• i più letti

  • archivio

  • RSS notizie

    • Si è verificato un errore; probabilmente il feed non è attivo. Riprovare più tardi.
  • fin dove arriva la nostra voce

  • temi

La sinistra europea riparte dalla Francia con Hollande

 La sinistra europea riparte dalla Francia con Hollande

I risultati parziali che emergono dal primo turno delle presidenziali francesi confermano che gli elettori europei voltano le spalle a tecnici e liberisti
Non ci sono sorprese nel primo turno di uno degli stati più importanti d’Europa, la Francia fondatrice della Ue con altri cinque paesi. Nicolas Sarkozy non si solleva dal venticinque per cento che aveva provato a superare con grandi sforzi pubblicitari e con la preoccupante rincorsa a destra cui ci si è purtroppo abituati soprattutto negli stati mediterranei della Ue.
L’affluenza è alta e la riserva di voti che i conservatori estremisti offrono a Sarkozy gli allontanerebbe tutti i centristi, anche la Francia non ha superato tutti i rigurgiti ultraconservatori che l’avevano snaturata nelle elezioni del 2002 in presenza di una bassa partecipazione e di tendenze nazionalistiche spinte dalle guerre e dalle varie leghe xenophobe europee che si avvantaggiavano del clima di tensioni internazionali sollevato dai conflitti.
Le vere novità in Francia si trovano a sinistra, un cambiamento che riecheggia altri segnali emersi negli ultimi due anni in tutta Europa (il successo dell’ambientalismo ed il fallimento della campagna elettorale euroscettica dei liberali nelle elezioni regionali in Germania, il ritorno di un governo di sinistra in Danimarca, il buon risultato della sinistra nelle presidenziali irlandesi ed il successo dei Verdi nel primo turno delle presidenziali in Finlandia), indizi di un progressivo rifiuto, da parte delle popolazioni europee, di entrambe le versioni liberista e xenofoba del conservatorismo di destra responsabile in questi ultimi due decenni di squilibri economici e chiusure culturali che hanno desertificato molte opportunità di sviluppo socioeconomico della UE.
In Francia, Francois Hollande sta vincendo le elezioni con un indirizzo di politica di sinistra progressista: ridurre le disparità tra i cittadini per difendere il concetto di cittadinanza, valorizzare il ruolo degli immigrati attraverso l’apertura e l’integrazione, sostenere la crescita sociale attraverso l’ecosostenibilità e l’Europa. Jean-Luc Melenchon, il candidato del raggruppamento di sinistra, sta viaggiando attorno al dodici per cento dei consensi, con progetti di redistribuzione e riconversione ancora più netti, oltre che con una critica forte all’Europa rigorosa solo con le popolazioni, nelle questioni sociali e con l’immigrazione e invece debolissima con gli eccessi della finanza, con le concentrazioni patrimoniali e le tendenze conservatrici.
Aldo Ciummo

NOTIZIE SU REGIONI E CULTURE DEL NORDEUROPA SUL SITO DI INFORMAZIONE      www.nordeuropanews.it      NORDEUROPANEWS

Irlanda: vince Enda Kenny, affonda il Fianna Fàil

Enda Kenny, insegnante, sportivo e leader del Fine Gael

Nelle elezioni che seguono il salvataggio europeo e il piano di austerità il partito di governo irlandese passa dal primo posto a lungo inespugnabile che gli elettori gli hanno riconosciuto per decenni ad una terza posizione che non gli garantisce nemmeno la guida delle nuove opposizioni

di    Aldo Ciummo

Enda Kenny, insegnante e sportivo e leader del Fine Gael, è il probabile Taoiseach (Primo Ministro) che dovrà rinegoziare le condizioni imposte da Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale ad una Irlanda che negli ultimi anni ha subìto un brusco risveglio dal quindicennio di crescita e spesa targato Bertie Ahern, il simbolo del Fianna Fàil che incassava i dividendi del fenomeno della tigre celtica, una epoca sfumata nel tribolato strascico di legislatura gestito da Brian Cowen. Il Parlamento irlandese è formato da 166 seggi e il Fine Gael avrà la necessità di allearsi con il Labour oppure con alcuni degli indipendenti eletti nella tornata elettorale che si è svolta ieri.

