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Più integrazione nella sanità per medici e pazienti stranieri

Oggi è giunta una notizia molto positiva a favore dei diritti civili, una impostazione che mette al centro le persone piuttosto che le posizioni amministrative

La Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente illeggittimo l’articolo 116 del codice civile. Si tratta di una notizia che in pratica sancisce dei diritti degli immigrati (come il matrimonio tra cittadini di diversa nazionalità).

L’Amsi, Associazione dei Medici Stranieri in Italia, ha commentato la sentenza auspicando che la consulta possa espormersi presto riguardo al divieto legislativo per medici ed operatori sanitari di origine straniera di sostenere concorsi pubblici se non sono cittadini italiani, nonostante tante sentenze del Tar che hanno accolto ricorsi in proposito.

Su queste pagine web aggiungiamo che l’apertura ad un numero di soggetti preparati a svolgere queste attività migliorerebbe la situazione di un sistema sanitario su cui pesa proprio la carenza di organico.

L’Amsi afferma anche che i pazienti stranieri irregolari, la cui presenza è diminuita nelle strutture sanitarie, dovrebbero poter tornare senza timori, causati dalle caratteristiche repressive della legislazione portata avanti negli ultimi anni.

L’Amsi ha contribuito fortemente alla funzionalità di molte strutture negli ultimi anni, assicurando a queste ultime il contributo di professionisti preparati e la conoscenza delle diverse lingue e problemi dei pazienti di diversa provenienza.

Aldo Ciummo

Islanda presto nella Unione Europea

 

I deputati europei si sono dichiarati favorevoli a negoziati positivi su tutte le questioni ancora in sospeso ed all’ingresso dell’isola nella comunità

 

E’ ancora vicina la data del 17 giugno, quando l’Europa ha deciso di avviare negoziati formali di adesione con l’Islanda, che nel luglio 2009 aveva presentato domanda in tal senso. E’ sempre più probabile quindi che l’isola diventi rapidamente il ventottesimo stato dell’Unione Europea.

Ieri i deputati europei hanno accolto favorevolmente la prospettiva dell’ingresso islandese nella Ue, nello stesso tempo però il Parlamento Europeo ritiene che le questioni ancora in sospeso, come la regolamentazione delle attività marittime, vadano affrontate una per una, al fine di rendere possibile una compiuta integrazione di Reykjavik nel contesto istituzionale comunitario.

Nella relazione di Cristian Dan Preda (PPE, Partito Popolare Europeo) si sottolinea la forte cultura democratica della nazione islandese e la presenza dello stato nel quadro di Schengen e nel contratto di libero scambio con la Ue siglato nel 1973. Una questione aperta è quella dei rimborsi ai governi inglese ed olandese, causata dal fallimento della banca Icesave nel frangente della crisi economica mondiale.

L’Autorità di Vigilanza dell’Efta (organizzazione che riunisce stati europei non facenti parte dell’Unione Europea) il 26 maggio si è espressa a favore di una rapida soluzione della controversia, attraverso un versamento atto a coprire il compenso minimo dei depositanti in Icersave nell’UK e nei Paesi Bassi. La politica europea, però, ha dovuto rilevare come lo stato islandese offra elevate garanzie di superamento dei problemi contingenti.

L’isola si presenta con una adeguata capacità di portare avanti le riforme che saranno opportune per integrare questa area in quella continentale: come membro dello Spazio Economico Europeo che riunisce stati facenti parte della UE e dell’Efta (European Free Trade Association), Reykjavik si è già adattata a gran parte della legislazione comunitaria e partecipando alle istituzioni continentali andrà probabilmente a rafforzare il ruolo di promozione dei diritti e di uno sviluppo sostenibile portato avanti dall’area nordeuropea scandinava con particolare forza in questi ultimi anni.

L’Unione Europea intende negoziare integralmente alcuni settori della gestione dello stato con l’Islanda: agricoltura, pesca, tassazione, politica economica e monetaria e relazioni esterne. L’Islanda auspica che i rapporti con la UE consentano e rafforzino un ruolo significativo di Rejkyavik nella regione artica. Un elemento che faciliterà la cooperazione è rappresentato dalla nuova commissione inter-parlamentare Ue-Islanda.

