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La Bonino nel Lazio, Vendola in Puglia, dura lezione alle oligarchie dei vecchi partiti

 

Mentre il PDL si crogiola in un mantenimento del proprio bacino elettorale dovuto alla benevolenza del maggiore concorrente (il PD) oltre che all’assenza di proposta politica concreta e di considerazione della realtà da parte dei rimasugli estremisti della storia italiana, invece le forze politiche meno strutturate in senso classico e meno ossificate ideologicamente, Radicali e Movimentisti, vincono con le loro proposte e senza inutili urla: inoltre, lo fanno in assenza di mastodontiche strutture finanziarie (come quelle del PD e del PDL), senza posizioni acquisite immobiliari e di disciplina ortodossa tra i militanti (democristiani e comunisti) e di presenza televisiva (PD, PDL, UDC, IdV).

 

di    Aldo Ciummo

 

Dopo la candidatura alla presidenza della regione Lazio di una donna radicale, espressione di un movimento estraneo alle ortodossie morenti della politica italiana e indipendente dalle pressioni della chiesa cattolica, oggi onnipresenti nel paese, è arrivata un’altra buona notizia, almeno per chi non si riconosce nella sorta di democrazia plebiscitaria inventata dalle forze che si sono oramai impadronite dell’area moderata in questi anni e di fatto rafforzata dalla visione patrizia della politica portata avanti dal gruppo dirigente del principale partito di opposizione, il partito Democratico.

Prima la candidatura nel Lazio, da parte di un Centrosinistra privo di altre alternative, di una laica in grado di portare avanti quelle istanze che una parte molto larga della società italiana vede negate o ritardate da una invasività della chiesa cattolica e di un sistema di partiti capillarmente condiscendente a quest’ultima (Emma Bonino sarà probabilmente capace di lavorare anche con quella significativa parte del mondo religioso aperta alla società attuale), poi la vittoria alle primarie della Puglia di un rappresentante della laicità in senso lato, politico, esponente di quella parte del partito di Bertinotti che scelse di proseguire l’ipotesi di quest’ultimo: non credere che le uniche persone di sinistra siano operai, con prole numerosa, falce e martello in tasca e che tifano Livorno o Ternana.

Anzi, la scoperta neppure troppo difficile che Bertinotti aveva fatto e che in tanti intuivano, non soltanto Vendola e Sinistra e Libertà ma anche Radicali, Movimenti e tanti italiani che non votano e che non sono per questo cittadini di serie B, è che molti temi della vita civile non stanno nemmeno necessariamente a sinistra e prorio su questa base Nichi Vendola aveva vinto in Puglia non solo le primarie (altri non avrebbero potuto farlo perchè avrebbero irritato gli elettori del PD dicendo loro che non possono dirsi di sinistra se non gli piace l’URSS, e i sostenitori del PD avrebbero fatto bene a non convincersi) ma aveva coinvolto nel progetto del centrosinistra anche dei votanti provenienti da tradizioni politiche differenti in una regione moderata e questa è la politica e non lucidare simboletti rossi.

Oggi Paolo Ferrero, leader nazionale di quella Federazione della Sinistra (Prc e Pdci) la cui politica è stata negli ultimi anni soprattutto dedicata alla ripetizione del concetto che chi non ama la falce e martello è del PD, quindi del PDL quindi di Berlusconi e di Bush, ha ammesso che l’azione della Sinistra aperta alla realtà ed alle altre forze ha determinato una nuova unità del campo progressista ed una sua ridefinizione in alternativa all’area Conservatrice e non sulla base di un patto consociativo con forze ultramoderate (come l’UdC).  Certo, a capirlo prima la sinistra italiana sarebbe oggi, a partire dalla lista Arcobaleno di pochi anni fa, una forza del 10-15 % come peraltro avviene in gran parte d’Europa ma soprattutto sarebbe sinonimo di apertura (come lo era stata per tanto tempo) invece che di divisione settaria e sterile tra chi pensa bianco e chi pensa avorio. Ma per fortuna, anche se i danni delle politiche conservatrici per la gente comune avanzano, c’è sempre tempo.

Alisa Del Re: “Gli ostacoli alla partecipazione femminile sono ancora alti”

 

Un luogo di lavoro: uffici, fabbriche, strade, i punti di riferimento dove la produzione materiale ed intellettuale, la mobilitazione sociale, l'associazionismo, le relazioni informali si sviluppano sono anche i punti di aggregazione dove la partecipazione nasce, prima ancora di strutturarsi nella politica e di essere organizzata nelle istituzioni. La situazione in questi luoghi è il termometro e la bussola della democrazia.

La docente di Politiche Sociali e Pari Opportunità all’Università di Padova, intervistata sull’evoluzione della democrazia in Italia ed in Europa in relazione al ruolo delle donne, ha contribuito al panorama che il sito sta tracciando riguardo i rapporti tra protagonismo femminile sul territorio e qualità della democrazia.

“Vedo un mancato riconoscimento del valore, sia in termini materiali che formali, della rilevanza del contributo che le donne potrebbero apportare nella vita pubblica se vi fossero spazi adeguati per la loro presenza” è l’opinione di Alisa Del Re, docente di Politiche Sociali e Pari Opportunità presso l’Università di Padova. Alisa Del Re ha ricordato come molte studiose hanno evidenziato che l’apporto relazionale informale (il care) assicurato dalle donne è alla base di uno sviluppo equilibrato della società.

