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Unione Europea: Strasburgo chiede nuove norme a favore della agricoltura

Il Parlamento europeo si muove per proteggere il settore dell’allevamento da un uso eccessivo dei brevetti che potrebbe finire per scoraggiare l’innovazione

Un utilizzo eccessivo dei brevetti potrebbe frenare il progresso nel settore agricolo e dell’allevamento: partendo da questa constatazione il Parlamento Europeo ha approvato giovedì 10 maggio una risoluzione non legislativa che mira ad impedire la possibilità di brevettare prodotti ottenuti con tecniche convenzionali.

Gli eurodeputati sottolineano che, sebbene i brevetti siano importanti per lo sviluppo della tecnologia, la concessione di una tutela eccessivamente ampia attraverso i brevetti potrebbe danneggiare i piccoli e medi produttori, perchè questi rischierebbero di non avere più accesso alle risorse genetiche nell’allevamento e nell’agricoltura.

Il Parlamento Europeo ha chiesto all’Ufficio europeo competente in materia di escludere dalla possibilità di venire brevettati i prodotti derivati da metodi convenzionali e questa risoluzione è stata approvata giovedì con 354 voti a favore, 192 contrari e 22 astenuti.

Nella stessa sessione l’assemblea ha approvato, nel quadro dei conti della Commissione Europea per il 2010, i bilanci della maggioranza delle agenzie e delle istituzioni europee e del Fondo di Sviluppo Regionale.

Aldo Ciummo

 

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Ormai solo l’Europa investe su innovazione e coesione

Mentre si assiste alla perseveranza di alcuni stati, Italia in testa, nel trascinare indietro lo sviluppo continentale con politiche recessive, la UE inizia ad affrontare la difficile situazione economica internazionale

di  Aldo Ciummo

I duri fatti economici fanno venire a galla anche i dati politici: le forze che in Europa, soprattutto a sud, proponevano di affrontare la crisi ripetendo che andava tutto bene, nell’intenzione probabile di tamponare la recessione economica spingendo alla spesa di risorse residuali o inesistenti e nell’intento più che probabile di rimandare di qualche mese o anno il conto in termini di consenso e di posizioni acquisite hanno danneggiato assieme ai singoli stati tutti i componenti della UE. Di fronte a questa situazione, su queste pagine si è ripetuto più volte che la crescita degli euroscetticismi nei paesi che hanno gestito adeguatamente le proprie finanze non era del tutto priva di giustificazioni oggettive. La finanza creativa o negligente ha danneggiato anche i vicini, che hanno sostenuto l’Italia con generosità.

Un’altra idea curiosa di alcune delle maggiori voci televisive, a cominciare da quella pubblica, è l’immagine di una Europa che detta dure condizioni e che viene presentata quasi come la responsabile delle difficoltà (di posizioni curiose non ne mancano nella corrente maggioritaria dell’informazione, a partire dall’opinione che un paese declassato tre volte in tempi record sia dotato di credibilità internazionale e che la sua guida politica sia considerata affidabile) : il Parlamento Europeo oggi ha approvato un bilancio comunitario per il 2012 per stimolare la crescita e l’innovazione, al contrario di diversi parlamenti nazionali, alcuni formati da personale selezionato dai capi delle segreterie, che annaspano disperatamente per sopravvivere mentre fuori dai corridoi del palazzo i servizi essenziali agonizzano.

Il Parlamento Europeo di Strasburgo, con una maggioranza di 431 voti a favore, 120 contrari e 124 astenuti ha approvato un bilancio di 133 miliardi di euro. Ulteriori riunioni della Commissione Bilancio sono previste per l’8 ed il 18 novembre e l’approvazione definitiva potrebbe arrivare già a dicembre. L’azione politica europea, nel difficile contesto di questi anni, è stata quella che concretamente ha creato un’area di stabilità nella quale la società ha potuto aprirsi e progredire: lo stesso non si può dire di gruppi regionalisti e contrari all’integrazione che hanno piuttosto peggiorato gli standard delle finanze pubbliche attraverso una serie di iniziative folcloristiche finalizzate al mantenimento dei ruoli ottenuti nello stato centrale.

