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In partenza il liceo delle Scienze Umane

 

E’ una delle maggiori novità all’interno del quadro delle offerte formative che si profila nel 2010 e riorganizza le sperimentazioni in ambito pedagogico

Nell’autunno 2010 prendono il via le nuove scuole superiori previste dalla riforma, prima di passare ad uno sguardo più approfondito sulla situazione di licei ed istituti superiori, naturalmente ancora chiusi, è possibile iniziare ad inquadrare le macroaree tematiche in cui le sperimentazioni cresciute nel corso degli anni sono state riorganizzate. Il Liceo delle Scienze Umane è una delle maggiori novità, forse più attuale delle altre dato il contesto culturale nel quale ci troviamo, nel quale il problema dell’istruzione e della formazione associato alle opportunità introdotte dalla crescente integrazione culturale è diventato preponderante.

Il Liceo delle Scienze Umane riprende contenuti e finalità del Liceo Sociopsicopedagogico, del Liceo delle Scienze Sociali e di altre sperimentazioni storicamente diramate dai vecchi istituti magistrali. Le materie che caratterizzano in modo più forte questo gruppo di corsi di studio sono Pedagogia, Sociologia, Psicologia, Antropologia, ma a queste si affiancano anche altre discipline “tradizionali” come storia e geografia. Argomenti come la geografia umana e politica acquisiscono anzi un ruolo particolare in una situazione che affida ad un’istruzione di questo tipo una funzione essenziale in tempi di rapidi cambiamenti e scambi culturali sempre più intensi.

Un aspetto da sottolineare quindi è una marcata tendenza a proiettare gli studenti verso l’Università, che non si distacca più nettamente negli argomenti trattati dall’itinerario formativo precedente, ma diventa un proseguimento delle linee principali del percorso di studio già avviato. La combinazione delle materie invece si adatta alle prospettive di professionalità immerse in un ambiente nel quale si moltiplicano le esigenze di mediazione e di cooperazione in Europa e nei territori. Una serie di competenze sociologiche hanno acquisito centralità nella gestione della vita e dell’attività in modo trasversale ai settori della produzione e dei servizi.

Novità come le lingue straniere, il diritto e l’economia erano già entrate nelle sperimentazioni un quindicennio fa, quando la commissione Brocca diede il via ai licei Sociopsicopedagogici, gradualmente sfumava il focus sulla formazione degli insegnanti e gli studenti (anche prima della chiusura dei corsi agli Istituti Magistrali nel 1999) proseguivano gli studi pedagogici in un’ottica che non aveva più al centro solo una specifica ipotesi di progetto professionale: si iniziava sia a considerare globalmente l’istruzione come un segno distintivo del periodo attuale, una materia in sè valida per interpretare un’epoca di formazione permantente, sia a valutare una serie di necessità professionali nel campo dell’integrazione, del sociale, del servizio pubblico competente nella psicologia.

Aldo Ciummo

Finlandia, avanti con istruzione e ricerca

 

Riepilogo Area Nord Europa 2009-2010: Le iniziative del Governo di Helsiki in favore di una innovazione ecosostenibile della produzione si accompagnano ad una strategia che mette al primo posto istruzione e ricerca

La Finlandia, recentemente, ha deciso di passare dall’attuale ventotto per cento di energie pulite al trentotto per cento nel giro dei prossimi dieci anni.  Due terzi di questo incremento potrebbero venire proprio da campi e foreste. Eolico, solare, idroelettrico possono contribuire a portare ancora di più il paese nordico all’avanguardia quanto a coscienza ambientale.
 
Il governo di Helsinki sta raggiungendo, in maniera particolarmente efficace negli ultimi anni, obiettivi molto elevati di riduzione delle emissioni nocive per l’atmosfera e di aumento della quota di energie rinnovabili utilizzate e ha sostenuto efficacemente queste idee anche negli ultimi vertici mondiali.
 
La Finlandia ha registrato nel 2009 un primato significativo, rappresentato dalla scarsa incidenza delle differenze sociali nel percorso formativo degli alunni, riconosciuto dalla Foundation of European Progressive Studies, nell’ultima parte dello scorso anno il Helsinki ha sancito il diritto alla conoscenza inclusa la presenza di connessioni web veloci nelle aree rurali, una scelta che la pone all’avanguardia in tale ambito.
 

