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Presentato il libro “Incontri con il Che”

L'America Latina ancora oggi una questione sociale aperta

L’America Latina ancora oggi una questione sociale aperta

La pubblicazione di Stefano Campetella, che ha a lungo lavorato a Cuba, invita ad approfondire l’itinerario compiuto dai diritti sociali in America Latina

Oggi pomeriggio ha avuto luogo la presentazione del libro “Incontri con il Che”, presso la Sala Mercede della Camera dei Deputati. Hanno partecipato al dibattito Stefano Polli (Esteri Ansa) e Roberto Di Giovan Paolo (Senato), Vincenzo Pergola (come ingegnere che ha rapporti professionali con il paese latinomericano) e Andrea Maresi (Rappresentanza del Parlamento Europeo per l’Italia).

L’autore, Stefano Campetella, è originario di Macerata e come ingnegnere ha operato in molti paesi, tra i quali appunto Cuba ed il Brasile. Nel 1959 si trovava a Cuba per dirigere la costruzione di uno stabilimento che si occupava di fertilizzanti. Nel corso del suo incarico conobbe Ernesto Che Guevara, all’epoca direttore dell’Instituto Nacional Para la Reforma Agraria. Il testo è edito da Liberilibri.

Dalle conversazioni tra l’ingegnere ed il medico nasce il libro che raccoglie la memoria di Campetella su questi incontri.  Il dibattito assume una rilevanza particolare mentre l’America Latina sta acquistando un crescente peso internazionale grazie alla progressiva soluzione dei problemi di diseguaglianza ed all’importanza riconosciuta ai diritti di partecipazione al progresso socioeconomica di tutte le parti della società.

Stefano Campetella ha sottolineato l’eredità positiva dell’influenza di Che Guevara a Cuba ed in America Latina soprattutto riguardo allo spirito di correttezza e di fiducia che anche nelle relazioni industriali caratterizzò quel primo sforzo del paese latinoamericano di aprirsi all’esterno, un tentativo purtroppo frenato in seguito dalle vicende storiche che hanno angustiato l’isola, stringendola tra l’embargo dell’economia di mercato all’esterno e l’avvitarsi del controllo dello stato sulle libertà individuali all’interno. Oggi la prospettiva che Cuba può coltivare è una apertura progressiva alle libertà democratiche associata al proseguimento delle conquiste sociali che la sua storia ha permesso.

Aldo Ciummo

A Roma l’incontro di TILT con gli studenti

L’iniziativa si chiama prossima fermata “Esperanza”, incontro a Roma tra gli studenti cileni ed italiani, saranno presenti Nichi Vendola e Maurizio Landini

Sabato 11 febbraio al caffé letterario di via Ostiense 95 (Roma) si svolgerà l’incontro tra gli studenti italiani e cileni “Esperanza” promosso dalla rete “Tilt”, attiva in Italia sui temi del superamento del precariato, della diffusione dello sviluppo sostenibile e della partecipazione democratica di giovani, donne, immigrati.

Parteciperanno all’incontro Camila Vallejo, leader degli studenti cilena; il segretario della Fiom Cgil, Maurizio Landini; il presidente di Sinistra Ecologia Libertà, Nichi Vendola; la portavoce nazionale di Tilt, Maria Pia Pizzolante e molti movimenti ed associazioni che non sono scomparsi durante gli anni del fallimento delle ricette liberiste, ma attraverso diverse iniziative di alternativa si sono confrontate arrivando in molti casi a lavorare insieme a nuove prospettive.

E’ diffusa la sensazione che viaggino ormai tutti assieme studenti, immigrati, persone che lavorano e che cercano di costruire progetti di partecipazione in tutta Europa come in altri paesi del Sud del Mondo che ormai è (per capacità di competere nell’economia mondiale e per squilibri nella distribuzione delle ricchezze che accompagnano anche da loro una fuorviante definizione di “sviluppo”) in molti casi occidente e come in molti altri paesi di un nord del mondo spesso in crisi sia nella sua posizione tradizionale di forza economica che nell’emergere delle contraddizioni sociali a questa connesse.

