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Dove l’Europa è verde

La stragrande maggioranza degli irlandesi ha votato sì, una buona notizia per il continente ed una lezione agli anglofobi.

Il paesino di Ardara, nel nord dell'Irlanda
Il paesino di Ardara, nel nord dell’Irlanda

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                           di Aldo Ciummo

 

Un ” Sì ” sessantasette a trentatrè è la risposta dell’Irlanda al dibattito senza fine che negli ultimi mesi ha occupato le notizie sui problemi istituzionali dell’Unione Europea e che alla fine girava sempre intorno all’accusa di antieuropeismo. Probabilmente una risposta simile verrà data anche dall’azione di governo del paese vicino,  il Regno Unito, sia che a governarlo arrivi Cameron sia che resti Brown, perchè anche gli inglesi una risposta positiva all’Europa l’hanno già data negli anni settanta quando pagavano profumatamente aiuti agricoli di cui soltanto il continente aveva bisogno.

In Irlanda ci sono state zone come Kildare e Tipperary dove il sì ha sfondato il 70 per cento quando oggi pomeriggio ci si è avviati a considerare risultati certi, mentre perfino laddove il no ha prevalso ancora e laddove lo Sinn Fein (che ha sostenuto l’opposizione al Trattato) ha le sue roccaforti nella Repubblica, come nel Donegal, vicino all’Ulster, è stato massimo per due punti percentuali. 

E’ davvero corretta l’impostazione del sud Europa dove si continuano ad ascoltare storie sul timore delle conseguenze del voto negativo?        

Non sarebbe più giusto riconoscere che quelle che sono state definite tendenze euroscettiche dell’ Irlanda, dell’ Olanda, della Danimarca, dell’Inghilterra rappresentano invece le istanze di fasce di popolazione forse anche più al corrente di cosa significa essere una comunità, rispetto ad altre società?                                   

La cittadinanza di ognuno di questi paesi, se inclusa nello sforzo di costruire una Europa che consenta a tutti di partecipare, è la più entusiasta e solidale nel  sostenere un progetto, l’Unione Europea, che è il solo plausibilmente in grado di affrontare la concorrenza di molti stati tutti estremamente emergenti ma che al di là dell’ipocrisia non sono tutti democratici (ad esempio non lo è la Cina, e sulla Federazione Russa gravano fondati dubbi).

E’ stata la presidenza svedese della Ue, con il primo ministro, Fredrik Reinfeld a cogliere meglio un aspetto centrale della questione, dichiarando a margine del voto di Dublino che l’Unione Europea ha avuto successo nella sua azione di promozione del Trattato perchè ha ascoltato, dando assicurazioni laddove richiesto. “Questa è la cooperazione europea al suo massimo e l’adesione irlandese al trattato la renderà più trasparente”  ha affermato Reinfeld che guida una coalizione di Centrodestra in Svezia.

Il primo ministro svedese e presidente di turno dell’Unione Europea invierà giovedì Cecilia Malmstrom, ministro per gli Affari Europei, in Repubblica Ceca, dove la posizione del capo dello stato ceco Waclav Klaus ostacola ancora il passo finale del Trattato.

Reinfeldt ha avuto notizia che il presidente polacco Lech Kaczynsky invece firmerà a breve. Un accordo senza riserve inespresse sulla forma che l’Unione prenderà è quello di cui la nostra Europa avrà bisogno per andare avanti ed accogliere stati che hanno appena fatto richiesta di prendere parte al progetto e il cui ruolo di completamento del suo spazio culturale storico è evidente, si pensi all’Islanda. 

 

POLITICHE COMUNITARIE|Una pattuglia di euroscettici è pronta a Praga per il dopo Dublino

vaclav klaus

 

Vaclav Klaus, presidente ceco, ispira le forze disposte a dare battaglia in caso la strana alleanza del miliardario Ganley, dello Sinn Fein e degli opposti antagonisti fallisse a Dublino

 

 

 Diciassette senatori euroscettici hanno inoltrato una obiezione di costituzionalità presso la corte costituzionale della Repubblica Ceca: obiettivo evidente, sbarrare il passo al Trattato di Lisbona anche nel caso molto probabile che questa volta l’Irlanda voti sì, in seguito ad un dibattito che prolungandosi ha fatto emergere sempre di più la volontà europeista nella repubblica. I giudici sembrano orientati a respingere questa richiesta ispirata dal presidente Vaclav Klaus, notoriamente ostile alla cessione di quote di sovranità, ma potrebbe restare impantanata in sei mesi di analisi delle eccezioni avanzate dai senatori, un tempo abbastanza lungo per riaprire manovre euroscettiche in tutta Europa, anche se il Parlamento ceco è favorevole al Trattato e il Governo pare orientato a scavalcare lo stesso presidente ceco.

