I lavoratori difendono il paese oggi come sessantasei anni fa, l’Italia rischia di diventare un fardello aggiuntivo per la UE al termine di una crisi che è sinonimo di neoliberismo
di Aldo Ciummo
La soluzione individuata dalla politica mondiale alla crisi è stata da una parte chiudere la stalla quando i buoi erano scappati, imponendo finalmente qualche regola ai soggetti privati che avevano determinato la crisi fornendo libertà illimitata di speculazione attraverso strumenti finanziari di cui non si erano valutati i rischi, dall’altra accollare i costi dei fallimenti delle politiche neoliberiste a chi ne aveva già pagato i danni: le fasce povere delle nazioni più colpite dalla crisi (l’ulteriore redistribuzione del reddito verso le parti della popolazione che concentrano la stragrande maggioranza delle risorse e delle opportunità nelle proprie disponibilità viene chiamata così), le fasce in difficoltà e l’ex ceto medio ormai al fianco di queste.
In Italia le decisioni prese a seguito delle difficoltà delle borse assomigliano più che a contromisure a una prosecuzione in salsa italiana (priva di parvenze o accenni di richiesta di sacrifici a soggetti pubblici e privati che aggravano con le proprie scarse capacità gli effetti degli eventi) delle politiche avviate negli anni ’80 dalle destre mondiali ed estremizzate negli anni ’90, con una ulteriore sottrazione di partecipazione ottenuta con le stagioni militari del 2001-3, le cui spese continuano a pieno regime oggi.
Questa manovra è stata imposta al paese in virtù di una maggioranza di deputati non eletti direttamente ma nominati, da liste la cui composizione rispecchia una piccola parte del panorama sociale italiano, perchè i costi elettorali in epoca di campagne televisive e di abdicazione delle forze politiche organizzate rispetto al proprio ruolo crea una situazione di notabilato che stride con una costituzione che è sulla carta un modello e che è stata conquistata a caro prezzo e conservata con sforzi non trascurabili (nel 1959, nel 1968, durante gli anni settanta e attraverso sacrifici non indifferenti di lavoratori e sindacati fino ad oggi).
Anche stendendo un velo pietoso su confronti con aree dell’Europa che si trovano in condizioni migliori non per grazia ricevuta ma per scelte oculate (valga per tutte la Germania che taglia molto ma investe sull’ istruzione, non è casuale che poi la sua industria cresca proprio nei settori a più alto valore aggiunto e tasso di conoscenza), le lezioni degli economisti, in gran parte appartenenti a fasce della popolazione meno colpiti dalla crisi, non possono nascondere il fatto che l’aumento della disoccupazione è un fatto fortemente recessivo e decisamente favorito dagli aumenti dell’età pensionabili prima e adesso da leggi incostituzionali che reintroducono surrettiziamente l’indebolimento dell’articolo 18, un chiodo fisso del Centrodestra italiano che era stato sonoramente bocciato da un referendum apposito.
Indebolire lo Statuto dei Lavoratori con l’introduzione del principio della deroga contenuto nell’articolo 8 della manovra voluta dal Governo mira chiaramente all’indebolimento di una categoria, rappresentata dai sindacati e soprattutto dal sindacato che più concretamente è stato vicino a coloro che lavorano effettivamente, la Cgil. Questa categoria è una sorta di roccia che con l’appoggio di altri gruppi come gli studenti permette alla costituzione italiana di non franare, in una Italia dove la solidarietà sociale è destrutturata dalle enormi difficoltà (determinate dalle politiche economiche) che colpiscono immigrati, precari, giovani e che rendono tuttora poco coordinate le iniziative pur importanti che tutti questi diversi soggetti pongono in atto per difendere il proprio futuro ed il proprio paese.
Laddove le differenti realtà sane della società hanno trovato, come a Milano nella campagna per Pisapia, un punto di incontro per abbattere questo tipo di destra particolarmente virulento nei confronti dei valori costruiti nella storia dell’Italia democratica e delle condizioni di democrazia sostanziale che necessariamente a questi si accompagnano, è stato possibile avviare percorsi di ricostruzione del tessuto sociale o almeno delle regole essenziali che lo sottraggono alla creazione di situazioni monopoliste che portano al declino economico ed alla regressione civile. Qualsiasi itinerario tracciato per fuoriuscire dalla stretta dei settori oggi più aggressivi nei confronti dei più deboli e di ogni straccio di regola che resiste per tutelarli però non può fare a meno dell’appoggio alla categoria dei lavoratori, quella che organizzandosi nei sindacati ha più contribuito a costruire l’Italia così come la conosciamo e come è stata capace di proiettarsi in una Europa della solidarietà e della conoscenza, un progetto che si incrinerebbe se si permette che il paese venga consegnato definitamente alla morsa di monopoli interni e speculazioni globali.
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