Forse non è un caso che quest’ultimo anno i mass media, in diverse occasioni, non siano riusciti a distinguere i manifestanti di Occupy Wall Street da quelli del Mediterraneo, e che i due livelli si siano quasi fusi, nella pratica e nei contenuti, nelle proteste che avvengono oggi sulla sponda sud dell’Europa, in Grecia ed altrove.”Incontrare Camilla Vallejo sarà come guardarsi allo specchio – dice la responsabile di Tilt Maria Pia Pizzolante, gli studenti che hanno scosso il Cile di Pinera sono parte della nostra stessa generazione, consapebole che una buona parte del futuro parte dallo studio e dalla formazione pubblica.”

Per TILT non si può parlare del sapere senza affrontare i nodi del lavoro. “Vallejo è cresciuta nella provincia di Santiago, che oggi racconta la stessa storia che potremmo sentire a Milano, Roma, Napoli, Palermo” spiega la responsabile di Tilt. Camilla Vallejo studia geografia all’Università del Cile ed il suo impegno politico, sfociato nel movimento degli studenti diventato centrale in Cile a partire dal giugno 2011, rispecchia quelli che hanno attraversato l’Italia nel 2010.

L’incontro di sabato è quindi soprattutto una occasione per parlare di sinistra politica e sindacale, uno spazio troppo a lungo lasciato vuoto dalle istituzioni e che in particolare le nuove generazioni stanno iniziando di nuovo a riempire, per difendersi dall’aggressione evidente e persistente da parte di ben determinate fasce di età e di reddito.

Aldo Ciummo

 

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Mondo: una donna presidente in Brasile, sconfitte le ingerenze ecclesiastiche

 

Dilma Roussef nel secondo turno conferma il percorso progressista iniziato da Lula e scelto dalla popolazione brasiliana, in maggioranza a favore dei progressi sociali e immune da politiche incentrate su valori alternativi alla laicità

Dilma Roussef, prima presidente del Brasile, ha battuto gli avversari 56% a 44%, in uno scontro che non era pari, perchè parti importanti delle chiese cattolica ed evangelica avevano scatenato una campagna contro la laicità della candidata del Partito Dos Trabalhadores nell’ultima parte della campagna elettorale, in un paese dove il peso della religione è tuttora enorme. L’avversario battuto è l’esponente del Partito Socialdemocratico, José Serra. La mobilità sociale, la cui stagnazione ed il alcuni casi il cui arretramento è così evidente in alcune zone della nostra Europa, è cresciuta moltissimo in questi ultimi anni nello stato sudamericano, dove fino a pochi decenni fa e per molti versi fino ad oggi imperava il latifondo.

Alcuni dati emergono dal secondo turno delle elezioni: il fatto che milioni di cittadini abbiano potuto mettere insieme i loro pasti per la prima volta con una certa continuità è stato considerato fondamentale dalla maggioranza degli elettori brasiliani, il timore che il governo non sia ubbidiente alle direttive del Vaticano non lo è stato. I volantini contro l’aborto, fatti distribuire da vescovi e religiosi, non sono serviti a contrastare la decisione con la quale la popolazione ha inteso proseguire il cammino iniziato sotto la Presidenza di Luiz Inacio Lula da Silva verso una reale solidarietà nell’aldiqua, fondata su una distribuzione del reddito più equa, che non soltanto paesi cosidetti in via di sviluppo attendono, al di fuori degli apparenti consensi dipinti dalle televisioni verso un modello di crescita che ha da poco dimostrato il proprio disastro anche e soprattutto nel mondo cosidetto avanzato.

A questo proposito non è inutile ricordare come l’OCSE abbia indicato l’Italia come uno degli stati dove la redistribuzione delle risorse e più iniqua e questo dovrebbe far riflettere quando ci si sente raccontare di crisi economiche anche nominalmente più grandi negli altri grandi paesi dell’Europa Occidentale rispetto a quella che ha colpito l’Italia, ma poi si verifica facilmente che le crisi sociali che attanagliano la penisola sono più cruente, per il fatto che, con un approccio ottocentesco, tutto viene scaricato sempre sulle stesse classi sociali.

