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Il calcio gaelico diventa un ponte tra Irlanda e Svezia

 
 

Uno degli elementi più validi al quale gli emigranti si sono sempre appoggiati per coltivare il legame con la madrepatria, nel mondo globalizzato (ed all'interno dell'Europa e dell'Occidente sempre più aperto) di oggi è anche un mezzo efficace per saldare le diverse culture e rafforzarne le affinità

La comunità irlandese in Svezia, per quanto piccola, non è così sparuta, in un paese poco densamente popolato. La cultura locale, aperta alle novità, è terreno fertile per il mantenimento di tradizioni che tra i celtici sono forti, anzi, qualche svedese comincia ad essere contagiato dallo sport amato dagli irlandesi. D’altronde, le somiglianze tra i due diversi popoli esistono.

di   Aldo Ciummo

 

Patrick Reilly recentemente ha scritto su un notiziario in lingua inglese dedicato alla Svezia che gli abitanti del più grosso paese scandinavo cominciano a vedere, insieme con i non pochissimi irlandesi che hanno messo radici qui, una delle abitudini cui i celtici non rinunciano. Il calcio gaelico in Irlanda è qualcosa che è possibile guardare sui megaschermi di molti pub, e che i cittadini dell’isola verde condividono con poche comunità molto affini a loro, come l’Australia.

Almeno 1500 irlandesi sono in Svezia da molto tempo e le stime realistiche indicano che sono parecchi di più.  A Malmo e Gothenburg sono nati club del GAA (Gaelic Athletic Association) e quest’ultima è una realtà legata alla storia dell’Irlanda in maniera paragonabile a quella in cui il calcio è presente da noi in Italia, difatti l’associazione del calcio gaelico è una aggregazione che ha perfino subìto pressioni politiche durante il periodo in cui l’Irlanda non era ancora indipendente, per il fatto di essere un fortilizio delle tradizioni e della socialità nazionali.

Dopo alcuni anni, le squadre “verdi” cominciano ad attrarre anche giocatori ed appassionati del posto. Se accade di vivere in Irlanda e di trascorrere molto tempo contemporaneamente con irlandesi, svedesi, inglesi e finlandesi si finisce per realizzare che se le differenze culturali sono grandi, però in molte cose e prima di tutto nella capacità di essere una comunità estremamente accogliente per le singole persone, esistono forti affinità tra queste popolazioni. Non stupisce ciò che Patrick Reilly ha scoperto cioè la facilità con cui in tanti in Svezia sono stati uniti da uno sport, formando squadre che oggi organizzano tornei riconosciuti.

Se in Svezia ovviamente le folle non riempiono gli stadi come accade al Croke Park di Dublino in modo anche massiccio, con decine di migliaia di persone, però è una novità che si comincino ad organizzare tornei che coinvolgono naturalmente irlandesi e australiani (depositari di questa disciplina con regole leggermente diverse, è noto che anche per l’origine celtica di gran parte degli australiani le tradizioni in comune sono molte), ma ora anche svedesi e un pò di francesi e belgi. Una abitudine insomma che cresciuta in due aree del mondo anglosassone fa leva sulla forte radice di questo mondo nel nord per farsi conoscere in Europa.

Unione Europea ed Australia più vicine

 

Rinnovato l’accordo con quelli che sono un pò i “cugini d’Europa” nel Pacifico per la loro storia di emigrazione e di affinità

La maggior parte degli australiani ha qualcosa della cultura europea nella propria storia: inglesi, irlandesi, italiani, tedeschi, olandesi e poi tantissimi altri tra cui perfino maltesi, americani e libanesi, hanno fatto del continente che sta all’altro capo del mondo la nazione che è, naturalmente in continuo dialogo con l’Unione Europea.

Ieri il ministro degli Affari Esteri della Svezia, paese che sta guidando l’Unione Europea in questo semestre, ha avuto un incontro con il suo collega australiano, Stephen Smith, a cui ha partecipato anche Benita Ferrero Waldner (la quale è commissario alle Relazioni Esterne della comunità).  Nel corso dell’ incontro, dedicato ai rapporti speciali tra Europa ed Australia, oggetto nell’autunno dell’anno scorso di un accordo specifico, quest’ ultimo è stato ridefinito: la partnership infatti ha avuto un avvio positivo e per questa ragione è stata rafforzata in tutti i settori, dal commercio dei generi alimentari agli accordi sui trasporti.

In particolare è stato intensificato il coordinamento nell’assistenza allo sviluppo, un comparto nel quale l’Unione Europea sta acquisendo credito anche proficuo nei rapporti economici con le altre aree del mondo ed ambito nel quale i paesi anglofoni vantano una tradizione peculiare;       si è deciso inoltre di incrementare la collaborazione nello di energie alternative e nella ricerca tecnologica e scientifica. “Sono soddisfatto dei progressi raggiunti nel consenso tra Europa ed Australia”  ha dichiarato il Ministro degli Esteri australiano Stephen Smith alla Presidenza Europea, per quest’ultima invece è stato Carl Bildt a dire che il partenariato ha acquistato efficacia in vari settori.

La Svezia, come paese presidente di turno della UE, ha  la responsabilità di portare avanti relazioni durature con il resto del mondo ed è auspicabile che ciò avvenga anche per quanto riguarda le esigenze di solidarietà, in un’area problematica come il Pacifico. L’Europa può avvantaggiarsi della ricchezza di relazioni con molti paesi di questa regione geopolitica grazie alla presenza nella Ue del Regno Unito e quindi dei legami che l’UK ha saputo mantenere e sviluppare con tutto il Commonwealth. La stessa Svezia, nel portare avanti la presidenza, si è prefissata obiettivi caratterizzati dall’apertura, anche con riguardo all’allargamento europeo.

L’incontro è stato assorbito soprattutto dalla discussione di tematiche regionali e globali, come il G20,  la conferenza sul clima che si terrà a Copenaghen in dicembre e la situazione nelle aree interessate dalla presenza militare di paesi europei, come in Afghanistan. Si è parlato molto anche del vertice del Forum delle Isole del Pacifico che si è tenuto in agosto, perchè l’Unione Europea ritiene che proprio sul Pacifico si possa imparare molto dall’Australia per le strategie future di cooperazione e diplomazia.

Aldo Ciummo