• i più letti

  • archivio

  • RSS notizie

    • Si è verificato un errore; probabilmente il feed non è attivo. Riprovare più tardi.
  • fin dove arriva la nostra voce

  • temi

Ebba Witt-Brattstrom: “nella UE c’è ancora strada da fare per la parità di genere”

 

Attivista per i diritti delle donne e ricercatrice nelle questioni di genere, a Roma Ebba Witt-Brattstrom ha ripercorso parte del cammino dei movimenti femministi degli ultimi decenni

 di Aldo Ciummo

La visita di Ebba Witt-Brattstrom a Roma è avvenuta in un periodo in cui il ruolo delle donne è al centro del dibattito in Europa e nel Mediterraneo. Il 4 marzo, presso l’Auditorium dell’Ara Pacis di Roma, la docente universitaria svedese è intervenuta in occasione di “Transeuropa Express”, un evento dedicato all’identità dell’Unione Europea. L’iniziativa, intitolata “La Svezia Il paese delle donne” per sottolineare il rapporto tra la crescita della cultura dei diritti e le sue criticità in uno stato i cui progressi nel campo della parità tra i sessi hanno ottenuto effetti positivi riconosciuti in tutto il mondo, è stata organizzata dall’Ambasciata Svedese di Roma. Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta, Ebba Witt-Brattstrom ha partecipato alla creazione di Grupp8 (un coordinamento di donne che si battè per obiettivi come il limite di sei ore di lavoro e l’ampliamento degli asili nido) in seguito ha contribuito alla fondazione del primo partito femminista svedese nel 2005 (“Feministiskt Initiativ”), da cui è poi uscita per disaccordi sul programma, sottolineando tuttora l’importanza della partecipazione in politica di questi movimenti. La lista, attiva nella promozione dei diritti delle donne, ha avuto molta visibilità anche per l’appoggio manifestato dall’attrice Jane Fonda nel 2005. Witt-Brattstrom, docente di letteratura presso l’Università Humboldt di Berlino, nella sua attività di ricercatrice di genere ha approfondito il tema della letteratura femminile nordica (anche scrivendone una storia in cinque volumi) e nel 1994 ha introdotto con successo il dibattito sul ruolo delle donne nella politica e nella amministrazione.

La Svezia, nel senso comune, è associata alle pari opportunità, effetto di una legislazione più avanzata di altre: la nascita di movimenti come il Feministisk Initiative significa che la disparità di genere è tuttora un problema?

“Occorre dire che rispetto al passato, la società svedese è ora più accogliente nei confronti delle donne grazie ai molti interventi legislativi che sono stati promossi: c’è uguaglianza in politica, senza bisogno di quote che non sono previste, ma ci troviamo oggi in una società che sebbene in quanto ai numeri sia paritaria, non sempre vede la presenza femminile incidere in termini di trasformazione della società.”

La crescita di una società che valorizzi il potenziale femminile costituisce, a suo avviso, un problema politico di cui l’Unione Europea deve farsi carico oppure solo le società nazionali possono maturare i progressi al loro interno?

“Il superamento delle barriere alla piena realizzazione di ognuno come cittadino deve essere portato avanti dalla Unione Europea, Margot Wallstrom sta facendo un grande lavoro impegnandosi per il diritto delle donne a livello continentale presso un ufficio a questo dedicato in Bruxelles (come rappresentante speciale del segretariato per la tutela dei diritti delle donne nei conflitti, Ndr), ma la risposta concreta al problema può giungere soltanto da ogni paese.”

 Lei insegna da tanto tempo letteratura. I giovani hanno risolto questi problemi oppure hanno ereditato la difficoltà di superarli?

 “La nuova generazione è molto influenzata dalla teoria Queer e questa vede il percorso dei movimenti femminili come una parte limitata del problema delle diseguaglianze di genere, che oggi includono anche i problemi di omosessuali, lesbiche e transgender, ma almeno a mio parere i movimenti femministi in Svezia hanno posto il problema della condizione femminile senza chiusure al resto dei problemi contemporanei”

 Storia ed identità nazionale: la Svezia ha voluto intitolare questo dibattito “Il paese delle donne”, è uno stato che ha, più di altri, una storia al femminile?

