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Per i fascisti di ogni colore politico non va bene una donna a Ministro degli Esteri Europeo

 
 

La Commissione Europea. Si aggiungono oggi altre forme istituzionali che non possono portare alla crescita della nostra Europa senza la maturazione di quella partecipazione democratica che è impossibile senza la demolizione delle diseguaglianze economiche, del sessismo e dei diversi razzismi incluso quello derivante dalla legnosità ideologica

Piovono le critiche sulle nomine: Herman Van Rompuy non va bene come Presidente (non sia mai qualcuno voglia mediare tra diversi interessi senza arroganza); Catherine Ashton invece non avrebbe il curriculum per gli Esteri (ma aver combattuto le disuguaglianze è un peccato capitale?). Il tutto al termine di un processo politico segnato dal rifiuto aprioristico e irrazionale dell’ inglese  Tony Blair al vertice della UE (il candidato più credibile in circolazione). Intanto, l’asse franco-tedesco non ha potuto impedire nomine che svecchieranno un pò l’Europa.

 

 di    Aldo Ciummo

Piovono critiche sulle nomine, fino a ieri Tony Blair non doveva andare bene come Presidente della UE perchè il Regno Unito non aveva accettato sempre tutto dell’Europa centralista (ma non si sapeva indicare un altro candidato credibile). Oggi, dopo la scelta di una donna a Ministro degli Esteri dell’Unione Europea, (cambiamento di cui sarebbe ora, dato che all’interno dell’Unione ci sono stati dove sono quasi tutti maschi anche gli assessori) e dopo l’indicazione a presidente di Herman Van Rompuy, che ha riavviato la cooperazione tra fiamminghi e valloni in Belgio (e la farraginosa macchina europea, complicata da interessi e sensibilità contrapposte, non dovrebbe sputare troppo su chi vuole mediare senza arroganza) pure questi non andrebbero bene, in quanto candidati “deboli”, anche se della efficacia della “forza” dei candidati decisionisti abbiamo qualche esperienza in Italia, specialmente nella qualità della partecipazione democratica e della sensibilità civica che oramai questa scarsa qualità riversa visibilmente nella società.

Ma allora vediamo chi sono questi illustri sconosciuti e se sono davvero sconosciuti o se come spesso accade si tratta di gente che ha lavorato senza parlare tanto e di tutto ogni volta che secondo le televisioni dei vari stati nazionali c’era qualcosa da dire. il nuovo presidente europeo Herman Van Rompuy è nato a Etterberk, il quartiere europeo di Bruxelles, è un appassionato di cultura giapponese in un Europa che di culture extraeuropee ne conosce e ne accetta poche. In quest’ultimo anno ha sbloccato una situazione istituzionale di stallo, in uno stato paralizzato dalla contrapposizione tra francofoni restii a cambiare uno stato di fatto che destina loro più risorse di quante sarebbe realistico e fiamminghi convinti troppo frettolosamente e superficialmente di una esigenza di autonomia di cui non si capisce bene a cosa potrebbe portare in uno stato indivisibile per fattori  oggettivi (Bruxelles è il punto di riferimento di tutti i belgi, è un melting pot oramai europeo e mondiale e non solo rispetto alle tre comunità francofona, fiamminga e tedesca ed è capitale europea.)

La crisi politica in Belgio era durata diciotto mesi, quindi: Van Rompuy forse appare troppo gentile per ispirare fiducia alla gente, specialmente a Sud, ma in tutta evidenza non è incapace di decisioni, anzi è un fine politico. Come secondo aspetto, si potrebbe aggiungere che, senza essere inutilmente arrogante, Van Rompuy sostiene coerentemente le sue idee. Il nuovo presidente europeo è contrario all’ingresso della Turchia nell’Europa. Si può essere d’accordo con lui oppure essere contrari a quello che dice, quello che è certo è che Silvio Berlusconi che appoggia l’ingresso turco nella Ue dovrebbe spiegare poi ai suoi elettori quanto c’è di vero nel fatto che sostiene di volere che l’Italia non cambi troppo e  che quella sinistra che in Italia vuole bene a tutti ma si rivolge oramai esclusivamente ad una fascia dell’elettorato che non ha mai affrontato preoccupazioni economiche e pratiche dovrebbe spiegare quali risorse intende destinare al prevedibile afflusso di milioni di nuovi cittadini comunitari, che meritano rispetto laddove si trasferiranno, non promesse poi pagate finanziariamente da categorie tradizionalmente conservatrici. Scegliere atteggiamenti poco realisti non è funzionale all’integrazione, una necessità civile improrogabile. Al contrario.                Dal 1993 al 1999 Herman Van Rompuy ha colmato il debito pubblico belga in qualità di ministro al Bilancio. Ce n’è abbastanza per dissipare le preoccupazioni di incompetenza che in Italia potrebbero turbare il pubblico, all’apparire di uno che non strilla abbastanza.

