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Moraes: “i diritti umani ancora al centro dell’azione del LIBE”

La commissione per le Libertà Civili dell’Europarlamento ha delineato le priorità dopo aver scelto presidente e   vicepresidenti

 

Al centro dell’azione del Libe, la commissione del Parlamento Europeo per le libertà civili, resteranno il completamento della normativa sulla protezione dei dati personali, la lotta alle discriminazioni e il problema dei migranti e dei richiedenti asilo, lo ha ribadito il presidente Moraes.

La commissione Libe è responsabile di importanti settori nel campo della sicurezza e della giustizia e Moraes ha sottolineato che tiene ad arrivare alla definizione di una carta dei diritti digitali per salvaguardare il diritto dei cittadini alla privacy.

Ma al primo posto per l’istituzione restano anche il completamento dei programmi finanziari relativi alla Giustizia ed agli Affari Interni e l’avanzamento dei negoziati concernenti Europol, Eurojust ed il ruolo europeo nella sicurezza internazionale.

Moraes ha rimarcato anche la necessità di contrastare le discriminazioni e di assicurare l’applicazione della carta dei diritti fondamentali. Tra i sessanta componenti della commissione per le libertà civili ci sono gli italiani Monica Luisa Macovei, Barbara Matera, Massimiliano Salini (PPE); Caterina Chinnici, Kyenge Kashetu (Cécile), S&D; Ignazio Corrao (Efdd); Flavio Tosi (non iscritti).

Il nuovo presidente della Libe, il britannico Claude Moraes, è stato eletto lunedì dai componenti della commissione: è un laburista che è entrato nell’Europarlamento nel 1999, quando era uno dei primi eurodeputati di origine asiatica. Moraes è stato coordinatore del gruppo dei Socialisti e Democratici nella commissione.

Aldo Ciummo

 

UE, Claude Moraes alla guida della commissione per le libertà civili

 

La commissione LIBE, formata giovedì, ha eletto oggi come presidente il laburista britannico Moraes

 

 

 

Il laburista inglese Claude Moraes è stato eletto alla presidenza della commissione per le Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni (Libe) durante l’assemblea costitutiva che ha avuto luogo oggi, lunedì 7 luglio, a Bruxelles.

Giovedì 3 luglio l’Europarlamento aveva eletto i sessanta componenti della commissione, che resteranno in carica per due anni e mezzo: il Partito Popolare Europeo (PPE) conta diciotto rappresentanti nella Libe, il gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D) ne ha quindici mentre i Conservatori e Riformisti (ECR) ne hanno sei e i Liberali e Democratici Europei (ALDE) cinque.

Sono rappresentati, entrambi da quattro eurodeputati, anche il gruppo della Sinistra Unita Europea/Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL) ed i Verdi-Alleanza Libera Europea (Verts/ALE) e l’Europa per la Libertà e la Democrazia Diretta, che conta a sua volta su quattro esponenti nella commissione, stesso numero di eurodeputati assegnato ai non iscritti.

Uno dei primi argomenti che la commissione dovrà affrontare è la questione della protezione dei dati, che ha tenuto banco nell’anno passato e che entrerà in ulteriori capitoli specifici adesso, dato l’avanzamento delle trattative per la Transatlantic Trade and Investment Partnership ed i problemi che alla sua conclusione possono essere posti proprio a causa delle diversità di valutazione, tra UE ed USA, riguardo alle politiche di controllo dei dati personali. Ma anche diritto di asilo e contrasto alle discriminazioni rientrano tra le competenze della LIBE.

Moraes sarà coadiuvato dai vicepresidenti Kinga Gàl (PPE, Ungheria), Iliana Iotova (Socialisti e Democratici, Belgio), Jan Philip Albrecht (Verdi, Germania), Barbara Kudrycka (PPE, Polonia) eletti lunedì dall’assemblea della commissione.

Aldo Ciummo

La Commissione UE al lavoro sulla gestione dei dati nel web

Le nuove tecnologie hanno modalità precise di funzionamento ma le considerazioni sull’uso dei dati dei cittadini sono oggetto di valutazione politica

Il 15 maggio, a Bruxelles, europarlamentari e rappresentanti della società civile hanno affrontato in un dibattito la questione della protezione delle libertà civili dei cittadini associata alla possibilità di sviluppo delle imprese che operano nel settore delle nuove tecnologie. La riflessione sull’argomento ha visto la partecipazione di Richard Szostak, componente della Commissione per Giustizia, Diritti Fondamentali e Cittadinanza (che lavora quindi in coordinamento con Viviane Reding) e di Hielke Hijmans, capo della unità di politica e consulenza nella supervisione europea della protezione dei dati.