Aldo Ciummo

La Svezia sempre più avanti nelle nuove tecnologie

 

Le ricerche più recenti registrano un incremento sensibile della televisione on line e su telefono nel paese scandinavo
 
Gli svedesi usano in maniera sempre più massiccia le nuove tecnologie, al centro della crescita economica nella UE nel quadro degli obiettivi di Lisbona, che puntano sull’economia della conoscenza. Circa i due terzi degli abitanti del più esteso e popoloso paese nordico seguono l’offerta televisiva su nuove piattaforme, diverse da quelle tradizionali.

 Il Nord Europa continua a farsi promotore dello sviluppo basato sull’innovazione, come già si era segnalato con le iniziative finlandesi a sostegno della diffusione di internet anche nella periferia dello stato.
 
La crescita maggiore del consumo di televisione on line e sul telefonino si è registrata durante le olimpiadi invernali. Le televisioni tradizionali ed il sistema nel suo complesso hanno sostenuto la novità, che ora sembra dare spazio a un mercato emergente.

Quasi quattro milioni e mezzo di svedesi hanno preso abitudine alla tendenza in atto e le organizzazioni che monitorano i media non pensano che la direzione avviata cambierà.
 
I servizi nuovi che riguardano l’offerta televisiva sono più facilmente reperibili sul mercato e il numero dei fruitori aumenta. Il fenomeno non coinvolge soltanto i giovanissimi. Si pensa quindi che le abitudini consolidate possano ora favorire anche una diversificazione ancora maggiore delle fonti disponibili e del paniere culturale elaborato dai mass media nazionali.
 
Aldo Ciummo

Nuove strategie per l’Europa

 

Ieri la Commissione Europea ha presentato il piano per uscire dalla crisi e proiettare la comunità verso un modello di sviluppo valido per i prossimi decenni, ma le categorie classiche dello sviluppo fanno ancora da padrone.

 

di    Aldo Ciummo

Conoscenza, Sostenibilità e Inclusione sono nelle intenzioni della Commissione Europea gli strumenti per rafforzare l’economia e la società nell’Unione Europea. Gli obiettivi concreti sono cinque: nel 2020 il 75% delle persone di età compresa tra 10 e 64 anni dovrà avere un lavoro; il 3% del Prodotto Interno Lordo dovrà essere investito nella ricerca, poi ci sono il raggiungimento dei traguardi in materia di clima e di energia chiamati del 20-20-20 (il 20% di riduzione degli sprechi e altrettanto di aumento delle energie rinnovabili e 20% di riduzione delle emissioni nocive per l’atmosfera); e ancora la riduzione del tasso di abbandono scolastico in maniera da vederlo scendere sotto al 10% insieme all’aumento dei giovani con titolo di studio (laurea o diploma) fino al 40%. Infine, la Commissione ritiene importante che venti milioni di persone escano dal rischio povertà.

Al di là dell’iniziativa dell’esecutivo europeo, lungamente attesa, per disincagliare la comunità rispetto alle difficoltà attuali, occorre chiarire che gli effetti e le cause sociali di una crisi che ha investito tutto il modello di crescita, di consumi e di vita del mondo occidentale non può risolversi soltanto raggiungendo soglie quantitative di successi economici.

In questo senso le ambizioni espresse ieri sono ancora una volta piuttosto fredde rispetto alla vita concreta del continente, anche se contengono intuizioni giuste, come la funzione strategica della ricerca (che ormai per la verità sono dati dell’esperienza validi da decenni) e anche se fanno riferimento  a basi irrinunciabili, quali l’occupazione e la sostenibilità.

Non basterà infatti che le persone siano occupate nel mercato del lavoro, ma sarà necessario che questo sia regolato in maniera da rispettare i loro diritti, e questo, proclami europei a parte, è ancora un lontano traguardo in una gran parte dell’Unione e nella stragrande maggioranza di quelli che sono i rapporti di lavoro emergenti nell’epoca cosiddetta post-industriale.

Il problema climatico ed energetico, a sua volta, non può essere risolto soltanto con l’adesione politica a riduzioni di emissioni di un tipo oppure di un altro: bisogna evitare che i costi ricadano interamente su settori esposti della società e promuovere una cultura che permetta alle economie “verdi” di sostenere le popolazioni.

Anche l’inclusione sociale attraverso l’istruzione non si può fermare a obiettivi di alfabetizzazione funzionale che scimmiottano quelli di costruzione dello stato nazionale del secolo scorso e mirano oggi al soddisfacimento delle imprese e di quello che si assume come loro pensiero di società, ma deve permettere un maggiore protagonismo degli studenti ed anche un più ricco rapporto con il mondo del lavoro e la società circostante.