“La Svezia si è costruita una identità particolarmente associata al femminile ed alle pari opportunità attraverso la sua storia legislativa nell’ultimo secolo e grazie alle disposizioni più recenti, che attraverso il riconoscimento dei diritti delle donne hanno favorito una crescita dei diritti complessivi dell’individuo”

Lei ha dedicato degli studi a Edith Sodergran (scrittrice finnosvedese, Ndr), i problemi della identità femminile nel mondo contemporaneo, erano già sentiti nella letteratura di un secolo fa?

 “Tutte le scrittrici hanno sempre portato avanti una grande individualità, ma tante storie particolari hanno arricchito molto il dibattito del femminile, ampliatosi enormemente nel corso di secoli in cui si è intrecciato con le vicende sociali”

 Grupp8, aveva richieste concrete: lo sforzo per la parità di genere è soprattutto una questione sociale?

 “Il lavoro portato avanti dal gruppo è stato uno sforzo che ha portato a delle risposte legislative importanti nelle istituzioni, il problema adesso è farle rispettare, cioè ottenere che le conquiste istituzionali favoriscano la maturazione della società civile”

Avete lavorato molto all’approfondimento dei vantaggi che il superamento delle distorsioni sessiste comporta per la società nel suo insieme?

 “I movimenti femministi, attraverso i passi in avanti ottenuti, hanno comunicato con i fatti i miglioramenti per tutti: oggi in Svezia è riconosciuta la paternità, con la relativa esenzione dal lavoro e la possibilità per gli uomini di stare assieme ai figli nel primissimo periodo della loro crescita, un diritto molto apprezzato dai maschi”.

Italia arretrata nell’occupazione femminile

 

Dall’ultimo rapporto del Cnel emerge che nello stivale c’è un tasso di occupazione delle donne più di dodici punti inferiore alla media europea

A sentire dichiarazioni governative e maggiori telegiornali italiani (voci largamente convergenti negli ultimi anni) la coesione sociale nella penisola farebbe invidia a molti paesi in tempi di una crisi economica dipinta come più indulgente con lo stivale rispetto ad altre aree del mondo sviluppato, alle quali però bisognerebbe spesso riconoscere energiche e pronte reazioni, mirate a non pregiudicare i settori strategici della vita collettiva (esempio lampante: la Germania che preserva le risorse per l’istruzione tagliando altrove).

I dati raccontano spesso, per l’Italia, una realtà diversa, dove ai fattori quantitativi (riduzione degli occupati) si aggiunge squallore qualitativo: è imbarazzante per un paese altamente sviluppato vedere certificato dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro che il tasso di occupazione femminile, sceso al 46,4 per cento, si trova 12,2 punti percentuali sotto una media europea del 58,6 per cento, segno evidente anche di ritardi culturali e strutturali appunto perchè, come si ama ripetere, “la crisi ha colpito tutti i paesi” e in considerazione del fatto che in condizioni normali una crisi dovrebbe colpire in maniera uniforme (e anzi in presenza dell’economia sociale di mercato formalmente scritta nella nostra Costituzione repubblicana essere mitigata da meccanismi correttivi messi in atto dallo stato).

Il documento di osservazioni e proposte predisposto dal CNEL ed intitolato “Il lavoro delle donne in Italia”, curato dal gruppo di lavoro “Pari Opportunità di Genere” coordinato da Giuseppe Casadio, rileva anche altre curiosità italiane supportate da dati imparziali. Complessivamente, il tasso di occupazione italiano è sceso al 57,7 per cento, mentre quello femminile come si è visto se la cava ancora peggio con l’attuale 46,4 citato. La constatazione che le cose stanno ancora più male nel Sud della penisola e che l’eventuale presenza di figli rappresenta in termini di occupabilità e di retribuzione un aggravamento (sempre stando a dati ufficiali sebbene scarsamente pubblicizzati) rende il quadro più fosco.

Negli obiettivi stabiliti dal Trattato di Lisbona la soglia minima che ci si è proposti di raggiungere nell’occupazione femminile è il 60 per cento, non a caso, ma in ragione dello stretto legame esistente tra pieni diritti di espressione della persona associati alla maturità sociopolitica delle società ed effettive capacità di realizzazione economica e professionale. Il diretto rapporto tra i vari ambiti in cui i paesi mostrano la propria qualità della democrazia è tanto facilmente dimostrabile che in Italia presidenti del della Repubblica e del Consiglio dei Ministri sono stati sempre uomini e che i pochi ministri che non lo sono si trovano solo mettendo sotto la lente d’ingrandimento l’intera lista degli esecutivi e la situazione non è molto diversa nelle aziende e nei luoghi dove si esprimono le opportunità dirigenziali.