Si è svolto anche un dibattito con eurodeputati componenti la Commissione delle Libertà Civili, Giustizia ed Affari Interni, Jan Philipp Albrecht (del gruppo dei Verdi-Alleanza Libera Europea, Germania) e Dimitrios Droutsas (S&D, Socialisti e Democratici, Grecia) relatori per la direttiva generale sulla protezione dei dati, Seàn Kelly (del PPE, Partito Popolare Europeo, Irlanda), relatore su Industria, Ricerca ed Energia, Sophie in’t Veld (Alleanza dei Liberali e Democratici Europei, Olanda), Timothy Kirkhope (del gruppo ECR, Conservatori e Riformisti Europei, Regno Unito), Gerard Batten (per l’EFD, Europa della Libertà e della Democrazia, Regno Unito).

Riguardo agli aspetti di tutela nei confronti dei cittadini, si è parlato delle possibili limitazioni per la pratica del profiling con la quale le aziende che operano nel settore delle nuove tecnologie hanno l’opportunità tecnica di prevedere in parte il comportamento dei consumatori, così come si è discusso degli obblighi di rimuovere dopo un determinato periodo di tempo i dati che vari soggetti (come banche e aziende di vendita on line) detengono in funzione delle loro interazioni con gli utenti. Il dibattito ha riguardato anche la semplificazione del linguaggio nel quale vengono comunicate le condizioni di utilizzo di social network e motori di ricerca e la necessità di consenso esplicito all’uso dei dati.

Aldo Ciummo

Nel vivo delle trattative sulla Politica Agricola Europea

Europarlamento, Consiglio e Commissione si confrontano sulla PAC ridefinita dall’aula di Strasburgo

 

Il 17 aprile è entrato nel vivo il dibattito sulla Politica Agricola Europea (PAC) tra Europarlamento, Consiglio dei Ministri della Unione Europea e Commissione, questa è la fase cosidetta dei triloghi, nella quale le maggiori istituzioni europee dovranno raggiungere un accordo entro la conclusione del semestre di presidenza irlandese (conclusione prevista per il mese di giugno).

Il dibattito in aula degli eurodeputati sulla politica agricola si è svolto in occasione della seduta plenaria il 12 marzo, concentrandosi sulla garanzia di una produzione stabile in Europa. Il 13 marzo si è votato e poi al termine di marzo è iniziata la negoziazione con gli stati componenti della UE. Ben trecentotrentaquattro emendamenti sono stati proposti dai diversi gruppi politici. La previsione per gli stati baltici è tra il cinquantacinque ed il settantacinque per cento della media comunitaria (riguardo ai rimborsi previsti relativi ai terreni).

Il Greening, l’insieme delle tutele ambientali incentivate attraverso il sostegno agli agricoltori che ne assicurano la difesa nel proprio territorio, rientra tra i compromessi raggiunti. L’intervento dei Liberali e Democratici (ALDE) è stato contrario alla sovrapproduzione di generi alimentari dovuta a sovvenzioni, secondo l’ALDE il Comitato Agricoltura si è indirizzato in tal senso all’inizio dell’anno.

George Lyon (UK, Lib Dem) coordinatore del Comitato Agricoltura, ha dichiarato: “la proposta di riforma della PAC più radicale è sostenere gli agricoltori perché realizzino beni comuni, come la protezione dell’ambiente”. Il gruppo europarlamentare dei Liberali e Democratici sostiene che i singoli stati dovrebbero avere più autonomia, nel decidere in merito ai metodi migliori per implementare le misure di “Greening”, ma anche che la Commissione dovrebbe avere l’ultima parola nel valutarne l’efficacia. Ciò garantirebbe, secondo l’ALDE, una maggiore parità di trattamento per gli agricoltori.

Per i Liberali e Democratici è intervenuta anche Britta Reimers (Germania, FDP) che ha aggiunto: “le proposte di organizzazione del mercato in comitato sono inaccettabili, perché indeboliscono l’efficienza e l’innovazione nel settore agricolo.” I liberali rifiutano misure restrittive sulle regole della competizione europea, considerandole come obblighi che influenzano perfino stati che non sono componenti della UE.