La riduzione della povertà, a sua volta, è inutile se si tratta di una illusoria difesa del benessere acquisito dalle popolazioni “storiche” della UE, senza puntare all’integrazione dei nuovi cittadini ed alla soluzione di una serie di problemi non meramente economici, dovuti all’esclusione sociale o al divario culturale, sperimentati massicciamente sia da fasce di popolazione autoctona, tra i pensionati, tra i precari e gli immigrati di seconda generazione, come pure tra extracomunitari oppure immigrati provenienti da altri paesi della comunità rispetto a quello nel quale si stabiliscono, tra clandestini oppure “sfruttati regolari” e tra le categorie di cittadini – e per il diritto come si è sviluppato in occidente ogni uomo è cittadino in quanto portatore di dignità – che oggi neppure rientrano con certezza in un gruppo oppure in un altro.

Il paesaggio urbano è qualcosa che si può leggere in molti modi

Il libro Via Tiburtina - Space, Movement and Artefacts in the Urban Landscape è pubblicato dall’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma con il sostegno del Consiglio Svedese per la Ricerca ed è distribuito da eddy.se AB. Il libro è uscito sul mercato svedese in occasione della Fiera del Libro di Goteborg, 24-27 settembre 2009.

L’Istitituto di Studi Classici Svedese venerdì sera ha ospitato un dibattito sulla via Tiburtina. L’architetto Hans Bjur, professore dell’Università di Goteborg, e l’archeologa Barbro Santillo Frizell, direttore dell’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma,  hanno percorso per sei anni questa strada, alla guida di un progetto di ricerca sui tremila anni di storia di questa Via ancora oggi in uso.

Venerdì 11 dicembre l’Istituto di Studi Classici Svedese ha accolto l’iniziativa di dibattito “Via Tiburtina, Space, Movement,and Artefacts in the urban Landscape” un seminario internazionale su come le città integrano le stratificazioni storiche nel proprio sviluppo urbano.
Si è parlato di come vengono valorizzati ed interpretati, in una città e nello sviluppo del suo paesaggio, le eredità materiali ed immateriali e di quale significato può avere una città antica in questo contesto.

Via Tiburtina – Space, Movement and Artefacts in the Urban Landscape, è il titolo del libro che racchiude i risultati degli studi di Bjur e Frizell. “Si evidenzia la continuità tra la Roma antica, medievale e rinascimentale e la moderna metropoli – spiegano gli autori – percorrere una strada originariamente costruita dagli antichi Romani e che tremila anni dopo continua a essere un’arteria pulsante nel caotico traffico in entrata e uscita dalla capitale d’Italia significa percorrere la storia. Ma non solo: un viaggio lungo la Via Tiburtina dimostra quanto può essere importante una strada per lo sviluppo di una città e apre il dibattito su come la moderna pianificazione urbanistica si possa coniugare con il patrimonio storico urbano.”
 
Roma è una città sviluppatasi strato su strato nelle diverse epoche storiche e queste stratificazioni, non soltanto materiali, hanno creato diverse correlazioni tra loro, attraverso i millenni. Maria Margherita Segarra Lagunes, che insegna all’Università Roma Tre, ha sottolineato come abitudini ripetute ogni anno per secoli hanno trasformato gli atti in rituali ed hanno costruito la mentalità della gente, i percorsi contadini, “c’è, nella conformazione dei luoghi e nelle azioni con le quali vengono vissuti una consapevolezza, anche se a volte inconscia”.

Al centro dell’analisi c’è la strada, che è sempre la stessa ma nello stesso tempo è in costante evoluzione. Con il suo febbrile movimento, la Via Tiburtina genera nuove culture sociali, che potenziano il traffico e stimolano l’edilizia, oltre a creare nuovi elementi paesaggistici, i cui resti entrano a loro volta a far parte del patrimonio culturale e si adattano alla struttura sociale dei nostri tempi.

