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Adesso l’Italia risponda con la politica alle crisi

La partecipazione popolare allo sviluppo socioeconomico ed un percorso di politiche progressiste sono sempre più necessari mentre la società subisce eventi traumatici

La società italiana ha subìto un colpo allo stomaco sabato, con l’attacco a sangue freddo contro persone che andavano a scuola, una aggressione che ha ferito di conseguenza tutta la società italiana ed europea come si vede dalle reazioni che si sono avute ovunque e che nella penisola hanno dimostrato una notevole capacità di partecipazione democratica, con le manifestazioni spontanee che si sono avute. L’ambiente dell’istruzione è, assieme al mondo del lavoro, la parte più importante della società, di più perchè contribuisce a strutturare in maniera decisiva la capacità di sviluppo futuro del paese, sviluppo nella accezione più ampia. Non a caso i paesi che stanno dimostrando maggiore capacità di adattamento e di coesione in un mondo in rapido mutamento sono quelli che investono sempre in questo settore.

Se ci sono soggetti che intendono colpire la democrazia in Italia ed in Europa, sia che questi soggetti siano riconducibili a manovre autoritarie conservatrici (come si è visto altre volte nella storia italiana) sia che si trovino nella volontà delle mafie di intimidire la popolazione di una parte dell’Italia, l’istruzione rappresenta un baluardo contro questi soggetti sociali e politici deviati, perchè la cultura è alla base della libertà, della solidarietà e della partecipazione democratica, in particolare la cultura come si esprime nella scuola, attraverso la condivisione nell’apprendimento e la collaborazione reciproca nella formazione.

Ora fa molto male vedere le immagini della ragazza che è stata vittima e delle altre persone ferite, ma se gli attentatori riuscissero, con questa infamia, a generare fenomeni di chiusura e di disorientamento, l’Italia entrerebbe in una spirale drammatica, perchè le prime cose che verrebbero danneggiate sarebbero il diritto dei ragazzi ad una scuola aperta, il valore della apertura reciproca tra settori diversi della società, la formazione come processo che avanza nella condivisione della formazione (dentro e fuori dalle strutture scolastiche), la presenza del dibattito e della solidarietà nella partecipazione democratica, tutti elementi che da sessantasette anni sono aspetti fondanti la vita sociale in un paese come l’Italia ed in Europa e che verrebbero mutilati dalle conseguenze della paura e della chiusura che ne consegue.

I diritti alle opportunità di istruzione, sviluppo e partecipazione della parte più giovane della società in Italia vanno sostenuti attraverso una partecipazione della società alle scelte che è irrinunciabile proprio nel momento in cui coloro che andrebbero tutelati vengono feriti da una infamia che lascia il paese senza respiro, mentre altri eventi negativi si vanno aggiungendo nei territori, senza che esistano strumenti di sostegno alle zone colpite da drammi e mentre l’assenza di una rappresentanza effettiva e di un sistema sociale solido aggravano la frammentazione e la disgregazione della società: per questo ora è più che mai necessario che l’Italia risponda, con la partecipazione politica, alla pericolosa alternativa di un richiudersi del paese in logiche feudali già rafforzate dalle difficoltà economiche e dalla perdita di diritti.

La politica è la partecipazione responsabile alla vita della comunità, per cui la mobilitazione antimafia e a favore dei diritti degli studenti di questi giorni è un inizio, il proseguimento efficace è la costruzione a partire dal mondo dell’istruzione, del lavoro, dei territori, di politiche progressiste che aprano l’Italia all’Europa, alla crescita dei diritti, al valore della produzione e della coesione, un percorso che dovrà essere costruito dal basso, data l’assenza di promotori efficaci di una crescita democratica complessiva ai vertici delle organizzazioni che hanno indirizzato il paese negli ultimi venti anni: un impegno progressista dovrà essere preso perchè le persone possano entrare nei luoghi dove si forma il loro futuro e possano uscirne con la possibilità concreta di proseguire in un’ottica di sviluppo, di solidarietà e di partecipazione.

Aldo Ciummo

Iniziativa popolare europea, solo un primo passo

E’ forte il valore simbolico della novità che entra in vigore nella UE, ma i limiti del nuovo strumento sono significativi

E’ entrata in vigore ieri la possibilità di promuovere leggi europee di iniziativa popolare (ICE, “European Citizens’ Initiatives”) raccogliendo un milione di firme. Lo strumento legislativo permetterà di proporre cambiamenti praticamente in ogni settore. Il vicepresidente della Commissione responsabile dei rapporti interistituzionali, Maros Sefcovic, ha sottolineato l’importanza di questa novità, che rappresenta una opportunità senza precedenti per la partecipazione dei cittadini in Europa.

