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L’ Europa chiede garanzie per i migranti stagionali impiegati illegalmente

 

La delegazione della Commissione Libertà Civili, Giustizia ed Affari Interni del Parlamento Europeo sarà a Rosarno dal 15 al 17 febbraio.
 
 
di Aldo Ciummo
 
 
A Rosarno il 7 ed 8 gennaio la befana ha portato soltanto carbone, il residuo scuro delle garanzie democratiche. Garantite soltanto a chi è nato in Italia, concesse a malapena a chi, pur avendo conquinstato un permesso di lavoro, rimane nel limbo del lavoro sottopagato nei campi. Per altri, quelli arrivati sulle nostre coste “clandestinamente”, il riconoscimento del diritto all’esistenza è del tutto assente.  Ed il 7 gennaio ha portato alla luce anche “il carbone” dell’Europa, che deve fare i conti con i confini sui quali si gioc la scommessa di diventare una patria di diritti aperta al mondo, piuttosto che una fortezza dove si consuma una messinscena identitaria.
 
Per questo acquista una rilevanza particolare la prossima visita a Rosarno della commissione per le Libertà Civili, Giustizia ed Affari Interni (LIBE) del Parlamento Europeo, presieduta da Fernando Lopez Aguilar e composta da undici deputati europei, tra i quali gli italiani Salvatore Iacolino (vice presidente della commissione LIBE), Roberta Angelilli (vice presidente del Parlamento Europeo), Mario Borghezio, Clemente Mastella e Gianni Vattimo.
 
L’assemblea elettiva della comunità sta effettuando una revisione delle norme comunitarie in materia di immigrazione e di lavoro e chiede maggiori garanzie per i lavoratori migranti stagionali provenienti da paesi terzi ed impiegati illegalmente negli stati europei.
 
La delegazione per prima cosa incontrerà le autorità regionali di Reggio Calabria, il Presidente della regione Agazio Loiero, il prefetto Luigi Varratta ed il questore Carmelo Casabona, mentre martedì 16 febbraio si terrà una riunione con le autorità locali di Rosarno, in presenza anche del commissario straordinario per il comune di Rosarno, Domenico Bagnato.
 
Successivamente si svolgeranno due sessioni, una per consentire il confronto con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali (CGIL, Sergio Genco, Cisl, Paolo Tramonti, UIL, Roberto Castagna) e delle associazioni agricole (CIA, Giuseppe Mangone, Confagricoltori Nicola Cilento, Coldiretti Pietro Molinaro); un altro incontro invece con i rappresentanti delle associazioni Caritas e Croce Rossa e delle ONG (LIBERA, Don Pino De Masi, ARCI, Filippo Miraglia, MSF, Rolando Magnano) che lavorano nell’assistenza agli immigrati e nella lotta alla criminalità organizzata in questa area.
 
Mercoledì 17 febbraio la delegazione si sposterà a Roma, dove incontrerà il commissario straordinario della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca e del vice capo Missione Italia di Medici senza Frontiere, Rolando Magnano e parteciperà all’incontro con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Chiuderà i lavori l’incontro con il procuratore anti-mafia Pietro Grasso.

INTERVENTO DELL’ASSOCIAZIONE PONTE DELLA MEMORIA E DELL’ANP | Il pomeriggio del 16 febbraio alla Casa della Memoria e della Storia di via Francesco De Sales 5 “Damnatio Memoriae Argentina. Tra emigrazioni e storie d’Italia”.

 
 
 
Ci saranno Massimo Rendina, Presidente Anp Roma, Giovanni Miglioli che presiede Ponte della Memoria, Camilla Catarulla dell’Università di Roma Tre, Loris Zanatta (Università di Bologna), gli storici argentini Osvaldo Bayer, Fabian D’Aloisio, Bruno Napoli. L’iniziativa avrà il patrocinio dell’ambasciata della Repubblica Argentina in occasione del suo bicentenario.
 
