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L’intervento sociale in Italia al centro di una conferenza a Roma

 

Le scelte sociali che hanno reso l’Italia un paese sempre più democratico dal dopoguerra fino alla metà degli anni novanta sono l’argomento di un incontro che si terrà il 12 maggio in via Cassia

La nascita di scuole di assistenza sociale, che insegnavano agli italiani a procedere insieme sulla strada dello sviluppo, i movimenti di base nel mezzogiorno che portavano i gruppi locali ad affermare con il lavoro che non ci sono unti dal signore, sono altrettanti esperimenti con i quali l’Italia diventava democratica e si preparava ad esserlo a lungo.

I movimenti non violenti e di disobbedienza civile, promossi da Danilo Dolci e da Capitini, la pedagogia che elaborava una educazione non autoritaria ma cooperativa, il primo aggregarsi del volontariato, esperienze senza precedenti da parte di avanguardie che rappresentavano una Italia sempre più vicina all’Europa sebbene popolare.

Questa Italia fu protagonista del progetto comunitario e ci piace pensare che le persone che la costruirono non toglierebbero la mensa scolastica a chi viene da un altro paese e non permetterebbero che il monopolio mediatico venga usato per mettere alla gogna chi cura da volontario i feriti delle guerre.

Sono nate in quegli anni la medicina democratica di Basaglia e di Maccararo e infine l’intervento sociale degli anni ’80 e ’90. L’Europa di oggi non ha meno necessità di contrastare le tendenze al ritorno al passato implicite nelle difficoltà dei cambiamenti, con le migrazioni e il precariato che percorrono le correnti dell’economia e della società nella crisi mondiale. La ridefinizione della coesione sociale in Italia e nella Ue richiede sforzi molto lunghi.

Sabato 12 maggio presso la Scuola del Sociale di via Cassia 472 a Roma si svolgerà la Conferenza “L’intervento sociale in Italia nel secondo dopoguerra”, interverrà Goffredo Fofi, critico letterario che ha animato “Linea d’Ombra” e dato inizio ai “Quaderni Piacentini”. Soprattutto, Fofi potrà riportare qualcosa delle esperienze di lavoro sociale e comunitario osservate in tutto lo stivale negli anni ’50 e ’60, storie che non sono concluse ma che hanno bisogno di essere declinate anche nelle forme travagliate dell’attuale trasformazione del continente.

Aldo Ciummo

Un passo avanti nella Ue: il codice dei visti

 

Dal 5 aprile sarà applicabile l’insieme delle norme sui visti. Aumenta così la trasparenza nel trattamento dei richiedenti nell’area degli accordi di Schengen.

Dal 5 aprile le condizioni per il rilascio dei visti per lo spazio Schengen che in Europa riunisce 22 stati, più tre che sono associati, diventeranno molto più chiare. Sarà applicabile infatti il codice dei visti comprendente tutte le disposizioni vigenti e verranno introdotte norme comuni su condizioni e procedure di rilascio.

Le leggi in materia, con questo corpus normativo, si avviano ad una armonizzazione che era difficile pensare di rimandare nel tempo. Per fare un esempio, il modulo uniforme di domanda di visto è stato snellito ed il suo contenuto reso più chiaro, a vantaggio dei richiedenti.

I cittadini che richiedono l’ingresso nell’area Schengen e lo ottengono pagheranno sempre sessanta euro, alcune categorie (tra i sei e i dodici anni) 35, così come i richiedenti provenienti da paesi con cui l’Unione ha concluso accordi appositi. Viene introdotto l’obbligo di motivare il rifiuto di visto e si riconosce il ricorso contro le decisioni negative.

L’armonizzazione delle procedure è accelerata anche dal rafforzamento del ruolo delle delegazioni della Unione Europea nel coordinamento degli stati membri nella cooperazione con i paesi terzi.