Il sistema dell’Eci è previsto dal trattato di Lisbona e prevede che le firme siano raccolte in dodici mesi in almeno sette paesi tra i componenti dell’Unione Europea (cioè circa un quarto dei paesi appartenenti alla UE).

Il minimo di firme valide perchè uno stato venga incluso tra quelli in cui sono state raccolte le firme è calcolato attraverso una moltiplicazione per settecentocinquanta del numero dei deputati che lo rappresentano nel Parlamento Europeo, l’Italia avrebbe quindi bisogno di 54.750 firme, applicando il criterio menzionato a partire dai settantatre europarlamentari che la rappresentano.

La procedura prevista indica che, entro tre mesi dal raccoglimento delle firme necessarie (un milione) in almeno sette paesi, la Commissione deve decidere se avviare una iniziativa legislativa: il che, unito alla previa presentazione alla Commissione Europea che valuta e registra quindi le proposte popolari, lascia ampio spazio al dubbio che la partecipazione dal basso cui la novità si ispira potrebbe finire per vedere molto diluiti i suoi effetti attraverso il percorso lungo le tante difficoltà burocratiche.

Aldo Ciummo

 

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I giovani federalisti europei di Roma: “la vera soluzione alle crisi è la solidarietà europea”

Il primo marzo i ragazzi del Movimento Federalista Europeo si incontreranno vicino a Piazza della Libertà per promuovere la cooperazione nel continente

 Il Fiscal Compact e tutte le misure di rigore non servono a rilanciare l’unità della Unione Europea, se contemporaneamente non si sviluppa una vera solidarietà tra i governi, le organizzazioni e le imprese del continente: per ribadirlo i ragazzi del Movimento Federalista Europeo si incontreranno vicino a Piazza della Libertà a Roma, il primo marzo, per parlarne in strada, in un frangente in cui le urgenze dettate dalla crisi economica rischiano di far perdere di vista la prospettiva dell’integrazione europea.

Se oggi l’Europa regge, all’incrocio di fortissime pressioni mondiali, è perchè le diverse nazioni e forze politiche e popolari che al termine della Seconda Guerra Mondiale hanno sconfitto i totalitarismi hanno saputo pensare e realizzare un progetto che è andato oltre le emergenze: il progetto della Unione Europea. I trattati hanno incorporato le tutele sociali avviate da Nizza in poi e la partecipazione popolare nell’Unione Europea deve affermare i valori democratici alla base della costruzione europea, se questa intende diventare un’area politica forte delle proprie caratteristiche di Unione Europea dei diritti e della conoscenza, come sulla carta è stato dichiarato, anche dal Trattato di Lisbona, che include i documenti fondativi precedenti.

Il mercato comune, nelle intenzioni che lo hanno fatto nascere, è un mezzo attraverso il quale culture e società dell’Europa si sarebbero avvicinate e progressivamente integrate, così come poi è effettivamente successo, per fortuna della nostra Europa. Non è pensabile quindi che il progetto europeo progredisca attraverso chiusure, rigidità ed egoismi che si moltiplicano nelle speculazioni economiche. I Giovani Federalisti Europei (GFE), molti dei quali hanno vissuto esperienze professionali ed istituzionali abbastanza lunghe all’estero (nella UE) e la cui prospettiva resta una Europa veramente unita, rappresentano la sezione giovanile del Movimento Federalista Europeo, fondato nel dopoguerra da antifascisti come Altiero Spinelli.

Il Movimento Federalista Europeo esiste in tutta Europa, è molto forte in Francia ed in Germania e le persone che lo portano avanti appartengono a partiti e movimenti politici completamente diversi tra loro, anche i Giovani Federalisti Europei sono ragazzi iscritti a partiti di tutto l’arco delle forze politiche italiane oppure provenienti dalla società civile e senza nessuna appartenenza ideologica. Il futuro dell’Europa passa attraverso la partecipazione di tutte le sue componenti.

Aldo Ciummo

 

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Rafforzare l’Europa, contrastare i populismi nazionalisti

L’anno entrante vede la UE di fronte alla necessità di utilizzare gli strumenti presenti nei suoi trattati per rilanciare l’integrazione ed evitare la deriva cui si assiste in Ungheria

Alla riapertura dei lavori dell’Unione Europea, che dal 16 al 19 gennaio vedrà sul tavolo della prima sessione significativa a Strasburgo argomenti come Eurobond e Tobin Tax, la comunità si trova di fronte ad un periodo difficile per le ricadute della crisi economica e per le conseguenze sociali della finora mancata redistribuzione del reddito (in particolare di quello accumulato in rendite dai settori che della crisi sono stati protagonisti ad esempio nel mondo finanziario).