Dopo i fatti di Rosarno, è indispensabile riacquistare una volta di più la storia delle migrazioni italiane, e sforzarci di renderle memoria collettiva. Oggi nel nostro paese i migranti sono considerati come “non-uomini”.
Lo Stato e il sistema economico vigenti li vogliono rendere invisibili alla società, emarginandoli, nascondendoli e segregandoli in centri di detenzione semi-clandestini. I Cpt sembrano non esistere, perché lontani dalla nostra vista; possono esistere perchè vi è una società che decide di non vedere per sua propria impotenza.
Lì i migranti, pur entrando per “essere identificanti”, diventano nuovi desaparecidos perdendo la propria identità a favore di un conteggio sterile utile solo alla politica.
L’Argentina accolse molti migranti italiani che per molti anni furono vilipesi e umiliati con vari epiteti: “ladri, disonesti, puzzolenti tanto da essere chiamati mocciosi orecchiuti”. Molti dei nostri connazionali furono perseguitati dalla dittatura, desaparecidos o costretti a un nuovo esilio di ritorno.
 Abbiamo dato all’Argentina patrioti quali Manuel Belgrano che era figlio di un genovese ed è ricordato non solo come l’ideatore della bandiera nazionale bianca e azzurra, ma come uno dei padri dell’indipendenza della Spagna, al punto che la sua data di nascita è diventata una festa nazionale: la Giornata dell’Emigrante Italiano.
E poi scrittori come Ernesto Sabato, grandi musicisti del tango come Astor Piazzolla, calciatori come Antonio Valentin Angelillo, mitici piloti automobilistici come Juan Manuel Fangio, industriali come Agostino Rocca. (“L’orda” di Gian Antonio Stella ).
Il fenomeno migratorio è bagaglio imprescindibile della storia d’Italia, di cui va recuperata la memoria a salvaguardia della nostra identità costituzionale e in difesa dei diritti fondamentali.
Associazione Ponte della Memoria e ANP

L’Europa contro tutti i razzismi

strasburgo

Oggi il Parlamento Europeo ha chiesto alle autorità egiziane e malesi di garantire la sicurezza di coloro che non aderiscono alla religione musulmana ed adottato una risoluzione che condanna tutte le forme di intolleranza.

 

In Malesia si sono ripetute, nel 2009, ingerenze del Governo nei confronti dei diritti delle minoranze divergenti dal pensiero islamico maggioritario nel paese. Già nel 2007 lo stato aveva minacciato di proibire la pubblicazione del giornale “The Herald”. Contemporaneamente, si sono registrati attacchi alla libertà dei cristiani, che stanno passando un periodo brutto anche in Egitto, dove sei cristiani copti sono stati uccisi il 6 gennaio 2010 e sono avvenuti anche molti incidenti che solo per casualità non hanno avuto esiti drammatici.

Il Parlamento Europeo ha espresso con una risoluzione (sostenuta da tutti i gruppi politici) la condanna di tutte le forme di violenza, di discriminazione e di intolleranza basate sulla religione contro appartenenti ad altre confessioni, “apostati” e non credenti. In relazione ai recenti attacchi, l’assemblea ha chiesto alle autorità malesi ed egiziane di garantire la sicurezza delle minoranze presenti sul territorio. 

Nella risoluzione si osserva che anche l’Europa conosce crimini individuali di questa natura (ed è attuale nella cronaca il tentativo di alcuni ambienti, marginali nelle comunità immigrate, di perpetuare nella nazione di arrivo tradizioni incompatibili con i diritti come intesi nella tradizione umanistica e giuridica derivante dall’illuminismo) e si auspica che Consiglio della Unione Europea, Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri prestino una particolare attenzione alla situazione delle minoranze, nel quadro della cooperazione Ue con i paesi interessati.

