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Europa: clima e diritti al centro, ma serve unità

 

La conclusione della procedura di Bilancio 2011 è al centro, ma il summit di Cancun ed il Premio Sacharov sono stati tra i punti principali sottolineati dal Presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek oggi

di    Aldo Ciummo

Il Presidente del Parlamento Europeo, Jerzy Buzek, oggi ha evidenziato le priorità dell’Unione a partire dalla procedura di Bilancio 2011, dal dibattito sul summit del Clima di Cancun ed il Premio Sacharov che è stato assegnato a Guillermo Farinas. Questa era l’ultima sessione plenaria quest’ anno a Strasburgo, dedicata al 2011 e Buzek ha ricordato le persone che hanno perso la vita in Polonia 29 anni fa nel periodo della legge marziale.

Si tratta di un richiamo forte in una Europa che ad Est come a Sud tuttora fatica a rendersi compiutamente laica, pluralista e libera dalle corporazioni e dai monopòli che stridono con la storia di emancipazione scritta da secoli di liberazione delle nazioni dalle monarchie personali e dalle ipoteche religiose e militari.

L’Europa si trova oggi stretta tra l’azione aggressiva di economie spesso sostenute dai poteri statali ed alimentate dal mancato rispetto dei diritti umani e delle regole della concorrenza (Cina, Russia e molte forze di media grandezza) e dalla difficile ristrutturazione di un mondo sempre più multipolare (per l’emergere positivo di economie nel Sud del Mondo). 

Si tratta di un panorama all’interno del quale l’Unione Europea deve dimostrare una identità specifica, ma chiaramente legata al resto dell’Occidente, di cui condivide la storia ed una tradizione di cura dei diritti che rischia di cedere alle pressioni delle tendenze emergenti se  Unione Europea,  Stati Uniti, Canada, Australia e le aree culturali anglosassone, tedesca, europea, nel loro insieme non condividono l’intenzione di difendere nel mondo il senso del patrimonio politico nel senso più ampio che hanno costruito nel tempo. Oggi nel pianeta grandi paesi vivono o al di fuori della democrazia (Cina, Iran e moltissimi altri) o in quelle che si usa definire situazioni a democrazia controllata (Russia, Pakistan, vari paesi del Medio Oriente). 

L’Europa deve essere aperta ad un contesto internazionale che evolve in maniera positiva, basti guardare alle democrazia latinoamericane in una regione della geopolitica fino a tempi recenti associata a regimi dittatoriali, ma una necessità per l’Europa in tempi che vedono confliggere le potenze emergenti cinese, indiana, arabe con le “vecchie” aree del governo mondiale è essere molto forte per sostenere assieme agli Stati Uniti una riformulazione dei meccanismi di governo del pianeta che non faccia a meno dei valori storicamente costruiti dall’Occidente in fatto di democrazia e diritti e che non consenta un uso politico dell’economia teso a dividere un’area culturale ed istituzionale, quella rappresentata da Strasburgo, Londra e Washinton, che storicamente funziona in maniera adeguata se è unita.

Non a caso, nel suo discorso del Presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek ha dichiarato che il Ministro degli Esteri della Ue (lady Ashton) prenderà probabilmente nota delle difficoltà incontrate da Guillermo Farinas per lasciare Cuba e venire in Europa a ritirare il Premio Sacharov per la libertà di pensiero ed ha ricordato che nel 1981 un centinaio di persone persero la vita nel periodo della legge marziale in Polonia per portare alla libertà del loro paese e guardando quei fatti in prospettiva per l’unità della nostra Europa.

Si potrebbe aggiungere che se qualcuna delle personalità politiche dei paesi costituenti ha dato una eccessiva confidenza ai Lukashenko (il dittatore bielorusso) ed ai Gheddafi, la posizione dell’Unione Europea e dell’Europa nel suo complesso è ben diversa, nel solco di una tradizione che fin dai Trattati di Roma coniuga la difesa delle libertà individuali, dei diritti sociali (bisogna ammettere che però questi ultimi sono fortemente sotto attacco in questi anni, anche nella Ue) e degli interessi di un’area geopolitica che se vuole rafforzare la sua coesione deve anche essere coerente verso (e quando necessario anche contro) l’esterno. Per tutto questo ci vuole che i poteri previsti dal Trattato di Lisbona siano effettivamente rodati e avviati dalla Comunità.