Quanto a Catherine Asthon, dal 1983 al 1989 ha diretto Business in the Community, associazione di imprese che si occupa delle diseguaglianze, un tabù che l’Europa iperliberista non vuole affrontare ma anche un problema al quale è ora che si metta mano, invece di preoccuparsi di assicurare un direttorio strettamente continentale (e secondo alcuni a priori più sociale del Regno Unito, che invece di fatto ha un modello inimitabile di assistenza pubblico e una televisione pubblica indipendente dallo stato e libera di criticare il governo) all’Unione Europea.

Catherine Ashton è il nuovo Ministro degli Esteri della UE e questo fa storcere il naso a molti di destra e di sinistra, il sessismo è molto forte in alcuni stati ed inoltre la carica di Alto Rappresentante della PESC (Politica Estera e di Sicurezza Comune) ha ora un’importanza molto accresciuta dal Trattato di Lisbona. Catherine Ashton è stata responsabile dell’Autorità sanitaria dello Hertfortshire e sottosegretario britannico all’Istruzione, ricoprendo entrambe le cariche in un paese, il Regno Unito, che si prende cura delle persone molto di più di quanto non faccia con i simboli di partito. Ed il partito laburista, cui appartiene, ha costruito fin dal secondo dopoguerra un solido stato sociale, non un intreccio di corporazioni nazionalpopolari.

A Bruxelles, Catherine Ashton ha una esperienza di Commissario al Commercio e politicamente di leader dei laburisti alla camera dei Lord. L’Italia ad oggi non ha avuto nomine e questo da un punto di vista della distribuzione territoriale non è perfettamente corretto. Ma le considerazioni opportunistiche della politica degli stati nazionali non devono nascondere il fatto che alcuni cambiamenti nella UE sono positivi.

In Italia, formalmente una delle democrazie mature, c’è una forza politica maggioritaria dominata da una persona sola (Silvio Berlusconi) il quale come farebbe il leader di una forza extraparlamentare insulta, denuncia e chiama manifestazioni di piazza ed elezioni anticipate invece di fare (e non è detto che sia un male, visto che quando ha fatto, ha fatto la Bossi-Fini contro gli immigrati, la Fini-Giovanardi che criminalizza persone comuni e la legge sul rientro dei capitali, che umilia l’uomo della strada ed impoverisce le casse pubbliche). E c’è un sistema politico, di cui il PD e le sue appendici fanno integralmente parte, che sancisce il maschilismo dentro le istituzioni e la concentrazione delle risorse economiche al di fuori.

Se l’Europa si orienta verso una efficace mediazione tra i diversi interessi e le diverse culture politiche, sblocca la carenza di partecipazione femminile ai vertici delle istituzioni, si affeziona di più alla produttività che alla punizione della piccola impresa, lavora per l’integrazione delle diverse culture evitando che a monopolizzare il tema della multiculturalità siano minoranze portatrici di razzismi alternativi ma non meno pericolosi di quello tradizionalmente inteso, questi cambiamenti non saranno sintomi di debolezza, pure se i candidati nominati non hanno passato la vita davanti alle telecamere, ma si riveleranno fenomeni di progresso e forse potranno forzare in direzione di uno sviluppo più equilibrato anche le nazioni rimaste penosamente ostaggio della Chiesa, delle oligarchie economiche e di piccole corporazioni ultraideologizzate perfettamente prospere tra questi due poteri grazie ad una funzione ornamentale di critica.