Aldo Ciummo

La Finlandia per una più forte cooperazione Usa-Ue

Tampere in Finlandia

 

Ieri il Ministro degli Esteri finlandese Alexander Stubb è intervenuto a Londra in merito ai rapporti tra Europa e Stati Uniti

Alexander Stubb ieri è intervenuto presso l’Istituto per le Relazioni Internazionali ospitato da Chatam House a Londra e sottolineato che occorre continuare a lavorare per raggiungere un livello di integrazione più efficace,  nonostante i buoni rapporti che la nostra Europa già intrattiene con gli Stati Uniti, grazie alla condivisione di valori e all’alto grado di integrazione economico.

Stubb ha affermato che il recente vertice di Copenaghen, con le sue difficoltà dovute ad una molteplicità di approcci diversi e le trasformazioni anche istituzionali, come il Trattato di Lisbona, intervenute nel mondo moltipolare di oggi, hanno dimostrato l’opportunità di rilanciare il dialogo tra UE e USA fino a ottenere un miglior grado di coordinamento.

La Finlandia, attraverso il proprio ministro degli Esteri, ha presentato cinque proposte: un patto per affrontare insieme tutte le situazioni di emergenza, un accordo per una economia ecosostenibile su entrambe le sponde dell’Atlantico, una vera area di libero commercio, un quadro comune comprendente UE ed Usa per andare incontro agli altri paesi nella cooperazione ed infine la costituzione di un gruppo di esperti per rafforzare le relazioni tra Unione Europea e Stati Uniti.

Il Governo di Helsinki può contare su una lunga esperienza di cooperazione internazionale ed anche regionale, per il lavoro svolto insieme a Svezia, Norvegia e Danimarca in molte questioni, per gli organismi dedicati all’area artica dei quali la Finlandia fa parte e per le missioni di grande rilievo portate avanti nel mondo negli ultimi decenni. L’approccio multipolare della nuova amministrazione Usa incrementa gli spazi per una politica atlantica comune.

Aldo Ciummo

l’Unione Europea vuole passi in avanti sul clima

 

Per l’Unione Europea il sistema secondo il quale si svolgono le discussioni sul clima nelle Nazioni Unite dovrebbe essere cambiato, per evitare che i vertici sul contrasto ai danni provocati dall’inquinamento diano come esito un nulla di fatto.

 

Nell’ultimo vertice sul riscaldamento globale si è veduto un peso eccessivo dei veti contrapposti e ciò ha impedito che le indicazioni positive che pure erano venute dalle elaborazion i della Unione Europea, dalla generosità dei paesi anglosassoni e dalle esperienze di economia sostenibile molto avanzate dei paesi scandinavi si traducessero in una decisione accettata da tutti.

A Copenaghen hanno pesato, probabilmente, la crisi economica che ha messo un freno alla politica ecologica di Obama e il mancato accordo con i paesi meno sviluppati, per i quali una politica industriale oculata in fatto di ambiente significherebbe effettivamente dover rallentare una crescita finanziaria di cui le popolazioni hanno bisogno in quei luoghi.

L’attuale presidenza della Unione Europea, attraverso il ministro degli esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos ha affermato che bisogna introdurre nuovi elementi se si vuole far funzionare le discussioni in materia di clima.

Nel 2012 “scade” il protocollo di Kyoto e il vertice che si è concluso il 19 dicembre con l’obiettivo di rimpiazzarlo ha prodotto un documento che auspica forti riduzioni delle emissioni di sostanze che provocano il riscaldamento del pianeta, ma non vincola le nazioni a risultati precisi in tal senso.

La Commissione Europea sostiene che questa situazione è incresciosa e Moratinos, per la presidenza spagnola della Unione Europea, ha dichiarato ieri che la UE intende arrivare ad un grado maggiore di impegno nel prossimo vertice che si terrà il prossimo dicembre in Messico. La Ue ha anche esortato gli Usa a sostenere questa posizione.

