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Ulster: DUP e Sinn Féin guideranno il processo di pace

 

Le elezioni dello scorso fine settimana hanno consegnato definitivamente le chiavi dell’esecutivo nordirlandese al partito lealista del DUP che avversò gli Accordi del Venerdì Santo ed agli eredi della lotta armata nazionalista irlandese, lo Sinn Fein: ora dovranno davvero lavorare insieme

Il risultato è lo stesso delle precedenti elezioni politiche dell’Ulster, con la conferma del primato del Democratic Unionist Party: l’ultima trincea dove il predicatore integralista Ian Pasley aveva raccolto i protestanti contrari al processo di pace ed all’inclusione dello Sinn Fein nell’esecutivo il DUP dopo i difficili esperimenti di coabitazione a Stormont (il castello sede del governo autonomo), è una forza che ha imparato sotto la guida di Peter Robinson a guardare avanti.
 
Vengono confermate anche le prospettive di governo dello Sinn Fein, ex braccio politico dell’Ira che con il disarmo del 2005 ha messo fine alla guerra in Irlanda del Nord ed è oggi condotto da Martin Mc Guinness, a lungo vice di Jerry Adams.

Il DUP ha quasi 200.000 voti e trentotto seggi: il suo consenso stabile oggi unisce tradizione identitaria dei lealisti fedeli al Regno Unito e consapevolezza della necessità di proseguire nella collaborazione di tutte le componenti della vita associata in Ulster.
 
Lo Sinn Féin continua a crescere (pur non mantenendo il primato consentitogli per la prima volta nelle europee del 2009 dalla scissione della lista Traditional Unionist Voice dal DUP), arrivando quasi al ventisette per cento e guadagnando ventinove seggi, uno in più di quelli che aveva a Stormont.
 
L’Ulster Unionist Party, storico partito maggioritario tracollato dopo aver firmato gli Accordi del Venerdì Santo (1998) che prevedevano l’inclusione dello Sinn Féin nell’esecutivo, è stato protagonista, in questa contesa elettorale, di un disastroso tentativo di riprendersi gli elettori ceduti da allora al partito intransigente del DUP (oggi riposizionatosi come partito di governo): Tom Elliott, alla guida dell’UUP, ha alzato i toni definendo il tricolore irlandese una bandiera straniera, con il risultato di alienarsi il suo elettorato moderato, contribuendo così alla rinascita nelle urne del Partito dell’Alleanza, presenza moderata minoritaria ma importante della politica nordirlandese.
 
Quasi svanito negli anni del dialogo tra sordi susseguitisi dopo gli accordi che avrebbero dovuto portare ad una rapida riconciliazione, il Partito dell’Alleanza si vede ricosciuta la sua scelta di unire protestanti e cattolici favorevoli al superamento del conflitto sulla base della priorità dei problemi concreti con otto seggi ed un posto quasi sicuro nell’esecutivo.
 
L’UUP è caduto da diciotto a sedici seggi. Continua a perdere consensi anche lo SDLP (Social Democratic Labour Party), partito nazionalista irlandese moderato che, in maniera analoga a quanto accaduto ai danni dell’UUP in favore del DUP nei primi anni dello scorso decennio, si è visto sottrarre voti dallo Sinn Fein, premiato inizialmente per la sua intransigenza identitaria e poi per la più fattiva gestione dello scenario post-accordi di pace (1998) e post-disarmo dell’Ira (2005). 
 
La complessità del sistema elettorale e della rappresentanza territoriale ha consentito che con quasi settemila voti in più rispetto al protestante UUP (la forza più colpita dal proseguire dell’emorragia di consensi degli intransigenti verso il Dup e adesso anche dei moderati verso l’Alleanza), l’SDLP sia meno rappresentato nel numero dei suoi seggi, peraltro diminuito da sedici a quattordici. Nel nuovo esecutivo il DUP avrà quattro ministri, lo Sinn Fein tre, l’SDLP, l’UUP e il Partito della Alleanza probabilmente uno a testa.
 
