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Kevin Rudd: “l’Australia non è un paese razzista”

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Il dibattito sugli scontri tra culture e sulle difficoltà di integrazione è salito alla ribalta questa settimana in Australia, a seguito di eventi criminosi

 

 

Alcuni incidenti xenofobi, registratisi nelle principali città australiane negli ultimi mesi, hanno creato un clima di diffidenza in alcune comunità, fino a portare ieri molti tra gli indiani che vivono lì ad ipotizzare una matrice razzista nel caso di un omicidio di cui non è stata accertata la ragione (la vittima era uno studente e lavoratore proveniente dall’India).

La dinamica del brutale omicidio, condotto dando fuoco alla vittima, e l’uccisione pochi giorni fa di uno studente indiano anche lui, accoltellato, hanno diffuso più che inquietudine.

Non sono emersi però, secondo quanto rilevato dagli inquirenti, segni di matrice razzista e Kevin Rudd, primo ministro australiano, ha rigettato pubblicamente l’immagine di un paese che non accetta gli stranieri diffusa da alcuni.

L’Australia difatti è una nazione nata dall’immigrazione, rientra negli altissimi standard di apertura alle culture di recente arrivo tipici del mondo anglosassone ed è uno degli stati che fa di più per favorire l’integrazione dei nuovi cittadini attraverso l’istruzione ( assieme all’ U.K ).

La società australiana sta cambiando rapidamente, anche con l’insediamento di tanti cittadini asiatici ed è vero che si registrano gravi casi di intolleranza da parte di alcuni settori della società. Ma la stragrande maggioranza della popolazione si distingue per attivismo in favore di un equilibrio multiculturale.

Tim Watts, consulente del governo di Canberra e della compagnia di comunicazione Telco, ha messo in piedi un gruppo antirazzista nel suo paese e riecheggiando quanto detto da Kevin Rudd ha affermato che l’Australia non è un paese intollerante, tutt’altro, e che proprio per questo è opportuno preservare l’eccezionale tradizione di ospitalità e di comprensione da parte della comunità australiana, alimentando, anche per il futuro le condizioni che permettono lo scambio culturale e l’integrazione.

Watts però solleva un problema che non è soltanto del suo paese, sottolineando che la legislazione a volte è equivoca nel permettere a minoranze intolleranti ed anche a esponenti istituzionali di alimentare invece gli ostacoli verso gruppi di persone in via di inserimento nella comunità, e soprattutto che le istituzioni da sole non bastano ed occorre far lavorare la cultura, processo molto più lento dei grandi cambiamenti globali che sollevano disagi e paure.

Il consulente passato all’attivismo in favore dei diritti è uno dei tanti esempi delle naturali tendenze all’integrazione da parte della maggioritaria società australiana, in linea con la tradizione liberale di questo paese e delle società culturalmente affini .

Aldo Ciummo

Per i fascisti di ogni colore politico non va bene una donna a Ministro degli Esteri Europeo

 
 

La Commissione Europea. Si aggiungono oggi altre forme istituzionali che non possono portare alla crescita della nostra Europa senza la maturazione di quella partecipazione democratica che è impossibile senza la demolizione delle diseguaglianze economiche, del sessismo e dei diversi razzismi incluso quello derivante dalla legnosità ideologica

Piovono le critiche sulle nomine: Herman Van Rompuy non va bene come Presidente (non sia mai qualcuno voglia mediare tra diversi interessi senza arroganza); Catherine Ashton invece non avrebbe il curriculum per gli Esteri (ma aver combattuto le disuguaglianze è un peccato capitale?). Il tutto al termine di un processo politico segnato dal rifiuto aprioristico e irrazionale dell’ inglese  Tony Blair al vertice della UE (il candidato più credibile in circolazione). Intanto, l’asse franco-tedesco non ha potuto impedire nomine che svecchieranno un pò l’Europa.