Aldo Ciummo

Jorge Castaneda: Multipolarismo nelle Americhe e nel pianeta

San Paolo nel Brasile

Lo studioso ed ex ministro degli Esteri del Messico, in vista di un 2010 che coinvolge il Brasile nelle decisioni più importanti e che trova Honduras, Venezuela e molti altri stati del subcontinente latino ancora alle prese con problemi difficili, ha descritto l’area come un laboratorio adatto alle sfide che attendono il pianeta complessivamente

 

In questi anni il Brasile che punta a superare le povertà direttamente con la valorizzazione delle nuove conoscenze, il Venezuela con la sua contraddittoria ricetta di emancipazione fondata sull’attivismo dello stato, Bolivia, Ecuador, Paraguay con le loro in gran parte legittime ma a volte semplicistiche aspirazioni di riappropriazione delle risorse, ma anche l’Argentina e il Cile con le proprie innovazioni politiche, Cuba con una testimonianza ancora viva pure se inficiata da limiti visibili, hanno preso il centro della scena nel mondo multipolare.

Secondo Castaneda, intervenuto sulle questioni latinoamericane alla fine del 2009, gli Stati Uniti sono destinati a ridurre la propria influenza nelle Americhe meridionali ma il loro ruolo resterà determinante nella soluzione delle crisi ancora in corso e parteciperà alle strategie di sviluppo che si stanno definendo. Messico, Brasile, Argentina, sono nella sua descrizione del panorama iberoamericano le avanguardie di una combinazione inedita di autodeterminazione nazionale e sviluppo dei diritti umani.

Castaneda ha menzionato logicamente il trauma del colpo di stato in Honduras, di cui resta da chiarire l’acquiescenza preoccupante da parte di settori economici e politici del mondo sviluppato, in assenza della quale sarebbe difficile immaginare la lunga tenuta dell’avventura di Micheletti, e menziona anche la tendenza autoritaria assunta dal governo di Chavez in Venezuela, una vicenda che, aldilà della piega antioccidentale e poco rispettosa delle regole democratiche che ha assunto negli ultimi anni, ha rappresentato per Caracas un esperimento capace di restituire al Venezuela ed a un’area più ampia una possibilità di autogoverno e di partecipazione improbabile pochi anni prima.

Tra l’interventismo invasivo del Novecento ed una nuova epoca di assenza delle iniziative nordamericane nell’America Latina, ha osservato Castaneda, esiste una via di mezzo che tenga conto dei rapporti anche positivi ed in ogni caso complessi (ed ineliminabili da un giorno all’altro se non a costo di scompensi dalle conseguenze poco prevedibili). America Latina e Stati Uniti sono legati storicamente, Brasile e Usa collaborano ai progetti riguardanti l’economia sostenibile ed a molto altro, Washington non può fare a meno di acquistare idrocarburi da Caracas (per quanto le politiche neoconservatrici nordamericane abbiano cozzato contro i progetti di nazionalizzazione portati avanti da Chavez). E lo sviluppo cileno resta interrelato a quello statunitense anche se settori importanti degli Usa hanno avuto un ruolo nella terribile ascesa di Pinochet e nella longevità del suo regime.

Castaneda ritiene che le istituzioni regionali e gli strumenti della democrazia siano in grado di inquadrare in una cornice di lungo periodo (e nella quale gli Stati Uniti e le potenze dell’area possano avere una parte attiva) le istanze di quella sinistra anche populista ma protesa a mettere in prima fila le fasce popolari a lungo escluse nel subcontinente latino: i governi nazionalisti di sinistra paraguayano, venezuelano, boliviano, ecuadoriano, la potenze storiche brasiliana e messicana, le esperienze cubana e nicaraguense.

Se gli Stati Uniti trovano la traiettoria per un rapporto rispettoso della sovranità a sud e le società sudamericane superano le ostilità stratificatesi nel ventesimo secolo, questo potrebbe dirsi davvero concluso per le Americhe, le cui responsabilità vanno verso un maggiore equilibrio nell’epoca del mondo multipolare.