Europa e Stati Uniti nella politica mondiale

 

Giovedì si è svolto l’incontro tra il Presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek ed il Segretario di Stato degli Usa, Hillary Clinton

L’altroieri Jerzy Buzek ed i rappresentanti dei gruppi politici al Parlamento Europeo di Bruxelles hanno incontrato il Segretario di Stato americano Hillary Clinton. Il tema dell’incontro era l’insieme delle questioni internazionali, che correttezza politica a parte rappresentano un ambito nel quale il ruolo di Europa e Stati Uniti è più importante di quello di molte altre aree.

Difatti, al di là della innegabile ascesa economica di zone geopolitiche come la Cina o l’America Latina, di cui su queste pagine web si è più volte rimarcata la positività per l’affermazione di equilibri multipolari e più stabili, molte di queste crescite del prodotto interno lordo sono ancora attraversate da contraddizioni che attendono difficili soluzioni prima di caratterizzarsi come motori dello sviluppo in senso anche sociale delle intere nazioni coinvolte (così ad esempio è in America Latina), in altri casi ancora ci sono sistemi che, prodotto interno lordo o non, ci mettono di fronte a istituzioni statali (Iran, Cina) capaci di lapidare una ragazza o di sequestrare i parenti di un premio Nobel.

Va detto che, in fatto di chiarezza su quello che è accettabile e quello che non lo è, il Segretario di stato in visita nella UE avrebbe potuto dare delle lezioni all’Europa: forse perchè le istituzioni europee sono ancora in costruzione, forse perchè l’Unione si sente ancora appesa alle forniture energetiche ed alle nuove opportunità di contratti che si trovano al suo oriente, fatto sta che il nostro continente è spesso balbuziente quando si tratta di richiedere il rispetto dei diritti delle donne e dei diritti umani nel loro complesso, e spessissimo muto quando si tratta di porre condizioni per ottenere l’attuazione di questi valori democratici.

Non si ingnorano certo le contraddizioni e le violazioni delle norme internazionali da parte della politica estera degli Stati Uniti, però occorre dare atto, perlomeno nella politica inaugurata dalla attuale Amministrazione Usa, ad un approccio ben definito nel rapportarsi ai comportamenti statali che più stridono con la nostra concezione occidentale del rapporto tra poteri pubblici e cittadini, un atteggiamento chiaro da parte di Obama che ad esempio si è espresso nel prendere le distanze da regimi del Sud del Mondo che, al di là di varie forme aggressive di terzomondismo, ben poco hanno fatto per risolvere gli ostacoli alla partecipazione delle popolazioni allo sviluppo.

Altrove (in Italia ed in modo anche più massiccio in Francia) capi di stato la cui considerazione dei diritti dei cittadini è quantomeno carente da un punto di vista occidentale e da quello stabilito dalle dichiarazioni universali Onu sono stati accolti con vere e proprie celebrazioni.

Ma bisogna cogliere i segnali positivi sia del rafforzarsi del ruolo – e quindi speriamo pure della coscienza – dell’Unione Europea nel pianeta sia le avvisaglie della fine definitiva della tendenza unipolare manifestata dagli Stati Uniti in parte dell’ultimo decennio, fatti indicati anche da scelte come quella di coinvolgere il Parlamento Europeo nella costruzione di legami più stretti tra Europa e Stati Uniti.

Un dato che rafforza le capacità europee nella politica internazionale è la crescita di importanza del Parlamento Europeo nella legislazione e del bilancio, perchè ciò significa più partecipazione dei cittadini ed è questo che rende la politica efficace nella soluzione dei problemi e non progettare sistemi monocratici come di fatto (anche se attraverso una sorta di caos permanente) sta avvenendo in Italia e come sarebbe impossibile e disastroso fare in una realtà complessa e avanzata come la UE.

Il nuovo sistema di diplomazia europea non è un cambiamento cosmetico, ma un processo che porterà le ambasciate dei paesi costituenti ad essere ambasciate dell’Unione Europea e quest’ultima avere un proprio corpo diplomatico preparato per portare avanti assieme agli Stati Uniti un nuovo ruolo, rispettoso del consenso in un mondo diverso dal passato, ma determinato nel non recedere sulle politiche ambientali, la sicurezza energetica, la pacificazione esterna. In questo quadro le differenze vanno affrontate se necessario con durezza ma non bisogna dimenticare quali sono sempre stati i nostri cooperatori più validi ed affini al continente dentro l’Unione Europea, lo Spazio Economico Europeo  e l’Atlantico, sapendo che la politica internazionale funziona se questi si tengono stretti dal punto di vista della progettualità politica, strategica e socioeconomica.