“Questo è stato considerato per lungo tempo un ostacolo alla partecipazione femminile formale ed informale, perchè la vita democratica è stata analizzata sulla base del modello di partecipazione maschile – ha affermato la docente dell’Università di Padova – la cultura politica di un territorio dovrebbe essere esaminata in funzione delle possibilità di integrazione dei contributi di tutti i diversi componenti della società, ovviamente eliminando tutti gli ostacoli (anche interpretativi) che impediscono una effettiva partecipazione”.

Alisa Del Re ha aggiunto che una analisi portata avanti dal gruppo Choisir la cause des femmes (un gruppo di giuriste francesi presieduto dall’avvocato Gisèle Halimi) identifica come azione prioritaria per l’Unione Europea “la presa in conto di legislazioni più favorevoli alla libertà femminile per farle diventare l’indicazione comune per tutti gli stati”. Per la docente di Politiche Sociali e Pari Opportunità, c’è poco di democratico quando la metà della popolazione ha un salario inferiore per ragioni di sesso e dove, in Europa, complessivamente le rappresentanti sono il 30% del totale nella realtà politica.

“Io credo che gli ostacoli al protagonismo femminile, sia a livello locale che a livello nazionale, siano ancora alti, nonostante le donne dimostrino di essere preparate (alto livelli di studio) e capaci di affrontare praticamente problemi organizzativi e di espressione politica (nella maggior parte dei casi al di fuori dei partiti politici). Basti vedere a livello di espressione dei bisogni della popolazione l’alta e qualificata presenza femminile” sottolinea Alisa Del Re, citando a questo proposito il comitato No dal Molin di Vicenza, diretto da donne.

La docente di Politiche Sociali e Pari Opportunità non ritiene che i casi virtuosi siano esportabili da una parte all’altra dell’Europa e che esistano davvero isole felici, come si dice, ma nemmeno crede in una funzione “salvifica” dell’ingresso femminile negli organismi dirigenziali dei partiti, anche se pensa che una situazione paritaria negli organi elettivi porterebbe ad una ridefinizione positiva dell’agenda dei bisogni ammessa dalla politica.

Prosegue l’intolleranza del regime di Mugabe

 

Cascate di Vittoria tra Zimbabwe e Zambia. Le risorse naturali ed economiche risentono ancora delle difficoltà storiche sperimentate nel passato da diversi paesi dell'area. Utilizzarle, nel caso dello Zimbabwe, avrebbe probabilmente portato ad uno sviluppo maggiore rispetto al disastro causato dalla decisione di requisire aziende produttive alla parte di popolazione di origine europea. D'altronde, Mugabe governa da anni e anni, se il suo programma "anticoloniale" fosse stato molto avanzato socialmente il paese non si troverebbe sull'orlo della guerra civile anche all'interno della comunità nera.

Oligarchie politiche inefficaci (sotto le quali paesi interi sono finiti nel disastro economico) non perdono occasione per prendersela con i bianchi che vivono in Africa, credendo di risolvere ogni problema attaccando l’occidente.

 

 

Anche al vertice della Fao, il ritornello del regime di Mugabe nello Zimbabwe è sempre lo stesso: nel 2009 l’autocrate parla ancora di nemici neocolonialisti, trascurando il contributo allo sviluppo dell’economia e di rapporti col resto del mondo che anche le comunità di origine europea hanno dato nel tempo, in Africa ed altrove.

L’antioccidentalismo è una brutta bestia, perchè basandosi su elementi di fatto concreti (come i guasti causati storicamente dall’imperialismo ed i disastri tuttora gravi consistenti nelle ineguaglianze) pretende di elevare prediche che dividono sommariamente il mondo in buoni e cattivi a mezzi di soluzione di problemi complessi.

Lo Zimbabwe ha una situazione di scarso rispetto della regolarità delle elezioni e dei diritti di proprietà di imprenditori cui sono state requisite le terre, in base ad uno strano programma di riappropriazione rispetto ad eventi accaduti nel trapassato remoto. Mugabe governa incontrastato appellandosi ad una sorta di missione storica anticoloniale (molto dopo la fine cronologica del colonialismo) e attacca i programmi di aiuto concordati con le aree sviluppate, definendoli mezzi di controllo politici.

Ma il problema, in molti paesi del Sud del Mondo, in molti casi è proprio l’assenza di controllo, rispetto all’utilizzo che oligarchie poco convinte dei valori democratici e solidaristici fanno degli introti e degli aiuti, spesso, questo è vero, con l’appoggio di un sistema internazionale che non disdegna lo sfruttamento incontrollato delle risorse che hanno un valore economico indifferentemente agli effetti sperimentati dalle popolazioni che vivono in prossimità di tali risorse.

Ma il malgoverno dell’economia delle nazioni in difficoltà, in più di un caso, sarebbe impensabile se i gruppi di potere locali non fossero più che inseriti nelle strategie economiche mondiali e nei loro proventi e non ottenessero il consenso in patria (di una parte significativa e disorientata della popolazione autoctona) attraverso mezzi propagandistici discutibili e nel medio lungo periodo molto dannosi, come l’antioccidentalismo e l’ostilità verso le comunità di origine straniera, che fanno da caprio espiatorio per le difficoltà generate da problemi che, essenzialmente tecnici, culturali ed economici, attendono soluzioni concrete e non guerre di civiltà.

Aldo Ciummo