Non tutti hanno libertà di pensiero e di coscienza, alle ben note forme di stato autoritario o di pressione economico militare esercitate a causa degli squilibri geopolitici ereditati dal passato si aggiungono le democrazie “controllate” del profondo est d’Europa e i regimi populisti e teocratici in Asia e altrove, dove il consenso più o meno diffuso verso i sistemi di controllo sociale tradizionali e i problemi sociali scaricati verso l’esterno, spesso verso l’occidente, produce quell’intolleranza di cui gli incidenti che poi si registrano a spese di cooperatori internazionali o comunità minoritarie rappresentano segni tangibili.

Come le guerre infinite per il controllo delle risorse (e anche per una malintesa semplificazione delle tensioni internazionali) hanno portato una significativa parte della popolazione dei paesi sviluppati ed occidentali a raggruppare culture diverse in un tutto indistinto, dipinto come dominato dalla religione e pericoloso per la sicurezza di una porzione del mondo, così una fascia non indifferente della gente comune di nazioni dove le tradizioni possono rappresentare un efficace strumento di controllo (in un contesto instabile dal punto di vista della sicurezza materiale) è coinvolta in forme di razzismo che non sono meno pericolose di quello tradizionalmente inteso.

In maniera analoga alla specularità di interventismo all’esterno (le occupazioni militari precedute dai bombardamenti mediatici e concreti) e contrazione del confronto all’interno delle società coinvolte (la diffidenza e la repressione verso alcune categorie di immigrati e per estensione verso ogni diversità) sperimentata in occidente dopo le ferite degli attentati, anche in larga parte del Sud del Mondo (e delle potenze emergenti, grandi e medie) si registra il tentativo,  da parte delle élite tradizionali, economiche, militari e religiose, di scaricare tutte le responsabilità dei problemi e le tensioni verso i paesi “ricchi” presi come bersaglio della propaganda, e di qui l’attacco contro i gruppi di persone originarie di queste nazioni, provenienti dagli USA, dall’U.K, dalla UE, contro chiunque si trovi temporaneaente nel terzo mondo oppure sia impegnato nella cooperazione e venga dai paesi sviluppati (in un immaginario che nei paesi in difficoltà finisce per costruirsi un logo uniforme di una fetta del pianeta), da qui l’ostilità verso i gruppi riconducibili alla storia del colonialismo nonostante, l’arricchimento che questi ultimi gruppi hanno portato spesso allo sviluppo della democrazia in aree dalla società complessa come i paesi in via di sviluppo.

Un argomento che su queste pagine web viene curato in maniera ricorrente è, non a caso, la necessità di non semplificare troppo, legittimando malintese pretese di decolonizzazione molto dopo la conclusione dell’era storica cui il colonialismo appartiene, e l’opportunità di ricoscere l’importanza delle comunità di origine europea nel mondo per la cultura e le istituzioni consolidatesi nel tempo grazie all’apporto di queste ultime. Le crisi regionali non si risolvono con il populismo terzomondista.

Difatti, a ben vedere lo stesso antioccidentalismo, letto in termini di puro scontro tra regioni se osservato da lontano, dai suoi destinatari, si muove in un paesaggio sociale, il mondo emergente dell’Asia, dell’Africa, spesso dell’America Latina e moltissimo negli stati a forte presenza islamica, nel quale gioca un ruolo nelle trasformazioni interne di ogni nazione presa in esame, dove l’avversario delle oligarchie e del blocco sociale che le sostiene non è all’estero ma è l’insieme di categorie e di elementi culturali che spinge verso la modernizzazione della società, e lo spauracchio delle fasce marginali che si uniscono ai fanatismi religiosi non è la libertà e il paniere di valori occidentale, se ne esiste uno uniforme, ma l’insicurezza degli ultimi in un pianeta dove il costo di questa libertà è insostenibile per molti.