Giovanni La Via (Italia, PPE) ha dichiarato che la recente approvazione di una Politica Agricola Comune più semplificata ha reso gli agricoltori parte attiva di un meccanismo più efficace, favorendo il rispetto delle regole. E’ stata infatti la prima volta che l’Europarlamento ha preso parte, nel ruolo di codecisore, alla PAC. L’eurodeputato La Via, relatore del dossier che regola il finanziamento, la gestione ed il monitoraggio della Politica Agricola Comune, ha sottolineato le semplificazioni nella domanda per accedere ai sostegni e nel sistema che avviserà tempestivamente l’agricoltore della conformità alla legge delle sue azioni, evitando quindi la confusione tra inadempienze e frodi. “La riforma della PAC mira a favorire gli stati componenti della UE che adotteranno le migliori pratiche ed a garantire che i fondi stanziati rimangano nello stato, venendo avviati a regioni più efficienti, in casi di inutilizzo da parte di alcune delle regioni” ha detto La Via.

Paolo de Castro ha definito l’approvazione della riforma della PAC una pagina importante per l’agricoltura europea, dopo che l’apposita Commissione ha registrato l’approvazione dei quattro dossier legislativi da parte dell’Aula e l’adozione delle correzioni apportate proprio dalla Commissione Agricoltura su trasparenza e doppi finanziamenti. “La Pac interessa ovviamente gli agricoltori, ma l’alimentazione interessa tutti e la domanda alimentare cresce più della offerta, il sostegno all’agricoltura garantisce quindi il fabbisogno nell’Europa, che è la più grande area di importazione di prodotti alimentari” ha dichiarato De Castro riguardo al nuovo testo elaborato dall’ Europarlamento.

La Commissione Agricoltura, nell’ultimo anno, si è concentrata sulla definizione di una politica di sostegno e sviluppo del settore agricolo. Il voto della COM AGRI ha sottolineato il rafforzamento del capitolo ambientale. Il sistema di progressività (capping) previsto dall’europarlamento è diverso da ciò che aveva proposto il Consiglio, non c’è stata la riduzione del tetto dei contributi diretti da 300.000 a 200.000 euro.

I temi della politica agricola sono stati rilevanti in paesi come l’Estonia, a causa della diversità dei criteri rispetto all’ammontare previsto per altri stati, nel nuovo accordo infine è stato previsto che nessuno stato possa avere meno del sessanta per cento rispetto alla media degli stati componenti la UE. La riforma entrerà effettivamente in vigore nel 2015, fino a quando resteranno invece valide le norme attuali.

Aldo Ciummo

Anne Jensen (Danimarca): la UE promuova la ripresa economica

Il Parlamento Europeo, con le sue linee guida per il bilancio del 2014, intende chiedere a tutte le istituzioni europee un bilancio che combatta la crisi e stimoli l’occupazione nella UE

Durante la sessione plenaria della scorsa settimana (votazione di mercoledì 13 marzo 2013) il Parlamento Europeo ha approvato, nelle linee guida per il bilancio del 2014, le proposte di Anne Jensen (“Venstre”, Liberal Party of Denmark). Il 2014 apre il quadro finanziario multiannuale, il cui risultato sarà strettamente collegato ai negoziati tra Parlamento Europeo e Consiglio della UE in merito al periodo 2014-2020.

La definizione del bilancio del 2014 dipenderà molto dall’esecuzione corretta del bilancio del 2013: a questo proposito Anne Jensen ha espresso preoccupazioni sull’insufficiente livello dei pagamenti per l’anno corrente (oltre che per i ritardi nei pagamenti del 2012). L’intervento della deputata danese si inscrive nell’orientamento del gruppo di cui fa parte, lo “Alliance of Liberals and Democrats for Europe” (“Alde”).

Anne Jensen ha dichiarato che, anche se è singolare parlare del bilancio del 2014 mentre ancora non si conosce cosa accadrà riguardo al bilancio del 2013 nè quale sarà l’esito dei difficili negoziati tra il Parlamento Europeo ed il Consiglio dei Ministri della Unione Europea sul Multiannual Financial Framework (MFF), è importante fissare le linee guida, come peraltro previsto dalla procedura di bilancio.

Le politiche del 2014 riguardo al bilancio, ha riferito Jensen, ricadono in tre categorie: consolidamento della base legale di politiche comuni per assicurare il finanziamento in qualsiasi scenario; gli stanziamenti di pagamento (sottofinanziati a causa del bilancio 2014 avviato a essere in deficit); evitare che il risparmio sia fine a sè stesso e assicurare che crescita ed occupazione siano promossi.