 

 di    Aldo Ciummo

Piovono critiche sulle nomine, fino a ieri Tony Blair non doveva andare bene come Presidente della UE perchè il Regno Unito non aveva accettato sempre tutto dell’Europa centralista (ma non si sapeva indicare un altro candidato credibile). Oggi, dopo la scelta di una donna a Ministro degli Esteri dell’Unione Europea, (cambiamento di cui sarebbe ora, dato che all’interno dell’Unione ci sono stati dove sono quasi tutti maschi anche gli assessori) e dopo l’indicazione a presidente di Herman Van Rompuy, che ha riavviato la cooperazione tra fiamminghi e valloni in Belgio (e la farraginosa macchina europea, complicata da interessi e sensibilità contrapposte, non dovrebbe sputare troppo su chi vuole mediare senza arroganza) pure questi non andrebbero bene, in quanto candidati “deboli”, anche se della efficacia della “forza” dei candidati decisionisti abbiamo qualche esperienza in Italia, specialmente nella qualità della partecipazione democratica e della sensibilità civica che oramai questa scarsa qualità riversa visibilmente nella società.

Ma allora vediamo chi sono questi illustri sconosciuti e se sono davvero sconosciuti o se come spesso accade si tratta di gente che ha lavorato senza parlare tanto e di tutto ogni volta che secondo le televisioni dei vari stati nazionali c’era qualcosa da dire. il nuovo presidente europeo Herman Van Rompuy è nato a Etterberk, il quartiere europeo di Bruxelles, è un appassionato di cultura giapponese in un Europa che di culture extraeuropee ne conosce e ne accetta poche. In quest’ultimo anno ha sbloccato una situazione istituzionale di stallo, in uno stato paralizzato dalla contrapposizione tra francofoni restii a cambiare uno stato di fatto che destina loro più risorse di quante sarebbe realistico e fiamminghi convinti troppo frettolosamente e superficialmente di una esigenza di autonomia di cui non si capisce bene a cosa potrebbe portare in uno stato indivisibile per fattori  oggettivi (Bruxelles è il punto di riferimento di tutti i belgi, è un melting pot oramai europeo e mondiale e non solo rispetto alle tre comunità francofona, fiamminga e tedesca ed è capitale europea.)

La crisi politica in Belgio era durata diciotto mesi, quindi: Van Rompuy forse appare troppo gentile per ispirare fiducia alla gente, specialmente a Sud, ma in tutta evidenza non è incapace di decisioni, anzi è un fine politico. Come secondo aspetto, si potrebbe aggiungere che, senza essere inutilmente arrogante, Van Rompuy sostiene coerentemente le sue idee. Il nuovo presidente europeo è contrario all’ingresso della Turchia nell’Europa. Si può essere d’accordo con lui oppure essere contrari a quello che dice, quello che è certo è che Silvio Berlusconi che appoggia l’ingresso turco nella Ue dovrebbe spiegare poi ai suoi elettori quanto c’è di vero nel fatto che sostiene di volere che l’Italia non cambi troppo e  che quella sinistra che in Italia vuole bene a tutti ma si rivolge oramai esclusivamente ad una fascia dell’elettorato che non ha mai affrontato preoccupazioni economiche e pratiche dovrebbe spiegare quali risorse intende destinare al prevedibile afflusso di milioni di nuovi cittadini comunitari, che meritano rispetto laddove si trasferiranno, non promesse poi pagate finanziariamente da categorie tradizionalmente conservatrici. Scegliere atteggiamenti poco realisti non è funzionale all’integrazione, una necessità civile improrogabile. Al contrario.                Dal 1993 al 1999 Herman Van Rompuy ha colmato il debito pubblico belga in qualità di ministro al Bilancio. Ce n’è abbastanza per dissipare le preoccupazioni di incompetenza che in Italia potrebbero turbare il pubblico, all’apparire di uno che non strilla abbastanza.

