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La UE non andrà lontano senza coerenza ed attenzione alla società

Il Parlamento Europeo si orienta verso un sistema più stringente di sanzioni ed incentivi per arrivare a livelli accettabili di inclusione sociale e sviluppo della ricerca, senza i quali la famosa strategia di Lisbona rimane lettera morta tra le rovine causate dalla crisi ancora in corso.

Il metodo aperto di coordinamento, che ha lasciato spazio alle diverse misure ideate dai paesi membri, ha lasciato anche la porta aperta al proseguimento della crisi, secondo la maggioranza degli europarlamentari. In realtà sono ormai moltissimi cittadini europei, specialmente se non appartengono alla fascia più alta e più sottile del reddito degli stati avanzati componenti la UE, a chiedersi se non sia il caso di interventi più determinati da parte delle istituzioni centrali europee, sia nella redistribuzione dei profitti nella società, sia nella creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo, obiettivo nel quale proprio gli esecutivi che si erano dichiarati liberisti e sostenitori dell’impresa stanno fallendo vistosamente.

Con 462 voti favorevoli, a fronte di 140 contrari e di 58 astensioni, PPE, S&D ed ALDE (cioè Popolari, il centrodestra; Socialisti e Democratici, il gruppo dove confluisce anche la ex sinistra; Liberali) hanno dichiarato che la caduta del prodotto interno lordo del 4% ed il crollo della produzione industriale, sommati ai 23 milioni di disoccupati che ci sono oggi, sono di fatto la negazione degli sbandierati obiettivi di Lisbona.

Parlando di un altro uso “magico” che del nome della capitale portoghese si è fatto (prendendolo anche a legittimazione di una sorta di ricatto ideologico contro paesi quali Irlanda, Olanda e Regno Unito, dove non senza ragione in questi anni si nutrivano dubbi verso le virtù taumaturgiche di una Unione Europea centralizzata e condizionata dalla volontà di alcuni stati più grandi oppure più propensi alla spesa quali Italia e Francia), ci sarebbe da richiamare il Trattato di Lisbona, perchè quest’ultimo contiene effettivamente una cosa buona: un incremento dei poteri concreti del Parlamento Europeo, che oltre ad essere naturalmente un elemento di democrazia perchè espressione delle scelte dei cittadini inizierebbe a spingere davvero l’assemblea elettiva a produrre altri risultati oltre alle lamentele ed ai consigli, che oggi sembrano essere una bella fetta delle risoluzioni che l’aula produce.

Il Parlamento attualmente chiede alla Commissione (l’esecutivo) che il contrasto alla crisi passi per un sistema di sanzioni e di incentivi, per indurre gli stati membri a coordinare le riforme economiche ed i piani di azione. Un altro punto è la necessità di verificare come i fondi vengono utilizzati dai singoli paesi membri e di subordinare in generale i finanziamenti dell’Unione ai risultati raggiunti e alla loro compatibilità con gli scopi della strategia comunitaria.

Ci sono alcune aree critiche, sottolineate dalla risoluzione, soprattutto la scarsa salvaguardia della stabilità dell’euro e la mancanza di equilibrio tra i diversi fini ricercati dai governi in funzione di contrasto alla crisi economica: riduzione dei disavanzi nazionali, di crescita degli investimenti e di difendere la società nel suo insieme dagli effetti delle turbolenze finanziarie.

Una proposta che spicca è quella di creare una figura di supervisore unico europeo, per giungere ad una vigilanza sul settore finanziario che faccia della UE un attore significativo della sicurezza in questo campo. Ma più in generale vi è la preoccupazione che l’attuale ambizione di bilancio non sia sufficiente a rendere l’Europa protagonista delle sfide a partire dal 2020 in poi e lasci il terreno libero agli stati nazionali ( o li lasci soli, a seconda delle interpretazioni).

Il nodo della questione probabilmente non risiede nell’ammontare delle risorse, la cui distribuzione tra bilanci nazionali ed europeo si basa comunque sui mezzi finanziari disponibili, ma nell’utilizzo delle stesse e nella qualità che la funzione di indirizzo dell’Unione Europea riesce ad imprimere a questo utilizzo: in tal senso non è da sottovalutare il richiamo del Parlamento Europeo a mantenere la quota del 3% che era destinata a R&S (Ricerca e Sviluppo) nelle intenzioni espresse nella Strategia di Lisbona.

La ricerca è uno dei pochi settori che permette nel tempo un effettivo ampliamento dei mezzi e delle risorse disponibili e uno stimolo positivo da parte di queste ultime verso la società nel suo complesso, a differenza delle moltiplicazioni effimere (come quelle avvenute prima della crisi con l’abuso dei prodotti del mercato finanziario definiti ad alto rischio) di cui si sono visti i costi per il tessuto sociale nel suo complesso e che si sono abbattuti in modo particolarmente violento sui settori più deboli delle popolazioni europee, le stesse porzioni di cittadinanza che erano invece pesantemente escluse dai benefici ottenuti dagli autori delle genialità finanziarie promosse dai liberisti attualmente in carica in diversi esecutivi nazionali ed in gran parte delle istituzioni europee.

