La dura vita dell’immigrato si scontra fin dall’inizio con la realtà dei luoghi di arrivo, dove i suoi diritti sono scritti su un foglio perso in mezzo all’agenda delle esigenze di chi sta meglio
di Aldo Ciummo
Quando uno che scappa per paura, necessità o fame arriva sulle coste italiane non sa cosa fare, spesso non sa neppure quali diritti ha, magari suppone di avere qui qualcuno di quelli che un paese in guerra o sotto ricatto economico, stretto da lacci sociali, gli ha negato. Se sa qualcosa delle libertà che il mondo sviluppato ritiene di garantire almeno in linea di principio a chi abita un po’ troppo a Sud, forse sa anche che per la Convenzione di Ginevra si diventa rifugiati se si è perseguitati per cinque motivi: razza, religione, opinione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale (fattispecie nella quale rientra una vasta casistica, compreso il sesso, purtroppo ancora all’origine di discriminazioni da epoche buie, nel mondo cosiddetto sottosviluppato e anche fuori).
Quello che l’immigrato non sa, ma che da quando esiste la costrizione a spostarsi probabilmente immagina, è che i suoi diritti sono scritti su un foglio perso in mezzo all’agenda delle esigenze di chi sta meglio. Chi scappa lo immagina e per questo nella maggior parte dei casi ricomincia a nascondersi appena tocca terra. Se avesse di che fidarsi si farebbe coraggio con il fatto che anche in assenza dello status di rifugiato si può accedere alla Protezione Sussidiaria, accordata anche in assenza dei cinque motivi classici di persecuzione, qualora la persona rischi di subire un grave danno o una minaccia di morte, tortura, ecc… a causa ad esempio di una situazione di violenza indiscriminata. Probabilmente il clandestino,che è dovuto fuggire in un paese che all’articolo dieci gli garantirebbe diritto di asilo qualora non goda delle garanzie democratiche a casa sua, una volta arrivato qui si dimostra troppo pessimista: in Italia si fa richiesta alla polizia di frontiera oppure alla questura di essere
ammessi alla procedura di riconoscimento della “protezione internazionale”, così si chiama quella che viene accordata ai rifugiati. Ammettere il richiedente alla procedura di riconoscimento è obbligatorio. Ci sono commissioni territoriali che decidono, sulla base dei verbali di polizia e delle audizioni. L’Italia ha finalmente adottato, il 19 gennaio ed il 2 marzo del 2008, la direttiva europea sulla qualifica di rifugiato e sulla protezione sussidiaria e poi quella sulle procedure. Non esiste uno studio comparato tra paesi dell’Unione Europea, come ha verificato il Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir) presso il Consiglio Europeo per i Rifugiati e gli Esiliati (ECRE), ma il tasso di riconoscimento in Italia non è basso, il 57%, a fronte di paesi come la Grecia, che spesso e volentieri rispondono picche ai richiedenti asilo.
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