Il parere. Parla Cino Marchese, talent scout
Simone Di Stefano – Pubblicato su L’Unità del 08-07-2008
Un grande fiuto per i talenti del tennis, che lo ha portato in giro per tornei juniores e Slam di tutto il mondo. A Cino Marchese, manager per la Img dal 1979 al 1995, si devono le scoperte di campioni quali Lendl, Borg, Agassi, Sampras, Jennifer Capriati e Monica Seles solo per citarne alcuni. Tra gli ultimi, Roger Federer e Rafa Nadal, i due finalisti dell’edizione 2008 di Wimbledon. Notati quando, non ancora adolescenti, parlavano già il gergo della racchetta. «Federer – racconta Marchese – aveva appena 15 anni quando lo vidi per la prima volta giocare a Miami. Dissi: “Questo non può non diventare il numero uno al mondo”. Lo feci ingaggiare dopo la vittoria del suo primo torneo, a Milano. Era il suo primo passo dal debuttante al campione».
Solidità mentale e margini di miglioramento, questi i parametri del fenomeno: «Bravi erano in tanti. Volandri per esempio, ma non tutti riescono ad arrivare fino in fondo. Federer già allora era il tennis allo stato puro». Diverso il discorso per Nadal: «Lo spagnolo – racconta Marchese – aveva 14 anni quando lo osservai giocare per la prima volta. Al contrario di Roger non mi diede l’impressione che sarebbe diventato quello che è effettivamente adesso. Lui è un “animale”, punta tutto sulla forza fisica». L’ultimo atto della sfida infinita domenica scorsa al Central Court: «Emotivamente è stata una gara ineccepibile, ricca di colpi di scena, ma tecnicamente non mi è piaciuta molto. Federer non ha giocato come sa, non ha sfruttato il suo rovescio tagliato rimanendo in partita solo grazie al primo stop per pioggia, altrimenti avrebbe perso 3-0».
Una vittoria che regala a Nadal la ribalta internazionale ma a far notizia forse è il declino del numero uno svizzero: «Federer è arrivato all’appuntamento di ieri in confusione – spiega Marchese – e i risultati di questa stagione lo testimoniano. Dopo aver perso a Wimbledon non è facile tornare a giocare. Fossi in lui prenderei un anno sabatico». Nemici in campo, amici fuori. Difficile fare confronti con altre rivalità storiche: «Forse Sampras-Agassi o Becker-Edberg. Certamente nulla a che vedere con la sfida infinita Lendl-McEnroe. Lì in gioco c’era l’antipatia». Dove un lungolinea valeva il rispetto e l’onore.
Simone Di Stefano – Pubblicato su L’Unità del 08-07-2008
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