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Moraes: “i diritti umani ancora al centro dell’azione del LIBE”

La commissione per le Libertà Civili dell’Europarlamento ha delineato le priorità dopo aver scelto presidente e   vicepresidenti

 

Al centro dell’azione del Libe, la commissione del Parlamento Europeo per le libertà civili, resteranno il completamento della normativa sulla protezione dei dati personali, la lotta alle discriminazioni e il problema dei migranti e dei richiedenti asilo, lo ha ribadito il presidente Moraes.

La commissione Libe è responsabile di importanti settori nel campo della sicurezza e della giustizia e Moraes ha sottolineato che tiene ad arrivare alla definizione di una carta dei diritti digitali per salvaguardare il diritto dei cittadini alla privacy.

Ma al primo posto per l’istituzione restano anche il completamento dei programmi finanziari relativi alla Giustizia ed agli Affari Interni e l’avanzamento dei negoziati concernenti Europol, Eurojust ed il ruolo europeo nella sicurezza internazionale.

Moraes ha rimarcato anche la necessità di contrastare le discriminazioni e di assicurare l’applicazione della carta dei diritti fondamentali. Tra i sessanta componenti della commissione per le libertà civili ci sono gli italiani Monica Luisa Macovei, Barbara Matera, Massimiliano Salini (PPE); Caterina Chinnici, Kyenge Kashetu (Cécile), S&D; Ignazio Corrao (Efdd); Flavio Tosi (non iscritti).

Il nuovo presidente della Libe, il britannico Claude Moraes, è stato eletto lunedì dai componenti della commissione: è un laburista che è entrato nell’Europarlamento nel 1999, quando era uno dei primi eurodeputati di origine asiatica. Moraes è stato coordinatore del gruppo dei Socialisti e Democratici nella commissione.

Aldo Ciummo

 

UE, Claude Moraes alla guida della commissione per le libertà civili

 

La commissione LIBE, formata giovedì, ha eletto oggi come presidente il laburista britannico Moraes

 

 

 

Il laburista inglese Claude Moraes è stato eletto alla presidenza della commissione per le Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni (Libe) durante l’assemblea costitutiva che ha avuto luogo oggi, lunedì 7 luglio, a Bruxelles.

Giovedì 3 luglio l’Europarlamento aveva eletto i sessanta componenti della commissione, che resteranno in carica per due anni e mezzo: il Partito Popolare Europeo (PPE) conta diciotto rappresentanti nella Libe, il gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D) ne ha quindici mentre i Conservatori e Riformisti (ECR) ne hanno sei e i Liberali e Democratici Europei (ALDE) cinque.

Sono rappresentati, entrambi da quattro eurodeputati, anche il gruppo della Sinistra Unita Europea/Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL) ed i Verdi-Alleanza Libera Europea (Verts/ALE) e l’Europa per la Libertà e la Democrazia Diretta, che conta a sua volta su quattro esponenti nella commissione, stesso numero di eurodeputati assegnato ai non iscritti.

Uno dei primi argomenti che la commissione dovrà affrontare è la questione della protezione dei dati, che ha tenuto banco nell’anno passato e che entrerà in ulteriori capitoli specifici adesso, dato l’avanzamento delle trattative per la Transatlantic Trade and Investment Partnership ed i problemi che alla sua conclusione possono essere posti proprio a causa delle diversità di valutazione, tra UE ed USA, riguardo alle politiche di controllo dei dati personali. Ma anche diritto di asilo e contrasto alle discriminazioni rientrano tra le competenze della LIBE.

Moraes sarà coadiuvato dai vicepresidenti Kinga Gàl (PPE, Ungheria), Iliana Iotova (Socialisti e Democratici, Belgio), Jan Philip Albrecht (Verdi, Germania), Barbara Kudrycka (PPE, Polonia) eletti lunedì dall’assemblea della commissione.

Aldo Ciummo

La Commissione UE al lavoro sulla gestione dei dati nel web

Le nuove tecnologie hanno modalità precise di funzionamento ma le considerazioni sull’uso dei dati dei cittadini sono oggetto di valutazione politica

Il 15 maggio, a Bruxelles, europarlamentari e rappresentanti della società civile hanno affrontato in un dibattito la questione della protezione delle libertà civili dei cittadini associata alla possibilità di sviluppo delle imprese che operano nel settore delle nuove tecnologie. La riflessione sull’argomento ha visto la partecipazione di Richard Szostak, componente della Commissione per Giustizia, Diritti Fondamentali e Cittadinanza (che lavora quindi in coordinamento con Viviane Reding) e di Hielke Hijmans, capo della unità di politica e consulenza nella supervisione europea della protezione dei dati.