Nella stessa Unione Europea, è positivo che l’Aula (sempre oggi) abbia riaffermato il ruolo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e difeso le sue decisioni in merito alla garanzia della laicità delle scuole, respingendo il ricorso contro il divieto di apporre simboli cristiani. Ma la difesa della laicità da sola non bastera e occorrerà mettere l’Europa in condizioni di intervenire nelle situazioni sociali con più peso e soprattutto lavorare sull’integrazione tenendo conto che si tratta di un processo complesso nel quale le comunità immigrate non possono essere considerate in una condizione “infantile” ma devono assicurare reciprocità nello scambio. E i paesi di provenienza degli emigranti non possono supportare queste trasformazioni in maniera fruttuosa se non avviano una tendenza di apertura anche in casa propria.

Aldo Ciummo

Da European Alternatives / Interview with Seyla Benhabib

 

The Rights of others, copertina di un libro di Seyla Benhabib. Euroalternatives è un progetto che partendo da una visione sociale dell’Europa si propone di stimolare la partecipazione dal basso alla costruzione politica del continente come paese. L’intervista a Seyla Benhabib di Giuliano Battiston si trova anche in italiano sul sito http://www.euroalter.com

Introduciamo la prima parte di una intervista a Seyla Benhabib, che è presente per intero sul sito di European Alternatives per la quale è stata scritta da Giuliano Battiston, così come pubblicata sulla home del sito

www.euroalter.com (sul quale l’articolo è disponibile anche in italiano) .  

Seyla Benhabib insegna Scienze Politiche e Filosofia all’Università di Yale. Si è occupata molto della ridefinizione della cultura, della democrazia e del concetto di confine nell’epoca dei migranti che è quella attuale.

Si consideri questa una introduzione ad articoli in altre lingue europee che si affiancheranno a quelli in italiano, Skapegoat sta coinvolgendo collaboratori italiani e stranieri.

 Ma questo articolo è un servizio di European Alternatives e la pubblicazione di questi paragrafi è da considerarsi un invito all’approfondimento del sito del progetto citato.

Interview with Seyla Benhabib

 

di    Giuliano Battiston

Seyla Benhabib is a professor of political science and philosophy at Yale, and director of the program in Ethics, Politics, and Economics, and a well-known contemporary philosopher. She is the author of several books, most notably about the philosophers Hannah Arendt and Jürgen Habermas. Benhabib is well known for combining critical theory with feminist theory.

 GB: Some people and scholars maintain that restrictions on immigration are necessary, in order to protect a country’s political and legal culture and its constitutional principles. Instead, you have often asserted that the presence of individuals whose cultural identities differ from the majority can strengthen a society’s constitutional laws – leading “to a deepening and widening of the schedule of rights in liberal democracies” – thanks to what you call a “jurisgenerative politics”. Could you explain it to us?

SB: According to me, an immigrant person introduces a new ubjectivity into the host society, and brings in a set of new demands. If we look through some of the most sensitive questions recently to have come out across Europe – the hijab, polygamy and the debate about the setting of courts or legislations consistent with sharia – we realize that these cases emerge from a profound cultural challenge that could be productive. Democratic liberalism founds itself on principles and values: the constitution fixes some principles, which in their turn reflect fundamental values about nature and human dignity.

It is anyway necessary to belongbear in mind that values are abstract and place themselves on what we could call a regulatory level. In every specific case, we should identify some values and principles that are more fundamental than others and, according to them, handle different ways of living within our cultures. Obviously, there can be principles of incompatibility: for instance, I do not accept the principle of polygamy, because I believe it is not egalitarian, it violates gender equality and women’s dignity. But there are also occasions when our disagreement must be subordinated to attempts to find a “human” solution to certain problems.

It is just in these attempts that a jurisgenerative practice is produced: there is a “jurisgenerative praxis” whenever there is a confrontation with new subjectivities and demands, which allow us – or forces us – to rethink the true basis of our constitutional principles, and sometimes pushes us towards a new and diverse articulation of our fundamental values. This usually occurs when we discuss issues such as equality, when we question ourselves about the legitimacy of wearing hijab at workplaces or the legitimacy of homosexual marriages.

(il resto dell’articolo di Giuliano Battiston può essere letto su www.euroalter.com , nessun amico dell’Europa è un concorrente, NdR)