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SPORT|«Tanti test ma inutili: gli atleti sanno come ingannare»

In colloquio con Dario D’Ottavio. L’ex membro della commissione antidoping spiega i pochi casi ai giochi: «Il doping di nuova generazione si combatte con controlli durante tutto l’anno»

Pechino torna a vivere la sua routine, i giochi sono finiti e si tirano le somme. A non quadrare, agli occhi degli esperti, è però il basso numero di positività al doping riscontrato negli atleti. Ai quaranta casi previsti dal Presidente del Cio, Jacques Rogge, non hanno fatto eco i risultati dei laboratori antidoping. Anche ieri tutti negativi i 343 controlli effettuati durante le gare olimpioniche di nuoto. Restano solo solo 6 i casi di positività contro i 26 di Atene 2004. C’è tempo fino a domani per pescare ancora qualche proveta galeotta, dopodiché il laboratorio gestito dalla Wada, l’Agenzia mondiale antidoping, chiuderà i battenti.

È vero che 39 casi erano usciti fuori prima dell’inizio dei giochi, ma il capo della Wada, John Fahey, appena un mese fa aveva messo in guardia su un eventuale nuovo record di positività, salvo poi fare marcia indietro: «Forse gli atleti hanno imparato ad arrivare puliti alle olimpiadi». Il record di Atene resta e con ciò rimane anche il dubbio sulla reale efficacia degli attuali metodi di controllo. «L’atleta che risulta negativo a questi controlli non è detto che sia effettivamente pulito», sostiene il Professor Dario D’Ottavio, esperto in materia di sostanze dopanti ed ex membro della commissione ministeriale per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive. «L’atleta che si dopa durante la gara è uno sconsiderato – precisa D’Ottavio -, ecco perché ne sono stati presi solo 6.

Attualmente il doping si pratica almeno un mese, ma anche due, tre mesi prima dell’avvenimento sportivo». Una realtà inquietante che aiuta a comprendere ancora di più la portata del fenomeno. Perde la sua crociata il Cio, su 4600 test complessivamente effettuati sei casi sono pochi. Ormone gh, epo, tutte sostanze che vengono assunte molto prima dagli atleti e che non lasciano tracce. Tra queste il Cera, che non è altro che eitropoietina coniugata, considerato da tutti il doping di ultima generazione.

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SPORT|Riccò vuota il sacco «Sì, ho preso epo. Per ora niente bici»

La confessione alla procura antidoping per uno sconto sui due anni di squalifica

Riccardo Riccò

UN CALDO torrido penetrava ieri negli uffici della procura antidoping del Coni, nell’intimo dello stadio Olimpico di Roma. Dove, in anticipo rispetto all’orario previsto, si è presentato Riccardo Riccò, accompagnato dai suoi due legali, Alessandro Sivelli e Valeria De Biase, per alleggerirsi di un peso che lo aveva accompagnato fin dall’arresto dopo l’undicesima tappa del Tour, lo scorso 17 luglio, allorché il ciclista emiliano risultò positivo al Cera, la epo di terza generazione. Per circa un’ora Ettore Torri, procuratore antidoping del Coni, ha ascoltato il mea culpa del furetto di Formigine: «È vero, mi sono dopato, ho preso la sostanza che tutti conoscete il mercoledì prima del Tour».

Poi la conferenza stampa davanti ai cronisti e il momento forse più difficile, quello della confessione al pubblico e ai tifosi: «Ho sbagliato, è stato un errore di gioventù – spiega davanti a telecamere e microfoni – Sono venuto qui, non per ottenere clemenza, ma perché avevo un peso e mi volevo liberare. E’ stato soltanto un mio errore e anche per questo ho rifiutato di presentare la richiesta per le controanalisi». E poi: «Dopo il Giro d’Italia mi sentivo stanco, ma vi garantisco che è stata la mia prima volta, quello che mi avete visto fare al Giro era tutto frutto delle mie gambe. Come mi sono procurato il farmaco? Questo non posso dirvelo, c’è un’ordinanza in atto, ma vi dico che su internet è pieno di siti che parlano dei suoi effetti». Una verità che tutti auspicavano dunque, ma che sinceramente in pochi si aspettavano. «Penso che sia stato un bel gesto – precisa – Prima ero un modello da imitare ora solo un modello sbagliato».

Dopo l’arresto Riccardo Riccò era stato licenziato dalla sua squadra, la Saunier Duval. Ieri un pensiero c’è anche per il suo vecchio team: «In questo momento penso anche al personale della squadra e ai miei compagni che hanno perso il lavoro per colpa mia». Il fatto che il ciclista abbia collaborato con la procura potrebbe attenuare gli effetti della squalifica. L’obiettivo della difesa resta quello di evitare i due lunghissimi anni di stop previsti. Lecito quindi domandarsi se c’è ancora la bicicletta nei pensieri del corridore: «Per adesso penso a tutto tranne che a tornare in bici – risponde – poi si vedrà». Potrebbe essere stato il giorno della svolta, ieri. Di un ciclismo che getta la maschera dell’omertà, di uno sport che vuole voltare pagina e non ce la fa. Intanto Riccò è riuscito a evitare una nuova presa in giro ai tifosi. Il minimo che potesse fare. Un primo passo per diventare grande.

Simone Di Stefano – Pubblicato su L’Unità del 31-07-2008

 

LE INTERVISTE|«Pechino? Anche i negativi possono essere dopati»

Il professor Dario D’Ottavio, perito in diversi processi ed ex membro della Commissione antidoping

Professor D’Ottavio, cosa dobbiamo attenderci dalle prossime Olimpiadi sul fronte doping?

«A Pechino il Cio farà i soliti controlli di routine. Ma l’atleta che risulta negativo a questi controlli non è detto che sia pulito. Esistono tanti modi di “mascherare” la sostanza dopante. Tra i più noti c’è quello della sostituzione, in sede di controllo, delle urine sporche con quelle pulite che l’atleta conserva liofilizzate».

Ma le autorità non se ne accorgono?

«Dipende. All’ultimo Tour de France i commissari seguivano gli atleti fino al controllo, impossibile così barare. Questo in Italia non avviene».

Quali sono le sostanze più difficili da individuare?

«Il Cera per esempio, di cui ora si parla tanto. Il sottoscritto aveva già messo in guardia da tempo sugli effetti di questo nuovo farmaco. Si basa su una tecnica di eritropoietina coniugata in modo particolare. Inoltre ci sono diverse sostanze che, poco dopo l’assunzione, non lasciano più tracce nel sangue. È il caso del Gh, l’ormone della crescita, che sparisce dopo sole 24 ore e l’eritropoietina, dopo 48 ore».

Sono queste le sostanze da combattere alle Olimpiadi?

«È possibile, ma gli atleti non sono degli stupidi. Oggi la preparazione dopante avviene due o anche tre mesi prima dell’evento. Gli atleti giungono alla competizione puliti, ma usufruiscono dei vantaggi che scaturiscono dal doping».

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