Per i fascisti di ogni colore politico non va bene una donna a Ministro degli Esteri Europeo

 
 

La Commissione Europea. Si aggiungono oggi altre forme istituzionali che non possono portare alla crescita della nostra Europa senza la maturazione di quella partecipazione democratica che è impossibile senza la demolizione delle diseguaglianze economiche, del sessismo e dei diversi razzismi incluso quello derivante dalla legnosità ideologica

Piovono le critiche sulle nomine: Herman Van Rompuy non va bene come Presidente (non sia mai qualcuno voglia mediare tra diversi interessi senza arroganza); Catherine Ashton invece non avrebbe il curriculum per gli Esteri (ma aver combattuto le disuguaglianze è un peccato capitale?). Il tutto al termine di un processo politico segnato dal rifiuto aprioristico e irrazionale dell’ inglese  Tony Blair al vertice della UE (il candidato più credibile in circolazione). Intanto, l’asse franco-tedesco non ha potuto impedire nomine che svecchieranno un pò l’Europa.

 

 di    Aldo Ciummo

Piovono critiche sulle nomine, fino a ieri Tony Blair non doveva andare bene come Presidente della UE perchè il Regno Unito non aveva accettato sempre tutto dell’Europa centralista (ma non si sapeva indicare un altro candidato credibile). Oggi, dopo la scelta di una donna a Ministro degli Esteri dell’Unione Europea, (cambiamento di cui sarebbe ora, dato che all’interno dell’Unione ci sono stati dove sono quasi tutti maschi anche gli assessori) e dopo l’indicazione a presidente di Herman Van Rompuy, che ha riavviato la cooperazione tra fiamminghi e valloni in Belgio (e la farraginosa macchina europea, complicata da interessi e sensibilità contrapposte, non dovrebbe sputare troppo su chi vuole mediare senza arroganza) pure questi non andrebbero bene, in quanto candidati “deboli”, anche se della efficacia della “forza” dei candidati decisionisti abbiamo qualche esperienza in Italia, specialmente nella qualità della partecipazione democratica e della sensibilità civica che oramai questa scarsa qualità riversa visibilmente nella società.

Ma allora vediamo chi sono questi illustri sconosciuti e se sono davvero sconosciuti o se come spesso accade si tratta di gente che ha lavorato senza parlare tanto e di tutto ogni volta che secondo le televisioni dei vari stati nazionali c’era qualcosa da dire. il nuovo presidente europeo Herman Van Rompuy è nato a Etterberk, il quartiere europeo di Bruxelles, è un appassionato di cultura giapponese in un Europa che di culture extraeuropee ne conosce e ne accetta poche. In quest’ultimo anno ha sbloccato una situazione istituzionale di stallo, in uno stato paralizzato dalla contrapposizione tra francofoni restii a cambiare uno stato di fatto che destina loro più risorse di quante sarebbe realistico e fiamminghi convinti troppo frettolosamente e superficialmente di una esigenza di autonomia di cui non si capisce bene a cosa potrebbe portare in uno stato indivisibile per fattori  oggettivi (Bruxelles è il punto di riferimento di tutti i belgi, è un melting pot oramai europeo e mondiale e non solo rispetto alle tre comunità francofona, fiamminga e tedesca ed è capitale europea.)

La crisi politica in Belgio era durata diciotto mesi, quindi: Van Rompuy forse appare troppo gentile per ispirare fiducia alla gente, specialmente a Sud, ma in tutta evidenza non è incapace di decisioni, anzi è un fine politico. Come secondo aspetto, si potrebbe aggiungere che, senza essere inutilmente arrogante, Van Rompuy sostiene coerentemente le sue idee. Il nuovo presidente europeo è contrario all’ingresso della Turchia nell’Europa. Si può essere d’accordo con lui oppure essere contrari a quello che dice, quello che è certo è che Silvio Berlusconi che appoggia l’ingresso turco nella Ue dovrebbe spiegare poi ai suoi elettori quanto c’è di vero nel fatto che sostiene di volere che l’Italia non cambi troppo e  che quella sinistra che in Italia vuole bene a tutti ma si rivolge oramai esclusivamente ad una fascia dell’elettorato che non ha mai affrontato preoccupazioni economiche e pratiche dovrebbe spiegare quali risorse intende destinare al prevedibile afflusso di milioni di nuovi cittadini comunitari, che meritano rispetto laddove si trasferiranno, non promesse poi pagate finanziariamente da categorie tradizionalmente conservatrici. Scegliere atteggiamenti poco realisti non è funzionale all’integrazione, una necessità civile improrogabile. Al contrario.                Dal 1993 al 1999 Herman Van Rompuy ha colmato il debito pubblico belga in qualità di ministro al Bilancio. Ce n’è abbastanza per dissipare le preoccupazioni di incompetenza che in Italia potrebbero turbare il pubblico, all’apparire di uno che non strilla abbastanza.