I settori che vengono più favoriti dalle iniziative dell’Unione Europea sono, non a caso, “Ricerca e Sviluppo” e “Fondi di Coesione e Strutturali”, gli stessi che contribuiscono all’affermazione di una società aperta, basata su criteri certi di adozione delle decisioni: libera da eccessi ultraliberisti, chiusure anacronistiche e personalismi inefficienti (gli elementi che hanno portato in molti paesi alla crisi, alcuni dei quali a diventare un fanalino di coda all’interno del già difficile contesto generale). Ricerca e Sviluppo è un settore che vede aumenti di quasi il 9% per cento e i Fondi Strutturali e di Coesione superano il 10%.

Sostenere stati in difficoltà ma in crescita durante i periodi in cui ve ne è bisogno ed opportunità significa che l’Europa nel suo insieme è poi in grado di supportare anche nazioni che si ritenevano più solide nel momento in cui queste scoprano di averne bisogno più di tutti gli altri: che poi è il caso concreto in cui si trova l’Italia, con una Unione Europea che si troverebbe nelle condizioni di indicare regole meno rigide se gli stati fondatori avessero fatto la loro parte in tempo quando sono iniziate le crisi economiche nel continente e se avessero aiutato con un pò più di convinzione (e meno ricatti di liste elettorali montane o nostalgiche) i componenti di recente ingresso, molti dei quali probabilmente stanno per battere ironicamente una mano sulla spalla a soci UE più vecchi e sulla carta importanti.

Un altro capitolo su cui l’Unione Europea vuole investire di più è “Libertà, Sicurezza e Giustizia”, un settore storico della comunità e necessario a gestire i confini e preparare l’integrazione, perchè senza fondi e impegni complessi tanta sbandierata voglia di controllo del territorio da parte di molti si riduce ad un insieme di triti slogan elettorali, che ripetendosi nelle stagioni hanno cambiato in peggio, negli ultimi quindici anni, la cultura di paesi mediterranei che fino all’inizio degli anni novanta almeno erano conosciuti come abbastanza tolleranti.

Certo l’Europa nel suo insieme non sfugge da tristi coazioni a ripetere, come i tagli proposti dal Consiglio al Fondo per i Rifugiati, che avrebbe come contrappeso un aumento per il bilancio dell’Agenzia per le Frontiere Esterne Frontex: è verò che questa svolge compiti che non si limitano al controllo, ma il segnale è lugubre per una costruzione geopolitica cui piace chiamarsi potenza civile. L’Unione Europea continua però ad essere una forza stabilizzatrice importante nella cooperazione ed è stato approvato un aumento di cento milioni di euro di aiuti alla Palestina, al processo di Pace in Medio Oriente ed al Fondo per i rifugiati palestinesi dell’Onu (UNRWA) e ventisette milioni di euro per la cooperazione per Asia e America Latina.

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La Commissione Europea ha presentato gli investimenti in Ricerca ed Innovazione

Questa settimana la  UE ha invitato  a presentare i progetti sotto il Settimo Programma Quadro per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico

Sette miliardi di euro è la somma destinata dalla Commissione Europea al Programma Quadro per promuovere l’innovazione nella Comunità. L’esecutivo Ue ha adottato il 19 luglio l’impegno, lanciato il 20 luglio.  I termini delle domande arrivano fino alla fine dell’anno e le decisioni sull’assegnazione dei fondi verranno prese nel 2012.

Rispetto all’ultimo round di “call for proposals”, gli inviti a presentare i progetti, gli investimenti sono aumentati del 9 per cento. Il piano è strutturato in base all’Innovation Union action plane, piano d’azione precedente e definito lo scorso ottobre (2010).

