• i più letti

  • archivio

  • RSS notizie

    • Si è verificato un errore; probabilmente il feed non è attivo. Riprovare più tardi.
  • fin dove arriva la nostra voce

  • temi

Temi sociali al festival di Berlino

I registi italiani hanno fatto emergere quest’anno argomenti trascurati dalla cronaca governativa, come la situazione delle carceri e la repressione dei movimenti

di   Aldo Ciummo

Le maggiori agenzie hanno dato la notizia del premio ricevuto dai registi Paolo Taviani e Vittorio Taviani per il film “Cesare deve morire” (l’orso d’oro, un titolo che non tornava in Italia da ventuno anni). I due registi hanno lavorato con i detenuti riportando in evidenza un tema, le carceri, che la cronaca sposta spesso in secondo piano oppure tratta soltanto con il metro della propaganda securitaria, tipica dei governi fortemente conservatori che si avvicendano in Italia quasi ininterrottamente dal 1994. Intanto, con la riduzione delle risorse che la cura concreta dei contesti urbani subisce anche durante quest’anno, nella cronaca italiana i temi della sicurezza diventano soltanto un mezzo di aggressiva comunicazione, mirata a scaricare i disagi crescenti contro alcune parti della popolazione, che siano operai che manifestano o immigrati.

Bisogna ricordare anche il film “Diaz, non pulire questo sangue” di Daniele Vicari, che ha vinto il premio del pubblico: il cinema fa in qualche modo quello che la televisione, controllata dal 1994 dai soggetti governativi che hanno organizzato i vertici internazionali, non ha potuto e voluto fare, cioè riporta una parte importante della cronaca, il G8 del 2001. L’aggressione da parte dello stato italiano contro manifestanti di molti paesi e i gravi abusi durante detenzioni illegali nel 2001 venne nascosta, negata, giustificata e minimizzata dalle televisioni e dalla stragrande maggioranza dei mass media attraverso le prese di posizione delle istituzioni, l’utilizzo dei maggiori telegiornali, la sovraesposizione e decontestualizzazione delle violenze compiute da frange minoritarie dei movimenti ed attraverso la dilazione delle notizie.

Il governo di Centrodestra italiano non fu solo nell’aggredire i movimenti attraverso diverse forme di repressione di piazza, istituzionale, mediatica e giudiziaria, ma ebbe la solidarietà di una parte consistente delle opposizioni, tuttora simile alle destre per indifferenza ai problemi sociali, chiusura all’immigrazione, fiducia nel liberismo selvaggio che ha portato alla crisi economica e che viene incredibilmente riproposto come soluzione assieme alla negazione della rappresentanza sociale (ad esempio nelle industrie) e se da questa situazione derivò negli anni immediatamente successiva una ricerca di coesione da parte dei movimenti, a lungo termine l’insieme di iniziative che sfociava nei Social Forum si è parzialmente disperso.

Certo i movimenti spesero la loro parte di errori, costosi in particolare in una società come quella italiana, con una tradizione conservatrice ed una popolazione di età media crescente (caratteri accentuati dall’accumularsi di controriforme nella scuola e nella comunicazione e dal ritorno dell’emigrazione) ed hanno sicuramente pesato sulla presenza dei movimenti nei territori almeno tre elementi: l’invadenza dei partiti strutturati (che si sarebbero peraltro poi avviati alla sparizione), le chiusure e gli estremismi di frange dei movimenti lontane dalla realtà sociale, l’assimilazione di gruppi facenti parte dei movimenti alle liste elettorali. Oggi le tematiche che rendevano tanto pittoreschi i movimenti agli occhi di molti sono gli unici argomenti  importanti in una società occidentale destabilizzata e danneggiata in profondità dai promotori finanziari del miracolo liberista: la tobin tax, la gestione condivisa delle risorse, lo sviluppo ecosostenibile, argomenti che vengono riconosciuto validi (anche se rigorosamente senza indicare una data in cui saranno introdotti nell’agenda delle misure da elaborare) perfino dagli stessi autori del fallito miracolo liberista che oggi ne socializzano le perdite e ne ripropongono come soluzione la trita filosofia, mentre guidano, sia pure con meno spettacolarità e più serioso tecnicismo, gli interessi della piccolissima frazione di società cui appartengono.

 

NOTIZIE SU REGIONI E CULTURE DEL NORDEUROPA SUL SITO DI INFORMAZIONE      www.nordeuropanews.it      NORDEUROPANEWS 

Continuità in Italia con la destra tecnica

Mentre alla UE si risponde con conti gravanti sulle fasce più colpite dal ventennio di destre liberiste e monopoliste, ci rimettono gli immigrati

di Aldo Ciummo

Di europeo, nello stivale, si vede poco: vengono introdotte le norme di rigore, caricate selvaggiamente sulle spalle delle parti della società che hanno pagato negli ultimi venti anni i costi delle scelte ultraliberiste in fatto di diritti del lavoro e delle politiche monopoliste riguardo alla concorrenza, decisioni di governi espressamente di destra e non solo.

Intanto si assiste, nella cronaca nera e giudiziaria delle maggiori città, ad attacchi agli immigrati ed a altri bersagli di una insofferenza popolare incanalata contro il diverso da una comunicazione di massa che negli anni del berlusconismo e di alternative “politicamente corrette” non poteva dirigersi contro rendite e squilibri determinati da interessi antichi, che oggi continuano ad avere una spropositata voce in capitolo, tanto che si permettono di impedire a coloro che lavorano in fabbrica di eleggere i propri rappresentanti.