Paolo Liverani, dell’Università di Firenze, ha osservato che  “ci sono mappe in cui si possono trovare monumenti. La coscienza topografica ha origine da semplici considerazioni, sul territorio le testimonianze del tempo non si stratificano semplicemente l’una sull’altra, ma ognuna modifica le altre, le cancella, le ridefinisce”

Il dialogo tra patrimonio ereditato e esigenze del presente è proprio il nocciolo del libro sulla Via Tiburtina,  in cui Hans Bjur propone,  insieme a Barbro Santillo Frizell, professore di archeologia classica, un nuovo approccio alla moderna pianificazione urbanistica: l’archeologia paesaggistica urbana. In tredici capitoli ricchi di illustrazioni archeologi, esperti in conservazione dei beni culturali, studiosi dell’antichità, architetti, storici dell’arte e conservatori specializzati in beni architettonici mettono in relazione l’antica Roma con le intense trasformazioni dell’attuale metropoli.

Si tratta certo di un dibattito che non è neutro, come Gert-Jan Burgers, dell’ Istituto Nederlandese a Roma, ha fatto notare: “diverse visioni si confrontano, quella monumentale della storia coltivata dalla direzione nazionalista settanta anni fa, quella calata dall’alto oggi dall’Unione Europea, quella che mette al centro le esigenze locali”.

Identità, comunità, qualità della vita: diversi possono essere gli obiettivi dell’azione umana sul paesaggio. Il valore della eredità culturale per la società è mediato dalle scelte delle differenti culture, il patrimonio perciò è anche un processo, si tratta di progettazione dello spazio più che di semplice mantenimento di quello che esiste. Esistono paesaggi nascosti alla vista, presenti però nella nostra percezione culturale.

Su questo punto si è soffermato Wetterberg, moderatore della serata (Università di Gotemborg, Svezia) che ha riassunto le considerazioni di molti dei relatori sottolineando come un’area, così come viene percepita dalle persone, “è il risultato della azione e della interazione di fattori naturali ed umani, non è un fatto statico,  non è un dipinto, ci si vive dentro, eppure è una idea e non una cosa. Il paesaggio è un modo di agire e di pensare, non un oggetto immobile da preservare.”

Sono intervenuti anche Graham Fairclough (English Heritage) e Lionella Scazzosi (Politecnico di Milano). Il progetto di ricerca sulla via Tiburtina è nato nel 2003 da una collaborazione tra l’Istituto per la Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Goteborg e l’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma. Oggi, l’Istituto Svedese ospita un ambiente di ricerca interdisciplinare. Questa iniziativa inoltre ha gettato delle basi per la nascita dell’archeologia paesaggistica urbana come settore di ricerca. La ricerca portata avanti con il libro sarà anche un valido strumento all’interno dell’urbanistica e dell’edilizia come progetto sociale, sia in Italia che in Svezia.

Aldo Ciummo

Al Palazzo dell’Innovazione e della Conoscenza di Napoli “Ripensare le città”

 

Una scommessa ragionata sui fondi europei è ciò che ha portato allo sviluppo diverse aree d'Europa e che auspicabilmente porterà nei prossimi anni alla loro reciproca integrazione

Il 15 dicembre una iniziativa dedicata a Riqualificazione, Innovazione e Mobilità sarà una occasione di riflessione sull’impatto del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale

Il programma operativo regionale della Campania (POR) per il 2007-2013 si trova ad uno stadio abbastanza avanzato ed il 15 dicembre 2009 al Palazzo dell’Innovazione e della Conoscenza (Pico) si svolgerà un dibattito dedicato all’illustrazione degli obiettivi raggiunti e di quelli per i quali lavorare per uno sviluppo più equilibrato della regione.

I progetti finanziati dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale stanno apportando diverse trasformazioni in Italia, le aree del Mezzogiorno sono tra quelle che potranno beneficiarne di più ed accelerare così la integrazione delle zone anche marginali finora nella comunità europea.

La giornata prevederà l’intervento di Carlo Neri (Autorità di gestione del POR Campania per il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale FESR 2007-2013) , di Maria Adinolfi, responsabile dell’Obiettivo Operativo “Più Europa” , l’assessore ai Trasporti e Viabilità, Porti ed Aeroporti, Ennio Cascetta, Gabriella Cundari (Urbanistica, Politiche del Territorio), il Presidente del Tavolo Regionale del partenariato Economico e Sociale Mario De Biase, il capo di gabinetto della giunta regionale Maria Grazia Falciatore.

Lo sviluppo del territorio coinvolge anche l’istruzione e la ricerca, per le politiche legate alle scienze ed all’università parteciperà l’assessore Nicola Mazzocca. Ci saranno anche il presidente di Bagnoli Futura, Rocco Papa, il sindaco di Benevento Fausto Pepe, anche per il tavolo Città più Europa, Maria Raffa, assessore allo sviluppo del comune di Napoli, Leopoldo Spedaliere, Presidente Tess Costa del Vesuvio e la giornata sarà coordinata da Paolo Leon.