A questo proposito è stata importante la dichiarazione di Buzek che la capacità dell’Europa di parlare con una voce sola sarà precondizione di rapporti più forti verso l’esterno da parte di Unione Europea e Stati Uniti insieme ed è stata indicativa l’affermazione della Clinton (condivisa dagli Europei) che ai Balcani è giusto dare una prospettiva europea realistica ed alla Federazione Russa riconoscere un coinvolgimento pieno nei problemi in comune, ma che di fronte a queste soggettività geopolitiche occorre tenere fissi quelli che sono i princìpi della democrazia occidentale.

Aldo Ciummo

In Finlandia solidarietà sostanziale per l’Europa

 

Il Ministro delle Finanze è stato a Bruxelles per lavorare alla soluzione del problema greco e i cittadini ellenici residenti in Finlandia hanno il supporto della popolazione locale

di     Aldo Ciummo

Jyrki Katainen, il Ministro delle Finanze della Finlandia, ha partecipato alle riunioni operative dell’Unione Europea per arrivare ad una soluzione del problema greco, sul quale si registra finalmente un intervento europeo nel quale risolutivo è stato ancora una volta l’intervento della Germania, di cui da più parti si è rilevato il lungo tempo che è stato necessario per giungere all’iniziativa, ma si è poco ricordato lo sforzo finanziario che storicamente in queste occasioni finisce per ricadere proprio sull’area nord europea.

In Finlandia il primo ministro Matti Vanhanen ha presieduto una riunione riguardo la crisi i cui effetti sulla comunità europea rischiavano di essere incontrollabili. Nel frattempo l’altrieri il Forum Economico Mondiale ha rilevato che la Finlandia ha dimostrato di essere la seconda economia più competitiva in Europa, un posto di tutto rispetto ottenuto grazie alle innovazioni tecnologiche, al ruolo riservato alla ricerca e alla sperimentazione dei prodotti del mercato.

Altri paesi nordici se la sono cavata altrettanto bene, anzi la Svezia è risultata prima e la Danimarca terza, ma di fatto il dato importante è che le strategie che hanno dato valore alla formazione ed all’ecosostenibilità hanno ricevuto risultati evidenti, con tutta l’area nord in testa all’Europa, con Svezia, Finlandia, Danimarca ed Olanda posizionate nell’ordine dal primo al quarto posto di una classifica di competitività stilata dal WEF (World Economic Forum).

La lista fa riferimento a quegli obiettivi di Lisbona che l’Europa unita non riesce ancora a soddisfare ma sui quali si registra anche a livello continentale un miglioramento. La classifica elaborata dal Wef è molto prestigiosa anche perchè include sia stati membri che paesi candidati a fare parte della UE. Intanto la scorsa settimana alcuni rappresentanti dei greci emigrati in Finlandia da anni hanno partecipato ad un programma d’informazione televisivo del canale finlandese Yle.

Gli immigrati greci hanno affermato che la crisi li preoccupa molto da un punto di vista nazionale ma, nonostante il costo che naturalmente ricade anche sull’Europa e sui paesi più sviluppati nella vita all’interno della società finlandese, non si registrano certo discriminazioni per questo ma anzi esiste da parte dei finlandesi una solidarietà sostanziale ed adesione alle decisioni pubbliche di supporto all’economia greca ed europea e vivo interesse ed empatia per le vicende sociali dei paesi appartenenti alla comunità.

Il Parlamento Europeo nuovo attore della politica mondiale

 

La discussione sulla autonomia strategica dell’Unione Europea si intreccia al braccio di ferro tra gli esecutivi rappresentati nel Consiglio dell’Unione Europea da una parte e la visione della comunità come espressione dell’elettorato del Parlamento Europeo dall’altra, in mezzo sta la Commissione.

 

di   Aldo Ciummo

La politica estera di sicurezza e di difesa, uno degli ambiti di cui più si parla tra gli addetti ai lavori negli ultimi anni, è anche il settore che più difficilmente trova la sua strada nei lavori di costruzione dell’Europa Unita. Difatti sicurezza e politiche estere sono elementi che caratterizzano più di ogni altro non solo cosa fa un soggetto della geopolitica ma anche “chi è”, soprattutto chi decide al suo interno.

Se la distribuzione del potere decisionale è indizio della struttura e della cultura che una organizzazione statale si attribuisce, questa questione è tanto più complicata e tormentata in un complesso frutto di ingegneria politico-istituzionale come l’Unione Europea, dove esiste un organo altamente rappresentativo delle popolazioni come il Parlamento di Strasburgo, tuttora ancora scarsamente incisivo su molti argomenti importanti (anche se l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona sta modificando questa situazione, progressivamente) e dove una Commissione molto forte, almeno nelle potenzialità, sconta ancora una grande difficoltà di interpretare il potere come espressione di popoli diversi.