E’ evidente quanti danni abbia fatto il liberismo selvaggio associato all’assenza di concorrenza (che oggi viene perpetuata con la protezione dei soggetti televisivi del monopolio) alle condizioni materiali della piccola e media impresa e della maggior parte della popolazione, così come è grave che la necessità per la destra di distogliere l’attenzione dai veri problemi e dalle vere iniquità abbia determinato campagne razziste e di chiusura che a varia intensità hanno attraversato il dibattito e l’intrattenimento pubblico in Italia, tendenze coltivate anche (per quindici anni su diciassette) da soggetti politici che oggi si propongono come alternativi agli ex alleati e dirigenti della propria coalizione di destra.

E’ preoccupante anche, però, l’insistenza con cui l’area progressista ha costantemente evitato o annacquato i temi del lavoro, dell’integrazione, della presenza sul territorio, del ruolo dei sindacati, del dialogo coi movimenti, dell’equità, del diritto all’istruzione e della lotta al razzismo. Con l’eccezione delle parentesi influenzate da Romano Prodi, (che culturalmente non era di sinistra ma dimostrava attenzione per i temi sociali) per il resto si è assistito ad aggregazioni di Centrosinistra intente soprattutto ad accreditarsi verso un asse della politica che i dirigenti degli ex partiti di sinistra consideravano evidentemente ormai spostato a destra, oltre che a condividerne molte scelte e molti interessi.

Questi presupposti, accettati dalla maggior parte dei dirigenti di forze che erano state di sinistra, sono stati smentiti dai fatti, a volte nella forma di vere e proprie dimostrazioni di consolidata opinione proprio da parte della maggioranza dell’ elettorato di riferimento delle liste maggiori che rappresentavano queste posizioni ultramoderate: ad esempio, in Puglia il PD insiste due volte a rifiutare una consultazione democratica della coalizione affermando che un candidato più a sinistra non può vincere e poi questo candidato vince due volte quelle consultazioni interne e poi prevale due volte contro l’area nettamente favorita in quella regione; in seguito un altro candidato della sinistra alternativa batte il Centrodestra nella sua roccaforte, Milano, dopo aver patito molto per convincere il maggiore partito della coalizione a sostenerlo, nel frattempo, a Napoli, un partito accusato tutti i giorni di essere populista eclissa un candidato rigettato dall’elettorato ma difeso da dirigenti di partito erroneamente confortati dal fatto che a livello nazionale possono scegliere i candidati in contrasto con l’opionione di coloro – gli elettori – che dovrebbero avere il diritto di sceglierseli.

Oggi, c’è continuità in Italia rispetto alle politiche di Centrodestra che hanno raddoppiato un debito pubblico che ora  il governo della destra tecnica chiede di pagare soltanto alla parte più in difficoltà della popolazione ma anche alla parte più in salute perchè più produttiva (piccole e medie imprese e professionisti), questa continuità c’è perchè non si affrontano le rendite, una parte delle quali generatesi in quella zona grigia che ha contribuito a creare la crisi (capitali anonimi e scudati oggetto di prelievi risibili in percentuale) ma si aggrediscono miti pensionati, precari e mondo produttivo, con misure classiste fin da quando esiste l’economia come l’iva, i carburanti e i tagli dei servizi sociali e pubblici.

Gli attuali governanti e quelli immediatamente (ed a lungo) precedenti ripetono che l’Italia è forte del suo risparmio privato. I fatti però hanno dimostrato che concentrare massicciamente questo patrimonio nelle mani di pochi noti, alcuni dei quali oggi protagonisti di prepotenze illegali contro sindacati storici, non è un metodo saggio per utilizzare questa presunta forza (anche perchè spesso poi queste risorse una volta accantonate vengono spostate in depositi che non sono tassabili in Italia ed in Europa), come non lo è operare questo spostamento di risorse attraverso la spoliazione della maggior parte della popolazione e delle sue parti più produttive: l’Europa è piena di paesi con meno capitale accumulato ma maggior redistribuzione le cui economie includono ogni anno di più decine di migliaia di italiani qualificati.

In Italia, se l’obiettivo è avvicinare lo stivale al resto d’Europa, non solo nei conti ma in parametri basilari di civiltà, solidarietà e laicità, finchè non esisteranno qui destre e alternative democratiche liberali simili a quelle tedesca, inglese, francese, la sinistra deve fare il suo lavoro, senza imitare le destre liberiste e leghiste come è avvenuto nel tragitto verso elezioni disastrose per il centrosinistra ma soprattutto caratterizzate da anni interi di incomprensibile adeguamento dell’area progressista ai princìpi antisociali che hanno portato alla crisi economica: le forze di alternativa debbono stare nella realtà ma senza accettarne una interpretazione forzata come quella che ancora oggi, dal governo in carica, viene proposta. Le misure antisociali dell’ortodossia liberista non producono una vera crescita, solo una società più debole, dove settori della popolazione lasciati in balìa delle difficoltà quotidiane ed affidate alla discutibile cura culturale dei leghismi producono fenomeni anacronistici come gli infami atti di intolleranza contro immigrati (cittadini che contribuiscono al progresso del paese molto di più di molti sostenitori della chiusura all’immigrazione) cui purtroppo si assiste e che una sinistra che voglia chiamarsi così deve cominciare a contrastare culturalmente, socialmente e politicamente sul territorio.