Anne Jensen ha sottolineato che i cittadini europei richiedono istituzioni europee attive nel sostegno allo sforzo di superare la crisi economica, proponendo di conseguenza che il bilancio miri innanzitutto ad accrescere l’efficienza di infrastrutture, trasporti, ricerca e assicuri la presenza di un orientamento sociale delle politiche europee, riducendo la disoccupazione giovanile e potenziando istruzione e formazione.

Aldo Ciummo

Irlanda: vince Enda Kenny, affonda il Fianna Fàil

Enda Kenny, insegnante, sportivo e leader del Fine Gael

Nelle elezioni che seguono il salvataggio europeo e il piano di austerità il partito di governo irlandese passa dal primo posto a lungo inespugnabile che gli elettori gli hanno riconosciuto per decenni ad una terza posizione che non gli garantisce nemmeno la guida delle nuove opposizioni

di    Aldo Ciummo

Enda Kenny, insegnante e sportivo e leader del Fine Gael, è il probabile Taoiseach (Primo Ministro) che dovrà rinegoziare le condizioni imposte da Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale ad una Irlanda che negli ultimi anni ha subìto un brusco risveglio dal quindicennio di crescita e spesa targato Bertie Ahern, il simbolo del Fianna Fàil che incassava i dividendi del fenomeno della tigre celtica, una epoca sfumata nel tribolato strascico di legislatura gestito da Brian Cowen. Il Parlamento irlandese è formato da 166 seggi e il Fine Gael avrà la necessità di allearsi con il Labour oppure con alcuni degli indipendenti eletti nella tornata elettorale che si è svolta ieri.

Bertie Ahern (in carica dal 1997 al 2008) si dimise appena un anno dopo dalla sua terza rielezione alla carica di Taoiseach e meno di un anno prima dell’inizio dei guai per l’economia della Repubblica, lasciando (primavera del 2008) al suo posto il suo ministro delle Finanze, Brian Cowen, presto bersagliato da un malcontento che aveva radici certo più antiche del 2009 e del 2010, negli investimenti pubblici e nell’indebitamento di un periodo, snodatosi durante gli anni novanta ed il primo decennio del 2000, in cui sembrava che lo sviluppo non dovesse finire mai.

L’intero panorama politico dell’Eire è capovolto come non succedeva dai tempi stessi in cui il Fianna Fàil dell’eroe nazionale Eamon De Valera pose le basi per un governo quasi ininterrotto dalla vigilia del secondo conflitto mondiale ad oggi (il partito dei “Soldati del Destino” è nato, come l’avversario Fine Gael, dopo la guerra di indipendenza e la guerra civile del 1921 dalla scissione dello Sinn Féin, il cui nome fu conservato dai militanti che non accettarono di entrare nel parlamento irlandese nonostante la partizione dell’isola accettata dal Fine Gael, ingresso nel Dàil che invece coloro che si sarebbero chiamati Fianna Fàil fecero, le tre forze più antiche dell’isola erano all’epoche correnti diverse dell’Irish Republican Army). Il Fianna Fàil crolla dal quaranta per cento e oltre dei consensi del 2007 e di molte elezioni precedenti all’attuale 17 per cento, che è più che dimezzato a Dublino, dove il Labour di Eamon Gilmore diventa primo partito, conservando ed ampliando il successo nelle elezioni europee ed amministrative riportato nella capitale nel 2009.

A vincere su scala nazionale, con il 36 per cento complessivamente nell’Eire ed un grosso risultato anche a Dublino, dove in tutte le circoscrizioni si spartisce i seggi con il Labour (con il 20 per cento suo probabile partner nel Governo entrante) è il Fine Gael di Enda Kenny, nato come partito di legge e ordine negli anni venti con Michael Collins, accettando il compromesso della divisione dell’isola e della permanenza del nuovo stato sotto l’ombrello del Commonwealth. Dopo la trasformazione dell’Irlanda in Repubblica e con l’inizio del duraturo successo del Fianna Fàil nel presentarsi come custode del nazionalismo democratico e di una stabilità conservatrice con sfumature sociali, il Fine Gael ha dovuto inventarsi una singolare identità progressista, che attraverso posizioni simili a quelle della vecchia AN italiana ed effimeri avvicinamenti al gruppo dei Socialisti europei lo ha portato a definirsi centro progressista e sedersi nei banchi del PPE. Oggi il partito reso credibile da Enda Kenny in anni di azione politica e lavoro sui temi di opinioni più sentiti dalla popolazione lancia una scommessa difficile in un era incerta.