Non è fuori luogo un paragone tra un paese che muove ora verso una equità produttiva che peraltro lo sta portando a raggiungere e superare l’Italia come potenza industriale ed il nostro paese, perchè qui in Italia si nota, al contrario, nonostante le considerazioni interessate delle ammiraglie della televisioni pubbliche nazionali e di quella parte di giornali che sono ormai organi di stato (spesso  ormai apertamente delegati ad intimidire le voci dissenzienti), una chiara tendenza a ricostruire ordini sociali basati sull’appartenenza di classe e sulle possibilità materiali ereditate dal passato e dalla fedeltà alle fasce di popolazione regnanti. Questo avviene, ad esempio, riducendo i diritti sanciti dalla Costituzione a parole vuote ed inapplicate, svalutando la nostra Costituzione repubblicana e anche attraverso la diffusa proletarizzazione di quello che si era soliti chiamare il ceto medio e la sua riduzione in uno stato di bisogno non dichiarato.

Una significativa parte del mondo sia sviluppato (Stati Uniti, Germania, Australia) che in via di sviluppo (Brasile) promuove cambiamenti importanti, di cui fa parte l’inclusione nello sviluppo delle fasce che ne erano escluse (anche attraverso l’assicurazione dei servizi essenziali, come a fasi alterne sta avvenendo in quegli Stati Uniti tanto attaccati da una sinistra italiana così lungimirante da distruggersi per difendere tre o quattro simboletti diversi tra loro e giustamente ignorati dalla popolazione reale) e di cui fanno parte le pari opportunità di genere (quasi snobbate da una sinistra che nel 2010 crede ancora che esistano soltanto operai e che con ciò ha consegnato in blocco i propri voti ai movimenti xenophobi regionalisti), l’Europa ha le carte in regola per essere al centro dei cambiamenti più importanti, ma è frenata da aree dove le rendite e le chiese sono ancora i due signori del borgo, da nazioni che sono ancora nel 2010 una sorta di paesello chiuso nella coazione a ripetere scelte come la ricerca di guide assolute (l’Italia è probabilmente l’esempio più evidente di questo tipo di Europa attardata nella ripetizione di tradizioni antidemocratiche ed antieconomiche).

Può valere la pena ricordare che un altro paese guidato da una donna, la Germania, accomunato ad alcuni degli stati citati da una minore pervasività della televisione rispetto all’Italia e da regole più comprensibili di tutela della concorrenza, sta trainando l’Europa anche attraverso l’imposizione di regole coattive alle strutture della grande finanza ed il reperimento di risorse non solo da fasce sociali considerate meno attrezzate a difendersi dall’aggressione dello stato e di categorie economiche direttamente rappresentate ai vertici di quest’ultimo, ma anche da tagli alle prerogative della finanza ed alle spese militari e burocratiche. Il Brasile, che al primo turno ha espresso un venti per cento di voti ambientalisti, può supportare lo sforzo dell’Unione Europea in direzione di una economia ecosostenibile e trainata dalle nuove tecnologie ed energie, confermando la modernità di questo indirizzo della politica europea, purtroppo non unanime nel continente oggi.

Il mondo cambia faccia, India, Brasile e molti altri stati rendono il panorama geopolitico più equilibrato e accrescono la plausibilità di modelli di sviluppo più compatibili ambientalmente e socialmente, gli Stati Uniti confermano la loro attuale capacità di dare un indirizzo generale, riformando in profondità il proprio sistema sociale in un modo che probabilmente nemmeno una temporanea affermazione dei Tea Party e di altre manifestazioni folcloristiche potrà cancellare. Obama, Merkel, Cameron, Jillard sono altrettante espressioni di volontà di cambiamento associata ad elevate capacità di realizzarne declinazioni pratiche nell’economia e nel pubblico: l’Europa, nel contesto dell’Occidente e della nostra ridefinizione in una situazione multipolare, è la novità più importante, il rafforzamento delle istituzioni comunitarie crea possibilità di azione per il nuovo stato europeo nel mondo, una forza che si avvia a diventare la maggiore nel pianeta. C’è da augurarsi che l’Unione Europea possa essere anche una forza sempre più capace di promuovere e nei casi più gravi di distorsione dalle tradizioni occidentali di imporre una maggiore modernizzazione al suo interno, anche nell’estremo sud del continente.