Il mancato accesso a diritti costituzionali, che non ha origine nella scolarizzazione  (indicanti risultati molto validi da parte delle donne nell’itinerario degli studi), si intreccia in maniera indicativa con un altro cortocircuito abbastanza palese tra arretratezza della cultura e difficoltà dello sviluppo: ad una situazione di promozione delle élites più inserite in una effettiva cittadinanza si affianca un’agenda di priorità che penalizza le risorse destinate all’istruzione, tendenza che non è un mistero e che non è nemmeno stato una esclusiva di parte negli ultimi quindici anni.

Nel rapporto del Cnel, si viene a conoscere che in assenza di una istruzione elevata, a quattro anni dal parto una donna con figli in sessanta casi su cento sta ancora sognando di tornare in attività, andando così ad aggiungersi, se si considera l’aspetto dell’indebolimento dell’istruzione, a tutti quei soggetti nati in quartieri non gettonatissimi oppure da genitori stranieri o senza notevoli risorse alle spalle, che vedono incrinato quel diritto all’integrazione a partire dall’istruzione e dal lavoro che è sinonimo della partecipazione sostanziale scritta in sintesi e in dettaglio nel Trattato europeo di Lisbona e nella Costituzione repubblicana italiana.

Aldo Ciummo

Regioni, mobilità, pari opportunità e progresso

 

Il caso del Friuli Venezia Giulia è una cartina di tornasole dei cambiamenti nel continente e nel paese nell’iniziativa editoriale della Ediesse Libri

Saggi diversi a cura di Ariella Verrocchio e Paola Tessitori sono stati raccolti nel libro “Il lavoro femminile tra vecchie e nuove migrazioni” che parla del territorio del Friuli Venezia Giulia e delle sue trasformazioni sociali. Le autrici si chiedono quale è il ruolo della emancipazione femminile nello scenario delle migrazioni internazionali e quali sono le continuità ed i mutamenti rintracciabili nel tragitto delle lavoratrici di ieri e delle migranti di oggi.

Il tema della pubblicazione è la mobilità femminile storica ed attuale e in questa prospettiva la vicenda approfondita dallo studio in questione appare come un argomento molto attuale in una realtà dove resistono purtroppo diseguaglianze nell’accesso al mercato del lavoro e disparità nelle retribuzioni.

Ariella Verrocchio è direttrice scientifica dell’istituto “Livio Saranz” di Studi, Ricerche e Documentazione sul Movimento sindacale a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia, e docente a contratto di Storia delle Donne e di genere nell’Università degli studi di Trieste.

Paola Tessitori lavora nel settore immigrazione, intercultura, antidiscriminazione, cooperazione decentrata, sia svolgendo attività di ricerca che progettando e coordinando interventi finalizzati all’inclusione sociale dei migranti in Friuli Venezia Giulia.

Aldo Ciummo

Il Parlamento Europeo preme per la creazione di un nuovo strumento a favore dei disoccupati

 

La crisi ha colpito duramente l'Europa. Mentre alcuni paesi hanno resistito dal punto di vista della pace sociale, si veda la relativa tranquillità dell'Italia anche a fronte di fatti come i casi Aldrovrandi e Cucchi, in altri paesi il persistere di squilibri nella distribuzione delle risorse ha generato un malcontento esploso violentemente a seguito di episodi di repressione (in Francia e più recentemente in Grecia)

In un momento di crisi come quello attuale lo sforzo dell’organo elettivo dell’Unione Europea di acquisire peso e ruolo politico si misura anche sul suo tentativo di rappresentare i cittadini comuni di fronte al progetto ambizioso ma distante dalla vita quotidiana della UE.

 

Il Parlamento Europeo ieri ha votato con 516 voti favorevoli, 82 contrari e 4 astensioni per l’introduzione di un nuovo strumento europeo di microfinanziamento per l’occupazione e l’integrazione sociale, “Progress”. Questo progetto è finalizzato ad offrire una strada nell’impresa ad alcuni gruppi di cittadini più svantaggiati nell’accesso ai finanziamenti.

Agevolare l’accesso al microcredito da parte di chi ha perso il lavoro, nelle intenzioni degli eurodeputati, è possibile attraverso  garanzie e  capitale azionario concessi a persone e imprese che hanno bisogno di un supporto inferiore a  25.000 euro.  Per microimpresa, si intende una impresa che occupa meno di dieci persone ed il cui fatturato totale di bilancio non supera i due milioni di euro.