Il Fianna Fàil è letteralmente spazzato via dalla città più importante dell’irlanda: a Dublino i seggi dei quartieri popolari che furono la sua roccaforte sono stati presi al primo conteggio dai troskisti del Socialist Party e dai movimentisti del People Before Profit (alleati nel cartello United Left Association) e da uno Sinn Feinn che continua a radicarsi anche nel sud, confermando le indicazioni emerse dalle consultazioni europee e rafforzando i risultati ottenuti in Ulster, dove dal 2009 è primo partito. E’ il conto di una crescita dipinta dal FF come perpetua, ma anche di una crisi di identità: il Fianna Fàil che poteva dirsi nazionalista (per aver liberato l’Irlanda e poi averla fatta diventare una Repubblica) e allo stesso tempo rappresentarsi popolare (per aver costruito un grande settore pubblico nonostante il persistere di una emigrazione massiccia fino agli anni ottanta), il FF che poteva mantenere le sue roccaforti nelle zone rurali col supporto dei fondi europei dagli anni settanta in poi, ha perso la terra sotto i piedi a causa della stessa ondata che gli ha consentito di distribuire i dividendi della globalizzazione dagli anni novanta in poi, perchè la vecchia irlanda nazionalista e sociale cambiava.

L’Irlanda è diventata, negli ultimi venti anni, un paese sempre più giovane, dove le identità contano ma si sono modificate, anche grazie al Fianna Fàil ed alle politiche redistributive è un posto dove l’intolleranza non ha attecchito, ma oggi è una nazione dove un decimo della popolazione viene dal resto d’Europa ed i “Soldati del Destino” del Fianna Fàil sono anch’essi in crisi di identità: il FF ha condiviso per un decennio nel Parlamento Europeo gli spazi dell’UEN, il gruppo conservatore dell’Europa delle Nazioni, oggi è nel gruppo dei Liberali (A.l.d.e) e le incertezze nei temi sensibili lo dividono ulteriormente, in anni in cui non può mantenere il consenso con i sostegni materiali alle fasce di popolazione in difficoltà, come aveva sempre fatto.  Nell’ Europa di oggi  i fondi per l’Agricoltura e per la Coesione che ieri andavano all’Irlanda ed a pochi altri vengono ripartiti tra gli stati mitteleuropei e baltici, balcanici e saranno concessi presto a nazioni di prossimo ingresso.

Le cose non sono facili neppure per il Fine Gael (La Famiglia dei Gaeli) con il suo ottimo risultato elettorale dovrà dimostrare se quella del Governo uscente di fronte alle regole della finanza internazionale è stata davvero una resa e che sia possibile quindi rinegoziarla, alleggerendo il peso che il salvataggio pubblico delle banche per le spalle dei contribuenti. Se vuole fare questo il FG, sorta di An sia pure morbida, dovrà allearsi ancora una volta con il Labour, che tra i Socialisti europei siede davvero e da sempre, sia pure con posizioni moderate, e che rappresenta un pezzo del cataclisma che ha investito il Parlamento irlandese:  appena ieri una lista recintata tra i lavoratori del settore pubblico e che non credeva al 14% delle europee, oggi un partito quasi al 20 per cento che ha posizioni più chiare del Fine Gael (le alleanze tra i due partiti sono state il solo modo che FG e Labour hanno trovato di vincere ma non hanno mai prodotto amministrazioni durature). Anche questo è un segnale dell’epoca che si chiude, il Labour era l’unico partito di una certo seguito a non nascere dalla guerra di liberazione nazionale del 1920 e rimasto inchiodato da una sorta di minorità (da cui traeva origine il detto che l’Irlanda fosse una Repubblica con due partiti e mezzo, Fianna Fàil in maggioranza, Fine Gael in condizione di minoranza abbastanza netta e costante nonostante il suo peso e Labour poco al di sopra del dieci per cento per la maggior parte della usa esistenza).