Il Partito dell’Alleanza potrebbe risultare gratificato con un ministero per il leader David Ford nella rappresentanza, ma solo dopo il completamento dei calcoli che riguardano ad esempio l’unionista protestante indipendente David McClarty, separatosi dal DUP per protesta verso la nuova politica “dura” impressa da Tom Elliott all’UUP (partito che fu autore, assieme al SDLP, degli Accordi di Pace inizialmente criticati e giudicati insufficienti per ragioni diverse dalle opposte forze del DUP e dallo Sinn Fein): eletto ad Est Derry, McClarty se decidesse di riunirsi all’Ulster Unionist Party potrebbe far assegnare al partito due ministeri, mentre l’Allenza rischierebbe di perdere l’incarico nell’esecutivo.

Questi sono nel dettaglio i risultati aggregati dalla BBC ieri: Democratic Unionist Party 38 seggi, due in più in confronto al 2007 (si vota ogni quattro anni) con 198.436 voti equivalente al trenta per cento dei suffragi; Sinn Fein ventinove seggi (uno in più rispetto alla precedente legislatura) con 178.224 consensi che significano il 26,9 per cento dei voti espressi. L’Ulster Unionist Party ha ottenuto sedici deputati, due in meno di quattro anni fa, con 87.531 voti ed il 13, 2 per cento dei voti; il Social Democratic e Labour Party ha totalizzato quattordici seggi (due in meno di quelli che aveva in assemblea finora) con 94.286 equivalenti al 14,2 per cento del consenso espresso; il Partito dell’Alleanza otto (uno in più) con 50.875 preferenze che gli hanno consentito di raggiungere il 7,7 nel calcolo percentuale.

Gli incrementi dei seggi, a causa di una legge elettorale molto rispondente alle esigenze di rappresentanza del territorio diviso in collegi, come in parte avviene anche in Eire, non descrivono perfettamente le effettive variazioni in termini di percentuali dei voti ottenuti dalle diverse liste, mentre aderiscono abbastanza fedelmente al successo o meno dei vari candidati.

La Traditional Unionist Voice di Jim Allister (che nelle consultazioni europee determinò la perdita del primato del DUP come prima forza elettorale e come unica forza protestante lealista “dura”) ha fallito nel suo obiettivo di ripetere l’exploit con il quale decurtò il Democratic Unionist Party di un terzo dei suoi consensi, arrivando al 13 per cento pur senza eleggere nessun europarlamentare: il TUV si è fermato ora al 2,5 per cento, con soli 16.480 voti, che gli valgono comunque un seggio, quello di Jim Allister nel North Antrim.

 I voti temporaneamente presi in consegna da Allister sono tornati alla creatura politica di Jan Pasley, quel DUP nato per riunire i più accaniti avversari dell’accordo con i nazionalisti irlandesi e gradualmente mutato da Robinson in un soggetto politico che sta traghettando la comunità protestante verso un futuro dove in molti considerano probabile una riunificazione delle sei contee con la Repubblica del sud.

Il maldestro tentativo dell’Ulster Unionist Party di intercettare una parte di quei voti, sterzando vistosamente lontano dalla tradizione di mediazione portata avanti dall’Uup negli ultimi venti anni, non ha sortito altri effetti che accelerare l’indebolimento del partito e dare l’impressione che, come recita una recentissima battuta nel Nord Irlanda, Tom Elliot in questa campagna elettorale ha fatto sembrare Jim Allister (il più estremo dei lealisti) pacifista come un dalai lama in confronto a lui ed all’immagine che ha cercato di dare all’Uup.