Il Consiglio della Unione Europea, composto dai ministri dei diversi paesi che formano la UE riuniti per settori di competenza, è un meccanismo per molti versi antistorico, rappresentando il metodo intergovernativo che i trattati più recenti si sforzano di superare, perchè decidere tra governi significa perpetuare una visione dell’Europa basata su patti tra esecutivi, frenando inevitabilmente il processo di formazione di una opinione pubblica europea proiettata verso i problemi e le opportunità tipiche del progetto comunitario e chiudendo anche le consultazioni europee in una somma di confronti nazionali. Però il Consiglio dell’Unione Europea è anche più o meno l’unica invenzione degli europei che ha funzionato, a livello di capacità decisionali e in ultima analisi di rappresentanza effettiva delle volontà popolari nazionali, sia pure in forma fortemente indiretta (mediazioni tra settori specifici di governi espressione di diversi meccanismi di rappresentanza).

Il progetto avviato a Lisbona con il Trattato ha al centro una Europa che rappresenta davvero i suoi cittadini e che in forza di questo si propone come decisore a livello internazionale, perciò lo sforzo del Parlamento Europeo di acquisire il controllo della Politica Estera e di Sicurezza e della Politica Comune di Sicurezza e di Difesa è quasi una cosa che va da sè.

In questo quadro va interpretato l’insieme di richieste specifiche da parte del Parlamento Europeo, cui stiamo assistendo in questi ultimi due anni. Lo scorso mercoledì è toccato alle modalità di finanziamento del servizio di azione esterna della Ue (SEAE), un nascente apparato molto importante nel contesto della costruzione della nazione europea e di cui si è già avuto modo di parlare qui.

La relazione di Gabriele Albertini (Partito Popolare Europeo), passata con 592 voti a favore, 66 contrari ed 11 astensioni, ha rimarcato la necessità di arrivare ad una consultazione del Parlamento Europeo prima di avviare qualsiasi missione della politica comune di sicurezza e di difesa. Un’ altra esigenza espressa dal Parlamento Europeo è quella di ottenere maggiori poteri di controllo sulla nomina e sul mandato dei rappresentanti speciali della UE (RSUE). Gli eurodeputati hanno chiesto anche un ampliamento dell’accesso alle informazioni sensibili.

I poteri di bilancio dell’organo elettivo sono oggi accresciuti, ma il capitolo dei fondi destinato a lanciare l’Europa come peso massimo nel pianeta di oggi non è trattato come prioritario nella Unione Europea. Una delle preoccupazioni maggiori, perciò, attualmente è stabilire procedure che consentano un accesso rapido agli stanziamenti per le iniziative che rientrano nella Politica Estera e di Sicurezza Comune.

L’Istruzione nell’Europa delle regioni

Nei giorni 8 e 9 febbraio a Napoli si svolgerà il convegno “Regionalizzazione dei sistemi di istruzione e formazione”, organizzato dalla regione in collaborazione con la Facoltà di Sociologia dell’Università “Federico II” e l’Ais-Edu.

Un convegno per fare il punto sulle politiche di istruzione e formazione messe in campo in questi anni nel territorio regionale campano e per confrontarle con altre realtà nazionali ed internazionali: è l’occasione nella quale si incontreranno alcuni dei più accreditati esperti di politiche educative nel panorama nazionale.

Le regioni assumono un peso sempre maggiore nel contesto europeo delle riforme del sistema dell’istruzione. Difatti l’Unione Europea non ha ancora competenze ben definite in quello che resta un settore di competenza nazionale. In questa situazione si inserisce il ruolo delle regioni e delle provincie, di quelle realtà territoriali che sempre più spesso si trovano a giocare come degli apripista nel campo della integrazione continentale.

La riflessione è stata promossa dal Fondo Sociale Europeo della regione Campania con l’Ais-EDU e con la facoltà di Sociologia dell’Università Federico II , si parlerà infatti come prima cosa della governance regionale delle politiche educative, in una sessione dedicata a quanto fatto a Napoli in accordo con la strategia di Lisbona, in particolare riguardo all’investimento sulla conoscenza.

La discussione affronterà il problema dell’inclusione sociale e delle opportunità di accesso alla formazione professionale, le politiche sull’apprendimento permanente e sull’adeguamento dell’offerta scolastica alle realtà regionali. A questo proposito il confronto si sposterà soprattutto sull’università. Infine le due giornate daranno spazio anche ai progetti incentrati sulle nuove tecnologie.