Si è svolto anche un dibattito con eurodeputati componenti la Commissione delle Libertà Civili, Giustizia ed Affari Interni, Jan Philipp Albrecht (del gruppo dei Verdi-Alleanza Libera Europea, Germania) e Dimitrios Droutsas (S&D, Socialisti e Democratici, Grecia) relatori per la direttiva generale sulla protezione dei dati, Seàn Kelly (del PPE, Partito Popolare Europeo, Irlanda), relatore su Industria, Ricerca ed Energia, Sophie in’t Veld (Alleanza dei Liberali e Democratici Europei, Olanda), Timothy Kirkhope (del gruppo ECR, Conservatori e Riformisti Europei, Regno Unito), Gerard Batten (per l’EFD, Europa della Libertà e della Democrazia, Regno Unito).

Riguardo agli aspetti di tutela nei confronti dei cittadini, si è parlato delle possibili limitazioni per la pratica del profiling con la quale le aziende che operano nel settore delle nuove tecnologie hanno l’opportunità tecnica di prevedere in parte il comportamento dei consumatori, così come si è discusso degli obblighi di rimuovere dopo un determinato periodo di tempo i dati che vari soggetti (come banche e aziende di vendita on line) detengono in funzione delle loro interazioni con gli utenti. Il dibattito ha riguardato anche la semplificazione del linguaggio nel quale vengono comunicate le condizioni di utilizzo di social network e motori di ricerca e la necessità di consenso esplicito all’uso dei dati.

Aldo Ciummo

Anne Jensen (Danimarca): la UE promuova la ripresa economica

Il Parlamento Europeo, con le sue linee guida per il bilancio del 2014, intende chiedere a tutte le istituzioni europee un bilancio che combatta la crisi e stimoli l’occupazione nella UE

Durante la sessione plenaria della scorsa settimana (votazione di mercoledì 13 marzo 2013) il Parlamento Europeo ha approvato, nelle linee guida per il bilancio del 2014, le proposte di Anne Jensen (“Venstre”, Liberal Party of Denmark). Il 2014 apre il quadro finanziario multiannuale, il cui risultato sarà strettamente collegato ai negoziati tra Parlamento Europeo e Consiglio della UE in merito al periodo 2014-2020.

La definizione del bilancio del 2014 dipenderà molto dall’esecuzione corretta del bilancio del 2013: a questo proposito Anne Jensen ha espresso preoccupazioni sull’insufficiente livello dei pagamenti per l’anno corrente (oltre che per i ritardi nei pagamenti del 2012). L’intervento della deputata danese si inscrive nell’orientamento del gruppo di cui fa parte, lo “Alliance of Liberals and Democrats for Europe” (“Alde”).

Anne Jensen ha dichiarato che, anche se è singolare parlare del bilancio del 2014 mentre ancora non si conosce cosa accadrà riguardo al bilancio del 2013 nè quale sarà l’esito dei difficili negoziati tra il Parlamento Europeo ed il Consiglio dei Ministri della Unione Europea sul Multiannual Financial Framework (MFF), è importante fissare le linee guida, come peraltro previsto dalla procedura di bilancio.

Le politiche del 2014 riguardo al bilancio, ha riferito Jensen, ricadono in tre categorie: consolidamento della base legale di politiche comuni per assicurare il finanziamento in qualsiasi scenario; gli stanziamenti di pagamento (sottofinanziati a causa del bilancio 2014 avviato a essere in deficit); evitare che il risparmio sia fine a sè stesso e assicurare che crescita ed occupazione siano promossi.

Anne Jensen ha sottolineato che i cittadini europei richiedono istituzioni europee attive nel sostegno allo sforzo di superare la crisi economica, proponendo di conseguenza che il bilancio miri innanzitutto ad accrescere l’efficienza di infrastrutture, trasporti, ricerca e assicuri la presenza di un orientamento sociale delle politiche europee, riducendo la disoccupazione giovanile e potenziando istruzione e formazione.

Aldo Ciummo

UE. Nella prima riunione della Commissione Speciale sulla criminalità organizzata eletti i componenti

Sonia Alfano (Alleanza dei Liberali e Democratici Europei) è stata eletta presidente della Commissione speciale creata nella UE per combattere la criminalità organizzata e la corruzione

Nella prima riunione della Commissione speciale sulla criminalità organizzata, a Strasburgo questo mese, Sonia Alfano (ALDE, Italia) è stata eletta presidente della commissione, nata per combattere criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio di denaro. I componenti della commissione speciale hanno eletto anche quattro vicepresidenti e nominato relatore Salvatore Iacolino (Partito Popolare Europeo, Italia).

I quattro vicepresidenti eletti sono Rosario Crocetta (Socialisti e Democratici, Italia), Rui Tavares (Verdi-Alleanza Libera Europea, Portogallo), Timothy Kirkhope (ECR Conservatori e Riformisti Europei, UK), Soren Bo Sondergaard (GUE-NGL, Sinistra Europea Unita-Sinistra Verde Nordica).