A completare le novità di questa tornata elettorale in Irlanda l’onda di estrema sinistra, che riporta in Parlamento i trotzkisti di Joe Higgings: il dissidente del Labour è stato previdente nella sua alleanza con i movimentisti del People Before Profit, dopo il successo che entrambe le formazioni avevano riscosso nelle amministrative di Dublino già nel 2009, contemporaneamente all’entrata in Parlamento Europeo del comunista d’Irlanda. Dublino è un’altra storia (come e più che nelle elezioni europee), la United Left Alliance (Socialist Party e People Before Profit) e lo Sinn Feinn (che continua a crescere) conquistano molte circoscrizioni, dopo Labour e Fine Gael che sono i big della situazione anche in città. Al Fianna Fàil di Dublino resta soltanto un seggio (su quarantasette).

Lo Sinn Féin si sta stabilizzando come una forza al dieci per cento, radicandosi anche nel sud come principale forza antagonista popolare sia tra i nazionalisti che tra i giovani di sinistra e nelle aree vicine al Nord arriva ad ottenere il 15 per cento dei consensi. Una vera ondata però è anche quella degli indipendenti, che tutti assieme totalizzano il quindici per cento e molti dei quali sono eletti (molti di loro guardano a sinistra). Dopo i liberisti del PD (Progressive Democrats), radicali d’Irlanda scomparsi nel 2008 prendendo atto della sostanziale sparizione nelle preferenze degli elettori, la stessa sorte sembra toccare invece ai Verdi di John Gormley, cui l’esperienza di coalizione col Fianna Fàil giunta al termine è stata letale, con uno striminzito due per cento lasciano il posto nel Dàil ad almeno quattro deputati dell’estrema sinistra ed a una dozzina di indipendenti.

Che l’Europa cominci ad imporre i diritti

 

L’estensione del congedo di maternità a venti settimane e l’introduzione del congedo di paternità vanno nella direzione della creazione di regole civili imposte in tutta l’Unione Europea

di    Aldo Ciummo

Da tempo si è ripetuto, anche su queste pagine, che l’Europa non può acquisire una forza competitiva reale se non assicura il rispetto di regole civili e sociali minime – parità di genere nelle istituzioni, tutela del lavoro, laicità – che in molti stati, compresi alcuni dei fondatori storici nel 1957, arretrano paurosamente, tanto da causare perfino il distacco dai blocchi più conservatori di forze tradizionalmente a destra ma intimorite dalla rapidità del ritorno a situazioni socioculturali da prima rivoluzione industriale.  Il Trattato di Lisbona, con il rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo e dell’Unione Europea come stato, lascia sperare in una funzione dell’Europa sostenuta da poteri più pesanti quando si tratta di ottenere l’introduzione di valori contemporanei ed occidentali all’interno di tutte le aree del continente.

Il 20 ottobre il Parlamento Europeo ha approvato modifiche alla legislazione riguardante il congedo di maternità minimo, aumentandolo da quattordici a venti settimane remunerate al cento per cento dello stipendio, con diverse varianti per i paesi che hanno regimi di congedo parentali. Un’altra novità importante è stata l’introduzione del congedo di paternità, per quanto al momento stabilita nella misura risibile di almeno due settimane. Come è noto, negli stati più avanzati (ad esempio in vari paesi della fascia nord della nostra Europa) il tempo a disposizione dei padri è molto lungo e si tratta evidentemente di una norma che oltre ad andare nel senso più realistico nel 2010 di un diritto alla vicinanza agli affetti della persona è una tutela per la parità di genere non appensantendo le donne in un modo che rappresenta un allontanamento dal mondo del lavoro e dall’ambito sociale.

Tornando ai lavori parlamentari europei, la relazione di Edite Estrela (Socialisti e Democratici) è stata approvata con 390 voti a favore, 192 contrari e 59 astensioni. Si nota ovviamente, come in gran parte delle risoluzioni, la labilità di regole che restano minime, mentre si lascia di fatto agli stati membri la possibilità di introdurre regimi di congedo più favorevoli alle lavoratrici, rispetto a quelli previsti dalla direttiva. Una serie di deputati si sono opposti all’introduzione del congedo di paternità con l’argomentazione che la legislazione in discussione riguarda le donne in gravidanza.

 Occorrerebbe però staccarsi da una considerazione a senso unico delle tutele, centrata essenzialmente sulle nascite con una prospettiva piuttosto limitata, perchè proprio in base all’ambito trattato e cioè quello lavorativo si parla nei congedi di diritti delle donne e quindi non andrebbe escluso un discorso specifico anche sulla libertà di lavoro e di vita sociale che va assicurata anche in presenza della formazione di una famiglia e che è certamente ampliata con l’estensione della cura del privato a entrambi i soggetti coinvolti.