Aldo Ciummo

Jorge Castaneda: Multipolarismo nelle Americhe e nel pianeta

San Paolo nel Brasile

Lo studioso ed ex ministro degli Esteri del Messico, in vista di un 2010 che coinvolge il Brasile nelle decisioni più importanti e che trova Honduras, Venezuela e molti altri stati del subcontinente latino ancora alle prese con problemi difficili, ha descritto l’area come un laboratorio adatto alle sfide che attendono il pianeta complessivamente

 

In questi anni il Brasile che punta a superare le povertà direttamente con la valorizzazione delle nuove conoscenze, il Venezuela con la sua contraddittoria ricetta di emancipazione fondata sull’attivismo dello stato, Bolivia, Ecuador, Paraguay con le loro in gran parte legittime ma a volte semplicistiche aspirazioni di riappropriazione delle risorse, ma anche l’Argentina e il Cile con le proprie innovazioni politiche, Cuba con una testimonianza ancora viva pure se inficiata da limiti visibili, hanno preso il centro della scena nel mondo multipolare.

Secondo Castaneda, intervenuto sulle questioni latinoamericane alla fine del 2009, gli Stati Uniti sono destinati a ridurre la propria influenza nelle Americhe meridionali ma il loro ruolo resterà determinante nella soluzione delle crisi ancora in corso e parteciperà alle strategie di sviluppo che si stanno definendo. Messico, Brasile, Argentina, sono nella sua descrizione del panorama iberoamericano le avanguardie di una combinazione inedita di autodeterminazione nazionale e sviluppo dei diritti umani.

Castaneda ha menzionato logicamente il trauma del colpo di stato in Honduras, di cui resta da chiarire l’acquiescenza preoccupante da parte di settori economici e politici del mondo sviluppato, in assenza della quale sarebbe difficile immaginare la lunga tenuta dell’avventura di Micheletti, e menziona anche la tendenza autoritaria assunta dal governo di Chavez in Venezuela, una vicenda che, aldilà della piega antioccidentale e poco rispettosa delle regole democratiche che ha assunto negli ultimi anni, ha rappresentato per Caracas un esperimento capace di restituire al Venezuela ed a un’area più ampia una possibilità di autogoverno e di partecipazione improbabile pochi anni prima.

Tra l’interventismo invasivo del Novecento ed una nuova epoca di assenza delle iniziative nordamericane nell’America Latina, ha osservato Castaneda, esiste una via di mezzo che tenga conto dei rapporti anche positivi ed in ogni caso complessi (ed ineliminabili da un giorno all’altro se non a costo di scompensi dalle conseguenze poco prevedibili). America Latina e Stati Uniti sono legati storicamente, Brasile e Usa collaborano ai progetti riguardanti l’economia sostenibile ed a molto altro, Washington non può fare a meno di acquistare idrocarburi da Caracas (per quanto le politiche neoconservatrici nordamericane abbiano cozzato contro i progetti di nazionalizzazione portati avanti da Chavez). E lo sviluppo cileno resta interrelato a quello statunitense anche se settori importanti degli Usa hanno avuto un ruolo nella terribile ascesa di Pinochet e nella longevità del suo regime.

Castaneda ritiene che le istituzioni regionali e gli strumenti della democrazia siano in grado di inquadrare in una cornice di lungo periodo (e nella quale gli Stati Uniti e le potenze dell’area possano avere una parte attiva) le istanze di quella sinistra anche populista ma protesa a mettere in prima fila le fasce popolari a lungo escluse nel subcontinente latino: i governi nazionalisti di sinistra paraguayano, venezuelano, boliviano, ecuadoriano, la potenze storiche brasiliana e messicana, le esperienze cubana e nicaraguense.

Se gli Stati Uniti trovano la traiettoria per un rapporto rispettoso della sovranità a sud e le società sudamericane superano le ostilità stratificatesi nel ventesimo secolo, questo potrebbe dirsi davvero concluso per le Americhe, le cui responsabilità vanno verso un maggiore equilibrio nell’epoca del mondo multipolare.