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I mandarini e le olive non cadono dal cielo | LETTERA APERTA DEGLI IMMIGRATI DI ROSARNO

I territori della nostra Europa continuano a vivere e si proiettano verso il futuro anche grazie all'apporto di coloro che spesso ancora non vogliamo considerare cittadini a tutti gli effetti

 

Pubblichiamo una lettera aperta della Assemblea Africana dei Lavoratori di Rosarno a Roma. Nello stesso modo in cui il sito ha sempre diffidato di posizioni semplicistiche squadrate dalle ideologie e continuerà a rigettare teorie antioccidentali che vedano i gruppi europei sempre dalla parte del torto senza verifiche, mantiene anche ferme le basi democratiche ed antifasciste da cui è nata l’Europa (e la Costituzione italiana): per questi princìpi un uomo è tale indipendentemente dai documenti e la dignità del lavoro va difesa indipendentemente dalla nazionalità. E gli spazi a disposizione devono dare voce anche a chi non ne ha, come diceva Ryszard Kapucinski.

 

In data 31 gennaio 2010 i lavoratori Africani di Rosarno a Roma si sono riuniti per costituire una assemblea ed hanno elaborato questo comunicato, che dovrebbe ricevere attenzione da parte di tutti i cittadini europei che vivono questa area del territorio italiano.
Siamo i lavoratori che sono stati obbligati a lasciare Rosarno dopo
aver rivendicato i nostri diritti. Lavoravamo in condizioni disumane.

Vivevamo in fabbriche abbandonate, senza acqua né elettricità.
Il nostro lavoro era sottopagato. Lasciavamo i luoghi dove dormivamo ogni mattina alle 6.00 per
rientrarci solo

la sera alle 20.00 per 25 euro che non finivano nemmeno tutti nelle
nostre tasche. A volte non riuscivamo nemmeno, dopo una giornata di duro lavoro, a
farci pagare.

Ritornavamo con le mani vuote e il corpo piegato dalla fatica.
Eravamo, da molti anni, oggetto di discriminazione, sfruttamento e
minacce di tutti i generi.

Eravamo sfruttati di giorno e cacciati, di notte, dai figli dei nostri
sfruttatori. Eravamo bastonati, minacciati, braccati come le bestie, prelevati,
qualcuno è sparito per sempre.

Ci hanno sparato addosso, per gioco o per l’interesse di qualcuno.
Abbiamo continuato a lavorare.

Con il tempo eravamo divenuti  facili bersagli. Non ne potevamo più.
Coloro che non erano feriti da proiettili, erano feriti nella loro dignità
umana, nel loro orgoglio di esseri umani.

Non potevamo più attendere un aiuto che non sarebbe mai arrivato
perché siamo invisibili, non esistiamo per le autorità di questo paese.

Ci siamo fatti vedere, siamo scesi per strada per gridare la nostra
esistenza. La gente non voleva vederci. Come può manifestare qualcuno che non
esiste?

Le autorità e le forze dell’ordine sono arrivate e ci hanno deportati
dalla città perché non eravamo più al sicuro. Gli abitanti di Rosarno si
sono messi a darci la caccia, a linciarci, questa volta organizzati in vere e
proprie squadre di caccia all’uomo.

Siamo stati rinchiusi nei centri di detenzione per immigrati. Molti di
noi ci sono ancora, altri sono tornati in Africa, altri sono sparpagliati
nelle città del Sud.

Noi siamo a Roma. Oggi ci ritroviamo senza lavoro, senza un posto dove
dormire, senza I nostri bagagli e con i salari ancora  non pagati
nelle mani dei nostri sfruttatori.

Noi diciamo di essere degli attori della vita economica di questo
paese, le cui autorità non vogliono né vederci né ascoltarci. I mandarini, le
olive, le arance non cadono dal cielo. Sono delle mani che li raccolgono.

Eravamo riusciti a trovare un lavoro che abbiamo perduto semplicemente
perché abbiamo domandato di essere trattati come esseri umani. Non siamo
venuti in Italia per fare i turisti. Il nostro lavoro e il nostro sudore serve
all’Italia come serve alle nostre famiglie che hanno riposto in noi molte
speranze.

Domandiamo alle autorità di questo paese di incontrarci e di ascoltare
le nostre richieste:

– domandiamo che il permesso di soggiorno concesso per motive
umanitari agli 11 africani feriti a Rosarno, sia accordato anche a tutti noi, vittime dello
sfruttamento e della nostra condizione irregolare che ci ha lasciato
senza lavoro, abbandonati e dimenticati per strada.

Vogliamo che il governo di questo paese si assuma le sue
responsabilità e ci garantisca la possibilità di lavorare con dignità.

L’ Assemblea dei Lavoratori Africani di Rosarno a Roma

L’ Europa non sarà questa

 
 

A Rosarno è esplosa una nuova rivolta di immigrati. Questo è quello che accade quando si tratta la vita umana come una merce e si considerano le persone mera forza lavoro. Rivolte di clandestini – tali quando si tratta di reclamare diritti ma non quando si accetta che costruiscano parte della nostra ricchezza – si sono verificate in questi anni in Italia come in Francia ed in Grecia.