Quanto a Catherine Asthon, dal 1983 al 1989 ha diretto Business in the Community, associazione di imprese che si occupa delle diseguaglianze, un tabù che l’Europa iperliberista non vuole affrontare ma anche un problema al quale è ora che si metta mano, invece di preoccuparsi di assicurare un direttorio strettamente continentale (e secondo alcuni a priori più sociale del Regno Unito, che invece di fatto ha un modello inimitabile di assistenza pubblico e una televisione pubblica indipendente dallo stato e libera di criticare il governo) all’Unione Europea.

Catherine Ashton è il nuovo Ministro degli Esteri della UE e questo fa storcere il naso a molti di destra e di sinistra, il sessismo è molto forte in alcuni stati ed inoltre la carica di Alto Rappresentante della PESC (Politica Estera e di Sicurezza Comune) ha ora un’importanza molto accresciuta dal Trattato di Lisbona. Catherine Ashton è stata responsabile dell’Autorità sanitaria dello Hertfortshire e sottosegretario britannico all’Istruzione, ricoprendo entrambe le cariche in un paese, il Regno Unito, che si prende cura delle persone molto di più di quanto non faccia con i simboli di partito. Ed il partito laburista, cui appartiene, ha costruito fin dal secondo dopoguerra un solido stato sociale, non un intreccio di corporazioni nazionalpopolari.

A Bruxelles, Catherine Ashton ha una esperienza di Commissario al Commercio e politicamente di leader dei laburisti alla camera dei Lord. L’Italia ad oggi non ha avuto nomine e questo da un punto di vista della distribuzione territoriale non è perfettamente corretto. Ma le considerazioni opportunistiche della politica degli stati nazionali non devono nascondere il fatto che alcuni cambiamenti nella UE sono positivi.

In Italia, formalmente una delle democrazie mature, c’è una forza politica maggioritaria dominata da una persona sola (Silvio Berlusconi) il quale come farebbe il leader di una forza extraparlamentare insulta, denuncia e chiama manifestazioni di piazza ed elezioni anticipate invece di fare (e non è detto che sia un male, visto che quando ha fatto, ha fatto la Bossi-Fini contro gli immigrati, la Fini-Giovanardi che criminalizza persone comuni e la legge sul rientro dei capitali, che umilia l’uomo della strada ed impoverisce le casse pubbliche). E c’è un sistema politico, di cui il PD e le sue appendici fanno integralmente parte, che sancisce il maschilismo dentro le istituzioni e la concentrazione delle risorse economiche al di fuori.

Se l’Europa si orienta verso una efficace mediazione tra i diversi interessi e le diverse culture politiche, sblocca la carenza di partecipazione femminile ai vertici delle istituzioni, si affeziona di più alla produttività che alla punizione della piccola impresa, lavora per l’integrazione delle diverse culture evitando che a monopolizzare il tema della multiculturalità siano minoranze portatrici di razzismi alternativi ma non meno pericolosi di quello tradizionalmente inteso, questi cambiamenti non saranno sintomi di debolezza, pure se i candidati nominati non hanno passato la vita davanti alle telecamere, ma si riveleranno fenomeni di progresso e forse potranno forzare in direzione di uno sviluppo più equilibrato anche le nazioni rimaste penosamente ostaggio della Chiesa, delle oligarchie economiche e di piccole corporazioni ultraideologizzate perfettamente prospere tra questi due poteri grazie ad una funzione ornamentale di critica.