Anche i Verdi, la cui recente consistenza sia pure minoritaria segnala l’evoluzione dell’Irlanda del Nord verso una politica più simile a quella di altri paesi, hanno ottenuto un seggio con i loro 6.031 voti (lo 0,9 per cento), mentre il magro 0,8 per cento del People Before Profit Alliance (movimenti) con 5.438 voti conferma la minor forza in Ulster di queste liste, che intercettano molti consensi nella Repubblica. Si avviano ad una esistenza residuale invece le liste conservatrici unioniste indipendenti che raggiungono l’un per cento solo se sommate: UK Independence Party (lo 0,6 per cento con 4.156 voti), Progressive Unionist Party of Northern Ireland (0,2 per cento con 1493 voti ), British National Part (0,2 per cento 1252 voti).

Le consultazioni elettorali in Ulster quest’anno hanno fatto emergere anche rapidi cambiamenti ad esempio nel protagonismo delle minoranze, con l’ingresso nell’aula parlamentare della prima candidata di origini cinesi, Anna Lo, eletta a Belfast Sud per il Partito dell’Alleanza, rafforzando le speranze di molti commentatori inglesi ed irlandesi sulle opportunità di associare agli sforzi di superamento delle divisioni tutte le parti della comunità in una legislatura che per tre dei quattro anni che si trova di fronte non dovrà misurarsi con esigenze elettoralistiche di rilievo che possano dare respiro a contrapposizioni esacerbate.

Aldo Ciummo

Belfast, uno specchio che manda ancora tristi riflessi di divisioni in Europa

 

Terribili notizie giungono in questi giorni dall’Irlanda del Nord: il ferimento di una donna, agente di polizia; il massiccio coinvolgimento negli scontri di giovanissimi, la capacità dei dissidenti oltranzisti del nazionalismo irlandese e degli ultraconservatori nel campo lealista protestante di rappresentare e mobilitare nel peggiore dei modi le rispettive comunità di appartenenza nei quartieri più poveri: in una Europa dove nuovi razzismi e nazionalismi rialzano la testa.

 

di   Aldo Ciummo

La notte di Belfast diventa ancora una volta lo sfondo di una rappresentazione che miete vittime nella realtà, oggetto di interesse forse ormai folcloristico per gran parte del mondo, ma suggestione per niente cinematografica per ampie fasce della popolazione che in Ulster, complice la decennale situazione di depressione economica e di degrado istituzionale legata alla guerra civile prima aperta e dal 1998 latente, combattono ancora una guerra antica, iniziata nel 1690 quando Guglielmo d’Orange sconfisse il pretendente cattolico al trono, Giacomo.

Quell’immagine a cavallo, il sovrano inglese che passa il fiume Boyne, è ancora sui murales lealisti accanto all’effigie dei paramilitari caduti affrontando l’Ira, la parata protestante che il 12 luglio la ricorda passando attraverso i quartieri irlandesi di Belfast riaccende ancora scontri che hanno poco di attuale per chi li guarda dal continente: anche quest’anno le notizie che giungono da Derry, dove sono state lanciate ancora bombe, da Belfast, dove nel quartiere dell’Ardoyne i nazionalisti irlandesi di Brompton Park e i protestanti di Twaddell Avenue si sono affrontati, sono resoconti di fatti terribili.

Una donna, agente di polizia, è stata ferita gravemente alla testa, da persone che hanno aggiunto vergogna ad uno scenario che ha veduto i ragazzi portarsi dietro, in mezzo a sassi e proiettili, dei giovanissimi. Sembravano destinati a restare nella memoria i tempi in cui i bambini a Belfast vivevano la scuola della guerra in strada tutti i giorni e crescevano nella separazione comunitaria solidificata anche oggi da diciassette muri, più del doppio se si contano quelli di minore lunghezza e dimensione.