In Europa le categorie più sotto attacco (dipendenti, precari, donne, professionisti autonomi, operai, giovani, immigrati) rispetto agli eventi finanziari avvallati negli ultimi venti anni da governi liberisti in politica economica e conservatori in politica sociale, civile ed estera, sono anche le categorie nuovamente selezionate dalla politica istituzionale ed economica come settori che devono pagare i costi maggiori del risanamento, attraverso imposte indirette storicamente antipopolari (aumenti dell’iva e dei carburanti), imposte dirette sui redditi (con aumenti sui patrimoni e capitali scudati che invece sono di poche frazioni di punto percentuale) e tagli ai servizi sociali, agli enti locali, alla spesa pubblica.

Nello stesso tempo le fasce sociali che in tutta Europa ed in particolare in Italia sono attaccate da queste politiche di destra attraverso decisioni liberiste che ricalcano quelle dei governi precedenti (soprattutto quelli di Centrodestra, ma purtroppo anche esecutivi di Centrosinistra ansiosi di accreditarsi presso la grande finanza e di ridurre il peso della propria area di sinistra e dei rappresentanti dei lavoratori) non sono unite nel contrasto ad una politica fortemente classista e ampi settori della società cedono putroppo a spinte populiste, localiste e xenofobe che non hanno nulla a che fare con la volontà di risolvere i problemi concreti in Italia ed in Europa.

Segnali preoccupanti arrivano dall’Ungheria, il cui parlamento, monopolizzato da una destra simile a tendenze populiste e nazionaliste, che si risvegliano un pò dappertutto in Europa (favorite da media che non vogliono esporre i costi sociali del liberismo e dei monopòli economici e che dipingono l’immigrazione solo come un problema di ordine pubblico) sta approvando nonostante le norme europee leggi che hanno poco in comune con i princìpi democratici che sono alla base dell’Unione Europea. Tra le normative che il governo a guida del partito Fidesz sta introducendo ci sono restrizioni di fatto al pluralismo dell’informazione in Ungheria.

Le situazioni limite come quella del Governo di Viktor Orban in Ungheria sono all’esame della Commissione Europea e quest’ultima ha la possibilità di avviare procedure di infrazione incisive, ma il problema in tempi di debolezza della rappresentatività, in un sistema che fatica molto a rappresentare i cittadini su scala continentale è più ampio: bisogna evitare le derive nazionaliste in Europa perchè queste sono sempre in agguato in periodi di crisi sociale, soprattutto quando non si trovano invece risposte progressiste alle difficoltà di parte significativa della popolazione.

Per contrastare i populismi non bastano le procedure di infrazione, peraltro molto lunghe data la complessità del diritto comunitario e il peso tuttora conservato dagli stati nazionali, occorre anche rafforzare le capacità dell’Unione Europea di promuovere equità e sviluppo sostenibile, di integrare e valorizzare l’immigrazione come una risorsa (ciò può avvenire soltanto riconoscendo i diritti degli immigrati e rafforzando i diritti del lavoro invece sotto attacco in questo momento) e rielaborare l’impianto democratico della UE, in modo che i cittadini possano partecipare in forme chiare alla costruzione comunitaria ed ai suoi meccanismi decisionali.

L’Europa deve far sentire la propria voce sanzionando i casi di violazione dei suoi valori fondamentali, contrastando i populismi nazionalisti (tanto più quando si presentano nelle linee di condotta di interi stati nazionali) ma deve anche prevenire la crescita di tali tendenze anacronistiche di chiusura, sviluppando invece una Europa dell’apertura e della solidarietà, assieme alle politiche monetarie e di scambio.

L’Unione Europea è troppo arrendevole con i mercati e troppo rigida con i migranti e nelle questioni sociali, ma nel Trattato di Lisbona esistono i mezzi per promuovere i diritti sociali e del lavoro, la laicità degli stati, il pluralismo, la mobilità e l’integrazione e la sinistra in particolare deve impegnarsi pensando in termini europei, se vuole contrastare davvero le spinte liberiste e nazionaliste che si complementano lasciando via libera al mercato senza regole e scaricando i costi e i conflitti alla base della società, mettendo gli uni contro gli altri migranti precari e precari provenienti dalle industrie deregolamentate dove i sindacati vengono espulsi, violando in forza del mercato le costituzioni nate dalla liberazione dagli autoritarismi di destra e dalla autodifesa dell’Europa da tutti i totalitarismi.

Gli eurobond di cui si discuterà tra pochi giorni possono servire a rafforzare le condizioni economiche dell’Europa e dell’Occidente di cui la UE fa parte integrante, la Tobin Tax è un argomento che può significare molto per rimettere al centro le istituzioni e la partecipazione in funzione di riequilibrio delle contraddizioni sociali, ma l’Unione Europea ha bisogno più in generale di essere presente, promuovendo i diritti dei lavoratori, la parità di genere, l’integrazione all’interno delle sue frontiere e la valorizzazione dell’immigrazione come risorsa, il contrasto ai nazionalismi, la lotta alle chiusure xenofobe e la preparazione della crescita dello sviluppo sostenibile.