La presidente Alfano ha dichiarato che la commissione speciale elaborerà al più presto un piano d’azione globale per affrontare il problema. Nel suo anno di mandato la commissione speciale valuterà l’impatto della criminalità organizzata sull’economia e sulla società, supportando la UE nell’elaborazione delle contromisure da adottare.

I componenti della commissione avranno la possibilità di effettuare visite, organizzare audizioni con istituzioni europee e nazionali, con i rappresentanti delle imprese e della società civile, le organizzazioni delle vittime ed i funzionari coinvolti nella gestione della spinosa problematica.

Aldo Ciummo

 

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Strasburgo: “Europa più unita per i diritti”

 

La questione siriana in particolare è al centro delle critiche degli eurodeputati liberali, ambientalisti ed euroscettici su una gestione delle crisi eccessivamente improntata alla realpolitik

di Aldo Ciummo

La richiesta principale degli eurodeputati dei gruppi ALDE (liberali), ECR (conservatori) e Verdi è un approccio più equilibrato alle crisi definite della primavera araba, con l’inclusione del presidente siriano Bashar al-Asad nella lista dei funzionari oggetto di sanzioni comunitarie.

L’aula nel suo complesso ha fatto notare al capo della politica estera europea Catherine Ashton che sono necessari maggiori sforzi diplomatici assieme a misure più chiare verso i governi di Siria, Bahrain e Yemen. La situazione in Siria viene definita come un grande disastro e come una Tienanmen araba dal leader dei liberali, Guy Vorhofstadt (Alde, Belgio) che assieme ad ECR e Verdi ha chiesto che il presidente siriano sia incluso al più presto nella lista concordata il 16 maggio per imporre il divieto di espatrio ed il congelamento dei beni a tredici alti funzionari siriani.

Non si può fare a meno di notare un eccesso di dichiarazioni di principio ed un difetto di indicazione di misure concrete, dato che riguardo alla effettiva rimozione delle attuali autorità, decisioni simili si rivelano di lunga e tormentata attuazione, si veda il caso libico. L’embargo sulle esportazioni di armi nei confronti di Siria, Bahrein e Yemen, una delle richieste chiave inoltrate agli stati componenti la Ue è però più che giustificata dalle circostanze ed è presente nelle prime due risoluzione elaborate da Gabriele Albertini (PPE) e Roberto Gualtieri (S&D). L’assemblea di Strasburgo ha anche chiesto alla UE di sospendere i negoziati per un Accordo di Associazione con la Siria e sanzioni mirate verso i regimi.

 L’Europarlamento ha accolto favorevolmente l’apertura a Bengasi di un ufficio Ue, annunciata da Catherine Ashton, per assistere il Consiglio Nazionale Transitorio in Libia. L’obiettivo è arrivare il prima possibile ad un cessate il fuoco, alle dimissioni del governo ed all’invio di maggiori aiuti alla città di Misurata. E’ stato chiesto anche di condurre una inchiesta sull’uccisione di alcuni dissidenti iraniani nel campo di Ashraf in Iraq e la maggioranza dei gruppi si è pronunciata per la restituzione delle tasse provenienti dai territori palestinesi attualmente trattenute dal governo di Israele.

I gruppi euroscettici ECR e EFD hanno criticato la scelta della UE di mantenere relazioni con Hamas dopo la riconciliazione del gruppo con Fatah. L’elemento importante che si registra è l’esigenza che sale dal Parlamento Europeo, in accordo con l’opinione pubblica comunitaria, di porre il rispetto dei diritti umani in una posizione migliore nell’agenda europea, rispetto alla realpolitik che si è vista spesso negli ultimi anni e di mettere la questione al centro degli accordi internazionali, ad esempio con la Federazione Russa. Significativa la proposta presentata da Marìa Muniz de Urquiza (S&D, Spagna) per un seggio permanente per l’Unione Europea nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’assemblea generale intanto ha approvato una status speciale che permetta alla UE di intervenire durante i lavori.

Europarlamento concentrato sul commercio

 

Il mese di marzo si è aperto con discussioni su temi disparati: due votazioni hanno riguardato problemi attuali dell’agricoltura e dei consumatori

Una settimana fa, con un atto non legislativo, l’assemble di Strasburgo si è espressa su un tema attuale nell’economia del continente. Una delle richieste che l’assemblea di Strasburgo ha inoltrato alla Commissione all’inizio di questo mese è di evitare concessioni commerciali che potrebbero sortire effetti negativi sull’agricoltura europea, quando si tratta di negoziare con paesi terzi. Target delle preoccupazioni degli eurodeputati sono i dialoghi aperti al riguardo con il Mercosur (organizzazione che rappresenta la maggior parte degli stati latinoamericani) e con il Marocco. La relazione preparata da Georgios Papastamkos (europarlamentare greco del Partito Popolare Europeo, Centrodestra) chiede all’esecutivo di non barattare l’accesso al mercato agricolo dei paesi terzi con decisioni che danneggiano il comparto.