Aldo Ciummo

STORIE D’ EUROPA | Quanto è difficile fare i portoghesi in Europa

 

 

Dentro la nostra Europa e fuori dalla Televisione c'è anche questo, se lo teniamo fuori non c'è nessun allargamento    FOTO di Aldo Ciummo, Roma, 2008

Dentro la nostra Europa e fuori dalla Televisione c'è anche questo, se lo teniamo fuori non c'è nessun allargamento FOTO di Aldo Ciummo (Roma)

L’Europa sta traendo linfa dall’apertura, al suo interno come oltre i suoi confini, ma per diventare europei occorre molto tempo, e perchè venga riconosciuto, a volte anche molto di più

 

 

 

 

 

 

Aurora De Freitas ha oggi 65 anni, 41 li ha spesi combattendo per i diritti dei suoi connazionali immigrati in Francia, non immigrati da terre lontanissime, afflitte da guerre o carestie, ma da un paese europeo, il Portogallo. Ieri l’Europa l’ha premiata per questo, con un premio che suona un pò come un simbolo stakanovista prestato al capitale, The Single Market Award, attribuito dalla Ue a una persona o organizzazione che ha migliorato con la propria azione il mercato interno, De Freitas forse lo ha fatto, ma soprattutto ha aiutato il volto sociale e autogestito dell’altra Europa, aiutando i cittadini portoghesi fin da quando questi non erano cittadini comunitari o lo erano con un sospetto di inadeguatezza sulle spalle, come i romeni e i bulgari oggi, come tutti quelli che, diceva Pasolini nel “Caos”, nelle sue rubriche, hanno la pelle e il volto bruciati dal sole delle epoche contadine, dal mestiere di vivere.
 
E’ singolare che solo una parte del proprio impegno venga ricosciuta a questa persona, la parte che ha migliorato le relazioni commerciali, solo la punta dell’iceberg in una società dove il contributo dell’attivismo dal basso da parte degli immigrati e delle comunità locali nelle province, nelle periferie, è il motore di quella integrazione reciproca che sta dipingendo l’Europa di oggi e che costruirà quella di domani, con la lenta apertura alle culture anche più lontane che continuamente si innestano in quelle di approdo, all’Esquilino come nelle banlieues parigine. Ed è limitativo riconoscere lo sforzo di una vita “politica” nel senso più significativo del termine, soltanto a chi oramai ha assunto già da ventitrè anni la patente di europeo.
 
Ma questa storia, la storia di una donna che trova lavoro come operaia e cucitrice a sedici anni, che a ventiquattro si trasferisce in Francia dove per altri diciotto anni sarà una extracomunitaria soggetta a tutta la precarietà con il suo corollario di permessi e di sfruttamento del lavoro, ma dedicherà tutto il suo tempo libero ad assistere gli altri immigrati del suo paese, il Portogallo, andando a lavorare all’alba per avere poi il tempo di confrontarsi con le istituzioni, fa pensare a molte altre storie velate dalla distrazione dell’efficenza contemporanea e dalla patinatura della comunicazione-spettacolo. Anche perchè come accade oggi con ungheresi e slovacchi, questa storia non è finita con l’accesso alla Ue. Ancora nel 2004 Aurora ha dovuto intraprendere una campagna per rendere più facile per la comunità portoghese avere la residenza in Francia, e lo stato da cui proviene è un membro della comunità fin dal 1986 ! Quanti anni ci vorranno perchè i cittadini dei Balcani siano considerati alla pari degli europei dei membri “doc” e quanti ce ne vorranno ancora perchè la società europea riconosca gli immigrati anche dagli altri continenti come persone e non soltanto come numeri destinati ad alimentare il mercato?
 
Il premio che Aurora De Freitas ha ricevuto è un premio, è scritto nel riconoscimento, ai cittadini che hanno compreso che lottare per i diritti all’interno di questo mercato è qualcosa per cui vale la pena di spendersi. “Faccio queste cose perchè non mi piace vedere la gente soffrire” ha dichiarato Aurora nel ricevere il Single Market Award, probabilmente sono tanti gli immigrati interni, comunitari e non, che la pensano come lei. Il migliore riconoscimento per loro sarebbe un’ Europa che non li vede soltanto come un grande mercato.
 
 
Aldo Ciummo