La Commissione per i Diritti della Donna ha adottato poi emendamenti per impedire il licenziamento delle donne almeno fino al sesto mese dopo la fine del congedo di maternità, tutela come si nota solo parziale, permettendo il ritorno all’impiego precedente o posto equivalente, anche in termini di retribuzione, categoria professionale e responsabilità. Si può aggiungere che occorrerebbe oramai una tutela più ampia dei diritti delle donne in ambito lavorativo, perchè si registrano situazioni di difficoltà anche al di fuori del capitolo specifico della maternità, che non esaurisce certo le situazioni sociali odierne.

In realtà si comprende l’affanno dell’Unione Europea, perchè l’applicazione delle norme previste dal Trattato di Lisbona non è ancora a pieno regime, il peso delle istituzioni europee va crescendo con la pratica dell’attività legislativa e regolamentatrice ed incontra ostacoli nelle contraddizioni interne della costruzione europea e nella concorrenza con le norme nazionali, alcune delle quali bisogna dire sono spesso più avanzate di quelle della stessa comunità (ed in altri casi sono tanto meno avanzate o inapplicate di fatto da rendere quelle comunitarie di difficile introduzione nella società prima ancora che nel settore pubblico o nel mercato). Però è necessario che l’Europa si muova, perchè ciò che i cittadini attendono per partecipare più attivamente alla nascita della nazione comunitaria europea è proprio una maggiore associazione delle strutture europee alla realtà materiale delle società degli stati membri ed all’innovazione di quegli stati da parte della società.

Il Parlamento Europeo nuovo attore della politica mondiale

 

La discussione sulla autonomia strategica dell’Unione Europea si intreccia al braccio di ferro tra gli esecutivi rappresentati nel Consiglio dell’Unione Europea da una parte e la visione della comunità come espressione dell’elettorato del Parlamento Europeo dall’altra, in mezzo sta la Commissione.

 

di   Aldo Ciummo

La politica estera di sicurezza e di difesa, uno degli ambiti di cui più si parla tra gli addetti ai lavori negli ultimi anni, è anche il settore che più difficilmente trova la sua strada nei lavori di costruzione dell’Europa Unita. Difatti sicurezza e politiche estere sono elementi che caratterizzano più di ogni altro non solo cosa fa un soggetto della geopolitica ma anche “chi è”, soprattutto chi decide al suo interno.

Se la distribuzione del potere decisionale è indizio della struttura e della cultura che una organizzazione statale si attribuisce, questa questione è tanto più complicata e tormentata in un complesso frutto di ingegneria politico-istituzionale come l’Unione Europea, dove esiste un organo altamente rappresentativo delle popolazioni come il Parlamento di Strasburgo, tuttora ancora scarsamente incisivo su molti argomenti importanti (anche se l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona sta modificando questa situazione, progressivamente) e dove una Commissione molto forte, almeno nelle potenzialità, sconta ancora una grande difficoltà di interpretare il potere come espressione di popoli diversi.

Il Consiglio della Unione Europea, composto dai ministri dei diversi paesi che formano la UE riuniti per settori di competenza, è un meccanismo per molti versi antistorico, rappresentando il metodo intergovernativo che i trattati più recenti si sforzano di superare, perchè decidere tra governi significa perpetuare una visione dell’Europa basata su patti tra esecutivi, frenando inevitabilmente il processo di formazione di una opinione pubblica europea proiettata verso i problemi e le opportunità tipiche del progetto comunitario e chiudendo anche le consultazioni europee in una somma di confronti nazionali. Però il Consiglio dell’Unione Europea è anche più o meno l’unica invenzione degli europei che ha funzionato, a livello di capacità decisionali e in ultima analisi di rappresentanza effettiva delle volontà popolari nazionali, sia pure in forma fortemente indiretta (mediazioni tra settori specifici di governi espressione di diversi meccanismi di rappresentanza).

Il progetto avviato a Lisbona con il Trattato ha al centro una Europa che rappresenta davvero i suoi cittadini e che in forza di questo si propone come decisore a livello internazionale, perciò lo sforzo del Parlamento Europeo di acquisire il controllo della Politica Estera e di Sicurezza e della Politica Comune di Sicurezza e di Difesa è quasi una cosa che va da sè.

