Il Consiglio dei Ministri ha parificato i nati nel matrimonio o non, l’aula regolarizzi ora anche i nati in Italia
Il decreto del Consiglio dei Ministri che ha riconosciuto l’uguaglianza tra nati nel matrimonio o meno all’interno del codice civile, sia pure riferito ad una residua distinzione formale, contribuisce a definire l’Italia come un paese civile. E’ auspicabile che ora sia il Parlamento a superare i diversi ostacoli posti negli anni scorsi da gran parte delle compagini conservatrici (e da una eccessiva incertezza nel campo alternativo a queste ultime) e riconosca come cittadini italiani quanti sono nati nel territorio nazionale e vi hanno studiato e lavorato.
La valutazione delle diverse situazioni è necessaria, così come l’obiettivo di una integrazione effettiva e comprensiva dell’acquisizione dei princìpi della democrazia costituzionale di cui si entra a far parte, ma ai nuovi cittadini, provenienti da altre parti del mondo, è urgente dare una prospettiva chiara di diritti ottenibili in tempi certi e realistici, non più attraverso un calvario annoso che non tiene conto della realtà di centinaia di migliaia di persone, spesso professionalmente qualificate ed ormai integrate da anni, anzi molte volte italiani di fatto dopo un percorso scolastico ed in tutte le esperienze di attività nel paese ospitante, persone che il paese ostacola frenando il suo stesso sviluppo.
La comunicazione distorta di un sistema più interessato a evidenziare esclusivamente tematiche securitarie ed a determinare deprezzamenti del valore del lavoro attraverso il ricatto di permessi brevi, che non a rendere maggiormente semplice e logica la vita di tutti i cittadini, inclusi gli immigrati, rende difficile da anni riconoscere i diritti dei nuovi cittadini, nati in Italia o che vi lavorano e vivono da tanti anni: lo ius soli è una realtà nella gran parte d’Europa e del mondo occidentale, un princìpio portatore di maggiore equità nella certezza della dignità delle persone e del lavoro dell’intera popolazione e non solo di un segmento, un parlamento che intenda rappresentare un paese laico nel senso più ampio del termine deve riconoscere al più presto anche questo diritto.
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