Una critica è necessaria, perchè se è vero (e su queste pagine web è stato ribadito più volte) che la UE deve iniziare a difendere in maniera più coerente l’insieme dei propri interessi economici, culturali e valoriali, tra questi c’è un ruolo di potenza civile e che non è certo compatibile con la protezione di dazi di ogni genere e con l’ostacolo alle opportunità concorrenziali di paesi emergenti. A questo bisogna pure aggiungere che il settore agricolo manterrà sempre la sua importanza nella comunità, ma non è pensabile che lo faccia attraverso una tutela isitituzionale che rischi per di più di frenare altri settori che le concessioni le fanno appunto per aprirsi nuovi mercati nel pianeta.

Ricordato questo, è assodato che il settore agricolo europeo garantisce la sicurezza e la qualità alimentare, bene quindi l’inserimento nella relazione di quegli standard in materia di ambiente, fauna e flora e dell’applicazione delle regole anche ai beni importati, verificato beninteso che non sia un’altra scappatoia per stoppare beni in entrata provenienti da nazioni concorrenti magari già svantaggiate. Una richiesta giusta che viene dall’assemblea elettiva è sicuramente l’esigenza che i deputati siano informati sull’andamento dei negoziati (ne sono iniziati con Canada e Ucraina nel 2009 e ad oggi Strasburgo ancora ignora gran parte di quello che l’esecutivo sta facendo in materia).

I parlamentari europei riferiscono che una offerta definita molto generosa è stata fatta dalla UE nel quadro dell’agenda di Doha per lo sviluppo (ADS) senza ottenere equivalenti concessioni commerciali, ciò è senza dubbio da approfondire perchè tutto il ruolo dell’Europa si basa anche sul suo peso, non ultimo economico. Quando si sottolinea che non devono essere sostenuti atteggiamenti anticoncorrenziali non si intende certo affermare che non si debbano ricercare e determinare utilizzando la forza politica a disposizione aperture speculari da parte degli interlocutori, che non sono avversari ma soggetti in crescita che possono avere una posizione complementare a quella dell’Europa, nei casi in cui valutano bene la reale influenza che l’Unione Europea sta acquisendo, a partire dagli ultimi decenni ma in particolare in questa prima porzione di secolo, nel panorama internazionale.

E’ auspicabile quindi che la prossima Politica Comune Europea (PAC) non costituisca più uno strumento politico tradizionalmente protettivo di una categoria della produzione che oggettivamente mantiene talvolta più influenza del suo contributo reale all’economia attuale, ma soltanto una delle leve più importanti del bilancio europeo, regolata in maniera da contemperare le opportune (però un pò protezionistiche) preoccupazioni degli eurodeputati e gli indirizzi (spesso altrettanto sbilanciati dal lato liberista) di apertura a mercati che ci si augura non vengano visti dalla Commissione Europea soltanto come sbocchi commerciali per le produzioni europee ma anche come ambienti di sviluppo di istituzioni ed opportunità coerenti con i princìpi di partecipazione e solidarietà per i quali la nostra Europa è nata nel 1957 in Italia (che allora era un paese in via di sviluppo).

La conclusione di Strasburgo è stata che la Commissione dovrebbe sempre garantire concessioni tariffarie simmetriche, quando discute accordi di libero scambio, soprattutto con paesi che hanno un forte settore agricolo. Una critica plausibile è la ripresa dei negoziati con il Mercosur latinoamericano senza previa discussione con Consiglio e Parlamento, infatti il minimo che ci si aspetta, in una Unione Europea bisognosa di un contrappeso ai poteri acquisiti dall’esecutivo con il Trattato di Lisbona, è che gli organi che rappresentano direttamente i cittadini, come il Parlamento, possano svolgere la loro funzione accrescendo il loro ruolo, nel modo anch’esso previsto dalla carta di Lisbona.

Aldo Ciummo

Irlanda: vince Enda Kenny, affonda il Fianna Fàil

Enda Kenny, insegnante, sportivo e leader del Fine Gael

Nelle elezioni che seguono il salvataggio europeo e il piano di austerità il partito di governo irlandese passa dal primo posto a lungo inespugnabile che gli elettori gli hanno riconosciuto per decenni ad una terza posizione che non gli garantisce nemmeno la guida delle nuove opposizioni

di    Aldo Ciummo

Enda Kenny, insegnante e sportivo e leader del Fine Gael, è il probabile Taoiseach (Primo Ministro) che dovrà rinegoziare le condizioni imposte da Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale ad una Irlanda che negli ultimi anni ha subìto un brusco risveglio dal quindicennio di crescita e spesa targato Bertie Ahern, il simbolo del Fianna Fàil che incassava i dividendi del fenomeno della tigre celtica, una epoca sfumata nel tribolato strascico di legislatura gestito da Brian Cowen. Il Parlamento irlandese è formato da 166 seggi e il Fine Gael avrà la necessità di allearsi con il Labour oppure con alcuni degli indipendenti eletti nella tornata elettorale che si è svolta ieri.