L’area di Ardoyne è una roccaforte dello Sinn Feinn e del repubblicanesimo nazionalista irlandese, al centro dell’interesse dei dissidenti dell’Ira Irish Republican Army, alcuni elementi della quale non accettano il processo di pace avviato con l’Accordo del Venerdì Santo del 1998 e proseguito a partire dal 2007 con la formazione di un governo comprendente tutte le forze politiche e di fatto ancora oggi poco funzionante. Ardoyne è anche meta di parate protestanti che annualmente ricordano il 1690 e con questo la nuova sconfitta della comunità irlandese del nordest nel 1920, quando il Sud conquistò la propria indipendenza ma dovette rinunciare all’unità nazionale e gli anni sessanta e settanta del ‘900, quando la minorità politica e nei diritti per i cattolici continuò e si aggravò subendo la repressione armata.

Quando vengono diffuse notizie drammatiche come quelle attuali riguardo al conflitto, ricordo che nell’estate del 2005, nel periodo del disarmo dell’Ira, feci due brevi viaggi a Belfast, partendo da Dublino dove in quel periodo risiedevo. In entrambi i casi mi tornò in mente ciò che annotava Benedict Anderson nel suo libro dedicato ai nazionalismi, “Comunità Immaginate”: in linea d’aria Belfast è a meno di 500 chilometri da Londra” e pensai che i chilometri da Dublino a Belfast sono ancora meno, circa 150. Ma, in accordo con le osservazioni di Anderson, secoli di storia tengono l’Ulster inchiodato al suo passato, è questo che lo divide dal Regno Unito e dall’Eire.

Arrivando nella città si percepiva chiaramente la sensazione di entrare in un altro paese, il passaggio dal centro cittadino alla periferia cattolica trasmetteva l’impatto con un’altra nazione nello stato ed infine a Shunkill, superato il Muro della Pace per fare ingresso nella zona protestante, ci si sentiva in un altro mondo. La prima volta che mi affacciai a Belfast, nei primi giorni dell’ agosto del 2005, era trascorso da poco il 28 luglio in cui l’IRA aveva assunto il suo impegno di disarmo con la commissione internazionale presieduta dal generale canadese John De Chastelain.

Allora mi trovavo in viaggio con un amico italiano e prima ancora compagno di liceo che aveva da poco terminato i suoi studi in Scienze Internazionali e Diplomatiche ed entrambi fummo colpiti dall’immagine di un bambino di non più di sette anni che camminava su un muro divisorio piuttosto alto: lui e tutti i ragazzini che percorrevano le periferie trascinandosi dietro carrelli della spesa scassati, pezzi di legno ed altri improbabili giochi sembravano incarnare, nel loro atteggiamento aggressivo, tutta la fragilità e l’energia in potenza di quegli isolati polverosi.

La seconda volta che andai a Belfast, alla metà di ottobre, ero ospite di alcuni giovani del posto assieme ad un amico francese, appassionato di ecologia che in quel periodo era mio coinquilino assieme ad altre persone provenienti da diverse parti del continente. Erano trascorsi da non moltissimo sia i tumulti che nei giorni 10 e 11 settembre 2005 avevano accompagnato il tentativo di ripetere la parata orangista da parte dei gruppi oltranzisti protestanti, sia la risolutiva dichiarazione della commissione internazionale di controllo sul disarmo (il 25 settembre 2005 De Chastelain dichiarò che l’Irish Republican Army aveva messo tutte le armi fuori uso).

Di nuovo fummo accolti dall’impressione che il luogo riserva così spesso ai “continentali”, quella di essere immersi in un ambiente dove decenni di percezioni umane e culturali sono giunti a cristallizzare divisioni fisiche ed hanno disegnato una geografia urbana capace di dilatare le distanze e di segregare perfino i giovanissimi nella prospettiva (anche visiva) di anguste comunità. Di tutto questo ci rendemmo conto attraversando un ponte pedonale, avvolto in una rete metallica, che conduceva da un suburbio protestante ad uno cattolico.