Bertie Ahern (in carica dal 1997 al 2008) si dimise appena un anno dopo dalla sua terza rielezione alla carica di Taoiseach e meno di un anno prima dell’inizio dei guai per l’economia della Repubblica, lasciando (primavera del 2008) al suo posto il suo ministro delle Finanze, Brian Cowen, presto bersagliato da un malcontento che aveva radici certo più antiche del 2009 e del 2010, negli investimenti pubblici e nell’indebitamento di un periodo, snodatosi durante gli anni novanta ed il primo decennio del 2000, in cui sembrava che lo sviluppo non dovesse finire mai.

L’intero panorama politico dell’Eire è capovolto come non succedeva dai tempi stessi in cui il Fianna Fàil dell’eroe nazionale Eamon De Valera pose le basi per un governo quasi ininterrotto dalla vigilia del secondo conflitto mondiale ad oggi (il partito dei “Soldati del Destino” è nato, come l’avversario Fine Gael, dopo la guerra di indipendenza e la guerra civile del 1921 dalla scissione dello Sinn Féin, il cui nome fu conservato dai militanti che non accettarono di entrare nel parlamento irlandese nonostante la partizione dell’isola accettata dal Fine Gael, ingresso nel Dàil che invece coloro che si sarebbero chiamati Fianna Fàil fecero, le tre forze più antiche dell’isola erano all’epoche correnti diverse dell’Irish Republican Army). Il Fianna Fàil crolla dal quaranta per cento e oltre dei consensi del 2007 e di molte elezioni precedenti all’attuale 17 per cento, che è più che dimezzato a Dublino, dove il Labour di Eamon Gilmore diventa primo partito, conservando ed ampliando il successo nelle elezioni europee ed amministrative riportato nella capitale nel 2009.

A vincere su scala nazionale, con il 36 per cento complessivamente nell’Eire ed un grosso risultato anche a Dublino, dove in tutte le circoscrizioni si spartisce i seggi con il Labour (con il 20 per cento suo probabile partner nel Governo entrante) è il Fine Gael di Enda Kenny, nato come partito di legge e ordine negli anni venti con Michael Collins, accettando il compromesso della divisione dell’isola e della permanenza del nuovo stato sotto l’ombrello del Commonwealth. Dopo la trasformazione dell’Irlanda in Repubblica e con l’inizio del duraturo successo del Fianna Fàil nel presentarsi come custode del nazionalismo democratico e di una stabilità conservatrice con sfumature sociali, il Fine Gael ha dovuto inventarsi una singolare identità progressista, che attraverso posizioni simili a quelle della vecchia AN italiana ed effimeri avvicinamenti al gruppo dei Socialisti europei lo ha portato a definirsi centro progressista e sedersi nei banchi del PPE. Oggi il partito reso credibile da Enda Kenny in anni di azione politica e lavoro sui temi di opinioni più sentiti dalla popolazione lancia una scommessa difficile in un era incerta.

Il Fianna Fàil è letteralmente spazzato via dalla città più importante dell’irlanda: a Dublino i seggi dei quartieri popolari che furono la sua roccaforte sono stati presi al primo conteggio dai troskisti del Socialist Party e dai movimentisti del People Before Profit (alleati nel cartello United Left Association) e da uno Sinn Feinn che continua a radicarsi anche nel sud, confermando le indicazioni emerse dalle consultazioni europee e rafforzando i risultati ottenuti in Ulster, dove dal 2009 è primo partito. E’ il conto di una crescita dipinta dal FF come perpetua, ma anche di una crisi di identità: il Fianna Fàil che poteva dirsi nazionalista (per aver liberato l’Irlanda e poi averla fatta diventare una Repubblica) e allo stesso tempo rappresentarsi popolare (per aver costruito un grande settore pubblico nonostante il persistere di una emigrazione massiccia fino agli anni ottanta), il FF che poteva mantenere le sue roccaforti nelle zone rurali col supporto dei fondi europei dagli anni settanta in poi, ha perso la terra sotto i piedi a causa della stessa ondata che gli ha consentito di distribuire i dividendi della globalizzazione dagli anni novanta in poi, perchè la vecchia irlanda nazionalista e sociale cambiava.

