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Klaus il monello si gioca tutto, l’Europa fa la voce grossa

 

 

E' davvero priva di basi la paura che uno staterello non possa più dire di no?     Bruxelles FOTO di Aldo Ciummo

E' davvero priva di basi la paura che uno staterello non possa più dire di no? Bruxelles FOTO di Aldo Ciummo

Il governo ceco sta considerando anche l’ipotesi di estromettere Klaus,  presidente iperconservatore di fronte ad una Unione Europea sempre più impaziente

 

 

 

Oggi, in sessione di emergenza, il Consiglio dei Ministri della Repubblica Ceca ha affrontato la questione del rifiuto del Capo dello Stato di firmare il Trattato di Lisbona, già ratificato dalle due camere. Il premier Jan Fischer è a capo di un governo debole, ma potrebbe anche chiedere ai deputati di destituire Klaus, oppure di accusarlo di agire contro l’ordinamento democratico dello stato. Si tratta in ogni caso di una ipotesi poco probabile e l’esecutivo sta anche cercando di mediare con il presidente Vaclav Klaus, assicurando il suo impegno perchè gli altri membri della Ue accettino la sua richiesta di garantire alla Repubblica Ceca una clausola che la escluda dal vincolo della Carta dei Diritti Fondamentali.

Difficile posizione quella della Repubblica Ceca, in attesa della firma necessaria a sbloccare il Trattato di Lisbona: un presidente, Vaclav Klaus, che non crede a quest’ Europa, tanto che la ha definita qualche volta “sovietica”, il parlamento di Praga che teme l’isolamento perchè pure la Polonia, per metà ancora immersa nel periodo conservatore del presidente Lech Kaczynski ha firmato questo sabato proprio per mano di quest’ultimo. Un Europa che strattona, senza esitare ad accusare di euroscetticismo tutti quelli che non le dicono sì e subito, senza garanzie, senza mediazione con quel mondo pre-esistente che per ciascuno è la società di origine. Le comunità nazionali, quando hanno la possibilità di partecipare sia pure un minimo al dibattito su come sarà la struttura istituzionale nella quale si coordineranno, complessivamente si dimostrano favorevoli alla comunità europea, come si è visto il 2 ottobre nel referendum irlandese e come sta riemergendo nel Regno Unito con il progressivo riavvicinamento di Cameron all’ala europeista dei suoi Conservatori e con lo scarso consenso che gli inglesi dimostrano verso la vecchia guardia isolazionista di quel partito, segno che anche lì l’Unione Europea risulterebbe più educata coinvolgimendo la popolazione nelle questioni reali e presenti nella vita dei cittadini e permettendone  il protagonismo, piuttosto che agitare lo spauracchio dell’antieuropeismo.

Strana situazione quella odierna della Repubblica Ceca, Vaclav Klaus è un presidente che davvero agita richieste poco comprensibili, come la possibilità per la Repubblica Ceca di tirarsi fuori dalla Carta dei Diritti fatta propria dall’Unione Europea, è un politico che ha posizioni arretrate sui diritti individuali e uno statista che giustifica le proprie paure verso l’integrazione continentale chiamando i causa il passato remoto ed i tedeschi dei Sudeti (che a suo parere potrebbero chiedere qualcosa in base al documento da cui si chiama fuori) però la sua ostinazione inconcludente finisce per attirare allo scoperto e svelare un modo di procedere sulla strada dell’integrazione che da parte dell’ Unione Europea manca vistosamente non tanto di capacità di ottenere dai paesi adesione (già raggiunta anche a Praga, perchè lì prima ancora della politica è la società, che è una delle più laiche e vivaci delle ventisette, che sta premendo perchè la Repubblica Ceca contribuisca integralmente alle iniziative europee) l’Unione Europea manca soprattutto di volontà di integrare nella sua cultura la partecipazione dei cittadini, dei gruppi associativi, delle regioni e anche delle culture, quando anche siano considerate attardate rispetto ai princìpi di Bruxelles e di Strasburgo, che sono in larga parte i nostri, derivati dai progressi dei lavoratori e dei movimenti democratici, ma che sono princìpi che se non vogliono tradire se stessi non possono essere imposti in un ottica coloniale verso lo stesso continente dal quale sono stati generati e in cui sono maturati.