Aldo Ciummo

Commissari europei sotto esame

Oggi comincia il giro di domande degli europarlamentari ai Commissari, sorta di ministri della comunità, anche se con un profilo molto più tecnico, che nasce dalla natura delle istituzioni della Unione e dal metodo consensuale con il quale vengono scelti tra i gruppi politici maggiori e in rappresentanza di tutti i paesi coinvolti.

 

 

 

Le commissioni parlamentari dell’organo elettivo del Parlamento Europeo esamineranno competenze ed intenti di ogni commissario a partire da oggi. La Commissione precedente ha terminato le proprie funzioni il primo novembre 2009 e i due mesi e mezzo che sono trascorsi hanno alimentato curiosità accademiche ed interessi prosaici da parte di addetti ai lavori, gruppi economici e amministratori di ogni sorta.

Il Trattato di Lisbona, entrando in vigore, ha causato dei ritardi rispetto alla normale prassi. Quella che non è ancora una vera e propria costituzione europea, ma una base senza precedenti per l’unione politica della nostra comunità sul continente  è entrata in vigore il primo dicembre.

Da allora fino ad oggi i Commissari hanno potuto lavorare assieme ai funzionari che operano in base alle loro direttive e l’opinione pubblica ha iniziato a vagliare i profili di personaggi più esposti all’attenzione, come il francese Michel Barnier (nuovo commissario al mercato interno).

Aldo Ciummo

Il Parlamento Europeo vuole un maggior ruolo per il Mediatore

 
 

Strasburgo

Il Parlamento Europeo di Strasburgo. Attraverso progressi effettivi nella coesione anche politica del continente è giunto ad un peso sempre maggiore. Nonostante il carattere elettivo l'assemblea di Strasburgo resta per molti cittadini uno dei tanti simboli freddamente staccati dalla concretezza della vita delle varie società che compongono l'Europa: una impressione non priva di fondamento, perchè è ancora difficile per l'uomo della strada accedere alle informazioni ed influenzare le decisioni della UE

L’assemblea elettiva spinge per una maggiore trasparenza nei rapporti tra le istituzioni comunitarie ed i cittadini attraverso la crescita del peso del Mediatore Europeo, una figura creata nel 1995 per dare risposta alle denunce delle persone ma tuttora poco conosciuto e scarsamente efficace

I casi di cattiva amministrazione che coinvolgono istituzioni ed organismi dell’Unione Europea hanno portato al rapporto 2008 sulla figura del Mediatore, un ruolo nato nel 1995  proprio per raccogliere le denunce dei cittadini. Nel gennaio 2010 il Parlamento Europeo dovrà eleggere il nuovo Mediatore Europeo, tra i candidati ce ne è anche uno italiano, Vittorio Bottoli.

I deputati hanno adottato la relazione di Chrysoula Paliadeli (Gruppo dei Socialisti e Democratici), con la quale richiedono di facilitare la comprensione dei diritti da parte della gente comune, in modo che le denunce riguardanti l’amministrazione comunitaria possano avere risposte più concrete.

Il Parlamento propone di unificare tutte le iniziative informative on line delle diverse istituzioni dell’Unione Europea per garantire un migliore accesso ai cittadini. Un altro tema che viene sottolineato è la mancanza di informazione sulla rete dei difensori civici, che svolge anch’essa funzioni di garanzia.

Di fatto oggi le competenze investigative di soggetti come il Mediatore sono limitate e questo vanifica in gran parte la possibilità che chi presenta le denunce arrivi a qualcosa di concreto (oltre alla scarsa informazione resa disponibile alla persona della strada su questi temi) perciò la proposta più significativa dei deputati europei è il rafforzamento delle prerogative del mediatore.

Nel 2008 le denunce a livello europeo sono state 3.406 rispetto alle 3.211, un aumento che denota un miglioramento della consapevolezza ma anche la presenza di problemi di trasparenza in tutti i settori della Ue, con proporzioni che seguono in perfetto ordine il peso decisionale delle istituzioni coinvolte: nettamente prima la Commissione, molto dopo il Parlamento, poi i vari uffici specifici della Comunità. La rapidità delle indagini è cresciuta, la metà si è conclusa in meno di un anno, ma ci sono stati pure 228 casi di denunce dichiarate ricevibili ma prive di elementi sufficienti per avviare un’indagine.

Aldo Ciummo