“Lo scopo – è scritto nella risoluzione – è portare in tempi ragionevoli l’accessibilità e la disponibilità di microfinanziamenti  ad un livello sufficiente, in modo da rispondere all’elevata domanda  di chi in questo periodo di crisi ne ha più bisogno”

I soggetti interessati dal sostegno che l’Europa sta approntando sono coloro che hanno perso il lavoro, che incontrano difficoltà a rientrare nel mercato oppure si trovano in posizione critica rispetto all’accesso al credito convenzionale.  L’iniziativa concentrerà l’attenzione sulle pari opportunità per promuovere le attività intraprese da donne.

Aldo Ciummo

Alisa Del Re: “Gli ostacoli alla partecipazione femminile sono ancora alti”

 

Un luogo di lavoro: uffici, fabbriche, strade, i punti di riferimento dove la produzione materiale ed intellettuale, la mobilitazione sociale, l'associazionismo, le relazioni informali si sviluppano sono anche i punti di aggregazione dove la partecipazione nasce, prima ancora di strutturarsi nella politica e di essere organizzata nelle istituzioni. La situazione in questi luoghi è il termometro e la bussola della democrazia.

La docente di Politiche Sociali e Pari Opportunità all’Università di Padova, intervistata sull’evoluzione della democrazia in Italia ed in Europa in relazione al ruolo delle donne, ha contribuito al panorama che il sito sta tracciando riguardo i rapporti tra protagonismo femminile sul territorio e qualità della democrazia.

“Vedo un mancato riconoscimento del valore, sia in termini materiali che formali, della rilevanza del contributo che le donne potrebbero apportare nella vita pubblica se vi fossero spazi adeguati per la loro presenza” è l’opinione di Alisa Del Re, docente di Politiche Sociali e Pari Opportunità presso l’Università di Padova. Alisa Del Re ha ricordato come molte studiose hanno evidenziato che l’apporto relazionale informale (il care) assicurato dalle donne è alla base di uno sviluppo equilibrato della società.

“Questo è stato considerato per lungo tempo un ostacolo alla partecipazione femminile formale ed informale, perchè la vita democratica è stata analizzata sulla base del modello di partecipazione maschile – ha affermato la docente dell’Università di Padova – la cultura politica di un territorio dovrebbe essere esaminata in funzione delle possibilità di integrazione dei contributi di tutti i diversi componenti della società, ovviamente eliminando tutti gli ostacoli (anche interpretativi) che impediscono una effettiva partecipazione”.

Alisa Del Re ha aggiunto che una analisi portata avanti dal gruppo Choisir la cause des femmes (un gruppo di giuriste francesi presieduto dall’avvocato Gisèle Halimi) identifica come azione prioritaria per l’Unione Europea “la presa in conto di legislazioni più favorevoli alla libertà femminile per farle diventare l’indicazione comune per tutti gli stati”. Per la docente di Politiche Sociali e Pari Opportunità, c’è poco di democratico quando la metà della popolazione ha un salario inferiore per ragioni di sesso e dove, in Europa, complessivamente le rappresentanti sono il 30% del totale nella realtà politica.

“Io credo che gli ostacoli al protagonismo femminile, sia a livello locale che a livello nazionale, siano ancora alti, nonostante le donne dimostrino di essere preparate (alto livelli di studio) e capaci di affrontare praticamente problemi organizzativi e di espressione politica (nella maggior parte dei casi al di fuori dei partiti politici). Basti vedere a livello di espressione dei bisogni della popolazione l’alta e qualificata presenza femminile” sottolinea Alisa Del Re, citando a questo proposito il comitato No dal Molin di Vicenza, diretto da donne.

La docente di Politiche Sociali e Pari Opportunità non ritiene che i casi virtuosi siano esportabili da una parte all’altra dell’Europa e che esistano davvero isole felici, come si dice, ma nemmeno crede in una funzione “salvifica” dell’ingresso femminile negli organismi dirigenziali dei partiti, anche se pensa che una situazione paritaria negli organi elettivi porterebbe ad una ridefinizione positiva dell’agenda dei bisogni ammessa dalla politica.

La responsabile delle questioni di genere nella Fnsi Lucia Visca: “progressi solo a fasi alterne nell’emancipazione femminile”

 

Qualcuno ricorda questo manifesto americano? illustrava un contributo senza il quale la lotta armata contro i razzisti in Europa non sarebbe stata vinta. Uno degli elementi medioevali sui quali i sistemi statalisti fascista e comunista facevano leva in Europa e cioè il sessismo permane in larga parte nelle società odierne di una vasta area del continente.

