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Foad Aodi: i giovani egiziani non hanno ancora vinto davvero

La riflessione del presidente dell’Associazione dei Medici Stranieri in Italia: la partecipazione e la correttezza delle elezioni sono una vittoria, ma dove sono i giovani eletti?

A ridosso delle elezioni egiziane, un grande avvenimento per la democratizzazione di una regione importante vicino l’Europa, il presidente dei medici stranieri in Italia riflette su un dato: neppure uno dei cinquantasei candidati che rappresentavano i maggiori protagonisti del cambiamento è riuscito ad essere eletto.

Naturalmente esistevano in Egitto forze, a partire da quelle militari e religiose, molto più organizzate e dotate di mezzi, tanto che molti hanno deciso di non prendere parte ad elezioni molto condizionate dai rapporti di forza pre-esistenti, ma la lista nata dai movimenti di piazza ha preso solo il 5 per cento.

Pesa quindi, sottolinea Foad Aodi, la divisione in molte liste dei ragazzi che hanno partecipato alla primavera egiziana. Si potrebbe aggiungere che a questo punto sarà molto importante il ruolo dell’Europa nel sostenere le richieste di partecipazione e di crescita che vengono dalla sponda sud del Mediterraneo.

Un elemento che si può aggiungere alle considerazioni del presidente AMSI, che ha una conoscenza di prima mano delle situazioni nel mondo arabo e mediterraneo, è una generale necessità di rafforzare l’azione delle giovani generazioni in un contesto che in molti paesi, non soltanto in quelli ancora in via di sviluppo ma anche in molti sviluppati o in declino, è bloccato dalla autolegittimazione e riproposizione su base censitaria-familiare delle classi dirigenti.

Nell’anno entrante, anche in un’area industrializzata come l’Europa a trainare lo sviluppo socioeconomico sono in tutte le stime la Germania (che si sta occupando assieme a pochi vicini di gestire una difficile situazione, pur con gli esborsi che ha dovuto di fatto subire a vantaggio di altre parti d’Europa) ed il Regno Unito (chiacchiere a parte, l’unico paese in crescita secondo le previsioni), mentre i paesi caratterizzati da scarsa concorrenza e iniqua distribuzione delle risorse arrancano nonostante i ritocchi istituzionali.

Aldo Ciummo

 

Foad Aodi: “sostegno alla libertà ed all’integrazione nel Mediterraneo”

 

Il presidente dei Medici Stranieri in Italia, noto per l’impegno a favore dell’integrazione professionale degli immigrati nelle diverse regioni dello stivale, è intervenuto a favore dello sviluppo del mondo arabo e della cooperazione con la UE

Di fronte alla lotta generalizzata sulle sponde sud ed est del Mediterraneo, il presidente dell’Amsi (Associazione dei Medici Stranieri in Italia) Foad Aodi ha preso spunto per sostenere la necessità di rafforzare la partecipazione democratica anche in Europa ed in particolare in Italia attraverso una integrazione fattiva dei nuovi cittadini italiani,  la cui premessa è un coinvolgimento dei cittadini di origine straniera in tutte le organizzazioni in cui si esprime la vita civile e quindi anche nelle differenti formazioni dell’arco politico.

L’Amsi, associazione dei Medici Stranieri in Italia, negli ultimi anni ha promosso la diffusione di consultori e studi medici che permettendo un rapporto tra personale medico e pazienti facilitato dall’uso della stessa lingua (l’Amsi ha permesso di organizzare all’interno dell’Ordine dei Medici di gruppi di lavoro riconducibili a diverse nazionalità) ha alleggerito il carico del sistema sanitario nazionale e ne ha sviluppato una azione più efficace. Foad Aodi è intervenuto più volte per sostenere una evoluzione della situazione nel Mediterraneo in un quadro di sviluppo della democrazia, del libero mercato e della cooperazione con i vicini.

La logica dell’Amsi, espressa attraverso una azione a tutto campo non limitata all’ambito medico ma portata avanti anche attraverso iniziative di informazione sulle regole professionali e legali in Italia e di formazione specialistica e linguistica, è quella di velocizzare l’integrazione degli immigrati e soprattutto renderla una parte solida della costruzione nazionale italiana ed europea grazie alla chiarezza dei diritti e doveri.

La piena partecipazione dei nuovi cittadini in un contesto come quello italiano ed europeo, caratterizzato da stretti rapporti con l’area Mediterranea e dalla necessità quotidiana di gestire trasformazioni sociali che avvengono ai propri confini come oggi in Egitto, Libia, Tunisia ed Algeria, è un  fattore strategico anche nella facilitazione dei rapporti internazionali che all’interno della cooperazione occidentale vedono l’Europa, per posizione e storia, incaricata di un rapporto costruttivo con le aree meridionali ed orientali.