Tutte le questioni che sono sul tavolo alla riapertura dell’Europarlamento non possono essere risolte dividendo le nazioni in euroscettici ed euroentusiasti, perchè è l’Europa nel suo insieme a suscitare dubbi sull’efficacia delle misure adottate sinora: Germania, Italia e Francia non sono gli unici a sostenere un nuovo attivismo dell’Unione ed il Regno Unito non è uno stato euroscettico ma si interroga soltanto, come altri componenti della UE, sul futuro della comunità, valutando legittimamente i propri interessi nel contesto più ampio del mercato comune. La stessa Danimarca che si appresta a guidare il prossimo semestre ha contribuito al dibattito, ad esempio in materia di politica agricola, con opinioni specifiche che non erano critiche euroscettiche ma prospettive della costruzione europea che rappresentavano molti stati in alcuni momenti in minoranza.

Ora il Parlamento Europeo propone, superando molti steccati tra i diversi gruppi, una maggiore disciplina fiscale, la solidarietà europea nella gestione dei debiti, procedure decisionali più gestibili rispetto all’unanimità ed introduzione dell’attuale accordo intergovernativo salva-euro nella legislazione comunitaria entro cinque anni, ma a queste misure occorre aggiungere un percorso che in tutti i settori porti l’Europa ad una effettiva integrazione e la rimetta al centro di un vero sviluppo.

Aldo Ciummo

Dibattito a Roma: ci può essere democrazia in Europa?

Martedì 29 novembre a Roma gli europeisti si incontrano per discutere del libro del problema della partecipazione nell’Unione Europea

Martedì 29 novembre 2011, dalle 18.30 alle 20.00 presso la rappresentanza in Italia della Commissione Europea, lo Spazio Europa (Via IV Novembre, 149, Roma) si svolgerà il dibattito sul libro “Democracy in the EU after the Lisbon Treaty”, pubblicazione IAI, Notre Europe, Centro studi sul federalismo (a cura di Raffaello Matarazzo).

Parteciperanno all’incontro l’ambasciatore Rocco Cangelosi, il deputato Sandro Gozi, il professore di diritto dell’Unione Europea Gian Luigi Tosato e modererà Giampiero Gramaglia, giornalista e consigliere per la comunicazione allo Iai. Il tema del dibattito è la crisi del debito sovrano che colpisce i paesi della UE e che rende sempre più urgente il  controllo democratico delle istitituzioni.

La ricerca condotta dai tre istituti europei sottolinea le innovazioni contenute nei trattati comunitari. La legislazione della Ue comprende molte norme che se applicate possono rafforzare la legittimità democratica della UE, a partire dal consolidamento di una dimensione europea nelle forze politiche, fino ad arrivare al ruolo dei parlamenti nazionali.

Il problema della partecipazione si fa sempre più difficile perchè il legame della comunità (così come è stata organizzata) con i mercati stride con le crescenti sofferenze di popolazioni che subiscono le conseguenze degli squilibri economici e redistributivi alla base delle stesse crisi mondiali di questi anni. L’intenzione degli europeisti è portare la partecipazione dei cittadini in Europa facendo leva sulle possibilità di pressione democratica già presenti in molte parti dei Trattati esistenti e di quello di Lisbona, il quale prevede che le istituzioni europee non si limitino ad essere organizzazioni di controllo tecnico e monetario, ma conducano all’integrazione politica e sociale nella UE.

Aldo Ciummo

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A Roma discussione sul Trattato di Lisbona

L’incontro si è svolto il 10 novembre presso lo Spazio Europa ed ha avuto al centro le ipotesi di modifica del TrattatoSi stanno aprendo concretamente i negoziati per le modifiche al Trattato di Lisbona. Il CIME, Consiglio Italiano del Movimento Europeo, giovedì pomeriggio ha promosso un dibattito presso lo “Spazio Europa” (in Via Quattro Novembre a Roma) sull’insieme di riforme utili a rilanciare l’azione dell’Unione Europea, in un periodo in cui la presenza politica comunitaria è particolarmente vitale.

Si è parlato di ciò che già si potrebbe realizzare “a Trattato Costante” basandosi proprio sulle opportunità aperte a Lisbona. L’incontro, intitolato “A cosa serve ed a che cosa non serve il Trattato di Lisbona” ed è stato introdotto da Pier Virgilio Dastoli, Rocco Cangelosi, Enzo Cannizzaro, Giacomina Cassina, Emilio Gabaglio, Alberto Majocchi.

Riguardo al rilancio economico, che è al primo posto nella cronaca e nelle preoccupazioni di larga parte dei cittadini di questa nostra Europa, l’accento è stato posto su elementi che nel Trattato hanno ampio spazio: le strategie di diffusione della conoscenza, il regolamento dei sistemi finanziari, l’ambiente, la ricerca, la politica fiscale europea.