Cambiamento climatico, energia, sicurezza alimentare, hanno un ruolo centrale. Un aspetto significativo dell’investimento europeo ora è la spinta verso il mercato unico della conoscenza, con un incoraggiamento alla circolazione di idee e di ricercatori nel continente.

La Commissione ritiene che la scelta a favore di ricerca e innovazione in frangenti di crisi economica sia uno degli strumenti in grado di determinare la futura crescita e rendere l’uscita dalla crisi un risultato duraturo.

 La UE si è posta l’obiettivo di raggiungere il 3 per cento di Prodotto Interno Lordo investito in Ricerca e Sviluppo nel 2020, reperendo l’uno per cento nel pubblico ed il due per cento coinvolgendo  investimenti privati.

Aldo Ciummo

La Svezia traina l’Europa nell’innovazione

La Commissione Europea ha pubblicato oggi il Quadro Valutativo dell’Unione dell’innovazione del 2010

Quest’anno l’Unione Europea ha aggiunto all’analisi annuale della crescita un Quadro europeo di valutazione dell’innovazione, al fine di supportare lo sforzo degli stati componenti la UE di valorizzare le eccellenze individuate nel proprio sistema sociale e produttivo e rafforzare i comparti più deboli.

La strategia 2020 trova al suo centro la ricerca: all’interno della UE la Svezia ha registrato i migliori risultati, ma ottimi esiti sono stati raggiunti anche da Danimarca, Finlandia e Germania: la comunità vede l’area nord del continente trainare tutto il gruppo dei ventisette. Vicino alla UE è molto attiva anche la Norvegia in fatto di ricerca scientifica e culturale e di innovazione tecnologica, altro dato incoraggiante dato il crescente interesse UE per il coinvolgimento dei paesi più affini ai progetti di collaborazione nati nelle istituzioni intergovernative.

La valutazione si basa su indicatori raggruppati in tre categorie:”Elementi abilitanti” (risorse umane, finanziamenti ed aiuti, sistemi di ricerca aperti, di eccellenza ed attrattivi);  “Attività delle imprese” (investimenti, collaborazione ed attività imprenditoriali, patrimonio intellettuale) e “Risultati” (effetti economici).

A livello europeo esiste ancora un ritardo nei confronti di USA e Giappone. Inoltre le economie emergenti (in particolare il Brasile) avanzano rapidamente e paradossalmente il progetto geopolitico europeo, che da anni insiste tanto sull’economia della conoscenza, è stretta in questa tenaglia.

Logicamente l’innovazione va vista in un contesto di cooperazione, specialmente con le nazioni più vicine culturalmente come gli Stati Uniti, ma occorre anche tenere presente la realtà della competizione internazionale, in cui la possibilità di influire nelle decisioni condivise si guadagna essenzialmente grazie alle posizioni raggiunte anche nel progresso sociale, scientifico e tecnologico.

Oltre all’azione avanzata dell’area dell’estremo nord e del nord storico della comunità emergono anche i traguardi raggiunti da nazioni come Regno Unito, Irlanda, Estonia, nonostante i diversi ostacoli legati negli ultimi anni alle crisi che hanno colpito le economie più legate alle vicende finanziarie statunitensi e alle fasi dello sviluppo dei paesi di recente ingresso.

Marie Geoghegan Quinn, la quale è Commissario per la Ricerca, l’Innovazione e la Scienza ha dichiarato che “il nuovo e migliorato quadro valutativo dell’Unione dell’ Innovazione mette in luce l’emergenza a cui l’Europa deve far fronte in tema di innovazione” ed ha concluso che l’innovazione è essenziale per una economia moderna e per la crescita della occupazione.

Il documento rileva però che la relativa debolezza dell’Europa in questo capitolo deriva dalla mancanza di investimenti specifici da parte del settore privato e che anzi nell’ambito della spesa pubblica per Ricerca e Sviluppo l’Unione Europea vanta risultati migliori di quelli degli Stati Uniti.