Foad Aodi il 13 febbraio di quest’anno è entrato a far parte della segreteria politica del partito FLI  sulla base dell’ esperienza nei settori dell’immigrazione, della sanità e della cooperazione internazionale, segreteria che si è insediata il 18 febbraio. Il presidente dell’Associazione Medici Stranieri in Italia ha affermato che l’assenza di fatto dei cittadini stranieri dalla rappresentanza politica è un limite. Infatti con l’attuale sistema di “nomina” dall’alto dei candidati è difficile per gli elettori scegliere i candidati per il lavoro che hanno svolto sul campo. Una riforma della legge elettorale che consenta di esprimere le preferenze all’interno delle liste e nel territorio riporterebbe anche l’emergente mondo dell’immigrazione in Italia a concrete opportunità di raggiungere rappresentanza.

L’Europa contro tutti i razzismi

strasburgo

Oggi il Parlamento Europeo ha chiesto alle autorità egiziane e malesi di garantire la sicurezza di coloro che non aderiscono alla religione musulmana ed adottato una risoluzione che condanna tutte le forme di intolleranza.

 

In Malesia si sono ripetute, nel 2009, ingerenze del Governo nei confronti dei diritti delle minoranze divergenti dal pensiero islamico maggioritario nel paese. Già nel 2007 lo stato aveva minacciato di proibire la pubblicazione del giornale “The Herald”. Contemporaneamente, si sono registrati attacchi alla libertà dei cristiani, che stanno passando un periodo brutto anche in Egitto, dove sei cristiani copti sono stati uccisi il 6 gennaio 2010 e sono avvenuti anche molti incidenti che solo per casualità non hanno avuto esiti drammatici.

Il Parlamento Europeo ha espresso con una risoluzione (sostenuta da tutti i gruppi politici) la condanna di tutte le forme di violenza, di discriminazione e di intolleranza basate sulla religione contro appartenenti ad altre confessioni, “apostati” e non credenti. In relazione ai recenti attacchi, l’assemblea ha chiesto alle autorità malesi ed egiziane di garantire la sicurezza delle minoranze presenti sul territorio. 

Nella risoluzione si osserva che anche l’Europa conosce crimini individuali di questa natura (ed è attuale nella cronaca il tentativo di alcuni ambienti, marginali nelle comunità immigrate, di perpetuare nella nazione di arrivo tradizioni incompatibili con i diritti come intesi nella tradizione umanistica e giuridica derivante dall’illuminismo) e si auspica che Consiglio della Unione Europea, Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri prestino una particolare attenzione alla situazione delle minoranze, nel quadro della cooperazione Ue con i paesi interessati.

Non tutti hanno libertà di pensiero e di coscienza, alle ben note forme di stato autoritario o di pressione economico militare esercitate a causa degli squilibri geopolitici ereditati dal passato si aggiungono le democrazie “controllate” del profondo est d’Europa e i regimi populisti e teocratici in Asia e altrove, dove il consenso più o meno diffuso verso i sistemi di controllo sociale tradizionali e i problemi sociali scaricati verso l’esterno, spesso verso l’occidente, produce quell’intolleranza di cui gli incidenti che poi si registrano a spese di cooperatori internazionali o comunità minoritarie rappresentano segni tangibili.

Come le guerre infinite per il controllo delle risorse (e anche per una malintesa semplificazione delle tensioni internazionali) hanno portato una significativa parte della popolazione dei paesi sviluppati ed occidentali a raggruppare culture diverse in un tutto indistinto, dipinto come dominato dalla religione e pericoloso per la sicurezza di una porzione del mondo, così una fascia non indifferente della gente comune di nazioni dove le tradizioni possono rappresentare un efficace strumento di controllo (in un contesto instabile dal punto di vista della sicurezza materiale) è coinvolta in forme di razzismo che non sono meno pericolose di quello tradizionalmente inteso.