Ci si è soffermati anche sull’opportunità di rafforzare l’integrazione della politica economica e fiscale anche attraverso l’introduzione del voto a maggioranza per la politica macroeconomica e l’istituzione di un Fondo monetario europeo come Agenzia del Debito. I relatori hanno sottolineato molto la necessità di potenziare la partecipazione dei cittadini.

Aldo Ciummo

 

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Nuove stagioni della cooperazione UE-USA

In Europa si apre un ciclo di appuntamenti di approfondimento delle relazioni internazionali nell’epoca della necessità di una rinnovata cooperazione occidentale

Domani, 14 settembre, a Roma lo IAI, istituto di affari internazionali, si incontra sul tema “Politica estera, uso della forza e lotta al terrorismo. Europa e Stati Uniti a confronto”, verrà presentato in questa occasione il rapporto Transatlantic Trends 2011, sugli orientamenti dell’opinione pubblica americana e di quella europea. L’argomento è complesso, come si è sottolineato spesso su queste pagine l’azione a guida statunitense negli anni tra 2000 e 2008 ha mostrato la sua inefficacia in relazione a diversi aspetti importanti, ma problemi di valutazione sono emersi anche in Europa, dove i modelli di integrazione francese ed inglese sono entrati in crisi.

A Vienna, il 14 e 15 settembre, sarà presentato il documento “Recent Policy Developments Regarding European Access to Space” (di Veclani, Sartori e Rosanelli) che verrà inserito come contributo nello “Yearbook on Space Policy 2010-2011” (Springer, pubblicazione prevista a inizio del 2012). Nell’ambito aerospaziale si esprime una delle competizioni nelle quali Europa e Stati Uniti si confrontano con altri modelli di sviluppo.

Il 22 settembre, a Roma si svolgerà il seminario sul tema “Promoting Regional Integration: lessons learned from UE-Latin American Relations”, comprendente la discussione sul documento di Miguel Haubrich-Seco “Decouping Trade from Politics: the EU and Region-Building in the Andes”. E’ importante il ruolo anche di esempio istituzionale che la UE gioca in molte parti del mondo, ma occorre ora superare la fase pur significativa della integrazione economica e portare il continente a livelli di coesione istituzionale, sociale e culturale che rendano Europa e Stati Uniti in grado di affrontare le scommesse attuali, mantenendo una funzione di primo piano in un contesto dove la crescita economica di alcune aree concorrenti non è equilibrata dal punto di vista delle condizioni sociali e della tutela dei diritti.

Entra nel vivo del progetto “MedPro: prospective analysis for the Mediterranean Region” (finanziato dalla Commissione Europea) un altro seminario il 22 e 23 settembre a Bruxelles. Il Mediterraneo è un’area di primo piano per l’Unione Europea, il che è anche alla base delle preoccupazioni per il rispetto degli standard minimi di pluralismo, solidarietà e concorrenza da parte dei paesi, europei e non, più attardati nelle stagioni dello stato patrimoniale personale, risalenti a prima della nascita degli stati nazionali e foriere di gravi retrocessioni da parte dei mercati e rifiuti da parte del contesto occidentale nel terzo millennio.

Il 28 settembre a Roma, con “The EU and the Libyan crisis: in quest of coherence?” Nicole Koenig fornisce lo spunto per una riflessione sulla crisi regionale che ha posto e pone più problemi a qualsiasi avanzamento dei progetti euromediterranei, una situazione che rilancia l’insieme delle difficoltà ad operare nell’area, dato il dilemma tra stabilità, ormai neppure più garantita dai vecchi e discutibili depositari di questa garanzia sulla sponda sud ed est del Mediterraneo, e diritti, il cui cammino dovrebbe acquistare costanza attraverso gli sforzi dei gruppi emergenti in Libia, Siria e negli altri paesi che sono sotto i riflettori a seguito della primavera araba. Le guerre preventive non hanno aiutato e neppure la fiducia incondizionata concessa fino a ieri ai diversi raìs.

Il Mediterraneo sarà nuovamente al centro della scena a Barcellona, in occasione dell’Assemblea Generale e della Conferenza Annuale della rete euromediterranea, si tratta di occasioni rilevanti per lo scambio di informazioni e prospettive, l’Europa e di conseguenza gli Stati Uniti, che lavorano da sempre assieme nella difesa del continente dalle varie forme di intolleranza e dispotismo politico e religioso tipiche dell’ultimo secolo, devono considerare attentamente questa area geopolitica che è una delle più importanti in ragione della sua posizione diplomatica tra culture diverse e prestigiose e che come la primavera araba ha dimostrato esprime energie capaci di elaborare anche in condizioni difficili una strada originale allo sviluppo dei diritti e delle riforme politiche.