Domenica il Sunday Times ha riportato le dichiarazioni di un senatore ceco riguardo ad accenni del presidente francese Nicolas Sarkozy alla possibilità che la Repubblica Ceca venisse espulsa dall’Unione Europea, ma soprattutto ha fatto riferimento a manovre di diplomatici francesi e tedeschi per esplorare la possibilità di rimuovere l’ostacolo mettendo in stato di impeachment Klaus, oppure modificando la costituzione ceca nella parte che concerne le sue prerogative. Avvenimenti comunque improbabili, perchè richiederebbero una sorta di terremoto istituzionale a Praga, sebbene Klaus sia molto isolato nella sua crociata anti-trattato, dato che anche l’ex premier Topolanek ha espresso dubbi sulla solidità delle richieste addotte a motivo della dilazione della firma da parte del presidente e così quasi tutte le forze politiche.

Aldo Ciummo

Dove l’Europa è verde

La stragrande maggioranza degli irlandesi ha votato sì, una buona notizia per il continente ed una lezione agli anglofobi.

Il paesino di Ardara, nel nord dell'Irlanda
Il paesino di Ardara, nel nord dell’Irlanda

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                           di Aldo Ciummo

 

Un ” Sì ” sessantasette a trentatrè è la risposta dell’Irlanda al dibattito senza fine che negli ultimi mesi ha occupato le notizie sui problemi istituzionali dell’Unione Europea e che alla fine girava sempre intorno all’accusa di antieuropeismo. Probabilmente una risposta simile verrà data anche dall’azione di governo del paese vicino,  il Regno Unito, sia che a governarlo arrivi Cameron sia che resti Brown, perchè anche gli inglesi una risposta positiva all’Europa l’hanno già data negli anni settanta quando pagavano profumatamente aiuti agricoli di cui soltanto il continente aveva bisogno.

In Irlanda ci sono state zone come Kildare e Tipperary dove il sì ha sfondato il 70 per cento quando oggi pomeriggio ci si è avviati a considerare risultati certi, mentre perfino laddove il no ha prevalso ancora e laddove lo Sinn Fein (che ha sostenuto l’opposizione al Trattato) ha le sue roccaforti nella Repubblica, come nel Donegal, vicino all’Ulster, è stato massimo per due punti percentuali. 

E’ davvero corretta l’impostazione del sud Europa dove si continuano ad ascoltare storie sul timore delle conseguenze del voto negativo?        

Non sarebbe più giusto riconoscere che quelle che sono state definite tendenze euroscettiche dell’ Irlanda, dell’ Olanda, della Danimarca, dell’Inghilterra rappresentano invece le istanze di fasce di popolazione forse anche più al corrente di cosa significa essere una comunità, rispetto ad altre società?                                   

La cittadinanza di ognuno di questi paesi, se inclusa nello sforzo di costruire una Europa che consenta a tutti di partecipare, è la più entusiasta e solidale nel  sostenere un progetto, l’Unione Europea, che è il solo plausibilmente in grado di affrontare la concorrenza di molti stati tutti estremamente emergenti ma che al di là dell’ipocrisia non sono tutti democratici (ad esempio non lo è la Cina, e sulla Federazione Russa gravano fondati dubbi).

E’ stata la presidenza svedese della Ue, con il primo ministro, Fredrik Reinfeld a cogliere meglio un aspetto centrale della questione, dichiarando a margine del voto di Dublino che l’Unione Europea ha avuto successo nella sua azione di promozione del Trattato perchè ha ascoltato, dando assicurazioni laddove richiesto. “Questa è la cooperazione europea al suo massimo e l’adesione irlandese al trattato la renderà più trasparente”  ha affermato Reinfeld che guida una coalizione di Centrodestra in Svezia.

Il primo ministro svedese e presidente di turno dell’Unione Europea invierà giovedì Cecilia Malmstrom, ministro per gli Affari Europei, in Repubblica Ceca, dove la posizione del capo dello stato ceco Waclav Klaus ostacola ancora il passo finale del Trattato.

Reinfeldt ha avuto notizia che il presidente polacco Lech Kaczynsky invece firmerà a breve. Un accordo senza riserve inespresse sulla forma che l’Unione prenderà è quello di cui la nostra Europa avrà bisogno per andare avanti ed accogliere stati che hanno appena fatto richiesta di prendere parte al progetto e il cui ruolo di completamento del suo spazio culturale storico è evidente, si pensi all’Islanda.