Spunta un candidato irlandese per la Presidenza Europea

 

John Bruton, ex premier targato Fine Gael e candidato alla presidenza UE

John Bruton, ex premier appartenente al principale partito di opposizione nella Repubblica Irlandese, fa evidentemente suo il motto americano che da noi potremmo tradurre con un eccesso di ottimismo "chiunque può diventare presidente degli Stati Uniti d'Europa"

Ieri si è proposto l’ex primo ministro John Bruton, appartenente al Fine Gael, principale partito d’opposizione in Irlanda e forza vincente nelle elezioni europee che si sono tenute a giugno, in accordo con la tradizione locale il Governo di Dublino non ha potuto fare altro che accordargli il proprio sostegno

 

E’ uno scherzetto di Halloween che il Governo di Brian Cowen, Fianna Fail, non si aspettava, e che non gli ci voleva adesso. John Bruton, ambasciatore europeo a Washington, è andato a dire a tutti gli ambasciatori dei 27 negli Usa che lui vuole diventare il primo Presidente stabile della Unione Europea, risultato: il governo, che aveva dato l’ok all’inglese Blair, ha dovuto dire quello che si dice da quelle parti in questi casi, che una volta che un irlandese si è fatto avanti, l’Irlanda lo sostiene (“once an Irishman is going forward, we’re supporting the Irishman” così il ministro degli esteri Michael Martin ieri).

Toni di circostanza a parte, la candidatura mette in luce il partito liberale (Fine Gael) che ha stravinto le elezioni europee e che minaccia concretamente le scarse speranze del Fianna Fail di restare al potere: partito degli umili, della nazione e della spesa, il Fianna Fail nel tempo è rimasto solo il partito della spesa, ciò che è stato visto come un merito negli anni ’90 e in gran parte degli ultimi anni quando c’erano soldi da spendere, ma che non è più accettato a cuor leggero adesso che la crisi ha investito in pieno gli Stati Uniti e con loro anche l’Irlanda, legatissima all’economia stelle e strisce.

L’imbarazzo è accentuato dall’atteggiamento tenuto dal leader del Fine Gael, Enda Kenny, che prima ha premuto sul Governo perchè quest’ultimo preparasse un terreno favorevole a promuovere Bruton al rango di Commissario nella legislatura europea, poi ha fatto saltare fuori in questo modo la candidatura – un fatto compiuto – a Presidente della UE (la notizia è arrivata in Irlanda direttamente con una lettera dell’ambasciatore irlandese negli Usa, Michael Collins, che ha avvisato il Governo lasciandolo cadere letteralmente dalle nuvole).

Dotato di una sua logica, sia pure molto debole, nel contesto favorevole a candidati di medio profilo che si è venuto a creare, il passo di Bruton si configura però soprattutto come una tattica di politica interna, laddove sembra che Mary Robinson, candidato molto credibile, si sia esclusa dalla corsa e nello stesso tempo l’area geografica in questione, nella sua interezza, conta su Tony Blair che è un personaggio forte, alla cui figura politica sarebbe realistico contrapporre soltanto valide alternative, che al momento non sono molte, a parte Lipponen e Balkenende. In questo quadro non sarà un dettaglio insignificante la posizione dell’Irlanda, sperando che la Repubblica riesca ad acquisirne davvero una, al di là dell’appoggio formale a Bruton, perchè il Governo di Brian Cowen ha ricevuto, nella persona del Taoiseach (primo ministro) stesso, una serie di applausi dai leaders europei sempre ieri, per il ruolo dimostrato da Dublino nel successo di forma e di sostanza nel referendum pro-costituzione europea del 2 ottobre.

Aldo Ciummo

L’Europa delle chiusure affonda Tony Blair

 

Se l'Europa vuole crescere democraticamente, dovrà imparare a rispettare la direzione scelta da ogni paese che la compone

Se l'Europa vuole crescere democraticamente, dovrà imparare a rispettare la direzione scelta da ogni paese che la compone

Un blocco continentale si frappone tra Tony Blair e la Presidenza dell’Unione Europea, carica che risulterà rafforzata dal Trattato di Lisbona

di    Aldo Ciummo

 

La Presidenza Europea è una carica che sta per diventare più “pesante” grazie all’estensione del mandato e delle sue prerogative, fino ad oggi il favorito è stato Tony Blair, ma sembra che non debba essere più così. Sarkozy, presidente di uno degli stati più centralisti della comunità, la Francia, ha spiegato che è un problema il fatto che il Regno Unito non abbia adottato l’euro. Sarà. Intorno alle cariche europee si liberano le mire delle nazioni, ma soprattutto di concezioni dell’Europa e gruppi di potere differenti. Ora il governo della Germania è più o meno allineato alla Francia.