L’Irlanda è diventata, negli ultimi venti anni, un paese sempre più giovane, dove le identità contano ma si sono modificate, anche grazie al Fianna Fàil ed alle politiche redistributive è un posto dove l’intolleranza non ha attecchito, ma oggi è una nazione dove un decimo della popolazione viene dal resto d’Europa ed i “Soldati del Destino” del Fianna Fàil sono anch’essi in crisi di identità: il FF ha condiviso per un decennio nel Parlamento Europeo gli spazi dell’UEN, il gruppo conservatore dell’Europa delle Nazioni, oggi è nel gruppo dei Liberali (A.l.d.e) e le incertezze nei temi sensibili lo dividono ulteriormente, in anni in cui non può mantenere il consenso con i sostegni materiali alle fasce di popolazione in difficoltà, come aveva sempre fatto.  Nell’ Europa di oggi  i fondi per l’Agricoltura e per la Coesione che ieri andavano all’Irlanda ed a pochi altri vengono ripartiti tra gli stati mitteleuropei e baltici, balcanici e saranno concessi presto a nazioni di prossimo ingresso.

Le cose non sono facili neppure per il Fine Gael (La Famiglia dei Gaeli) con il suo ottimo risultato elettorale dovrà dimostrare se quella del Governo uscente di fronte alle regole della finanza internazionale è stata davvero una resa e che sia possibile quindi rinegoziarla, alleggerendo il peso che il salvataggio pubblico delle banche per le spalle dei contribuenti. Se vuole fare questo il FG, sorta di An sia pure morbida, dovrà allearsi ancora una volta con il Labour, che tra i Socialisti europei siede davvero e da sempre, sia pure con posizioni moderate, e che rappresenta un pezzo del cataclisma che ha investito il Parlamento irlandese:  appena ieri una lista recintata tra i lavoratori del settore pubblico e che non credeva al 14% delle europee, oggi un partito quasi al 20 per cento che ha posizioni più chiare del Fine Gael (le alleanze tra i due partiti sono state il solo modo che FG e Labour hanno trovato di vincere ma non hanno mai prodotto amministrazioni durature). Anche questo è un segnale dell’epoca che si chiude, il Labour era l’unico partito di una certo seguito a non nascere dalla guerra di liberazione nazionale del 1920 e rimasto inchiodato da una sorta di minorità (da cui traeva origine il detto che l’Irlanda fosse una Repubblica con due partiti e mezzo, Fianna Fàil in maggioranza, Fine Gael in condizione di minoranza abbastanza netta e costante nonostante il suo peso e Labour poco al di sopra del dieci per cento per la maggior parte della usa esistenza).

A completare le novità di questa tornata elettorale in Irlanda l’onda di estrema sinistra, che riporta in Parlamento i trotzkisti di Joe Higgings: il dissidente del Labour è stato previdente nella sua alleanza con i movimentisti del People Before Profit, dopo il successo che entrambe le formazioni avevano riscosso nelle amministrative di Dublino già nel 2009, contemporaneamente all’entrata in Parlamento Europeo del comunista d’Irlanda. Dublino è un’altra storia (come e più che nelle elezioni europee), la United Left Alliance (Socialist Party e People Before Profit) e lo Sinn Feinn (che continua a crescere) conquistano molte circoscrizioni, dopo Labour e Fine Gael che sono i big della situazione anche in città. Al Fianna Fàil di Dublino resta soltanto un seggio (su quarantasette).