Lucia Visca è responsabile della Commissione Pari Opportunità Fnsi, anche a lei è stato chiesto un contributo di riflessione sui ritardi del Bel Paese (come lo chiamano) riguardo ai rapporti tra qualità della democrazia e partecipazione femminile, nel quadro dell’approfondimento di un tema che questo sito web non mollerà nel tempo. Anche perchè è una delle questioni sulle quali l’Europa si gioca il futuro.

Aldo Ciummo

Lucia Visca è la responsabile delle questioni di genere nella Federazione Nazionale della Stampa Italiana, come Presidente della Commissione alle Pari Opportunità, la comunicazione mediatica tiene il polso alla società più di altre organizzazioni e quindi le abbiamo chiesto, in base alla sua esperienza, cosa poteva riferire sulla altalenante situazione italiana in fatto di parità e sulle iniziative istituzionali ed europee che dovrebbero bilanciare le cose ma soprattutto indirizzare la cultura di massa e quella profonda della società.

Ci siamo chiesti se le istituzioni fanno qualcosa di positivo in materia e cosa fanno, a livello territoriale: “dipende – ha affermato Visca – ci sono le consulte regionali femminili e funzionano molto su alcuni temi come l’informazione, molto meno ad esempio sul lavoro. Ci sono molte situazioni regionali differenti, ad esempio in Emilia Romagna funziona bene il contrasto al mobbing.”  Ma il mobbing è già un fenomeno al limite, nel quotidiano le cose come vanno, la UE c’è ?

La presidente della commissione pari opportunità della Federazione Nazionale della Stampa Italiana dice a questo proposito che l’Unione Europea offre molte risorse per ridurre le disparità, investe molto sulle pari opportunità, però l’Italia spesso non chiede i fondi e non li spende. E che inoltre manca una informazione adeguata sul Fondo Sociale Europeo. “Permane una scarsa rappresentanza sul lavoro, questo è un grave problema perchè anche se aumenta la presenza numerica, non si riscontra un miglioramento della partecipazione perchè non c’è un riconoscimento adeguato delle competenze.”
 
I migliori risultati scolastici garantiscono un accesso sempre maggiore al mercato del lavoro, ma poi non si riscontra un riconoscimento attraverso la promozione agli alti livelli, questo in sintesi quello che da un osservatorio abbastanza accurato come la Fnsi si registra. Ma come è possibile, è stato quindi chiesto a Lucia Visca, che una dinamica che comunque ha portato importanti cambiamenti nel corso dell’anno si sia arenata. I movimenti femminili hanno semplicemente avuto lo stesso andamento che la spinta generale della società italiana prendeva, è stata la riflessione della responsabile Fnsi.
 
“La partecipazione è alla base della democrazia, negli anni ’70 ed ’80 anche la partecipazione  femminile ha fatto sentire i propri effetti, ma in seguito la disaffezione alla politica ha indebolito di più le conquiste che erano state date per scontate, accade con tutti i valori democratici.
Negli anni ’70 il movimento per i diritti delle donne aveva effettivamente contribuito a modificare in positivo i meccanismi di formazione della opinione pubblica”  ha ricordato Lucia Visca.

E la cultura generale della società non ha aiutato, si potrebbe aggiungere qui, terminato il contributo di riflessione gentilmente accordato da Visca. Il protagonismo femminile sta crescendo positivamente nei territori, nelle professioni e nei luoghi della vita di tutti i giorni, ma gli spazi che indirizzano la mentalità, dalle istituzioni alla televisione, hanno difeso spesso schemi dove le persone sono rinchiuse in schemi subalterni ed offensivi.

Anche nella polemica politica, (e qui si esprimono libere opinioni al di fuori dell’intervista della quale sono stati riportati prima i punti principali) ci si è trovati di fronte a maggioranze che danno un pessimo esempio nel modo di considerare le persone ed a minoranze politiche che fanno peggio, attaccando i governi con l’utilizzo di stereotipi inficiati da grave violenza maschilista nella mentalità,  oltre che in totale assenza di confronto tra proposte, povertà politica che accomuna gli schieramenti e si manifesta poi chiaramente nell’assenza di reali politiche di pari opportunità e nella diffusione di incultura nella comunicazione, assai più che nella società che presenta, sia pure a fasi alterne nel corso degli anni, elementi di maturità molto maggiore.

