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Anche il Nord Europa festeggia a Roma

In questi giorni le comunità nordiche nella capitale si sono ritrovate in diversi eventi, dal coro a Piazza di Pietra all’incontro invernale del circolo Scandinavo a Trastevere

I giorni che precedono l’inizio delle feste sono stati pieni di occasioni di ritrovarsi per i cittadini del Nord Europa che vivono a Roma e per quelli che attraversano la città in questo periodo. Ad esempio il Circolo Scandinavo a Trastevere ha tenuto giovedì 15 dicembre il suo ultimo incontro dell’anno in corso, prima di Natale, proponendo idee ed opere di artisti contemporanei residenti a Roma e temporaneamente ospitati dalla struttura, sostenuta fortemente durante i decenni dalla Norvegia e da tutte le istituzioni nordiche e dalle altre comunità della Scandinavia residenti nella capitale.

Il circolo scandinavo si trova in città da un secolo e mezzo (dal 1860) e nella sua lunga storia ha visto passare nelle sue stanze Edvard Grieg, Erik Ibsen, August Strindberg, dato che allora come oggi l’obiettivo dell’istituto era permettere a pittori, scrittori, fotografi, scultori, musicisti, artisti visivi, compositori scandinavi di risiedere nella struttura per valorizzare al massimo il soggiorno ai fini espressivi.

A Piazza di Pietra il 15 dicembre 2011 ha avuto luogo invece il Natale Svedese con il coro del Nordiska musikgymnasiet di Stoccolma, che ha cantato le canzoni natalizie svedesi, con le caratteristiche candele sulla testa delle ragazze del coro. Santa Lucia è una canzone di origine napoletana (“Sul mare luccica”) entrata a far parte della tradizione svedese tanto che nel 1919 è stata tradotta, come ha spiegato al pubblico l’ambasciatrice Ruth Jacoby, accogliendo molto cortesemente la folla, l’evento infatti è stato tanto partecipato, riscuotendo la curiosità dei romani e stranieri presenti nel centro storico.

Sono stati offerti i dolci tipici, i biscotti speziati e allo zafferano accompagnati dal glogg, il vivo caldo speziato, ed i giovani del coro hanno formato il caratteristico semicerchio con la lucia al centro, in una lunga serata che è iniziata intorno alle 19.30 ed è andata avanti in una atmosfera già natalizia, grazie alla lunga preparazione di tutto il personale dell’ambasciata svedese e della comunità a Roma.

Aldo Ciummo

 

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ROGER BALLEN: UNA MACCHINA FOTOGRAFICA AL CIVICO DELLA PAZZIA

 

Roger Ballen: dresie cassie twins western transvaal 1993 from platteland

Uno degli scatti più famosi di Roger Ballen: all'epoca della sua svolta stilistica il grande fotografo abbandonò gli spazi aperti per rivolgere la sua attenzione al mondo nascosto del disagio, dell'emarginazione e della follia

Immagini quadrate per stanze chiuse. Luoghi nei quali l’obiettivo di Roger Ballen ha messo sotto vuoto una dimensione inquieta e sinistra confinandola nello spazio asfittico delle sue fotografie, recentemente raccolte in un nuovo lavoro, “Boarding House”.

 

 

di   Claudia Papaleo

 

Ballen nacque nel 1950, nella New York in cui i barattoli di “Tomato”  si apprestavano a passare dal carrello della spesa alla serigrafia, e dove da un pennarello a vernice, imboscato dentro una tasca di jeans sbrindellata, sarebbe saltato fuori un quadro da milioni di dollari. Sin da ragazzino, oltre a respirare l’aria di cambiamento che attraversava l’arte, poté vivere a stretto contatto con la fotografia. Durante gli anni ’60, sua madre lavorò per la Magnum e fondò una delle prime gallerie fotografiche della grande mela. Di più, Ballen poté scorrazzare tra le gambe di monna lise come Cartier Bresson, Eliot Erwitt, Paul Strand e soprattutto Andre Kertesz. Il lavoro di quest’ultimo, infatti, è spesso rievocato nelle  immagini del fotografo, anche solo da piccoli accorgimenti aggiunti come  si aggiunge una punta di sale nella pentola.  

Pure, nei primi anni ’70 la macchina da foto si trasformò in un giocattolo da prendere sul serio. Tra bandiere schiaffate addosso al cielo, ammucchiate di capelli rincalzati nei pantaloni, e zeppe che marciavano per le strade come palazzi a portata di ratto, Ballen documentò la rivolta, arraffando le sue immagini succulente con qualche lazo di pellicola.

Diversi anni più tardi,  l’Africa del sud;  il suo sole tremulo e avvampato che scrosciava calore costante, fondendo le zone rurali in cui il fotografo cominciò a passare il tempo libero. Qui, la svolta.

Ballen abbandonò improvvisamente lo spazio aperto, i paesaggi ossigenati che lo circondavano, per intrappolare se stesso e la sua Rolleiflex 6X6 negli ambienti chiusi. Quello che doveva fare, infatti, era fotografare la trappola. Alcuni emarginati bianchi del posto accettarono di smezzare con lui l’aria delle loro camere scarne, marchiate dai segni di mobili estinti. Allora le sue foto, con tocco lapidario, ritrassero volti sconditi di qualunque serenità. Uomini e donne dai sorrisi ebeti, che fissano l’obiettivo con sguardi stranianti e corpi anomali, sui quali, a volte, cola qualche vestito smunto. Immagini che creano corrispondenze arbitrarie tra persone e animali, ponendoli in una realtà alterata che respinge e attrae, corrodendo qualsiasi controllo razionale in chi guarda. E ancora esseri umani spesso legati da lampanti vincoli sanguigni, di cui Ballen raffigura il lato sottilmente difettoso con una franchezza a tratti fastidiosa. Una serie di scatti disarmanti per la loro autenticità, in cui l’imperfezione punta i piedi di fronte alla macchina fotografica con dignità e coraggio.

Presto le stanze dalle mura ulcerate, che perdevano grumi di vernice su pavimenti dall’aria tombale, divennero i luoghi di strane fantasie dal retrogusto angosciante, e la macchina fotografica l’occhio che sembra guardare il fondo di una scatola degli scherzi, in cui gli oggetti vengono disposti secondo accoppiamenti ostili. Ballen, infatti, prese ad arredare gli spazi di cui disponeva assecondando le logiche di intuizioni visive minacciose, che tendono a snaturare le cose per come le conosciamo, caricandole di isteria.

Mani nodose, gambe spolpate, volti preda di urla eccessive, fanno da comparsa sbucando da vecchi scatoloni o da pile di materassi pregni di polvere, mentre qualche resto di bambola giace crudamente a terra senza possibilità di innocenza. Il tutto amplificato dalla presenza di stampelle ritorte, graffiti infantili e pelli zebrate di animali scuoiati.

Immagini psicotiche quelle di Ballen, lo scolo di un incubo che fa sgranare gli occhi e ti lascia con un battito accelerato, mentre allontani lo sguardo a braccetto della follia.