La Reuters nella giornata di oggi ha reso noti i contenuti di un documento riconducibile a Belgio e Lussemburgo più l’Austria, in sintesi vi si dice che non è adatto un politico proveniente da un paese che non ha accettato tutte le condizioni richieste dalla UE.         Ma l’opt out che permette ad un paese di restare fuori da una decisione senza fare ostruzionismo non è qualcosa di perfettamente regolare all’interno della comunità?          Inoltre, in una situazione in cui giustamente si va verso una riduzione del numero dei commissari, come segno della non sovrapposizione tra nazioni e rappresentanti (perchè i politici in carica nelle istituzioni dell’Unione rappresentano tutta l’Europa e non lo stato di provenienza) affermare che qualcuno non può candidarsi perchè è inglese è stupefacente da un punto di vista politico oltre che nel merito.

La difesa dei propri interessi all’interno della comunità è legittima, difatti Belgio e Lussemburgo sostengono la candidatura di Jean-Claude Juncker, visto non senza ragione dai membri dell’Est come rappresentante di un blocco federalista ma soprattutto continentale-occidentale, racchiuso nel nucleo più vecchio della Unione. Comunque, Tony Blair non è nè Roosvelt nè Gandhi, anzi può benissimo non piacerci perchè ha portato avanti politiche esageratamente liberiste, anche se da qui a dire che l’economia inglese in quegli anni andava peggio di adesso ne passa, anche perchè si direbbe una cosa che non corrisponde alla realtà (e anche se la direttiva Bolkestein che ha liberalizzato il prezzo dell’offerta di lavoro nel settore dei servizi è stata varata all’inizio del 2004 non certo da un inglese liberista, ma dalla Commissione di Romano Prodi, che è italiano ed appartenente ad una coalizione che all’epoca aveva sfumature di attenzione al sociale, Prodi in tanti in Italia lo abbiamo votato e con i tempi che corrono probabilmente oggi saremmo ancora di più, ma perchè raccontarci storie di mussoliniana memoria su liberalizzatori che non amano il continente e socializzatori centralisti che lo amerebbero?)

Ma l’azione sociale, specie in realtà complesse come le istituzioni europee, deve guardare avanti e quindi adesso l’attenzione dei paesi europei ed in particolare delle élites che li governano si sta concentrando sui “papabili” presidenti della Comunità, vediamoli insieme: particolarmente prestigiosa è la candidatura di Paavo Lipponen, proveniente da una tradizione di sinistra effettivamente attenta all’esistenza dei cittadini. Lipponen è stato primo ministro della Finlandia e lo è stato in conseguenza del fatto di portare al successo un grosso partito socialdemocratico, a vocazione concretamente maggioritaria e rappresentativo delle fasce dei lavoratori, infatti acquisiva punti percentuali interi nelle elezioni politiche. Paavo Lipponen è stato primo ministro dal 1995 al 2003 nel suo paese.

Un altro candidato è l’attuale premier olandese Jan Peeter Balkenende, appartenente al Partito Cristiano Democratico olandese di Centrodestra che ha molte caratteristiche che sono effettivamente discutibili, ma che è tornato al governo del suo paese per aver avuto l’intelligenza e lo spirito democratico di cooperare anche con forze politiche non assimilabili al 100% al suo programma. In molte parti d’Europa gli elettori laici attendono altrettanto dai vertici delle forze progressiste perchè le iniziative a favore dell’integrazione, di una maggiore partecipazione femminile e di strumenti legislativi come i Pacs eccetera vengano portati avanti con la volontà di farlo nella realtà e non a chiacchiere in Parlamento, anzi ormai fuori perchè l’autoreferenzialità ha causato spesso, ad esempio in Italia, frammentazione e disintegrazione elettorale e territoriale.

Una novità per l’Unione Europea è la possibilità della candidatura di Mary Robinson, che non ha mai ricoperto incarichi di governo diretti nel suo paese, l’Eire, nè incarichi europei. Mary Robinson è stata Presidente della Repubblica irlandese dal 1990 al 1997 e Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite dal 1998 al 2002, un campo nel quale l’Europa ha molta strada da fare. Inoltre, in un contesto economico ed istituzionale che anche a livello continentale attende un necessario riequilibrio tra i sessi nei vertici delle organizzazioni decisionali, l’arrivo di una donna (di provate capacità espresse in una decennale attività nel Labour party del suo paese) sarebbe indubbiamente un segnale significativo.