Quanto a Catherine Asthon, dal 1983 al 1989 ha diretto Business in the Community, associazione di imprese che si occupa delle diseguaglianze, un tabù che l’Europa iperliberista non vuole affrontare ma anche un problema al quale è ora che si metta mano, invece di preoccuparsi di assicurare un direttorio strettamente continentale (e secondo alcuni a priori più sociale del Regno Unito, che invece di fatto ha un modello inimitabile di assistenza pubblico e una televisione pubblica indipendente dallo stato e libera di criticare il governo) all’Unione Europea.

Catherine Ashton è il nuovo Ministro degli Esteri della UE e questo fa storcere il naso a molti di destra e di sinistra, il sessismo è molto forte in alcuni stati ed inoltre la carica di Alto Rappresentante della PESC (Politica Estera e di Sicurezza Comune) ha ora un’importanza molto accresciuta dal Trattato di Lisbona. Catherine Ashton è stata responsabile dell’Autorità sanitaria dello Hertfortshire e sottosegretario britannico all’Istruzione, ricoprendo entrambe le cariche in un paese, il Regno Unito, che si prende cura delle persone molto di più di quanto non faccia con i simboli di partito. Ed il partito laburista, cui appartiene, ha costruito fin dal secondo dopoguerra un solido stato sociale, non un intreccio di corporazioni nazionalpopolari.

A Bruxelles, Catherine Ashton ha una esperienza di Commissario al Commercio e politicamente di leader dei laburisti alla camera dei Lord. L’Italia ad oggi non ha avuto nomine e questo da un punto di vista della distribuzione territoriale non è perfettamente corretto. Ma le considerazioni opportunistiche della politica degli stati nazionali non devono nascondere il fatto che alcuni cambiamenti nella UE sono positivi.

In Italia, formalmente una delle democrazie mature, c’è una forza politica maggioritaria dominata da una persona sola (Silvio Berlusconi) il quale come farebbe il leader di una forza extraparlamentare insulta, denuncia e chiama manifestazioni di piazza ed elezioni anticipate invece di fare (e non è detto che sia un male, visto che quando ha fatto, ha fatto la Bossi-Fini contro gli immigrati, la Fini-Giovanardi che criminalizza persone comuni e la legge sul rientro dei capitali, che umilia l’uomo della strada ed impoverisce le casse pubbliche). E c’è un sistema politico, di cui il PD e le sue appendici fanno integralmente parte, che sancisce il maschilismo dentro le istituzioni e la concentrazione delle risorse economiche al di fuori.

Se l’Europa si orienta verso una efficace mediazione tra i diversi interessi e le diverse culture politiche, sblocca la carenza di partecipazione femminile ai vertici delle istituzioni, si affeziona di più alla produttività che alla punizione della piccola impresa, lavora per l’integrazione delle diverse culture evitando che a monopolizzare il tema della multiculturalità siano minoranze portatrici di razzismi alternativi ma non meno pericolosi di quello tradizionalmente inteso, questi cambiamenti non saranno sintomi di debolezza, pure se i candidati nominati non hanno passato la vita davanti alle telecamere, ma si riveleranno fenomeni di progresso e forse potranno forzare in direzione di uno sviluppo più equilibrato anche le nazioni rimaste penosamente ostaggio della Chiesa, delle oligarchie economiche e di piccole corporazioni ultraideologizzate perfettamente prospere tra questi due poteri grazie ad una funzione ornamentale di critica.

POLITICA|Ddl Sicurezza. In commissione salta l’obbligo di denuncia del “pizzo”

La stangata non è piaciuta a Maroni: «La norma anti-racket dovrà tornare». Dubbi sulla fiducia

di Simone Di Stefano/Dazebao, l’informazione on line

Il potere del consenso, ciò che oggi conferisce a Silvio Berlusconi la spregiudicatezza di poter assumere qualsiasi decisione, anche la meno condivisa. Lo ha dimostrato più volte all’interno del suo stesso partito, rafforzando la sua leadership fino a sfiorare il culto della personalità. I suoi discepoli prendono appunti e cercano di imitarlo.