Bertie Ahern (in carica dal 1997 al 2008) si dimise appena un anno dopo dalla sua terza rielezione alla carica di Taoiseach e meno di un anno prima dell’inizio dei guai per l’economia della Repubblica, lasciando (primavera del 2008) al suo posto il suo ministro delle Finanze, Brian Cowen, presto bersagliato da un malcontento che aveva radici certo più antiche del 2009 e del 2010, negli investimenti pubblici e nell’indebitamento di un periodo, snodatosi durante gli anni novanta ed il primo decennio del 2000, in cui sembrava che lo sviluppo non dovesse finire mai.

L’intero panorama politico dell’Eire è capovolto come non succedeva dai tempi stessi in cui il Fianna Fàil dell’eroe nazionale Eamon De Valera pose le basi per un governo quasi ininterrotto dalla vigilia del secondo conflitto mondiale ad oggi (il partito dei “Soldati del Destino” è nato, come l’avversario Fine Gael, dopo la guerra di indipendenza e la guerra civile del 1921 dalla scissione dello Sinn Féin, il cui nome fu conservato dai militanti che non accettarono di entrare nel parlamento irlandese nonostante la partizione dell’isola accettata dal Fine Gael, ingresso nel Dàil che invece coloro che si sarebbero chiamati Fianna Fàil fecero, le tre forze più antiche dell’isola erano all’epoche correnti diverse dell’Irish Republican Army). Il Fianna Fàil crolla dal quaranta per cento e oltre dei consensi del 2007 e di molte elezioni precedenti all’attuale 17 per cento, che è più che dimezzato a Dublino, dove il Labour di Eamon Gilmore diventa primo partito, conservando ed ampliando il successo nelle elezioni europee ed amministrative riportato nella capitale nel 2009.

A vincere su scala nazionale, con il 36 per cento complessivamente nell’Eire ed un grosso risultato anche a Dublino, dove in tutte le circoscrizioni si spartisce i seggi con il Labour (con il 20 per cento suo probabile partner nel Governo entrante) è il Fine Gael di Enda Kenny, nato come partito di legge e ordine negli anni venti con Michael Collins, accettando il compromesso della divisione dell’isola e della permanenza del nuovo stato sotto l’ombrello del Commonwealth. Dopo la trasformazione dell’Irlanda in Repubblica e con l’inizio del duraturo successo del Fianna Fàil nel presentarsi come custode del nazionalismo democratico e di una stabilità conservatrice con sfumature sociali, il Fine Gael ha dovuto inventarsi una singolare identità progressista, che attraverso posizioni simili a quelle della vecchia AN italiana ed effimeri avvicinamenti al gruppo dei Socialisti europei lo ha portato a definirsi centro progressista e sedersi nei banchi del PPE. Oggi il partito reso credibile da Enda Kenny in anni di azione politica e lavoro sui temi di opinioni più sentiti dalla popolazione lancia una scommessa difficile in un era incerta.

Il Fianna Fàil è letteralmente spazzato via dalla città più importante dell’irlanda: a Dublino i seggi dei quartieri popolari che furono la sua roccaforte sono stati presi al primo conteggio dai troskisti del Socialist Party e dai movimentisti del People Before Profit (alleati nel cartello United Left Association) e da uno Sinn Feinn che continua a radicarsi anche nel sud, confermando le indicazioni emerse dalle consultazioni europee e rafforzando i risultati ottenuti in Ulster, dove dal 2009 è primo partito. E’ il conto di una crescita dipinta dal FF come perpetua, ma anche di una crisi di identità: il Fianna Fàil che poteva dirsi nazionalista (per aver liberato l’Irlanda e poi averla fatta diventare una Repubblica) e allo stesso tempo rappresentarsi popolare (per aver costruito un grande settore pubblico nonostante il persistere di una emigrazione massiccia fino agli anni ottanta), il FF che poteva mantenere le sue roccaforti nelle zone rurali col supporto dei fondi europei dagli anni settanta in poi, ha perso la terra sotto i piedi a causa della stessa ondata che gli ha consentito di distribuire i dividendi della globalizzazione dagli anni novanta in poi, perchè la vecchia irlanda nazionalista e sociale cambiava.