In questo quadro va interpretato l’insieme di richieste specifiche da parte del Parlamento Europeo, cui stiamo assistendo in questi ultimi due anni. Lo scorso mercoledì è toccato alle modalità di finanziamento del servizio di azione esterna della Ue (SEAE), un nascente apparato molto importante nel contesto della costruzione della nazione europea e di cui si è già avuto modo di parlare qui.

La relazione di Gabriele Albertini (Partito Popolare Europeo), passata con 592 voti a favore, 66 contrari ed 11 astensioni, ha rimarcato la necessità di arrivare ad una consultazione del Parlamento Europeo prima di avviare qualsiasi missione della politica comune di sicurezza e di difesa. Un’ altra esigenza espressa dal Parlamento Europeo è quella di ottenere maggiori poteri di controllo sulla nomina e sul mandato dei rappresentanti speciali della UE (RSUE). Gli eurodeputati hanno chiesto anche un ampliamento dell’accesso alle informazioni sensibili.

I poteri di bilancio dell’organo elettivo sono oggi accresciuti, ma il capitolo dei fondi destinato a lanciare l’Europa come peso massimo nel pianeta di oggi non è trattato come prioritario nella Unione Europea. Una delle preoccupazioni maggiori, perciò, attualmente è stabilire procedure che consentano un accesso rapido agli stanziamenti per le iniziative che rientrano nella Politica Estera e di Sicurezza Comune.

Europa: il dibattito è aperto

 

Ad eleggere la nuova Commissione oggi è stato un Parlamento Europeo il cui peso è stato accresciuto dal Trattato di Lisbona. La sfida adesso è assicurare all’Unione un peso ed una incisività corrispondente alle sue potenzialità

 

E’ stata resa nota oggi la composizione della Commissione Europea che resterà in carica fino al 31 ottobre 2014 e che guiderà la UE in un periodo doppiamente cruciale, perchè caratterizzato dalla crisi economica e sociale e e e dalla presenza di un nuovo soggetto politico nel mondo, l’Europa uscita dal Trattato di Lisbona con un profilo più forte e definito.

Partito Popolare Europeo (Centrodestra), Socialisti e Democratici e l’ALDE (Liberali) avevano annunciato il sostegno all’ esecutivo ed hanno ottenuto 488 voti favorevoli, mentre Verdi-Alleanza Libera Europea, la GUE/NGL (Sinistra Europea Unita e sinistra verde nordica) e l’Europe of Freedom and Democracy (gruppo di destra che unisce gli ex gruppi di IND-DEM cioè Indipendenza e Democrazia e di Unione per una Europa delle Nazioni o UEN) avevano detto no ed hanno raggruppato 137 contrari. Le astensioni sono state 72, riferibili all’ECR  (Conservatori e Riformisti Europei).

José Manuel Durao Barroso, Presidente della Commissione Europea, ha commentato il debutto del nuovo esecutivo affermando che adesso l’Unione Europea è chiamata dal momento storico impegnativo che ci troviamo di fronte a dimostrare di non essere soltanto la somma delle sue parti.

Joseph Daul, deputato francese del PPE (Centrodestra), durante il suo intervento ha sottolineato la deludente presenza europea in diversi momenti di difficoltà importanti, mentre il tedesco Martin Schultz (S&D, Centrosinistra) ha criticato l’assenza di dibattito da parte dei Commissari, designati in base ad un compromesso politico voluto dal presidente della Commissione, Barroso.

Il liberale belga Guy Verhofstadt ha auspicato un’Europa sempre più indipendente dalle pressioni dei singoli stati membri, in forza delle nuove regole introdotte dal Trattato, che saranno anche  approfondite, nelle prossime settimane su queste pagine web.

Daniel Cohn-Bendit, per i Verdi, ha attaccato la prassi di votare in base ad accordi tra i maggiori gruppi rappresentati a Strasburgo (PPE, S&D, Alde, N.d.R) ed ha sottolineato che chi vota contro le proposte maggioritarie in assemblea non è, per questo, contro l’Europa.

L’elezione della Commissione, preceduta dalle valutazioni delle Commissioni parlamentari europee e dalla Conferenza dei Presidenti, comprendente Jerzy Buzek (Presidente del Parlamento Europeo) ed i presidenti dei diversi gruppi politici, segue di pochi mesi l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che rafforza il ruolo di controllo e di proposta del Parlamento e (anche in forza di questa garanzia democratica) affida un più forte mandato alla Commissione Europea, l’esecutivo, nella formulazione delle politiche comunitarie.

Aldo Ciummo