INTERNAZIONALE|Sarà il prossimo Parlamento Europeo a pronunciarsi sul congedo maternità

E’ all’esame dell’organo rappresentativo della comunità uno degli strumenti più importanti per garantire le opportunità femminili nel continente


di Aldo Ciummo

Una delle proposte della Commissione Europea più significative attualmente all’esame del Parlamento Europeo è finalizzata ad assicurare una protezione  effettiva dei diritti delle donne sul mercato del lavoro nel continente, in particolare riguardo alla possibilità di conciliare esigenze personali e realizzazione professionale e anche riguardo alle garanzie economiche nel periodo della maternità. Ieri pomeriggio l’esame della direttiva è stato rinviato alla commissione parlamentare europea competente in materia su proposta del PPE, con 347 voti favorevoli, 256 contrari e 10 astensioni. Sarà il Parlamento Europeo entrante, dopo le elezioni di giugno, a pronunciarsi sulla questione. La relazione di Edite Estrela (PSE) con la quale l’organo rappresentativo della Ue si accingeva ad accogliere la proposta della Commissione, propone un rafforzamento dei diritti delle persone impegnate nel mondo del lavoro nel periodo prima e dopo il parto. Tra gli emendamenti c’è la richiesta di prolungare fino a 20 settimane il periodo di congedo maternità, mentre nel testo della Commissione Europea sono previste 18 settimane. Inoltre è stata avanzata l’interessante proposta di introdurre un congedo di maternità-copaternità di due settimane obbligatorie, normalmente retribuite.
Alcune di queste modifiche non sono state del tutto condivise dal Parlamento Europeo, il che ha dato il via ad altri emendamenti. Il PPE  ha ottenuto di procedere ad un esame ulteriore della questione, indubbiamente complessa, a livello di commissione parlamentare.

SOCIETA’|Nel mondo non c’è Europa dei diritti se non incontra i diritti delle donne

La presentazione di un libro sui diritti delle donne in Europa offre l’occasione di approfondire alcuni dei ritardi alla base della carenza di partecipazione nella Ue

Aldo Ciummo/SG

ROMAE’ ormai noto lo squilibrio di rappresentanza in Europa, con meno del trenta per cento di donne nel ruolo di ministro nei vari governi (in Italia soltanto il sedici per cento), specchio evidente di distorsioni in tutti gli altri settori della vita associata. Il Consiglio d’Europa ha da tempo raccomandato dei correttivi, che comunque non ribaltano una cultura dominante. Su Skapegoat vorremmo prendere spunto dalla discussione promossa dalla casa editrice Ediesse e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea per avviare qualche approfondimento della situazione europea e delle sue implicazioni nei campi dell’occupazione, dell’istruzione e degli scambi culturali, da analizzare ulteriormente nelle prossime settimane.

Il dibattito cade in un periodo nel quale i passaggi critici dell’economia hanno causato l’incrinarsi di garanzie faticosamente raggiunte. Il 13 la sede Ue di via Quattro Novembre 149 ha ospitato la presentazione della raccolta di saggi a cura di Maria Grazia Rossilli (Docente nel Corso di Politiche di Genere in una laurea specialista della Facoltà di Economia dell’Università di Parma) “I Diritti delle Donne nell’Unione Europea: Cittadine Migranti Schiave“. L’incontro è stato moderato da Chiara Valentini. I saggi si concentrano sulla politica europea e toccano quelle trasformazioni occupazionali che non hanno incontrato la domanda di compatibilità della vita delle donne con il loro lavoro. L’attività istituzionale ha prodotto un parziale inserimento del tema delle Pari Opportunità nella sensibilità pubblica, ma lo stagnare delle politiche di genere nella realtà sociale ed il deficit di democrazia in Europa hanno lasciato che i guasti del sessismo si perpetuassero nell’economia. Difatti la condizione di marginalità nel lavoro è aggravata dalla crisi economica, perchè è la valorizzazione della qualità del lavoro e la sua tutela che rendono effettive le garanzie nel lavoro e nella società.

Basti pensare ai dati molto favorevoli sul livello di istruzione delle ragazze in Europa e alla discrepanza che emerge nella distribuzione di responsabilità all’interno di tutte le organizzazioni e nell’economia.