L’Irlanda è diventata, negli ultimi venti anni, un paese sempre più giovane, dove le identità contano ma si sono modificate, anche grazie al Fianna Fàil ed alle politiche redistributive è un posto dove l’intolleranza non ha attecchito, ma oggi è una nazione dove un decimo della popolazione viene dal resto d’Europa ed i “Soldati del Destino” del Fianna Fàil sono anch’essi in crisi di identità: il FF ha condiviso per un decennio nel Parlamento Europeo gli spazi dell’UEN, il gruppo conservatore dell’Europa delle Nazioni, oggi è nel gruppo dei Liberali (A.l.d.e) e le incertezze nei temi sensibili lo dividono ulteriormente, in anni in cui non può mantenere il consenso con i sostegni materiali alle fasce di popolazione in difficoltà, come aveva sempre fatto.  Nell’ Europa di oggi  i fondi per l’Agricoltura e per la Coesione che ieri andavano all’Irlanda ed a pochi altri vengono ripartiti tra gli stati mitteleuropei e baltici, balcanici e saranno concessi presto a nazioni di prossimo ingresso.

Le cose non sono facili neppure per il Fine Gael (La Famiglia dei Gaeli) con il suo ottimo risultato elettorale dovrà dimostrare se quella del Governo uscente di fronte alle regole della finanza internazionale è stata davvero una resa e che sia possibile quindi rinegoziarla, alleggerendo il peso che il salvataggio pubblico delle banche per le spalle dei contribuenti. Se vuole fare questo il FG, sorta di An sia pure morbida, dovrà allearsi ancora una volta con il Labour, che tra i Socialisti europei siede davvero e da sempre, sia pure con posizioni moderate, e che rappresenta un pezzo del cataclisma che ha investito il Parlamento irlandese:  appena ieri una lista recintata tra i lavoratori del settore pubblico e che non credeva al 14% delle europee, oggi un partito quasi al 20 per cento che ha posizioni più chiare del Fine Gael (le alleanze tra i due partiti sono state il solo modo che FG e Labour hanno trovato di vincere ma non hanno mai prodotto amministrazioni durature). Anche questo è un segnale dell’epoca che si chiude, il Labour era l’unico partito di una certo seguito a non nascere dalla guerra di liberazione nazionale del 1920 e rimasto inchiodato da una sorta di minorità (da cui traeva origine il detto che l’Irlanda fosse una Repubblica con due partiti e mezzo, Fianna Fàil in maggioranza, Fine Gael in condizione di minoranza abbastanza netta e costante nonostante il suo peso e Labour poco al di sopra del dieci per cento per la maggior parte della usa esistenza).

A completare le novità di questa tornata elettorale in Irlanda l’onda di estrema sinistra, che riporta in Parlamento i trotzkisti di Joe Higgings: il dissidente del Labour è stato previdente nella sua alleanza con i movimentisti del People Before Profit, dopo il successo che entrambe le formazioni avevano riscosso nelle amministrative di Dublino già nel 2009, contemporaneamente all’entrata in Parlamento Europeo del comunista d’Irlanda. Dublino è un’altra storia (come e più che nelle elezioni europee), la United Left Alliance (Socialist Party e People Before Profit) e lo Sinn Feinn (che continua a crescere) conquistano molte circoscrizioni, dopo Labour e Fine Gael che sono i big della situazione anche in città. Al Fianna Fàil di Dublino resta soltanto un seggio (su quarantasette).

Lo Sinn Féin si sta stabilizzando come una forza al dieci per cento, radicandosi anche nel sud come principale forza antagonista popolare sia tra i nazionalisti che tra i giovani di sinistra e nelle aree vicine al Nord arriva ad ottenere il 15 per cento dei consensi. Una vera ondata però è anche quella degli indipendenti, che tutti assieme totalizzano il quindici per cento e molti dei quali sono eletti (molti di loro guardano a sinistra). Dopo i liberisti del PD (Progressive Democrats), radicali d’Irlanda scomparsi nel 2008 prendendo atto della sostanziale sparizione nelle preferenze degli elettori, la stessa sorte sembra toccare invece ai Verdi di John Gormley, cui l’esperienza di coalizione col Fianna Fàil giunta al termine è stata letale, con uno striminzito due per cento lasciano il posto nel Dàil ad almeno quattro deputati dell’estrema sinistra ed a una dozzina di indipendenti.

L’Unione Europea: “L’Italia deve rispettare le regole”

 

Il Parlamento Europeo oggi ha approvato una risoluzione che chiede allo stato italiano di invertire la rotta in Campania rispetto alla politica sui rifiuti

L’assemblea eletta dai cittadini dell’Unione Europea ha votato una risoluzione riferita alla grave situazione della Campania, che come è noto ha veduto alcuni territori prima al centro di promesse di rapido superamento dei gravi problemi della raccolta dei rifiuti, ma in seguito colpiti da progetti di soluzione emergenziale della questione non propriamente condivisi dalle popolazioni locali.

