito due per cento lasciano il posto nel Dàil ad almeno quattro deputati dell’estrema sinistra ed a una dozzina di indipendenti.

Stallo in Ulster, speranza fino a domani

Peter Robinson, primo ministro dell'esecutivo autonomo nordirlandese

 

La tre giorni di colloqui promossa da U.K ed Eire non ha convinto i protestanti “duri” del DUP ed i cattolici irlandesi dello Sinn Fein, se entro domani i due partiti nordirlandesi che coabitano senza parlarsi nel governo dell’Ulster non si accordano, polizia e giustizia restano a Londra.

Gordon Brown e Brian Cowen, primi ministri rispettivamente del Regno Unito e della Repubblica d’Irlanda, ce l’hanno messa tutta e ieri notte i colloqui sono giunti all’alba, ma il loro omologo nordirlandese Peter Robinson, che si è autosospeso temporaneamente dopo che uno scandalo ha coinvolto la moglie ed il vice dell’esecutivo dell’Ulster Martin McGuinness non sono convinti, per motivi opposti, e speculari.

Robinson, rappresentando il Democratic Unionist Party, che ha fatto la sua fortuna elettorale sull’avversione ad una pace (1998, Good Friday Agreement, NdR) considerata arrendevole verso i nazionalisti cattolici, vede ogni devoluzione all’Ulster come una vittoria della vecchia I.r.a irlandese, che infine consegnerebbe alla comunità “verde” la piena cittadinanza.

McGuinness, politico targato Ira che ha traghettato i nazionalisti armati nella democrazia, deve difendere la ragione d’essere identitaria ed elettorale dello Sinn Fein, la riunificazione col sud. Risultato: polizia e giustizia, simboli e sostanza dell’autonomia e dell’autogoverno, restereranno molto probabilmente a Londra perpetuando il drammatico gioco delle parti di DUP e Sinn Fein e alimentando la partita molto più inquietante giocata dai loro dissidenti armati, protagonisti negli ultimi mesi di scontri, attentati e minacce.

Finchè Londra è impossibilitata a trasferire alla popolazione dell’Ulster i pieni poteri di autodeterminazione, in un contesto di partnership sempre più stretta con l’Eire e di normalità dell’amministrazione, i “duri” protestanti potranno continuare a considerarsi i tutori di una sovranità ereditata dal passato ed i nazionalisti irlandesi troveranno terreno fertile per presentarsi come gli alfieri dei pari diritti e dell’emancipazione della parte “verde” della comunità.

In realtà il processo di pace nordirlandese ha avuto molti autori, tra cui  Blair e Bertie Ahern durante i loro lunghi mandati a Londra ed a Dublino, il partito filoirlandese moderato SDLP e il partito dell’Alleanza (a maggioranza protestante) con l’aggiunta degli elementi più pragmatici dell’UUP lealista. DUP e Sinn Fein, rafforzati elettoralmente negli anni da posizioni massimaliste in senso opposto tra loro, in seguito agli Accordi del Venerdì Santo del 1998 proprio mentre crescevano hanno dovuto fare i conti con la realtà, già imposta dal quadro istituzionale concordato da Regno Unito e Repubblica di Irlanda. Un enorme contributo alla soluzione del conflitto è venuto dagli Stati Uniti e anche dalla sua società civile.

Nel 2005 l’Irish Republican Army rivelò in base ai patti dove si trovavano le armi ad una Commissione speciale presieduta da un generale canadese a riposo, John De Chastelain. Nel 2007 i due partiti-comunità nemici, DUP e Sinn Fein, accettarono di governare insieme (e con SDLP e UUP), ma quando si è trattato di fare davvero un passo avanti, come adesso, si sono fermati.

Il piano cui si dovrebbe arrivare prevederebbe che, dopo nuove elezioni, a maggio i poteri vengano trasferiti a Belfast. Se domani DUP e Sinn Fein non si accorderanno, U.K ed Eire spingeranno loro perchè venga attuata una nuova proposta, probabilmente più in linea con le aspirazioni della gente comune nel nord dell’isola rispetto alla prigionia nel passato dei leader politici disponibili oggi.

Aldo Ciummo