L’iniziativa al Palazzo PICO di via Terracina è sostenuta dal Governo, dalla UE e dalla regione, con il motto “la tua Campania cresce in Europa” ed è da intendersi come uno stimolo alla partecipazione dei territori alla costruzione di una economia integrata in Europa, una delle basi per una società sempre più aperta anche oltre i vecchi confini.

Aldo Ciummo

Intervista a Mattias Broman | Istruzione europea per competere in un mondo aperto

 
 

L'Università, i licei, i luoghi della formazione professionale, della creazione artistica, della socialità, i luoghi immateriali della comunicazione e la mobilità crescente, l'apertura reciproca dei paesi europei sono vettori di quella integrazione la cui forza sarà, nelle intenzioni espresse negli obiettivi di Lisbona, proprio la conoscenza intesa come processo in grado di mettere gli europei in condizione di andare verso gli altri e competere nel mondo odierno.

La costruzione della Unione Europea, della socialità europea, passa innanzitutto attraverso la cultura, quest’ultima non ha un posto preciso nelle istituzioni comunitarie finora, ma inizia ad essere posta al centro di una serie di iniziative, tendenti a rafforzare l’Europa attraverso la sua identità.

Il processo di integrazione europeo ha bisogno della partecipazione popolare o meglio gli abitanti dell’Europa sentono la spinta ad andare gli uni verso gli altri, al di là delle rigidità istituzionali ormai superate dalle ultime generazioni, per le quali la mobilità culturale prima ancora che professionale è un dato acquisito: le fondamenta per una crescita sociale della Comunità sono i mezzi che permettono alle persone di esprimere più liberamente questa propensione. E le basi per la crescita sociale di cui si parla sono l’istruzione, la comunicazione e la cultura.
 
Il Consiglio Europeo di Bruxelles del 26 e 27 novembre ha messo al centro la cultura, la chiave necessaria a tirare fuori la creatività. Non la cultura di pochi che sanno, ma lo scambio dei saperi sociali, professionali, artistici, che può moltiplicare le risorse dei singoli paesi europei. La Svezia ha una tradizione lungimirante in questo senso ed adesso il paese scandinavo vuole che la cooperazione tra i paesi Ue in materia di istruzione e di sostegno ai ragazzi cresca.
 
Mattias Broman, Consigliere dell’Ambasciata di Svezia a Roma, è parte di quella generazione di europei che ha avuto la possibilità di sperimentare la vita in altri paesi d’Europa, prima partecipando ad un programma Erasmus in Francia (nel ’94 e ’95) e poi al Collegio Europeo di Varsavia nel 98′ e ’99.  Nel College of Europe, o College Eurepeann, di Varsavia, c’erano all’epoca 73 persone, provenienti da quaranta paesi. E anche la natura dinamica dell’Europa, proiettata a unirsi con numerosi altri stati confinanti negli ultimi anni dovrebbe far riflettere in positivo.

“In Svezia, dal 2006 esistono le scuole libere – ha riferito Mattias Broman – si tratta di una novità introdotta gradualmente, a partire da un decennio fa. Questi istituti non sono propriamente scuole private, in alcuni casi sono società, oppure gruppi di cittadini che entrano nell’amministrazione della scuola, nei casi in cui le amministrazioni locali non ce la fanno a portare avanti l’educazione, in centri abitati molto piccoli. Si sta affermando anche la presenza di scuole dedicate maggiormente ad una materia oppure ad un’altra, quindi con una caratterizzazione scientifica più marcata, oppure più tendente ad altre discipline. Per questo vengono chiamate scuole libere, ed è lo stato che adesso se ne fa carico finanziariamente. Dal 2006 si sta affermando anche la proposta legislativa di avere un giudizio più articolato anche nelle prime classi, per conoscere i punti deboli degli studenti in tempo utile per colmarli.”
 