Ora l’Europa afferma chiaramente che l’Italia deve rispettare la legislazione comunitaria sulla gestione dei rifiuti, migliorare la trasparenza delle procedure (in assenza della correttezza delle quali le misure repressive poco potranno per allontare le organizzazioni criminali dal tessuto sociale) e ricostruire uno stato di fiducia con le popolazioni locali.

La risoluzione è stata approvata con 374 voti a favore, 208 contrari e 38 astensioni ed era stata presentata dai gruppi politici di Socialisti e Democratici, Alde (Liberali), Verdi/Ale e Gue (Sinistra). Il documento critica la decisione di aprire discariche in aree protette e chiarisce che i fondi regionali saranno resi disponibili all’Italia quando le autorità italiane presenteranno un piano di gestione dei rifiuti conforme alle norme UE.

La novità ricorda che la voce della Ue sulle questioni interne non è una vuota testimonianza ma un segnale cui si accompagna un dato concreto che è la sottrazione di risorse finanziarie agli stati che contravvengono a regole elementari e sottolinea il fatto (evidenziato dal documento), rappresentato dalla minima incidenza delle azioni intraprese finora a livello nazionale sulla riduzione dei rifiuti e nel miglioramento del riciclaggio.

In sintesi, le iniziative tese a comprimere i diritti di manifestazione delle popolazioni locali moltiplicatesi negli ultimi quindici anni (alcuni di questi tentativi sono stati subìti ad esempio dagli aquilani) non hanno apportato balzi in avanti infrastrutturali nella penisola, che anzi registra ritardi largamente riportati anche dalla stampa nazionale in questi giorni, peraltro da media non particolarmente antagonisti.

L’europarlamento chiede quindi all’Italia di assicurare il rispetto delle regole comunitarie entro i termini di osservanza stabiliti dalla Commissione, la quale nelle richieste del Parlamento di Strasburgo dovrebbe monitorare gli sviluppi della situazione e se necessario imporre sanzioni. Difatti al momento il piano di gestione dei rifiuti presentato dalle autorità italiane è sotto esame da parte della Commissione, che ne sta verificando la conformità al diritto comunitario.

Ma il dato più interessante riscontrato dal Parlamento Europeo è la mancanza di trasparenza e di vigilanza istituzionale che gran parte della popolazione ha riconosciuto nelle misure straordinarie impiegate dal Governo nazionale per derogare alle regole sulle valutazioni d’impatto ambientale e sugli appalti pubblici, nominando commissari e prendendo decisioni senza consultare o informare le autorità locali. Le misure di emergenza cui si fa riferimento sono state cancellate dal Governo italiano nel dicembre del 2009, data dalla quale le autorità locali hanno riacquistato in parte i poteri di gestione in oggetto, logicamente gli atti precedentemente adottati dallo stato hanno comunque avuto degli effetti, non positivi in base alla valutazione del Parlamento Europeo.

Si può osservare che, partendo dalle procedure d’urgenza utilizzate nella gestione delle conseguenze delle catastrofi naturali fino ad arrivare all’approccio adottato nei confronti dei disagi sociali, è oramai sotto gli occhi del paese la scarsa incidenza dei metodi emergenziali e decisionisti nella soluzione delle crisi, mentre emerge in maniera sempre più supportata da dati (quelli ad esempio degli enormi volumi di affari sottratti alla dinamica legale della concorrenza nelle vicende di molti appalti in Italia) la preoccupante compatibilità di questo sistema con la formazione di nicchie di monopolio, di inefficienza e di illeggittimità.

Nel caso delle vicende campane, la decisione di aprire discariche in aree protette all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio (come a Terzigno) è al centro delle critiche dei deputati. Gli eurodeputati usano anche qualche eufemismo, come la “non sufficiente attenzione alle proteste contro la localizzazione dei siti di raccolta e di smaltimento” e qualche encomiabile auspicio, come la richiesta di ricostruire un clima di fiducia e di dialogo con le popolazioni locali.

Speranze che non si possono che incoraggiare, così come su queste pagine web si incoraggiano anche altre due evoluzioni dell’attuale situazione politica europea: una maturazione dei sistemi politici di ogni stato UE verso un quadro di rappresentanza corretta di tutte le forze sociali associata all’accettazione sostanziale da parte di tutte le forze – anche di quelle conservatrici – dei princìpi democratici e liberali dell’integrazione, della concorrenza e del rapporto con i cittadini ed un rafforzamento delle strutture politiche e rappresentative dell’Unione in modo da renderle capaci di procedere più efficacemente ed in modo più persuasivo nei confronti degli stati meno avanzati, quando ci sono da difendere valori che sono chiaramente alla base della nascita dell’Unione Europea, come la libera concorrenza e l’autonomia delle diverse autorità tenute a garantire i diritti dei cittadini attraverso la limitazione dei poteri e l’impedimento della fusione di poteri differenti. Certo, questi valori vanno difesi prima di tutto dagli abitanti degli stati componenti, sia localmente che attraverso le istituzioni comunitarie.