L’Europa si è mossa velocemente sui sistemi di ricerca aperti, di ricerca ed attrattivo (co-pubblicazioni scientifiche internazionali, pubblicazioni ad alto impatto, dottorandi extraeuropei) e nel patrimonio intellettuale (deposito di marchi UE, brevetti PCT e disegni e modelli della UE) riuscendo a determinare una grande crescita degli indicatori di innovazione in questi capitoli.

Risulta evidente come diventino sempre più importanti da una parte l’investimento pubblico e privato su ricerca ed istruzione avanzata e dall’altra una cooperazione in grado di compensare i rispettivi squilibri tra le diverse aree dell’Europa e dell’Occidente, mezzo necessario a riportare la regione geopolitica al suo ruolo dopo le contraddizioni aperte dalla crisi globale.

Aldo Ciummo

La Danimarca alla ricerca di partnership economiche in Italia

 

L’ambasciata in Italia si interessa soprattutto del settore Ricerca e Sviluppo, da tempo strategico nel panorama economico danese

Il 18 giugno l’ Ambasciata danese in Italia parteciperà alla conferenza internazionale su internazionalizzazione del capitale umano e competitività del territorio previsto a Trieste presso gli spazi di Area Science Park, una realtà italiana attiva nel campo della ricerca e dello sviluppo e con cui la rappresentanza danese in Italia ha deciso di stringere rapporti per rendere più efficace l’azione di aziende e joint venture.

In Danimarca, il 2% del prodotto interno lordo viene speso per le attività di ricerca e sviluppo, una impostazione che va incontro alle priorità elencate dall’Unione Europea (ma a livello continentale spesso disattese) e che trova nei governi che si sono succeduti a Copenaghen dei sostenitori fattivi.

L’ambasciata danese da tempo considera l’Italia un’area interessante per la presenza di centri di ricerca avanzati ed ha cominciato quindi a valutare la situazione commerciale di questo settore nello stivale, in vista della creazione di accordi tecnologici e partenariati, potenzialmente creativi di crescita per entrambe  le nazioni.

A questo proposito lo stato nordico, attraverso la propria rappresentanza, ha già preso parte alle giornate informative volute dalla Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea (inclusa la conferenza internazionale “Europea Agricultural Policies Going Global” che si è svolta a Roma il 30 aprile scorso).

L’evento che si terrà a Trieste il 18 giugno si intitola invece “Internazionalizzazione del capitale umano e competitività del territorio: lancio del Welcome Office Friuli Venezia Giulia e presentazione del progetto Talents for an International House”: la Danimarca sarà presente con la speranza di costituire nel tempo veri partenariati economici in grado di rafforzare l’efficienza delle imprese danesi e italiane.

 Aldo Ciummo

La UE non andrà lontano senza coerenza ed attenzione alla società

Il Parlamento Europeo si orienta verso un sistema più stringente di sanzioni ed incentivi per arrivare a livelli accettabili di inclusione sociale e sviluppo della ricerca, senza i quali la famosa strategia di Lisbona rimane lettera morta tra le rovine causate dalla crisi ancora in corso.

Il metodo aperto di coordinamento, che ha lasciato spazio alle diverse misure ideate dai paesi membri, ha lasciato anche la porta aperta al proseguimento della crisi, secondo la maggioranza degli europarlamentari. In realtà sono ormai moltissimi cittadini europei, specialmente se non appartengono alla fascia più alta e più sottile del reddito degli stati avanzati componenti la UE, a chiedersi se non sia il caso di interventi più determinati da parte delle istituzioni centrali europee, sia nella redistribuzione dei profitti nella società, sia nella creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo, obiettivo nel quale proprio gli esecutivi che si erano dichiarati liberisti e sostenitori dell’impresa stanno fallendo vistosamente.

