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Il vicepresidente Norvegese a Milano: “società più forti se le donne sono importanti nell’economia”

 

A Palazzo Marino ieri si è svolta la conferenza più importante tra quelle previste in questi giorni nell’ambito delle iniziative norvegesi, “la risorsa femminile: optional o opportunità”

 

di     Aldo Ciummo
 


Ieri mattina Milano ha ospitato il convegno messo dalle organizzazioni norvegesi al centro della iniziativa della Norweek10, che il sito sta seguendo interamente. L’ecologia invece è stata al centro dell’evento di questa mattina, a palazzo Turati. Ieri alle 19.00 è stata presentata la mostra di Marian Heyerdahl, curata da Lorella Scacco al Castello Sforzesco, che resterà aperta al pubblico fino al 27 giugno. Sulla giornata di oggi, dedicata all’ecosostenibilità, parleremo ancora e molto data l’estrema attualità del tema.
 
Il dibattito di ieri sulla parità non ha avuto soltanto l’obiettivo di illustrare risultati raggiunti in Scandinavia, ma anche quello di aprire una discussione su risorse che restano poco valorizzate: a questo proposito il Vicepresidente del Consiglio dei ministri norvegese, Karl Eirik Schjott-Pedersen, ha sottolineato che il capitale umano è ciò che conta di più per il benessere nazionale ed ha aggiunto che “le società sono più forti se le donne sono importanti nell’economia”.
 
Ci sentiamo di aggiungere che le società sono forti quando le donne sono considerate importanti in tutti i settori ed a questo proposito un altro elemento interessante è l’incremento progressivo delle settimane di licenza e la quota consistente che la parte di tempo destinata alla paternità si è aggiudicata, il che da una parte è una conquista importante nel privato per gli uomini, ma determina anche effetti significativi nella libertà di dedicarsi alle professioni da parte delle donne.
 
A questo proposito sono intervenute anche Mariolina Maioli, presidente del Comitato Pari Opportunità e assessore a scuola e politiche sociali del comune di Milano, ed Emily Barrera che è una rappresentante del Comitato citato. Il dibattito ha affrontato la necessità di apprestare strumenti di incentivo e di sostegno nelle fasce di maggiore difficoltà, ad esempio nelle questioni dell’integrazione poste dall’immigrazione consistente in città.
 
Marit Hoel, del “Centre for Corporate Diversity” ha detto che la prospettiva del Nord Europa è coniugare la forza del settore privato all’efficienza del welfare, che garantisce la funzionalità in tempi di crisi. Nel 2002, l’allora governo conservatore della Norvegia introdusse la quota minima del 40% che ha contribuito a fare della Norvegia un esempio di parità nelle cariche dirigenziali dell’economia. Anche Svezia, Finlandia e Danimarca hanno standard molto elevati in merito.
 
E’ stato di particolare interesse l’intervento di Morten Huse, della Norwegian School of Management, sulle donne nei cda nell’esperienza professionale norvegese. Huse ha pubblicato diversi studi, tra i quali “Gender Related Boardrooms Dynamics”, nei quali tratta estesamente anche il valore aggiunto conferito alle iniziative economiche dalla collaborazione di soggetti molto differenti tra loro e il ruolo della conoscenza delle culture e delle peculiarità personali nell’innovazione economica. Da segnalare gli spunti di Giovanna Dossena (Università di Bergamo) sulle opportunità per l’imprenditoria femminile, al di là della parità dichiarata, compresa la propensione all’impresa femminile favorita o meno nella società.
 
Un caso che ha fatto scuola è quello di Elisabet Norderup Michelson, la quale, partita da una laurea in chimica, dopo molti anni di lavoro imprenditoriale nell’area sviluppo ha fondato autonomamente una società che si occupa di sviluppo e vendita di materiali plastici come il poliuretano ma soprattutto, per quello che riguarda il dibattito specifico, ha promosso la cultura dell’iniziativa autonoma prendendo a prestito una immagine classica della letteratura locale “calzelunghe nel mondo del business” che è diventato un motto.
 
Michelson è stata premiata come imprenditrice dell’anno, riconoscimento istituito soltanto l’anno scorso in Norvegia. Per restare più vicini a noi Giovanna Mavellia, della Camera di Commercio di Milano, commentando gli studi effettuati dall’organizzazione ha potuto sottolineare un dato positivo di Milano, con un aumento molto netto dell’imprenditorialità femminile straniera in città che Mavellia ha definito un fatto culturale importante per quello che determina nella percezione dell’autonomia personale.
 