Il 13 ottobre a Roma un convegno tratterà dei “Centocinquanta anni di diplomazia italiana: la diplomazia dell’integrazione”, in collaborazione con Luiss-Guido Carli, nell’ambito del Festival della Diplomazia. Come più volte sottolineato su queste pagine web, i processi di sviluppo e di integrazione non passano solo per le legittime alternative e posizioni nè solo per gli auspicabili e urgenti cambiamenti, ma anche attraverso la capacità di perseguire obiettivi comuni nel tempo e nella realtà, che è ciò che si spera l’Europa abbia fatto e stia facendo da Nizza all’Atto unico fino al recente Trattato di Lisbona.

Aldo Ciummo

Europarlamento concentrato sul commercio

 

Il mese di marzo si è aperto con discussioni su temi disparati: due votazioni hanno riguardato problemi attuali dell’agricoltura e dei consumatori

Una settimana fa, con un atto non legislativo, l’assemble di Strasburgo si è espressa su un tema attuale nell’economia del continente. Una delle richieste che l’assemblea di Strasburgo ha inoltrato alla Commissione all’inizio di questo mese è di evitare concessioni commerciali che potrebbero sortire effetti negativi sull’agricoltura europea, quando si tratta di negoziare con paesi terzi. Target delle preoccupazioni degli eurodeputati sono i dialoghi aperti al riguardo con il Mercosur (organizzazione che rappresenta la maggior parte degli stati latinoamericani) e con il Marocco. La relazione preparata da Georgios Papastamkos (europarlamentare greco del Partito Popolare Europeo, Centrodestra) chiede all’esecutivo di non barattare l’accesso al mercato agricolo dei paesi terzi con decisioni che danneggiano il comparto.

Una critica è necessaria, perchè se è vero (e su queste pagine web è stato ribadito più volte) che la UE deve iniziare a difendere in maniera più coerente l’insieme dei propri interessi economici, culturali e valoriali, tra questi c’è un ruolo di potenza civile e che non è certo compatibile con la protezione di dazi di ogni genere e con l’ostacolo alle opportunità concorrenziali di paesi emergenti. A questo bisogna pure aggiungere che il settore agricolo manterrà sempre la sua importanza nella comunità, ma non è pensabile che lo faccia attraverso una tutela isitituzionale che rischi per di più di frenare altri settori che le concessioni le fanno appunto per aprirsi nuovi mercati nel pianeta.

Ricordato questo, è assodato che il settore agricolo europeo garantisce la sicurezza e la qualità alimentare, bene quindi l’inserimento nella relazione di quegli standard in materia di ambiente, fauna e flora e dell’applicazione delle regole anche ai beni importati, verificato beninteso che non sia un’altra scappatoia per stoppare beni in entrata provenienti da nazioni concorrenti magari già svantaggiate. Una richiesta giusta che viene dall’assemblea elettiva è sicuramente l’esigenza che i deputati siano informati sull’andamento dei negoziati (ne sono iniziati con Canada e Ucraina nel 2009 e ad oggi Strasburgo ancora ignora gran parte di quello che l’esecutivo sta facendo in materia).

I parlamentari europei riferiscono che una offerta definita molto generosa è stata fatta dalla UE nel quadro dell’agenda di Doha per lo sviluppo (ADS) senza ottenere equivalenti concessioni commerciali, ciò è senza dubbio da approfondire perchè tutto il ruolo dell’Europa si basa anche sul suo peso, non ultimo economico. Quando si sottolinea che non devono essere sostenuti atteggiamenti anticoncorrenziali non si intende certo affermare che non si debbano ricercare e determinare utilizzando la forza politica a disposizione aperture speculari da parte degli interlocutori, che non sono avversari ma soggetti in crescita che possono avere una posizione complementare a quella dell’Europa, nei casi in cui valutano bene la reale influenza che l’Unione Europea sta acquisendo, a partire dagli ultimi decenni ma in particolare in questa prima porzione di secolo, nel panorama internazionale.

E’ auspicabile quindi che la prossima Politica Comune Europea (PAC) non costituisca più uno strumento politico tradizionalmente protettivo di una categoria della produzione che oggettivamente mantiene talvolta più influenza del suo contributo reale all’economia attuale, ma soltanto una delle leve più importanti del bilancio europeo, regolata in maniera da contemperare le opportune (però un pò protezionistiche) preoccupazioni degli eurodeputati e gli indirizzi (spesso altrettanto sbilanciati dal lato liberista) di apertura a mercati che ci si augura non vengano visti dalla Commissione Europea soltanto come sbocchi commerciali per le produzioni europee ma anche come ambienti di sviluppo di istituzioni ed opportunità coerenti con i princìpi di partecipazione e solidarietà per i quali la nostra Europa è nata nel 1957 in Italia (che allora era un paese in via di sviluppo).