Oggi, 2 ottobre, l’Irlanda sta votando nuovamente per il referendum, in una situazione politica sostanzialmente mutata: chi si opponeva al Trattato per dispetto alla mancanza di dibattito insita nel sì incondizionato dei maggiori partiti adesso è informato che più non si può, quelli che nell’opposizione a Lisbona vedevano l’occasione per indebolire un governo impopolare hanno avuto soddisfazione alle elezioni europee e amministrative che hanno visto il partito quasi-stato Fianna Fàil quasi dimezzato per la prima volta (e l’opposizione, Fine Gael e Labour, ha detto chiaramente che votare no per attaccare il governo è inutile e sbagliato), Declan Ganley, il miliardario che con Libertas si è inventato una pur interessantissima coalizione continentale di eterogei oppositori al Trattato (capace di unire gente che diceva no all’Europa perchè ce ne è troppa e altri che ne volevano di più, più partecipata) contro ogni previsione ha fallito alle elezioni europee.

La bandiera di quelli che non vogliono che l’Irlanda dica sì al Trattato adesso è in mano allo Sinn Fein: lo Sinn Fein è il partito che riesce meglio a far funzionare la fantasia quando c’è poco altro da far funzionare, quello che fa marciare i bambini in divisa e fa gridare le piazze contro la guerra in Iraq, che difende i valori cattolici e riempie accuratamente le principali strade irlandesi di Belfast di bandiere palestinesi. E la coalizione più ampia di avversari del trattato assomiglia allo SF, in questa capacità di assumere una posizione apparentemente decisa, ma fatta di quattro o cinque posizioni che fanno a cazzotti tra loro: il socialista Joe Higgins (trozkista eletto da solo al parlamento europeo dalle aree popolari di Dublino), “non votate Europa perchè i lavoratori avranno meno diritti”, Mary Lou MacDonald (Sinn Feinn nel sud), “l’Irlanda sarà meno indipendente e non potrà essere militarmente neutrale”, Declan Ganley il miliardario “pagheremo più tasse”, il Còir (gruppetto ultraconservatore, letteralmente una rarità in Irlanda) “la paga minima sarà fissata per legge a una sterlina e 84 centesimi all’ora” (notizia priva di fondamento).

Ma la situazione in Irlanda è mutata, soprattutto tra la gente, la crisi globale ha messo in luce i potenziali effetti positivi della solidarietà europea, che tra l’altro
è una costante della ultra-europeista Irlanda. I più recenti sondaggi danno l’impressione di un capovolgimento a favore del sì in contemporanea alla riduzione del numero degli indecisi. Ricordo qualche frammento di conversazione con amici e conoscenti in Irlanda lo scorso dicembre, ad esempio un afroirlandese che ridendo mi disse “they repeat the referendum till the answer is yes” e un tassista che mi ripeteva “we don’t want a fucking superpower, we don’t want to send a thousand soldiers to Iraq or Afghanistan” tutti parlavano volentieri dell’Europa, e me ne parlano tuttora in chat; le persone citate non detestavano affatto l’Europa, solo come tanti altri erano irritati da un’Europa che non sembrava riguardarli nè interessarsi del loro parere (Europa che tirava in ballo storie sull’opposizione all’aborto direttamente mutuate da un’immagine dell’Irlanda presa dai film sugli anni settanta, quando la maggior parte dei manifesti contro il Trattato di Lisbona parlava della distrazione di Bruxelles sui diritti dei lavoratori e dell’aumento delle spese militari).

Un mio amico, Leo, uno studente di Dublino, ieri ha postato su internet un manifesto che ha letto in città, poster che recita che la Germania sta ottenendo con l’Unione Europea l’importanza su base continentale che non ha raggiunto sessanta o ottanta anni fa, Leo lo ha messo in rete accompagnandolo con risate condivise dal grosso degli altri contatti. L’Irlanda che difendeva il proprio isolamento è finita 36 anni fa, con un voto 83 per cento contro 17 per cento nel maggio del 1972, consultazione che ha preceduto il suo ingresso nella Ue nel ’73, contestualmente a Regno Unito e Danimarca.

La maggior parte dei cittadini, anche di quelli che hanno detto no ad una prassi che prevede una adesione acritica ad un canovaccio scritto da altri, hanno l’Europa nella loro cultura e lo dimostrano con un esempio di accoglienza, cooperazione e integrazione dei loro concittadini continentali. Gli irlandesi non sono affatto contro l’Europa, come non sono affatto contro l’Europa gli inglesi e i danesi. Loro sono per la partecipazione dei cittadini alla costruzione dell’Unione Europea, non solo nelle isole e nella penisola, ma in ogni paese.

Aldo Ciummo