Lo Sinn Féin si sta stabilizzando come una forza al dieci per cento, radicandosi anche nel sud come principale forza antagonista popolare sia tra i nazionalisti che tra i giovani di sinistra e nelle aree vicine al Nord arriva ad ottenere il 15 per cento dei consensi. Una vera ondata però è anche quella degli indipendenti, che tutti assieme totalizzano il quindici per cento e molti dei quali sono eletti (molti di loro guardano a sinistra). Dopo i liberisti del PD (Progressive Democrats), radicali d’Irlanda scomparsi nel 2008 prendendo atto della sostanziale sparizione nelle preferenze degli elettori, la stessa sorte sembra toccare invece ai Verdi di John Gormley, cui l’esperienza di coalizione col Fianna Fàil giunta al termine è stata letale, con uno striminzito due per cento lasciano il posto nel Dàil ad almeno quattro deputati dell’estrema sinistra ed a una dozzina di indipendenti.

POLITICHE COMUNITARIE|Germania, Portogallo, Italia: in Europa c’è chi rappresenta gli elettori e chi non vuole farlo

I conservatori tedeschi si riconfermano al governo e i socialisti portoghesi anche; in entrambi i paesi la sinistra sociale unita va come un treno, confrontare con l’Italia

Vi ricordate Angela Merkel, conservatorismo più realismo sociale (quello che è mancato a vari fondamentalisti del mercato soprattutto nei centrosinistra)? Era una donna al governo del paese più importante d’Europa, Regno Unito a parte, ebbene lì è rimasta, ci sono rimasti soprattutto dei conservatori che afferrando con realismo la situazione economica e sociale hanno concordato con gli avversari della SPD, loro condomini di governo, misure che andavano incontro a diverse fasce sociali (magari anche i partiti che hanno lo zero virgola per cento sapessero sviluppare parte dello stesso realismo, in modo da poter rappresentare gli elettori che affidano loro delle idee).

I conservatori sono più forti di prima e si alleano con i liberali della Fdp guidati da Guido Westerwelle (33,8 più 14,6%). Ma se i socialdemocratici crollano (23%), effetto a catena dell’adesione a politiche liberiste tra il ’98 ed il 2005 e naturalmente della coabitazione forzata in un governo comunque a guida Cdu-Csu, la sinistra va come un treno, Die Linke si aggira intorno al 12% ed è ormai tutt’altro che un fenomeno di protesta, tra l’altro era già qualche tempo che avendone notizia in molti anche in Italia si chiedevano vuoi vedere che interessarsi concretamente di pochi temi che interessano qualche fascia di popolazione funziona di più che organizzare tre, quattro, cinque partiti perchè due o tre comitive ai vertici litigano tra loro e perchè ognuno è più bravo?

Die Linke è formata dai postcomunisti della ex Germania popolare (evidentemente davvero postcomunisti in qualcosa dato che hanno ceduto parte della loro identità per aprirsi a collaborare con persone addirittura provenienti da un altro partito e che non hanno semplicemente fatto giuramento sulla falce e martello ma promosso attivamente il proprio progetto) e dai socialdemocratici che con Oskar Lafontaine lasciarono il partito socialdemocratico nel 1999. Oggi Die Linke è una forza stabile e salgono di due punti al 10% anche i verdi, da soli.

Vale la pena di ricordare anche che al governo della Germania viene riconfermata una donna: in molte parti d’Europa, specialmente a sud, la situazione è molto diversa anche ai vertici dei circoli bocciofili o dei consigli di circoscrizione, si vedono poi i brillanti risultati economici e di coesione sociale e istituzionale. Ma veniamo al Portogallo, se qui Socrates porta i socialisti ad una vittoria di misura, col 36% che è ben sette punti sopra l’avversario quindi davvero un fatto a vocazione maggioritaria (qui ricambiata anche dagli elettori però) è il Bloco de Esquerda, che poi sarebbe l’aggregazione dei movimenti non ideologici, che prende il 13%.

Francisco Loucà è un ex-troskista ma questo evidentemente non ha scoraggiato tutti i movimenti che lo appoggiavano, il Bloco de Esquerda governerà probabilmente insieme col partito socialista e presumibilmente potrà prendere iniziative a favore dell’integrazione reciproca degli immigrati e dei cittadini già riconosciuti, dell’effettiva valorizzazione della partecipazione femminile nella governance, della formazione dei professionisti precari e di un’istruzione europea.