La conclusione di Strasburgo è stata che la Commissione dovrebbe sempre garantire concessioni tariffarie simmetriche, quando discute accordi di libero scambio, soprattutto con paesi che hanno un forte settore agricolo. Una critica plausibile è la ripresa dei negoziati con il Mercosur latinoamericano senza previa discussione con Consiglio e Parlamento, infatti il minimo che ci si aspetta, in una Unione Europea bisognosa di un contrappeso ai poteri acquisiti dall’esecutivo con il Trattato di Lisbona, è che gli organi che rappresentano direttamente i cittadini, come il Parlamento, possano svolgere la loro funzione accrescendo il loro ruolo, nel modo anch’esso previsto dalla carta di Lisbona.

Aldo Ciummo

Nessuna Europa senza Occidente

Dopo le approvazioni del Trattato di Lisbona e una dimostrazione socioeconomica quasi cruenta della necessità dell’Europa politica unita a fronte delle crisi il 2011 si può leggere come un anno cruciale per la Comunità

di   Aldo Ciummo

Quelli appena trascorsi sono stati anni difficili per la nostra Europa, alle prese non soltanto con la dura situazione globale del 2010 ma anche con il lungo lavoro istituzionale del 2008 e del 2009, un complesso di nodi la cui soluzione lungi dall’essere un fatto burocratico è stata la base degli interventi emergenziali in favore di paesi sotto pressione come Grecia ed Irlanda.

Gli ostacoli al percorso del Trattato di Lisbona, cioè ad una  piena e partecipata unità politica del continente (necessaria come è emerso in tutta evidenza quest’anno allo sviluppo socioeconomico dell’area) rappresentano tuttora limiti consistenti anche a qualsiasi contrasto duraturo alle speculazioni.

Si registrano però risultati  come la decisione di inserire in modo più chiaro le regole di governo economico dell’Unione nel Trattato, le cui modifiche dovranno essere approvate tra due anni e mezzo (a metà del 2013) e di congelare le richieste di ulteriori investimenti sul Parlamento Europeo ed in sintesi di applicare princìpi di risparmio nel capitolo della politica europea: la definizione efficiente delle regole e dell’iniziativa per la riduzione dei costi non obbligati sono due segnali significativi, ottenuti grazie a due stati come la Germania ed il Regno Unito che hanno dato molto all’Europa anche in termini di forza economica, dato non indifferente perchè pure le dimensioni produttive e finanziarie del fenomeno europeo fanno parte oggi della capacità della UE di agire sul panorama mondiale e di influenzarlo; non a caso gli stati componenti comprendono oggi l’importanza di dare direzione politica a tale insieme di energie per dimostrare le potenzialità presenti attraverso decisioni unitarie nel pianeta.

Se da una parte l’Europa non può più, in una situazione di durissima competizione con aree geopolitiche completamente diverse sotto il profilo del rispetto dei diritti e dei costi sociali, puntare solo su un ruolo politico di potenza civile ma deve anche  promuovere i propri interessi nel pianeta più coerentemente, da un’altra nemmeno è pensabile difendere soltanto sicurezze acquisite, all’interno come all’esterno: a metà del 2011 bisognerà arrivare alla riforma del patto di stabilità e crescita e  le richieste di garanzie di rigore da parte di tutti, richieste provenienti da membri come la Germania e vari paesi dell’area nord del continente, nascono dal fatto che spesso questi paesi hanno dovuto accollarsi spese delle aree a sud ed a est.

Guardando all’esterno, dall’Europa sono state mosse critiche agli Stati Uniti per gli effetti globali ipotizzabili in merito a misure con le quali gli Usa cercano di risollevare legittimamente il proprio mercato interno (ad esempio la svalutazione del dollaro attraverso l’acquisto di titoli pubblici) ma forse piuttosto che valutare gli eventi in ordine sparso occorrerebbe pensare in prospettiva alla realtà geopolitica attuale, dove tutto il mondo occidentale recepisce positivamente la tutela del livello della qualità della vita in Europa come in America e dove è improbabile che Spagna, Germania, Italia, Polonia, Uk vadano a integrarsi rapidamente con Cina, Federazione Russa, India o con altre regioni peraltro apertamente impegnate in azioni autonome di influenza o di cooperazione con i vicini.

Il compito realistico nel medio e lunghissimo periodo per la UE è avviare una strettissima cooperazione con il resto dell’Occidente, Stati Uniti in testa, sugli stessi temi di cui si dibatte a Strasburgo cioè azioni anticrisi, prospettive di sviluppo e promozione dei diritti, fino ad arrivare alla stessa compattezza con cui questi argomenti vengono proposti all’esterno da altri soggetti geopolitici (spesso lontanissimi per sensibilità e problemi dall’area politicoculturale occidentale ed europea). Per svolgere un compito simile  l’Europa deve completare la sua integrazione istituzionale e politica e poi sociale ed economica, invertendo in qualche modo la priorità delle questioni economiche che ne ha fatto un gigante troppo assente sia nelle vicende globali, sia agli occhi dei cittadini che nel supporto ai vicini come gli Usa. Le dimensioni cui l’Europa è giunta portano responsabilità cui  non deve sottrarsi.

