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Controriforma Forense: un “no” a larga diffusione

Sabato 28 novembre a Piazza Farnese una manifestazione di protesta indice delle perplessità della categoria sulle norme elaborate dal Governo

 

 

Controriforma forense? L’Unione Giovani Avvocati Italiani non ci sta, e indice una manifestazione per sabato 28 novembre a Piazza Navona, svoltasi infine a Piazza Farnese. Una giornata di protesta che voleva mobilitare anche cittadini e consumatori indirettamente coinvolti. Quelle persone che, come tengono a specificare gli organizzatori, saranno investite da “nuove spese, incombenze e vessazioni”.

A pensarla così non è solo la base della classe forense, ma la stessa Antitrust. Nei giorni precedenti alla giornata di protesta, infatti, il Garante Catricalà ha indiscutibilmente bocciato il testo approvato dalla Commissione giustizia del Senato, dove lesivo dei meccanismi che generano libero mercato.

In tal senso, tra i punti più dolenti della riforma, vi è il ripristino delle tariffe minime, nonché il divieto per le parti di negoziare parcelle che siano legate al raggiungimento dei risultati. Pure, la pubblicità sarà oggetto di forti restrizioni: l’avvocato potrà fornire informazioni sull’esercizio della sua professione, ma senza spingersi in elogi e/o comparazioni. Visti i vincoli alla condotta, sarà estremamente complesso riequilibrare l’offerta eccessiva di avvocati non ancora affermati, che rischiano di diventare un peso morto, seppur qualificato, dell’economia. D’altro canto, a gambizzare la mobilità sociale saranno anche quei provvedimenti strettamente connessi all’accesso alla professione.

I neo laureati, infatti, saranno costretti a tirocini senza diritto di compenso e, contemporaneamente, alla frequenza obbligatoria di un corso di formazione parzialmente a loro carico. Soprattutto, secondo la riforma, il numero di attività legate alla professione forense verrà rimpolpato a danno dei legali interni, soggetti non iscritti all’albo e per lo più impiegati nelle imprese e nelle associazioni. Di qui, la lettera che dodici di queste (Abi, AGCI, ANIA, Assogestioni, Assonime, Confagricoltura, Confcommercio, Confcooperative, Confartigianato, Confindustria, CNA, Legacoop) hanno indirizzato a Governo e Parlamento, esplicando le loro perplessità.

 Gli ammonimenti, del resto, sono giunti anche dalla segreteria del Pd, che ha deciso di aderire all’iniziativa di piazza, screditando i membri del partito presenti in commissione, e più volte attaccati per la timida difesa delle “lenzuolate” volute da Bersani nel 2006. Gli unici a rallegrarsi, tra uno schiaffo ai cittadini, una gomitata alle imprese, e l’ennesimo sgambetto ai giovani, sembrano i membri del Consiglio Nazionale Forense, la gerarchia ordinistica ispiratrice della riforma. Quella che, se le norme in discussione verranno definitivamente approvate, potrà certamente far cassa con rinnovati guadagni, a dispetto di un “No” sonoro e a larga diffusione.

                                                                                                                                                                                                                                                              Claudia Papaleo

POLITICA|Ddl Sicurezza. In commissione salta l’obbligo di denuncia del “pizzo”

La stangata non è piaciuta a Maroni: «La norma anti-racket dovrà tornare». Dubbi sulla fiducia

di Simone Di Stefano/Dazebao, l’informazione on line

Il potere del consenso, ciò che oggi conferisce a Silvio Berlusconi la spregiudicatezza di poter assumere qualsiasi decisione, anche la meno condivisa. Lo ha dimostrato più volte all’interno del suo stesso partito, rafforzando la sua leadership fino a sfiorare il culto della personalità. I suoi discepoli prendono appunti e cercano di imitarlo.

Ciò che è accaduto nella nottata di ieri, nelle commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia di Montecitorio ne esprime bene la misura. Lì doveva uscire il testo del ddl sicurezza, ma il provvedimento voluto da Maroni e già bocciato una volta in Senato non piace all’opposizione che lo ritiene una legge razzista. Così l’opposizione in segno di protesta ieri notte ha fatto fagotto e ha lasciato i lavori protestando e piantando in asso il Pdl.

Dal canto suo, la maggioranza non solo ha pensato bene di proseguire la discussione, nonostante l’assenza dell’intera opposizione, ma ha anche eliminato dal testo la norma contenuta nello stesso ddl, quella sull’obbligo per gli imprenditori titolari degli appalti pubblici di denunciare le estorsioni, avallando così le richieste dei costruttori edili. Un colpo basso che consente alle infiltrazioni mafiose di continuare a speculare indisturbate sull’edilizia. Durissime le reazioni dell’opposizione.

Minniti, Pd, parla di «gravissimo errore perché il principio contenuto nel testo licenziato dal Senato era ed è in sintonia con le iniziative fatte in questi mesi dalle associazioni anti-racket e dalla stessa Confindustria ed era frutto anche del lavoro del Pd». L’obiettivo, spiega Minniti «era ed è quello di rafforzare il sostegno a quegli imprenditori che non intendono soggiacere alle prepotenze del racket e delle mafie». Ironico invece il commento di Pino Sgobio, responsabile per il mezzogiorno del Pdci, all’attacco anche dell’opposizione: «La mafia si sta fregando le mani dalla gioia. La cancellazione dell’obbligo di denuncia del pizzo da parte degli imprenditori, escluso dal ddl sicurezza, senza che l’opposizione battesse ciglio, è una regalia alle organizzazioni criminali».

Ancor più duro il commento di Tano Grasso, presidente onorario della federazione anti-racket italiana, che attacca l’associazione costruttori e si dice convinto che «se l’opposizione fosse stata presente in commissione sarebbe stato bocciato quell’emendamento. Su questa proposta c’era quasi unanimità al Senato, si dava con questa norma un segnale forte. Adesso si torna indietro». A rispondere alle accuse tuttavia ha provveduto la responsabile legalità del Pd, Pina Picierno, sottolineando come la colpa sia da attribuire «solo alla maggioranza e non all’opposizione, che era uscita dai lavori della commissione per protestare contro i contenuti razzisti e deliranti di un emendamento vergogna del Pdl che impedisce ai figli dei clandestini di essere registrati all’anagrafe».

Un fatto doppiamente grave, prosegue Picierno, «poiché indica una vera e propria strategia dolosa». Un regalo alla mafia, dunque, proprio la sera prima dell’inaugurazione, avvenuta stamane a Montecitorio, dell’epigrafe in memoria del parlamentare Pci, Pio La Torre, vittima 27 anni fa di un attentato proprio ad opera di Cosa nostra. Un colpo di spugna che comunque non è piaciuto neanche alla Lega e a Maroni in particolare, accentuando ancor più la divergenza di vedute tra il Pdl e il Carroccio.

Lo si capisce dalle parole del fautore del discusso ddl, che non ha apprezzato la modifica del suo pacchetto sicurezza. È per questo che Maroni si è detto fin da ieri convinto che la norma debba tornare nella sua versione originaria. «Una norma condivisa da tutti, quindi, a partire dal procuratore nazionale antimafia e dalle associazioni anti-racket», ha sottolineato il ministro degli Interni. Intanto, in vista dell’iter parlamentare del ddl, l’interrogativo che perseguita in queste ore Maroni sta nel capire «se le acque sono ancora agitate da dover porre la fiducia o meno». In tal caso il ministro si è detto pronto a convocare per martedì prossimo un consiglio dei ministri speciale.

di Simone Di Stefano/Dazebao, l’informazione on line