Tra gli altri interventi, che hanno toccato tematiche sulle quali ritorneremo e che sono un nostro ambito di analisi non da oggi, le riflessioni di Paola Dubini, dell’Università Luigi Bocconi, sul ruolo dal punto di vista economico, il discorso di Svein Hoppegart della Confederazione dell’Industria Norvegese Svein Hoppegaard, su donne e business leadership, i dati di Sara Annoni (Altis Università Cattolica) su rapporto tra lavoro e vita personale in Lombardia, l’introduzione del sindaco di Milano Letizia Moratti e la chiusura dei lavori da parte della presidente della Commissione Pari Opportunità del comune di Milano, Patrizia Quartieri. Svein Hoppegart della NHO ha affermato, con speciale convinzione data la sua posizione nelle politiche occupazionali, il valore strategico del peso femminile nell’impresa.

Da European Alternatives / Interview with Seyla Benhabib

 

The Rights of others, copertina di un libro di Seyla Benhabib. Euroalternatives è un progetto che partendo da una visione sociale dell’Europa si propone di stimolare la partecipazione dal basso alla costruzione politica del continente come paese. L’intervista a Seyla Benhabib di Giuliano Battiston si trova anche in italiano sul sito http://www.euroalter.com

Introduciamo la prima parte di una intervista a Seyla Benhabib, che è presente per intero sul sito di European Alternatives per la quale è stata scritta da Giuliano Battiston, così come pubblicata sulla home del sito

www.euroalter.com (sul quale l’articolo è disponibile anche in italiano) .  

Seyla Benhabib insegna Scienze Politiche e Filosofia all’Università di Yale. Si è occupata molto della ridefinizione della cultura, della democrazia e del concetto di confine nell’epoca dei migranti che è quella attuale.

Si consideri questa una introduzione ad articoli in altre lingue europee che si affiancheranno a quelli in italiano, Skapegoat sta coinvolgendo collaboratori italiani e stranieri.

 Ma questo articolo è un servizio di European Alternatives e la pubblicazione di questi paragrafi è da considerarsi un invito all’approfondimento del sito del progetto citato.

Interview with Seyla Benhabib

 

di    Giuliano Battiston

Seyla Benhabib is a professor of political science and philosophy at Yale, and director of the program in Ethics, Politics, and Economics, and a well-known contemporary philosopher. She is the author of several books, most notably about the philosophers Hannah Arendt and Jürgen Habermas. Benhabib is well known for combining critical theory with feminist theory.

 GB: Some people and scholars maintain that restrictions on immigration are necessary, in order to protect a country’s political and legal culture and its constitutional principles. Instead, you have often asserted that the presence of individuals whose cultural identities differ from the majority can strengthen a society’s constitutional laws – leading “to a deepening and widening of the schedule of rights in liberal democracies” – thanks to what you call a “jurisgenerative politics”. Could you explain it to us?

SB: According to me, an immigrant person introduces a new ubjectivity into the host society, and brings in a set of new demands. If we look through some of the most sensitive questions recently to have come out across Europe – the hijab, polygamy and the debate about the setting of courts or legislations consistent with sharia – we realize that these cases emerge from a profound cultural challenge that could be productive. Democratic liberalism founds itself on principles and values: the constitution fixes some principles, which in their turn reflect fundamental values about nature and human dignity.

It is anyway necessary to belongbear in mind that values are abstract and place themselves on what we could call a regulatory level. In every specific case, we should identify some values and principles that are more fundamental than others and, according to them, handle different ways of living within our cultures. Obviously, there can be principles of incompatibility: for instance, I do not accept the principle of polygamy, because I believe it is not egalitarian, it violates gender equality and women’s dignity. But there are also occasions when our disagreement must be subordinated to attempts to find a “human” solution to certain problems.

It is just in these attempts that a jurisgenerative practice is produced: there is a “jurisgenerative praxis” whenever there is a confrontation with new subjectivities and demands, which allow us – or forces us – to rethink the true basis of our constitutional principles, and sometimes pushes us towards a new and diverse articulation of our fundamental values. This usually occurs when we discuss issues such as equality, when we question ourselves about the legitimacy of wearing hijab at workplaces or the legitimacy of homosexual marriages.

(il resto dell’articolo di Giuliano Battiston può essere letto su www.euroalter.com , nessun amico dell’Europa è un concorrente, NdR)