Con 462 voti favorevoli, a fronte di 140 contrari e di 58 astensioni, PPE, S&D ed ALDE (cioè Popolari, il centrodestra; Socialisti e Democratici, il gruppo dove confluisce anche la ex sinistra; Liberali) hanno dichiarato che la caduta del prodotto interno lordo del 4% ed il crollo della produzione industriale, sommati ai 23 milioni di disoccupati che ci sono oggi, sono di fatto la negazione degli sbandierati obiettivi di Lisbona.

Parlando di un altro uso “magico” che del nome della capitale portoghese si è fatto (prendendolo anche a legittimazione di una sorta di ricatto ideologico contro paesi quali Irlanda, Olanda e Regno Unito, dove non senza ragione in questi anni si nutrivano dubbi verso le virtù taumaturgiche di una Unione Europea centralizzata e condizionata dalla volontà di alcuni stati più grandi oppure più propensi alla spesa quali Italia e Francia), ci sarebbe da richiamare il Trattato di Lisbona, perchè quest’ultimo contiene effettivamente una cosa buona: un incremento dei poteri concreti del Parlamento Europeo, che oltre ad essere naturalmente un elemento di democrazia perchè espressione delle scelte dei cittadini inizierebbe a spingere davvero l’assemblea elettiva a produrre altri risultati oltre alle lamentele ed ai consigli, che oggi sembrano essere una bella fetta delle risoluzioni che l’aula produce.

Il Parlamento attualmente chiede alla Commissione (l’esecutivo) che il contrasto alla crisi passi per un sistema di sanzioni e di incentivi, per indurre gli stati membri a coordinare le riforme economiche ed i piani di azione. Un altro punto è la necessità di verificare come i fondi vengono utilizzati dai singoli paesi membri e di subordinare in generale i finanziamenti dell’Unione ai risultati raggiunti e alla loro compatibilità con gli scopi della strategia comunitaria.

Ci sono alcune aree critiche, sottolineate dalla risoluzione, soprattutto la scarsa salvaguardia della stabilità dell’euro e la mancanza di equilibrio tra i diversi fini ricercati dai governi in funzione di contrasto alla crisi economica: riduzione dei disavanzi nazionali, di crescita degli investimenti e di difendere la società nel suo insieme dagli effetti delle turbolenze finanziarie.

Una proposta che spicca è quella di creare una figura di supervisore unico europeo, per giungere ad una vigilanza sul settore finanziario che faccia della UE un attore significativo della sicurezza in questo campo. Ma più in generale vi è la preoccupazione che l’attuale ambizione di bilancio non sia sufficiente a rendere l’Europa protagonista delle sfide a partire dal 2020 in poi e lasci il terreno libero agli stati nazionali ( o li lasci soli, a seconda delle interpretazioni).

Il nodo della questione probabilmente non risiede nell’ammontare delle risorse, la cui distribuzione tra bilanci nazionali ed europeo si basa comunque sui mezzi finanziari disponibili, ma nell’utilizzo delle stesse e nella qualità che la funzione di indirizzo dell’Unione Europea riesce ad imprimere a questo utilizzo: in tal senso non è da sottovalutare il richiamo del Parlamento Europeo a mantenere la quota del 3% che era destinata a R&S (Ricerca e Sviluppo) nelle intenzioni espresse nella Strategia di Lisbona.

La ricerca è uno dei pochi settori che permette nel tempo un effettivo ampliamento dei mezzi e delle risorse disponibili e uno stimolo positivo da parte di queste ultime verso la società nel suo complesso, a differenza delle moltiplicazioni effimere (come quelle avvenute prima della crisi con l’abuso dei prodotti del mercato finanziario definiti ad alto rischio) di cui si sono visti i costi per il tessuto sociale nel suo complesso e che si sono abbattuti in modo particolarmente violento sui settori più deboli delle popolazioni europee, le stesse porzioni di cittadinanza che erano invece pesantemente escluse dai benefici ottenuti dagli autori delle genialità finanziarie promosse dai liberisti attualmente in carica in diversi esecutivi nazionali ed in gran parte delle istituzioni europee.