Maria Grazia Rossilli riporta dati ufficiali anche sull’istruzione in Italia, dove si ha il 19% di laureate rispetto ad un 12% tra gli uomini e un 49% di diplomate rispetto ad un 43%. “Tuttavia i laureati raggiungono posizioni dirigenziali molto più spesso delle laureate molte delle quali occupano posizioni tecniche ed impiegatizie – ha osservato la studiosa di Politiche di Genere – non si notano grandi differenze in questo tetto di cristallo rispetto al 1993”.

Sono intervenute a lungo anche la storica Paola Maiotti De Biase, Marigia Maulucci del direttivo nazionale delle Cgil e la eurodeputata Pasqualina Napoletano.

Il dibattito si è soffermato sui limiti di azione dell’Unione Europea e del suo Parlamento, che non ha potuto intervenire incisivamente riguardo ai temi sui quali non c’è stata la cessione di sovranità da parte degli Stati membri, ad esempio in ambito fiscale, lasciando l’Unione Europea priva di strumenti, proprio laddove ci sarebbe stato bisogno della sua presenza. Lo stesso discorso si può fare in parte riguardo alla mancanza di efficaci politiche di genere, che necessitano di garanzie, ad esempio nel mercato del lavoro. L’assenza, specialmente in Italia, di coerenza in fatto di parità, al sud come nel territorio nazionale in genere, rischia di portare l’Europa ad una schizofrenia all’interno del continente.

Adriana Buffardi, presidente del Comitato Regionale Pace e Diritti Umani della Regione Campania, ha affermato che “sarebbe opportuno soffermarsi anche sulla condizione di migrante, perchè l’anello più vulnerabile della catena migratoria è anche quello con la maggiore capacità di interloquire all’incrocio delle comunità, ma c’è tutto il dato mancante degli abusi all’interno delle comunità immigrate, la cui marginalità crea una situazione opaca”. A questo proposito esiste una risoluzione del Parlamento Europeo, dell’ottobre 2006, “sull’immigrazione femminile, ruolo e condizione delle donne immigrate nell’Unione Europea”. Maria Grazia Rossilli spiega che la risoluzione esorta gli Stati membri a concedere permessi di soggiorno speciali alle vittime di violenze e suggerisce di inserire il rischio di mutilazioni genitali femminili fra i motivi di richiesta di asilo.

Elena Paciotti, nota per aver fatto parte della Convenzione che ha redatto la Carta dei Diritti dell’Unione Europea e anche di quella che ha predisposto il progetto di Trattato Costituzionale, è intervenuta nella discussione riguardo al fenomeno del social dumping, il fenomeno consistente nello scaricare le difficoltà strutturali dell’economia sui soggetti più esposti, a partire dall’investimento delle imprese laddove i costi sociali previsti dallo stato sono minori. Sulla Carta dei Diritti elaborata a Nizza ed incorporata a Lisbona, Elena Paciotti ha detto che “sulla questione delle politiche occupazionali, l’obiettivo di Lisbona era far diventare l’economia europea la più competitiva del mondo. L’unico obiettivo quasi raggiunto in fatto di diritti delle donne è stato l’occupazione femminile, ma è facile immaginare di quale occupazione precaria si sia trattato, dato che garantire qualità e tutela dell’occupazione è stato un obiettivo mancato e che in nazioni come l’Italia pesano i diversi sottodimensionamenti della professionalità femminile che vengono portati avanti in assenza di regole che tutelino i meriti effettivi.”

Abbiamo chiesto alla curatrice del libro chiarimenti in merito alla politica delle pari opportunità dell’Unione Europea,

(affrontata in un saggio di Paola Villa all’interno del testo). Nelle linee guida della Strategia Europea per l’Occupazione sono indicate strategie per portare nel mercato del lavoro donne inattive o disoccupate e un pacchetto integrato di misure il cui scopo è promuovere l’occupazione femminile permettendo contemporaneamente il contemperamento delle esigenze familiari e di quelle professionali. “Quest’insieme integrato ha abbracciato tre tipologie di misure: lo sviluppo di servizi per l’infanzia, l’adozione di congedi parentali e l’incentivazione della flessibilità di contratti, orari e condizioni di lavoro, mediante lo sviluppo di una vasta gamma di contratti atipici, part time, tempo determinato, job sharing, lavoro interinale, ma poichè i servizi per l’infanzia e i congedi parentali hanno un costo sia per i governi che per le imprese, la misura maggiormente implementata a livello nazionale è stata la flessibilizzazione del lavoro. – ha spiegato Maria Grazia Rossilli – inoltre nelle linee occupazionali successive, del 2003 – 2005 e del 2005 – 2008, le politiche di pari opportunità hanno perso gradatamente di rilievo fin quasi a scomparire. L’enfasi si è spostata dalle pari opportunità alla conciliazione di lavoro e famiglia identificata sempre più con la flessibilità del lavoro. Ne consegue, certamente non a caso, che in tutti i paesi della Ue le donne sono sovrarappresentate nei lavori atipici, sicchè in alcuni casi si raffigura una vera e propria segregazione occupazionale, come nel caso del part time all’84% femminile nella media della Ue.”