L’istruzione è strategica nella Unione Europea e non si può pensare di limitarla a chi si affaccia ora alla vita civile, sociale e professionale, ma occorre preoccuparsi anche di tutta una parte della popolazione che porta già con sè le proprie esperienze ma ha bisogno di passi avanti.
“In Svezia diciamo che si dovrebbe imparare tutta la vita – ha affermato il Consigliere – perciò la Presidenza della Ue considera importante raggiungere più trasparenza nella qualità dell’educazione degli adulti. L’Europa, negli ultimi due anni, ha chiesto di far crescere i risultati degli alunni immigrati ed è stato elaborato un Green Book dalla Commissione Europea nell’autunno del 2008.
A maggio e nell’autunno del 2008 il Governo svedese ha preso l’iniziativa di elaborare delle relazioni ufficiali su questo tema. Si tratta di far crescere la qualità del sistema educativo. ”
 
Ma quale è la priorità della Svezia, paese che è Presidente di turno dell’Unione Europea?  “ci dedichiamo soprattutto a quello che chiamiamo il triangolo della conoscenza: noi teniamo molto alla educazione nelle università. Le cose che contano per noi sono nuova conoscenza, individui ben educati, ricerca, innovazione tecnica, imprenditorialità. E’ una parte del triangolo della conoscenza – ha detto Mattias Broman –  perchè questo concetto comprende anche una sorta di ponte che vogliamo costruire, tra università ed imprese. La possibilità che gli studenti hanno di entrare nel mondo del lavoro.”  Tra 31 agosto e 2 settembre 2009, a Gotemborg, si è svolta una iniziativa ufficiale svedese che si è concentrata soprattutto su aree come medicina e scienza, tecnologia ed arte, impresa ed educazione.
 
Un altro capitolo importante, soprattutto in un ambito di qualità del lavoro, come la formazione e l’educazione, è la mobilità degli insegnanti
“Il focus è nell’interazione tra educazione, ricerca, innovazione, a livello nazionale in Svezia ed anche a livello europeo e nel come fare crescere questo intreccio positivo. Precedentemente ci si è influenzati molto sulla ricerca. Esiste il libero movimento di tutti i lavoratori. Ma la mobilità degli insegnanti è particolarmente importante in Europa. E’ una delle questioni cui abbiamo dato la priorità, soprattutto nella crescita professionale e nell’assistenza nel muoversi – ha spiegato ancora il rappresentante dell’ambasciata – a Gotemborg c’è stato un incontro ministeriale informale il 23 e 24 settembre e poi il 26 novembre ne è seguito un incontro ministeriale ufficiale, proprio in merito agli incontri professionali degli insegnanti. C’è da fare tanta ricerca su questa materia sulla competenza degli insegnanti perchè per l’Europa è un fatto centrale.”

L’iniziativa della Presidenza Svedese apporta le esperienze di una tradizione molto attenta alle questioni educative, che si estende anche oltre la Svezia e i lettori del sito avranno ancora occasione di confrontarsi con le caratteristiche di altri sistemi dell’istruzione, in Finlandia, in Danimarca e riguardo ad altri paesi europei ma anche in maniera crescente con i cambiamenti di quello italiano. Ma, soprattutto, un tema di analisi che non potrà essere evitato è proprio la sorte del capitolo istruzione nella comunità, laddove l’Unione Europea deve ancora definire in gran parte il suo ruolo in quello che è un elemento centrale della vita di ogni nazione e che lo sarà inevitabilmente anche nella nostra Europa.
 
Aldo Ciummo

Artico: la Norvegia ha la vista lunga

La strategia del Governo di Oslo prevede uno sviluppo capace di mantenere nell’Artico le risorse della biodiversità e degli scambi culturali

 

Già dal marzo di quest’anno, prima che le questioni ambientali venissero portate sempre di più all’attenzione del pubblico, per l’avvicinarsi del vertice di Copenaghen, il Governo di Oslo poteva tirare le conclusioni su parte della strategia artica della Norvegia. Il fatto è che le vicende dell’Artico sono strettamente intrecciate a quello che lo stato ed i suoi abitanti possono sperare dal futuro: molto, date le caratteristiche emergenti della regione, al centro degli interessi mondiali oggi, perchè i cambiamenti climatici hanno aperto significativi problemi, ma anche avviato nuove opportunità.

La Norvegia ha le carte in regola per proporsi come soggetto garante del Grande Nord, in accordo con stati che stanno facendo parecchio per introdurre il concetto di sviluppo ecosostenibile in Europa, come la Svezia che porta avanti in questo momento la Presidenza della Ue, la Finlandia e la Danimarca (quest’ultima è il paese che ospiterà il vertice) che hanno politiche ambientali complessivamente molto avanzate, una marcia in più per la Ue che, va ricordato, è stata il traino degli accordi più ambiziosi in fatto di tutela del clima. La Norvegia non fa parte della Ue ma lavora a stretto contatto con gli altri stati europei, e l’estremo Nord, uno degli obiettivi primari della politica norvegese, riguarda tutta la comunità per le implicazioni ambientali, economiche, culturali che sono in questione.