Qualunque iniziativa prendano Loucà in Portogallo o Gyse e Lafontaine in Turingia, dove sono potenzialmente in grado di formare un governo, ognuno di loro sarà in grado di farlo con i fatti e non con la coerenza: quella in Italia ha funzionato soltanto nelle regioni del nord, ma non certo a sinistra.

Aldo Ciummo

POLITICA|Sinistra Europea inizia la volata

A Roma presentato il programma: pace, giustizia e solidarietà


di Simone Di Stefano

Un programma unitario in tema di crisi economica era stato già adottato a Berlino, nel novembre dello scorso anno. Per le Elezioni 2009 la Se punta invece su «pace, democrazia, giustizia sociale e solidarietà», come si legge sulla piattaforma del partito, «Insieme per un cambiamento in Europa». Prc e Comunisti italiani si presenteranno uniti sotto un unico segno, bagnati nell’ultimo week end a Roma da Lothar Biski, leader della Se.

Lo slogan c’è. «Su la Testa!» ha vinto in fantasia ma anche per il desiderio di riequilibrare il rapporto tra lavoratori e padroni, come hanno anche evidenziato sabato scorso Diliberto e Ferrero dal palco di Piazza Navona. Ma il week end di Roma non è stato soltanto l’inizio della lista Anticapitalista, bensì un terreno di confronto per tutti i partiti che aderiscono alla Sinistra Europea e che, in vista delle prime elezioni, affronteranno la sfida uniti sotto un’unica bandiera, la stella metà bianca e metà rossa con le otto stelline dorate della Sinistra Europea. Quindi una campagna elettorale unitaria e una serie di attività in comune tra i 10 paesi dei partiti coinvolti.

Educazione e sistema scolastico, assetto finanziario in crisi, accesso all’alimentazione, Sud America e precariato in Europa, questi i temi principali delle mozioni approvate da tutti i rappresentanti e su cui la Se intende maggiormente battere il martello. Attenzione particolare meriterebbe anche la situazione di tutti quei paesi in cui la carenza di diritti preclude qualsiasi avanzamento delle sinistre a governare, come è accaduto anche in Moldova lo scorso 5 aprile a seguito della riconferma dei comunisti a governare.

SOCIETA’|Sinistra europea: un “manifesto” per il diritto alla conoscenza

Riforma del sistema scolastico e dissoluzione degli accordi di Bologna. La partita della Sinistra Europea

di Simone Di Stefano/Dazebao, l’informazione on line

ROMA – La crisi economica si ripercuote anche sul livello educativo e sull’istruzione, creando divario sociale e qualitativo. Tutto ciò sta portando alla progressiva privatizzazione del sistema, «sia all’interno (concorrenza tra le università per studenti-clienti, ricerca scientifica orientata alla logica del profitto, ecc.), che all’esterno (diffusione dell’insegnamento privato)», come si legge nel “manifesto europeo dell’istruzione” discusso ieri al convegno dal titolo “Dall’economia della conoscenza alla società della conoscenza”, organizzato dalla direzione nazionale della scuola del Prc e della Sinistra Europea.

L’incontro, tenutosi presso la sala delle Carte Geografiche, a Roma, fa parte di diverse iniziative  che si concluderanno  sabato 18 aprile in Piazza Navona (ore 14,30) con la presentazione della campagna elettorale della Lista anticapitalista in vista delle prossime elezioni europee. Obiettivo della Se e del suo manifesto è quello di denunciare il ruolo sempre più attivo del neocapitalismo, quindi delle imprese, in seno all’istruzione. Per questo la Se si è data un programma, sottoscritto da ben 19 partiti europei di sinistra.