Vedendo andare qualcuno verso la zona irlandese, i bambini che si trovavano in uno spiazzo contiguo all’ingresso del ponte lanciarono gli innocui oggetti che si trovavano sottomano contro la rete metallica, desistendo non appena accortisi che si trattava di stranieri, estranei alla distorta realtà di questo pezzo di terra. Gli amici che ci avevano accolti abitavano in un’area un pò più vicina al centro, erano di origine indifferentemente inglese o irlandese e si sentivano cosmopoliti; la periferia irlandese portava sui volti e sulle pareti delle case scrostate la povertà di una Irlanda di altri tempi (la stessa che a Dublino sopravvive soltanto in qualche quartiere intrappolato dal progresso che la assedia avanzando dal centro e dalla cinta di villette dell’hinterland); le zone protestanti erano caserme a cielo aperto.

Le notizie che arrivano oggi in Europa dal Nord dell’Irlanda sono molto tristi: a ferirsi, a ingaggiare scontri a rischio di morte e di omicidio a Belfast sono per lo più ragazzi tra i sedici e i venticinque anni, la stessa età di tante persone che ho conosciuto in Irlanda nel 2005, di con cui ho abitato a Dublino nel 2008, gente per cui andare a scuola in una città oppure in un’altra cambia tutto, perchè non si nasce guardiani di una strada rimasta ferma al 1690. Nessuno è destinato a rimanere garante di una malintesa identità europea a Parigi o a Budapest, nè a restare straniero in Italia dopo l’arrivo da un altro continente.

Inglesi e irlandesi sono persone straordinarie, la loro capacità di integrazione verso chi arriva per la prima volta da altri luoghi e diversi ambienti è enorme, l’affetto che nutrono per il proprio territorio è commovente, ed averli in Europa dal 1973 è una risorsa inestimabile, come lo è stato l’ingresso nella Ue delle nazioni dell’estremo nord. Il senso d’appartenenza alla comunità in Ulster è stato inacidito fino all’avvelenamento, da una storia che per più di tre secoli non è riuscita a trovare una via d’uscita al nodo creato dalla persistenza di un angolo di impero e della situazione di discriminazione subìta da molti irlandesi.

I giornali e gli amici riferiscono che la situazione cambia rapidamente, ma quel contesto suggerisce ancora una riflessione utile a chi si muove in un ambiente di vita, quello della nascente Unione Europea, che si proietta sempre più nella società globale e nella necessità storica di incorporare nelle sue nazioni costituenti frammenti di altre culture e innesti di fusioni e mutazioni culturali positive già in divenire.

Intorno a sè l’Europa scatta istantanee di un presente che vorrebbe considerare già passato, un residuo che il progresso corregge gradualmente. Talvolta le nostre istituzioni progettano di sostituire di sana pianta costruzioni sociali consolidate nel mondo e di promuovere l’integrazione dei nuovi arrivati come se si trattasse di un processo rieducativo, ma nel cuore del Vecchio Continente, in luoghi come l’Ulster, è ancora possibile vedere una apertura ammirevole della società affiancarsi a strade dove ogni estraneo è guardato con diffidenza: è il frammento di uno specchio che manda ancora riflessi di quello che l’Europa rischia di essere dove si riaccendono episodicamente conflitti nazionali tra i paesi di recente ingresso, dove si nega un buono pasto a un ragazzino nato lontano, dove una diatriba linguistica spacca in due nazioni fondatrici della nostra Europa.

C’è da augurarsi che mai più da Belfast si sappia che viene lanciato un pezzo di cemento in testa ad una ragazza, che non si verifichi mai più che coetanei dei nostri amici europei si trascinino dietro i fratelli minori in uno scontro letale, con la stessa facilità con cui in altre date li porterebbero ad accendere i bonfires ed a tenere vive le magnifiche tradizioni del nord Irlanda, del nord del continente. Ma c’è da sperare anche che l’Europa guardi e consideri quanta differenza fa insegnare con i fatti  (fin dall’inizio di questa integrazione dei 27 stati, presto 28, poi trenta e più)  a mettere da parte il distacco verso le diverse culture che si confrontano e si aggiungono nella costruzione comunitaria ed a sviluppare un attaccamento al territorio alternativo al modello della fortezza. L’Europa non sarà questa.