I progetti norvegesi per l’area Artica includono ben 22 punti, ragion per cui saranno proposti su questo spazio web almeno un altro paio di articoli dedicati a questo argomento, l’estremo nord sotto la giurisdizione dello Storting, in questo mese: intanto però è importante sottolineare che l’obiettivo di Oslo è occuparsi delle zone più settentrionali in maniera equilibrata, da una parte assicurando il maggiore contributo possibile alla conoscenza scientifica di queste terre, dall’altra valorizzandone il potenziale economico.

Lo sviluppo regionale, parte delle strategie produttive dello stato, nei progetti del governo norvegese, deve andare di pari passo con la condivisione delle idee con le popolazioni che vivono nella parte più fredda d’Europa. Qui non c’è solo ghiaccio, ma una grande biodiversità e una comunità che fa dell’esperienza del territorio la sua ricchezza, qualcosa che l’Europa deve proteggere e nel difendere questo patrimonio può fare affidamento sulla Norvegia e contemporaneamente della prospettiva ambientale in cui anche la Presidenza Svedese e Danimarca, Finlandia ed Islanda si stanno muovendo. L’idea è: la regione nella quale si vive è estremamente preziosa ma molto fragile, per cui sviluppo economico significa innanzitutto conoscenza e rispetto di ciò che preesiste cioè la natura e le culture popolari.

C’è una vera e propria lista stilata in Norvegia, è l’elenco delle priorità sul grande Nord, obiettivi pienamente condivisibili da noi in Europa, dato quello che l’area settentrionale rappresenta per noi dal punto di vista ambientale, umano, economico e dei diritti: al primo posto c’è da sviluppare la conoscenza riguardo al clima, migliorare la sicurezza in mare e promuovere in maniera sostenibile le energie.

Poi si parla dell’impresa e dei modi per svilupparla in un ambiente difficile e di come rafforzare le infrastrutture. Fermo restando il concetto del controllo sul territorio da parte delle nazioni nordiche, in un mondo in un rapido cambiamento, si sottolinea anche la necessità di rispettare l’autodeterminazione delle popolazioni presenti come i Sami, anche su questo punto la Norvegia si è mossa in maniera egregia, coinvolgendo anche i Sami nella delegazione che sta approssimandosi a Copenaghen per il vertice.

Le questioni climatiche trovano quindi un sostegno alle posizioni più avanzate sia nella Presidenza Svedese per quanto riguarda l’Unione Europea sia nella Norvegia, al nostro fianco nell’European Free Trade Association, il che anche grazie alla presenza dei paesi con posizioni affini come Danimarca e Finlandia significa buone prospettive per gli accordi che coinvolgono direttamente l’Artico.

Aldo Ciummo

Occupazione e ambiente, l’esempio di Londra

Stephen Lowe, consigliere per gli Affari Globali dell’ambasciata britannica a Roma, in una recente intervista all’agenzia nazionale Ansa ha stimato in 800.000 i posti di lavoro creati nel settore ecosostenibile di beni e servizi. Si avvicina Copenaghen e sul piatto c’è un accordo importante per il futuro del pianeta. I paradisi del Pacifico sono a rischio e in Europa un innalzamento della temperatura e del livello dei mari colpirebbe molto duro a Nord come a Sud (ed anche in Italia)

 

Una ricerca, presentata oggi dall’ambasciatore britannico in Italia, Edward Chaplin, e di cui le maggiori agenzie hanno dato notizia, illustra gli effetti pesantissimi che il cambiamento climatico sortirebbe. Lo studio è una mappa interattiva tracciata dal MET, servizio metereologico britannico. Tra ottanta anni in Italia la temperatura potrebbe essere di otto gradi maggiore rispetto alla media nei giorni più caldi dell’estate, si immaginino le conseguenze cliniche su una parte significativa della popolazione, in un paese abitato da molti anziani e naturalmente esposto alla diffusione di malattie di importazione, in un mondo globalizzato.

Non solo per l’Italia, ma per tutto il Mediterraneo, una massiccia riduzione delle risorse acquifere significherebbe non soltanto l’acuirsi di problemi sociali già difficili a causa di inefficienze ed iniquità distributive (ed anche come conseguenza di problemi strutturali ed infrastrutturali), ma anche una riduzione delle risorse agricole capace di portare a contrazione della ricchezza, aumento della disoccupazione e disagi alimentari in alcuni paesi dell’Africa e del Medio Oriente.