«Abbiamo lavorato su una piattaforma elettorale in vista delle europee 2009. Ci sono tutti gli elementi più importanti. Democrazia, economia, libertà.  «Importante è dimostrare che la sinistra è ancora capace di avere consenso», ha spiegato Maite Mola, membro della commissione permanente del Partito Comunista spagnolo. Al convegno, coordinato da Gennaro Loffredo (scuola Prc-Se), erano presenti anche rappresentanti delle università ,dei sindacati e degli studenti, nonché i rappresentanti di altri partiti della Sinistra Europea.

S. Velissariou, responsabile nazionale educazione del Synaspmos greco, raccontando il clima aspro che si respira nella società ellenica, culminato negli scontri tra studenti e polizia del dicembre scorso e dove perse la vita un quindicenne, si è scagliata contro i media, «colpevoli – secondo la esponente della sinistra greca – di attrarre la cultura anarchica. Tuttavia è anche colpa dello stato che pecca di eccesso di legittimazione del proprio potere alimentando frustrazione e rabbia tra i giovani». Sonia Crivelli, della sezione ticinese del partito svizzero del lavoro ha fortemente attaccato le nuove politiche svizzere in materia di armonizzazione scolastica, rea di «omologare tutta la scuola, ma tutta in negativo. In questo conta molto anche la mano lunga della Chiesa».

Quello presentato ieri è quindi il frutto di una serie di incontri (e scontri) tra i diversi partiti europei, che ha prodotto un gruppo di lavoro che esiste da due anni. «Non è stato facile – ha spiegato Mola – trovare un accordo programmatico tra le diverse posizioni. Ogni paese ha le sue differenze, ma su una cosa siamo d’accordo, il titolo: ‘l’educazione in crisi’». Punto di partenza della critica sono le strategie di Lisbona, dove a seguito degli accordi stipulati tra i paesi membri nel marzo del 2000 si mira a far diventare quella europea l’economia più dinamica al mondo. Il suo compimento giuridico risiede nella “armonizzazione” del sistema della scuola pubblica  basata sui  seguenti punti: la creazione di un’area europea dell’istruzione superiore, la promozione nel mondo del sistema di istruzione superiore europeo, l’armonizzazione dei sistemi universitari europei.

«In realtà – ribatte Se – questa strategia non ha fatto altro che subordinare l’insegnamento e la ricerca ai criteri ed alle esigenze del mercato capitalista». Ne ha offerto un valido esempio H. Wehenkel, responsabile relazioni internazionali della Sinistra lussemburghese, che ha portato come esempio ciò che sta accadendo nel suo paese  che vive una situazione non diversa da quella degli altri europei, francesi e tedeschi compresi. L’università lussemburghese è un prodotto  ” tipico “di questo processo. Su sei membri della commissione tre sono economisti. Non ci sono professori di ruolo, ma tutti sono precari e il costo dell’iscrizione è pari a 16.000 euro l’anno. «Impossibile da pagare – dice Wehenkel – per le famiglie diventa necessario essere finanziati da privati. Il senso è perciò lavorare per gli interessi dell’industria privata. I documenti di Se dovranno contribuire a ricostruire una cultura comune”.

Importante a tal fine è la presa di coscienza che qualcosa si sta muovendo ma nel senso inverso e quindi va combattuta finché si è in tempo. A maggior ragione se si pensa che «il nostro governo ha abbassato da 16 a 14 anni il limite dell’obbligo scolastico, portando i nostri ragazzi a perdere due anni di studi rispetto a oggi», come ha sottolineato Piergiorgio Bergonzi, di Socialismo 2000. Tanto per convenire con la massima del Professor Benedetto Vertecchi: «Ho appurato che l’Europa è molto più unita di quel che pensavo. È unita nella disgrazia…».

Cosa chiede quindi la Se nel suo programma? «restaurare il diritto all’educazione gratuita, combattere tute le forme di ineguaglianza ed esclusione. garantire l’accesso a tutti. Classi miste, contro ogni forma di discriminazione e rispettando le differenze culturali. Integrazione dei portatori di handicap, istruzione obbligatoria fino a 18 anni. Mettere fine al lavoro flessibile precario di tutto il sistema scolastico.