Aldo Ciummo

Nuove strategie per l’Europa

 

Ieri la Commissione Europea ha presentato il piano per uscire dalla crisi e proiettare la comunità verso un modello di sviluppo valido per i prossimi decenni, ma le categorie classiche dello sviluppo fanno ancora da padrone.

 

di    Aldo Ciummo

Conoscenza, Sostenibilità e Inclusione sono nelle intenzioni della Commissione Europea gli strumenti per rafforzare l’economia e la società nell’Unione Europea. Gli obiettivi concreti sono cinque: nel 2020 il 75% delle persone di età compresa tra 10 e 64 anni dovrà avere un lavoro; il 3% del Prodotto Interno Lordo dovrà essere investito nella ricerca, poi ci sono il raggiungimento dei traguardi in materia di clima e di energia chiamati del 20-20-20 (il 20% di riduzione degli sprechi e altrettanto di aumento delle energie rinnovabili e 20% di riduzione delle emissioni nocive per l’atmosfera); e ancora la riduzione del tasso di abbandono scolastico in maniera da vederlo scendere sotto al 10% insieme all’aumento dei giovani con titolo di studio (laurea o diploma) fino al 40%. Infine, la Commissione ritiene importante che venti milioni di persone escano dal rischio povertà.

Al di là dell’iniziativa dell’esecutivo europeo, lungamente attesa, per disincagliare la comunità rispetto alle difficoltà attuali, occorre chiarire che gli effetti e le cause sociali di una crisi che ha investito tutto il modello di crescita, di consumi e di vita del mondo occidentale non può risolversi soltanto raggiungendo soglie quantitative di successi economici.

In questo senso le ambizioni espresse ieri sono ancora una volta piuttosto fredde rispetto alla vita concreta del continente, anche se contengono intuizioni giuste, come la funzione strategica della ricerca (che ormai per la verità sono dati dell’esperienza validi da decenni) e anche se fanno riferimento  a basi irrinunciabili, quali l’occupazione e la sostenibilità.

Non basterà infatti che le persone siano occupate nel mercato del lavoro, ma sarà necessario che questo sia regolato in maniera da rispettare i loro diritti, e questo, proclami europei a parte, è ancora un lontano traguardo in una gran parte dell’Unione e nella stragrande maggioranza di quelli che sono i rapporti di lavoro emergenti nell’epoca cosiddetta post-industriale.

Il problema climatico ed energetico, a sua volta, non può essere risolto soltanto con l’adesione politica a riduzioni di emissioni di un tipo oppure di un altro: bisogna evitare che i costi ricadano interamente su settori esposti della società e promuovere una cultura che permetta alle economie “verdi” di sostenere le popolazioni.

Anche l’inclusione sociale attraverso l’istruzione non si può fermare a obiettivi di alfabetizzazione funzionale che scimmiottano quelli di costruzione dello stato nazionale del secolo scorso e mirano oggi al soddisfacimento delle imprese e di quello che si assume come loro pensiero di società, ma deve permettere un maggiore protagonismo degli studenti ed anche un più ricco rapporto con il mondo del lavoro e la società circostante.

La riduzione della povertà, a sua volta, è inutile se si tratta di una illusoria difesa del benessere acquisito dalle popolazioni “storiche” della UE, senza puntare all’integrazione dei nuovi cittadini ed alla soluzione di una serie di problemi non meramente economici, dovuti all’esclusione sociale o al divario culturale, sperimentati massicciamente sia da fasce di popolazione autoctona, tra i pensionati, tra i precari e gli immigrati di seconda generazione, come pure tra extracomunitari oppure immigrati provenienti da altri paesi della comunità rispetto a quello nel quale si stabiliscono, tra clandestini oppure “sfruttati regolari” e tra le categorie di cittadini – e per il diritto come si è sviluppato in occidente ogni uomo è cittadino in quanto portatore di dignità – che oggi neppure rientrano con certezza in un gruppo oppure in un altro.