Aldo Ciummo

La politica estera della UE risponderà ai cittadini del continente?

 

Uno dei dibattiti maggiori cui assisteremo nei prossimi anni è quello su chi dovrà decidere con quale faccia si presenteranno nel mondo tutti i cittadini di un'Europa in crescita (oggi 27, un domani 28 con la Croazia, 29 con l'Islanda e poi chissà)

Uno dei dibattiti maggiori cui assisteremo nei prossimi anni è quello su chi dovrà decidere con quale faccia si presenteranno nel mondo tutti i cittadini di un'Europa in crescita (oggi 27, un domani 28 con la Croazia, 29 con l'Islanda e poi chissà)

Il Parlamento Europeo ieri ha chiesto di essere coinvolto pienamente nello sviluppo delle relazioni esterne della comunità, una domanda che apre un dibattito cruciale nella direzione che la democrazia europea imboccherà nei prossimi decenni

 

di    Aldo Ciummo

 

I deputati dell’europarlamento ieri hanno approvato con 424 voti favorevoli, 94 contrari e 30 astensioni la relazione di Elmar Brok (PPE,DE) sul Servizio Europeo di Azione Esterna (SEAE), che assisterà l’Alto Rappresentante della UE per gli Affari Esterni. I deputati vogliono essenzialmente esercitare il loro controllo sugli aspetti riguardanti il bilancio, ma con ciò anche affermare il controllo dell’organo elettivo sulla gestione della politica estera.

L’Alto Rappresentante per la politica estera, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sarà qualche cosa di più di quello che è attualmente, sparirà la duplicazione che oggi vede le relazioni esterne dell’Unione curate anche dall’apposito commissario. Il ruolo del Rappresentante sarà di fatto quello di un ministro degli Esteri della Comunità, capace di competere in visibilità e prestigio con il Presidente di turno. Però la figura del politico incaricato di sostenere l’Europa nel mondo si inscriverà nella tradizione del Consiglio dell’Unione Europea, quella cioè di affidare le questioni ai ministri dei singoli stati, riuniti nei rispettivi settori in sede europea, una tradizione che ha privilegiato il metodo intergovernativo, il peso degli stati e degli accordi che raggiungono tra loro, rispetto al ruolo dell’Europa come insieme e del suo rapporto democratico, ancora labile, con la popolazione.

Non a caso, per nominare il ministro degli Esteri dell’Unione Europea (è ciò di cui si tratta in pratica, il primo vero ministro degli Esteri della UE)si fanno i nomi di politici che hanno ricoperto questa carica o compiti di governo nei rispettivi paesi, di solito i maggiori per importanza. Quello che chiede il Parlamento Europeo, protagonista di una competizione decennale con i poteri non elettivi e intergovernativi, è di sviluppare, sulla base del ruolo di controllo dell’assemblea eletta dai cittadini europei, una politica estera che risponda all’elettorato indipendentemente dalla sua appartenenza nazionale. L’Europa è stata prima un accordo tra stati, poi una comunità economica interdipendente, adesso vuole essere una comunità politica, ma per fare questo c’è bisogno della democrazia, della partecipazione.

Il Parlamento ha chiesto anche che le delegazioni della Commissione nei paesi terzi vengano unificate, per formare ambasciate dell’Unione, diretti da funzionari del Servizio Europeo di Azione Esterna o SEAE, che risponderebbe all’Alto Rappresentante della UE. Il personale dovrebbe assumere gradualmente funzioni di assistenza consolare e diplomatica verso i cittadini di qualsiasi paese della UE. Un vero progetto di costruzione dello stato, che ricorda per alcuni versi la nostra storia nazionale post-risorgimentale. Un’altra proposta è l’istituzione di una scuola europea di diplomazia, che formi coloro che porteranno avanti le relazioni esterne.

L’organizzazione del SEAE è qualcosa che lascerà il segno, sul volto che la UE assumerà di fronte alle altre realtà del pianeta: il suo funzionamento sarà deciso dal Consiglio dell’Unione Europea, su proposta dell’Alto Rappresentante e dopo una consultazione col parlamento e l’approvazione della Commissione. Il Parlamento Europeo, nel suo complesso, ritiene che il Servizio debba essere integrato nella struttura amministrativa della Commissione e che per rafforzare la coerenza dell’azione esterna dell’Unione le funzioni riguardanti le relazioni esterne dovrebbero essere immediatamente trasferite al SEAE.

Non ci si può illudere sulla rapidità di processi che richiederanno anni e anni, in particolare per quanto riguarda la concreta possibilità di un accordo chiaro e duraturo che bilanci il peso dei Governi, della Commissione e del Parlamento Europeo nel definire le linee guida e la forma organizzativa della politica estera, perchè questa si avvicini sempre di più ad una azione europea sottoposta al controllo democratico e ad una valutazione trasparente da parte dei cittadini degli stati che vanno ad integrarsi nella comunità.