Aldo Ciummo

Europa: clima e diritti al centro, ma serve unità

 

La conclusione della procedura di Bilancio 2011 è al centro, ma il summit di Cancun ed il Premio Sacharov sono stati tra i punti principali sottolineati dal Presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek oggi

di    Aldo Ciummo

Il Presidente del Parlamento Europeo, Jerzy Buzek, oggi ha evidenziato le priorità dell’Unione a partire dalla procedura di Bilancio 2011, dal dibattito sul summit del Clima di Cancun ed il Premio Sacharov che è stato assegnato a Guillermo Farinas. Questa era l’ultima sessione plenaria quest’ anno a Strasburgo, dedicata al 2011 e Buzek ha ricordato le persone che hanno perso la vita in Polonia 29 anni fa nel periodo della legge marziale.

Si tratta di un richiamo forte in una Europa che ad Est come a Sud tuttora fatica a rendersi compiutamente laica, pluralista e libera dalle corporazioni e dai monopòli che stridono con la storia di emancipazione scritta da secoli di liberazione delle nazioni dalle monarchie personali e dalle ipoteche religiose e militari.

L’Europa si trova oggi stretta tra l’azione aggressiva di economie spesso sostenute dai poteri statali ed alimentate dal mancato rispetto dei diritti umani e delle regole della concorrenza (Cina, Russia e molte forze di media grandezza) e dalla difficile ristrutturazione di un mondo sempre più multipolare (per l’emergere positivo di economie nel Sud del Mondo). 

Si tratta di un panorama all’interno del quale l’Unione Europea deve dimostrare una identità specifica, ma chiaramente legata al resto dell’Occidente, di cui condivide la storia ed una tradizione di cura dei diritti che rischia di cedere alle pressioni delle tendenze emergenti se  Unione Europea,  Stati Uniti, Canada, Australia e le aree culturali anglosassone, tedesca, europea, nel loro insieme non condividono l’intenzione di difendere nel mondo il senso del patrimonio politico nel senso più ampio che hanno costruito nel tempo. Oggi nel pianeta grandi paesi vivono o al di fuori della democrazia (Cina, Iran e moltissimi altri) o in quelle che si usa definire situazioni a democrazia controllata (Russia, Pakistan, vari paesi del Medio Oriente). 

L’Europa deve essere aperta ad un contesto internazionale che evolve in maniera positiva, basti guardare alle democrazia latinoamericane in una regione della geopolitica fino a tempi recenti associata a regimi dittatoriali, ma una necessità per l’Europa in tempi che vedono confliggere le potenze emergenti cinese, indiana, arabe con le “vecchie” aree del governo mondiale è essere molto forte per sostenere assieme agli Stati Uniti una riformulazione dei meccanismi di governo del pianeta che non faccia a meno dei valori storicamente costruiti dall’Occidente in fatto di democrazia e diritti e che non consenta un uso politico dell’economia teso a dividere un’area culturale ed istituzionale, quella rappresentata da Strasburgo, Londra e Washinton, che storicamente funziona in maniera adeguata se è unita.

Non a caso, nel suo discorso del Presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek ha dichiarato che il Ministro degli Esteri della Ue (lady Ashton) prenderà probabilmente nota delle difficoltà incontrate da Guillermo Farinas per lasciare Cuba e venire in Europa a ritirare il Premio Sacharov per la libertà di pensiero ed ha ricordato che nel 1981 un centinaio di persone persero la vita nel periodo della legge marziale in Polonia per portare alla libertà del loro paese e guardando quei fatti in prospettiva per l’unità della nostra Europa.

Si potrebbe aggiungere che se qualcuna delle personalità politiche dei paesi costituenti ha dato una eccessiva confidenza ai Lukashenko (il dittatore bielorusso) ed ai Gheddafi, la posizione dell’Unione Europea e dell’Europa nel suo complesso è ben diversa, nel solco di una tradizione che fin dai Trattati di Roma coniuga la difesa delle libertà individuali, dei diritti sociali (bisogna ammettere che però questi ultimi sono fortemente sotto attacco in questi anni, anche nella Ue) e degli interessi di un’area geopolitica che se vuole rafforzare la sua coesione deve anche essere coerente verso (e quando necessario anche contro) l’esterno. Per tutto questo ci vuole che i poteri previsti dal Trattato di Lisbona siano effettivamente rodati e avviati dalla Comunità.