A  Rosarno tra ieri ed oggi è scoppiata una rivolta di extracomunitari, dopo il ferimento di alcuni di loro da parte di “ignoti”. Come di consueto quando sono trascinati per le braccia e per le gambe a rivoltarsi contro situazioni inaccettabili che ne mettono a rischio la semplice incolumità, gli immigrati diventano una notizia, non sono tali quando lavorano al nero costruendo parte importante della ricchezza dei nostri paesi, nè quando sono rinchiusi in silenzio nei centri di detenzione appositi, per il reato di essere entrati clandestinamente nel territorio che, diciamo così, li “ospita”.

Il lavoro sottopagato dei nuovi cittadini, spesso anche quando sono regolari e si tengono strette le condizioni che gli sono state dettate, è una realtà molto spesso tacitamente accettata e attivamente promossa da quelle stesse fasce sociali che della precarietà (straniera e generalizzata) del lavoro, si avvantaggiano e che poi attaccano la trasformazione della società, come se la presenza delle persone e di ciò che significano possa essere rifiutata come un fatto avulso dalla richiesta invece della forza lavoro. E come se i problemi di ordine pubblico scaturiti dalla marginalizzazione dei clandestin non derivassero dalla negazione dei diritti e con questi della partecipazione alla democrazia “ospitante”.

L’Europa, paese aperto come dimostra la sua storia anche recente, con l’ingresso di cittadini di origine straniera negli esecutivi di vari governi e città importanti in paesi avanzati (nel Regno Unito, in Olanda e in molti altri stati), fa dell’immigrazione, come forza lavoro anche qualificata ma non di meno come arricchimento culturale e sociale del continente, uno degli stimoli che la può portare a competere nel mondo di oggi, che non è un insieme di fortezze. Nonostante l’irrigidimento di una parte significativa della popolazione sul tema delle migrazioni, le culture politiche tradizionali in Italia non sono in sintonia con la gente comune, in buona parte politicamente laica o addirittura disinteressata – e non senza ragioni – alla politica del palazzo, l’integrazione non è un discorso partigiano: conservatori progressisti (nella improbabile ipotesi che l’Italia specialmente e l’Europa in generale possano dividersi lungo questa linea) sono tagliati da posizioni trasversali in materia.

I paesi più avanzati nella cultura della democrazia ed anche per questo indubitabilmente più forti pure economicamente (congiunture a parte) come Stati Uniti e Regno Unito, hanno accolto, nonostante aspre difficoltà iniziali, un gran numero di immigrati, anche raggruppati in comunità compatte ed estremamente diverse dal paese ospitante e grazie a queste esperienze oggi sono capaci di circoscrivere reazioni di tipo medioevale da parte di segmenti marginali popolazione autoctona (tendenze che peraltro lì si manifestano in presenza di una pressione demografica da parte delle “minoranze” di proporzioni ben diverse, nel senso di fortemente maggiori, rispetto a quelle conosciute dall’Italia o dalla Spagna).

L’Italia, assieme ad una gran parte dei paesi del sud e dell’est del continente ed in qualche misura in maniera comune a tutta la Ue, ha la fortuna di conoscere una immigrazione poco identitaria, perchè sfaccettata in mille comunità nazionali, con emigranti che si ritrovano in modo generalmente disomogeneo sul territorio nazionale con i propri concittadini e aspirano a diventare cittadini del paese di arrivo, pagando tasse ben prima di diventarlo e comunque buttando il sangue al nero nella costruzione della ricchezza dei propri benefattori ed ottenendo cittadinanza e servizi molto dopo, leggende a parte. Ben diversa la situazione in qualche stato europeo ed extraeuropeo, spesso definito ultraliberista da una sinistra rimasta ai primissimi anni cinquanta, ma dove non si fanno le differenze per il colore della pelle. Ma anche per quello lì ci sono società che non sono state schiantate dalla crisi, pur essendosela vista brutta.

I cittadini dell’area della Calabria dove si è verificata la rivolta hanno manifestato disagi reali. Come difficoltà concrete esprimono i lavoratori che si sentono messi nell’angolo dalla possibilità, per le aziende, di sfruttare immigrati che diventano così una concorrenza al ribasso. In tanti, soprattutto nelle generazioni più recenti che si rendono conto che comunque gli extracomunitari ci sono ed è meglio che un tetto dato che faticano lo abbiano e che in moschea o nella chiesa ortodossa se vogliono (e se come avviene pagano profumatamente tasse e documenti) possano andarci, si chiedono: ma non sarebbe meglio concedere ai nuovi cittadini gli stessi diritti che hanno gli altri, in modo che tra l’altro tutti possano reclamarli senza il ricatto del disperato che potrebbe fare lo stesso lavoro al nero perchè clandestino?

Sarebbe troppo facile, poi bisognerebbe investire nella ricerca industriale ed imprenditoriale piuttosto che nella precarizzazione del lavoro, ed in tanti perderebbero posizioni di rendita e postazioni di ruolo culturale. Non certo soltanto a destra.

Aldo Ciummo