Europa: clima e diritti al centro, ma serve unità

 

La conclusione della procedura di Bilancio 2011 è al centro, ma il summit di Cancun ed il Premio Sacharov sono stati tra i punti principali sottolineati dal Presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek oggi

di    Aldo Ciummo

Il Presidente del Parlamento Europeo, Jerzy Buzek, oggi ha evidenziato le priorità dell’Unione a partire dalla procedura di Bilancio 2011, dal dibattito sul summit del Clima di Cancun ed il Premio Sacharov che è stato assegnato a Guillermo Farinas. Questa era l’ultima sessione plenaria quest’ anno a Strasburgo, dedicata al 2011 e Buzek ha ricordato le persone che hanno perso la vita in Polonia 29 anni fa nel periodo della legge marziale.

Si tratta di un richiamo forte in una Europa che ad Est come a Sud tuttora fatica a rendersi compiutamente laica, pluralista e libera dalle corporazioni e dai monopòli che stridono con la storia di emancipazione scritta da secoli di liberazione delle nazioni dalle monarchie personali e dalle ipoteche religiose e militari.

L’Europa si trova oggi stretta tra l’azione aggressiva di economie spesso sostenute dai poteri statali ed alimentate dal mancato rispetto dei diritti umani e delle regole della concorrenza (Cina, Russia e molte forze di media grandezza) e dalla difficile ristrutturazione di un mondo sempre più multipolare (per l’emergere positivo di economie nel Sud del Mondo). 

Si tratta di un panorama all’interno del quale l’Unione Europea deve dimostrare una identità specifica, ma chiaramente legata al resto dell’Occidente, di cui condivide la storia ed una tradizione di cura dei diritti che rischia di cedere alle pressioni delle tendenze emergenti se  Unione Europea,  Stati Uniti, Canada, Australia e le aree culturali anglosassone, tedesca, europea, nel loro insieme non condividono l’intenzione di difendere nel mondo il senso del patrimonio politico nel senso più ampio che hanno costruito nel tempo. Oggi nel pianeta grandi paesi vivono o al di fuori della democrazia (Cina, Iran e moltissimi altri) o in quelle che si usa definire situazioni a democrazia controllata (Russia, Pakistan, vari paesi del Medio Oriente). 

L’Europa deve essere aperta ad un contesto internazionale che evolve in maniera positiva, basti guardare alle democrazia latinoamericane in una regione della geopolitica fino a tempi recenti associata a regimi dittatoriali, ma una necessità per l’Europa in tempi che vedono confliggere le potenze emergenti cinese, indiana, arabe con le “vecchie” aree del governo mondiale è essere molto forte per sostenere assieme agli Stati Uniti una riformulazione dei meccanismi di governo del pianeta che non faccia a meno dei valori storicamente costruiti dall’Occidente in fatto di democrazia e diritti e che non consenta un uso politico dell’economia teso a dividere un’area culturale ed istituzionale, quella rappresentata da Strasburgo, Londra e Washinton, che storicamente funziona in maniera adeguata se è unita.

Non a caso, nel suo discorso del Presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek ha dichiarato che il Ministro degli Esteri della Ue (lady Ashton) prenderà probabilmente nota delle difficoltà incontrate da Guillermo Farinas per lasciare Cuba e venire in Europa a ritirare il Premio Sacharov per la libertà di pensiero ed ha ricordato che nel 1981 un centinaio di persone persero la vita nel periodo della legge marziale in Polonia per portare alla libertà del loro paese e guardando quei fatti in prospettiva per l’unità della nostra Europa.

Si potrebbe aggiungere che se qualcuna delle personalità politiche dei paesi costituenti ha dato una eccessiva confidenza ai Lukashenko (il dittatore bielorusso) ed ai Gheddafi, la posizione dell’Unione Europea e dell’Europa nel suo complesso è ben diversa, nel solco di una tradizione che fin dai Trattati di Roma coniuga la difesa delle libertà individuali, dei diritti sociali (bisogna ammettere che però questi ultimi sono fortemente sotto attacco in questi anni, anche nella Ue) e degli interessi di un’area geopolitica che se vuole rafforzare la sua coesione deve anche essere coerente verso (e quando necessario anche contro) l’esterno. Per tutto questo ci vuole che i poteri previsti dal Trattato di Lisbona siano effettivamente rodati e avviati dalla Comunità.