L’autrice sottolinea il fatto che le tipologie di contratti ed orari di lavoro non standard, che dovrebbero permettere sia la realizzazione professionale che la presenza nella famiglia, penalizzano invece le donne nella retribuzione e rispetto ai diritti e alla carriera e che i governi membri hanno utilizzato i contratti atipici per ridurre il costo delle prestazioni di sicurezza sociale. “In quanto più presenti nel lavoro precario le donne saranno le prime a pagare nell’attuale crisi economica, tanto più in Italia data l’inadeguatezza degli ammortizzatori sociali e l’assenza di una qualsiasi forma di reddito minimo garantito (nella Ue solo Italia Grecia e Ungheria non prevedono una qualche forma di reddito minimo garantito)” ha osservato Maria Grazia Rossilli rispondendo alla richiesta di chiarimenti.

Si tratta di una situazione oltremodo rischiosa in un frangente in cui le esigenze di contrastare la crisi e di rendere l’Europa idonea ad affrontare le trasformazioni in atto richiederebbe il coinvolgimento delle persone e delle migliori energie nel continente.

Non è difficile riconoscere nella sottorappresentazione di una parte intera delle energie culturali e professionali dell’Unione, parte considerevole stando ai dati del mondo dell’istruzione ed alla storia del progresso delle nazioni costituenti e alla sua accelerazione in seguito alla piena inclusione civile delle loro popolazioni, un ostacolo molto grande alla famosa competitività nel contesto planetario e alla realizzazione civile di una costruzione geopolitica che di limiti di rappresentatività ne ha già tanti senza bisogno di mutuare dagli stati fondatori anche il sessismo.

Una direttiva europea del 2006 (la 2006/ 54 / CE) riassume in sè il senso di sette direttive riguardanti essenzialmente la parità retributiva, di opportunità e di trattamento. “Poichè le disuguaglianze e le discriminazioni non sono solo persistenti ma, nella attuale precarizzazione del lavoro, si moltiplicano ed assumono forme nuove – ha chiarito la curatrice del libro – sono state presentate nuove proposte di direttive che forse vedranno la luce nella prossima legislatura, quali ad esempio la direttiva per rendere più stringente la legislazione sulla parità retributiva, una nuova direttiva sui congedi di maternità che dovrebbe allungare la durata del congedo, una nuova direttiva sui congedi parentali e, infine, una direttiva contro le discriminazioni multiple di cui sono vittime soprattutto le immigrate.”

Recentemente il segretario generale del Consiglio d’Europa, Terry Davis, ha fatto notare che soltanto Svezia, Finlandia ed Olanda possono contare su di un equilibrio accettabile nella rappresentanza delle loro società, e che si potrebbero aggiungere a questo gruppo di Stati nella norma – sancita anche in una raccomandazione del Consiglio d’Europa, minimo il 40% dei ruoli parlamentari – solo Belgio, Danimarca e Norvegia (e anche in Spagna come in Svezia e Finlandia le donne sono la maggioranza dei ministri). Le istituzioni proprio perchè organizzano in delle forme date le trasformazioni della società sono una cartina di tornasole di cambiamenti sociali spesso più rapidi al di fuori delle strutture dello stato, ma possono anche diventare indice di resistenze alle trasformazioni che si presentano in maniera anche più virulenta e diffusa nella società in periodi di incertezza culturale, sociale, economica. Skapegoat ritornerà sulla questione in altri ambiti della vita associata. L’abilità che ha permesso all’Europa di affermarsi come soggetto autonomo e che può permetterle di cooperare con gli altri attori del pianeta globalizzato non è stata quella di riproporre schemi sociali chiusi. L’Unione Europea ha bisogno di sostenere le migliori capacità di confronto al suo interno e verso il resto della comunità internazionale.

Aldo Ciummo/SG