Stephen Lowe ha reso noto che nel Regno Unito 800.000 posti sono stati creati nel settore della economia ecosostenibile, tra il comparto dei beni e quello dei servizi. D’altronde l’Inghilterra gode di una prospettiva maggiore di quella di molti altri paesi riguardo alle vicende globali, cui di certo non è estranea la profonda conoscenza storica dell’area del Pacifico, una delle più minacciate dalle trasformazioni indotte dall’inquinamento. Pensare al clima oggi è infatti innanzitutto un atto di responsabilità verso i paesi più fragili anche economicamente ed ad esempio verso gli arcipelaghi del Pacifico la cui tutela è un test valido per il resto del pianeta perchè essi rappresentano l’equilibrio tra uomo ed ambiente.

Nauru, isole Salomone, Marshall, Fiji, Kiribati, Tuvalu, Palau infatti rilanciano rispetto agli obiettivi del mondo sviluppato e chiedono una riduzione del 40% delle emissioni nocive entro il 2020. L’Europa ha proposto il venti per cento (riprendiamo questi dati dall’Ansa). Nel caso tutti gli stati contribuiscano, si penserebbe di fissare l’obiettivo del 30%. I paesi meno sviluppati vogliono che sia riconosciuto il diritto di promuovere quella che è un pò la loro rivoluzione industriale e che le nazioni più ricche li aiutino, se vogliono che tutti costruiscano una economia verde.

Un segnale molto positivo, anzi due segnali, sono venuti dall’annuncio di Barak Obama, che parteciperà al vertice nei giorni più importanti, seguito dal premier indiano Manmohan Singh, che ha detto che ci sarà anche lui. Rispetto agli Usa, l’Unione Europea ha fissato sempre paletti più elevati e specialmente adesso, sotto la Presidenza Svedese e con la spinta anche della Danimarca che ospita il vertice, sta lavorando per un accordo il più responsabile possibile.

Aldo Ciummo

APPROFONDIMENTI|Slovenia, uno studio sulle tombe antiche

Lo studio verrà presentato martedì prossimo e promette di far piena luce sulle tombe occulte delle epoche passate

di Simone Di Stefano/SG

Dall’incontro tra il Mediterraneo, le Alpi Giulie e le Alpi Carniche si formano dapprima monti di origine carsica  che successivamente si distendono, verso settentrione dando vita a verdi vallate, la prerogativa che più colpisce a chi si trova a visitare per la prima volta la Slovenia. Impressionano soprattutto i manti erbosi che ricoprono il territorio, fino ad arrivare alla capitale, Lubiana.

Ma cosa si nasconde nel sottosuolo di questo affascinante territorio? Occorre sapere che la Slovenia conserva una grande quantità di reperti funerari, alcuni di essi risalenti addirittura al X secolo a.C. e di inestimabile valore archeologico. Siamo nella parte nord dell’Istria, lungo i confini che separano l’Italia dalla Slovenia. Nella maggior parte dei casi si tratta di grotte, al di sopra delle quali venivano compiuti riti funebri di popolazioni provenienti dalla penisola italica e dalle attuali Austria e Ungheria, conferendo a queste zone un’importanza di carattere sovraregionale. Una delle zone da menzionare è sicuramente quella delle Grotte di Škocjan e dei loro dintorni, eccezionalmente ricca di importantissimi siti archeologici risalenti fino a cinquemila anni fa, tra questi la grotta Mušja jama, la necropoli sotto Brežec, la grotta Okostna jama, il castelliere Škocjan e la grotta Tominčeva jama. Inoltre la stessa zona conserva delgli eccezionali resti archeologici praticamente senza pari in Europa , legati soprattutto alla sfera del culto.

Nelle grotte Tominčeva jama e Roška špilja i reperti archeologici risalgono all’età del rame e all’antica età del bronzo (circa tra i 3000 e i 1700 anni a.C.). I reperti di queste grotte indubbiamente richiedono una valutazione moderna. Questo vale specialmente per l’ascia ed il pugnale di rame con piastra del manico trovati nella grotta Tominčeva jama, i quali non sono dei reperti di insediamento usuali di quel periodo. Oggi la concezione dell’uso funzionale della grotta Tominčeva jama tende al suo ruolo sacrale sin dalle prime tracce della presenza umana.

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