Ciò che è accaduto nella nottata di ieri, nelle commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia di Montecitorio ne esprime bene la misura. Lì doveva uscire il testo del ddl sicurezza, ma il provvedimento voluto da Maroni e già bocciato una volta in Senato non piace all’opposizione che lo ritiene una legge razzista. Così l’opposizione in segno di protesta ieri notte ha fatto fagotto e ha lasciato i lavori protestando e piantando in asso il Pdl.

Dal canto suo, la maggioranza non solo ha pensato bene di proseguire la discussione, nonostante l’assenza dell’intera opposizione, ma ha anche eliminato dal testo la norma contenuta nello stesso ddl, quella sull’obbligo per gli imprenditori titolari degli appalti pubblici di denunciare le estorsioni, avallando così le richieste dei costruttori edili. Un colpo basso che consente alle infiltrazioni mafiose di continuare a speculare indisturbate sull’edilizia. Durissime le reazioni dell’opposizione.

Minniti, Pd, parla di «gravissimo errore perché il principio contenuto nel testo licenziato dal Senato era ed è in sintonia con le iniziative fatte in questi mesi dalle associazioni anti-racket e dalla stessa Confindustria ed era frutto anche del lavoro del Pd». L’obiettivo, spiega Minniti «era ed è quello di rafforzare il sostegno a quegli imprenditori che non intendono soggiacere alle prepotenze del racket e delle mafie». Ironico invece il commento di Pino Sgobio, responsabile per il mezzogiorno del Pdci, all’attacco anche dell’opposizione: «La mafia si sta fregando le mani dalla gioia. La cancellazione dell’obbligo di denuncia del pizzo da parte degli imprenditori, escluso dal ddl sicurezza, senza che l’opposizione battesse ciglio, è una regalia alle organizzazioni criminali».

Ancor più duro il commento di Tano Grasso, presidente onorario della federazione anti-racket italiana, che attacca l’associazione costruttori e si dice convinto che «se l’opposizione fosse stata presente in commissione sarebbe stato bocciato quell’emendamento. Su questa proposta c’era quasi unanimità al Senato, si dava con questa norma un segnale forte. Adesso si torna indietro». A rispondere alle accuse tuttavia ha provveduto la responsabile legalità del Pd, Pina Picierno, sottolineando come la colpa sia da attribuire «solo alla maggioranza e non all’opposizione, che era uscita dai lavori della commissione per protestare contro i contenuti razzisti e deliranti di un emendamento vergogna del Pdl che impedisce ai figli dei clandestini di essere registrati all’anagrafe».

Un fatto doppiamente grave, prosegue Picierno, «poiché indica una vera e propria strategia dolosa». Un regalo alla mafia, dunque, proprio la sera prima dell’inaugurazione, avvenuta stamane a Montecitorio, dell’epigrafe in memoria del parlamentare Pci, Pio La Torre, vittima 27 anni fa di un attentato proprio ad opera di Cosa nostra. Un colpo di spugna che comunque non è piaciuto neanche alla Lega e a Maroni in particolare, accentuando ancor più la divergenza di vedute tra il Pdl e il Carroccio.

Lo si capisce dalle parole del fautore del discusso ddl, che non ha apprezzato la modifica del suo pacchetto sicurezza. È per questo che Maroni si è detto fin da ieri convinto che la norma debba tornare nella sua versione originaria. «Una norma condivisa da tutti, quindi, a partire dal procuratore nazionale antimafia e dalle associazioni anti-racket», ha sottolineato il ministro degli Interni. Intanto, in vista dell’iter parlamentare del ddl, l’interrogativo che perseguita in queste ore Maroni sta nel capire «se le acque sono ancora agitate da dover porre la fiducia o meno». In tal caso il ministro si è detto pronto a convocare per martedì prossimo un consiglio dei ministri speciale.

di Simone Di Stefano/Dazebao, l’informazione on line