In maniera analoga alla specularità di interventismo all’esterno (le occupazioni militari precedute dai bombardamenti mediatici e concreti) e contrazione del confronto all’interno delle società coinvolte (la diffidenza e la repressione verso alcune categorie di immigrati e per estensione verso ogni diversità) sperimentata in occidente dopo le ferite degli attentati, anche in larga parte del Sud del Mondo (e delle potenze emergenti, grandi e medie) si registra il tentativo,  da parte delle élite tradizionali, economiche, militari e religiose, di scaricare tutte le responsabilità dei problemi e le tensioni verso i paesi “ricchi” presi come bersaglio della propaganda, e di qui l’attacco contro i gruppi di persone originarie di queste nazioni, provenienti dagli USA, dall’U.K, dalla UE, contro chiunque si trovi temporaneaente nel terzo mondo oppure sia impegnato nella cooperazione e venga dai paesi sviluppati (in un immaginario che nei paesi in difficoltà finisce per costruirsi un logo uniforme di una fetta del pianeta), da qui l’ostilità verso i gruppi riconducibili alla storia del colonialismo nonostante, l’arricchimento che questi ultimi gruppi hanno portato spesso allo sviluppo della democrazia in aree dalla società complessa come i paesi in via di sviluppo.

Un argomento che su queste pagine web viene curato in maniera ricorrente è, non a caso, la necessità di non semplificare troppo, legittimando malintese pretese di decolonizzazione molto dopo la conclusione dell’era storica cui il colonialismo appartiene, e l’opportunità di ricoscere l’importanza delle comunità di origine europea nel mondo per la cultura e le istituzioni consolidatesi nel tempo grazie all’apporto di queste ultime. Le crisi regionali non si risolvono con il populismo terzomondista.

Difatti, a ben vedere lo stesso antioccidentalismo, letto in termini di puro scontro tra regioni se osservato da lontano, dai suoi destinatari, si muove in un paesaggio sociale, il mondo emergente dell’Asia, dell’Africa, spesso dell’America Latina e moltissimo negli stati a forte presenza islamica, nel quale gioca un ruolo nelle trasformazioni interne di ogni nazione presa in esame, dove l’avversario delle oligarchie e del blocco sociale che le sostiene non è all’estero ma è l’insieme di categorie e di elementi culturali che spinge verso la modernizzazione della società, e lo spauracchio delle fasce marginali che si uniscono ai fanatismi religiosi non è la libertà e il paniere di valori occidentale, se ne esiste uno uniforme, ma l’insicurezza degli ultimi in un pianeta dove il costo di questa libertà è insostenibile per molti.

Nella stessa Unione Europea, è positivo che l’Aula (sempre oggi) abbia riaffermato il ruolo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e difeso le sue decisioni in merito alla garanzia della laicità delle scuole, respingendo il ricorso contro il divieto di apporre simboli cristiani. Ma la difesa della laicità da sola non bastera e occorrerà mettere l’Europa in condizioni di intervenire nelle situazioni sociali con più peso e soprattutto lavorare sull’integrazione tenendo conto che si tratta di un processo complesso nel quale le comunità immigrate non possono essere considerate in una condizione “infantile” ma devono assicurare reciprocità nello scambio. E i paesi di provenienza degli emigranti non possono supportare queste trasformazioni in maniera fruttuosa se non avviano una tendenza di apertura anche in casa propria.

Aldo Ciummo

MEDIO ORIENTE|Tregua possibile tra Israele e Hamas

Firmato l’accordo di cessate il fuoco bilaterale, tra le due forze resta da capire se sia possibile farlo rispettare

Simone Di Stefano – Articolo pubblicato il 20-06-2008 su Dazebao, l’informazione on line

Carri armati ritirati dai confini, varchi alle frontiere che verranno riaperti progressivamente e tante speranze che si scontrano con una dura e instabile realtà. La tregua firmata martedì scorso tra l’Esercito di Israele e il movimento fondamentalista islamico di Hamas, ed entrata in vigore ieri alle 6 del mattino (le 5 ora italiana), sembra scontrarsi già con i soliti problemi legati alle ostilità tra i due frangenti, quello di Israele da una parte e quello del movimento fondamentalista dall’altra. Questo accordo arriva dopo che Israele aveva già risolto una tregua storica con la Siria per le alture del Golan.

E potrebbe anche non essere l’ultimo. Fonti vicine a Israele infatti insistono nel sostenere che la politica del Primo Ministro Ehud Olmert e del ministro della Difesa, Ehud Barak, è incentrata a una progressivo ripresa del dialogo. Secondo il quotidiano Haaretz si sarebbe già intavolata un’altra trattativa sul fronte del Libano, per trovare un accordo tra lo stesso Israele e Hezbollah, i cui carri armati da un mese hanno abbandonato la capitale Beirut.

Nella sua visita a sorpresa a Beirut il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, avrebbe parlato con il governo libanese della restituzione delle fattorie di Shebaa, nel sud del paese dei cedri, occupate dai soldati israeliani nell’ultima guerra.

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