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Ecco come è nato l’Istituto Svedese a Roma

 

Martedì 11 maggio a via Omero è stato presentato il libro “L’Istituto Svedese di Roma”
 

L’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma, architettura moderna immersa tra verde e palazzi delle altre accademie straniere a fianco del parco di Villa Borghese, è un organo di ricerca e insegnamento specializzato che fu fondato nel 1925 dal Principe Ereditario Gustaf Adolf, che dopo essere diventato Gustaf VI Adolf di Svezia e proseguì nel suo interesse per le attività dell’ Istituto ed anzi partecipò varie campagne archeologiche.

Martedì 11 maggio, a via Omero dove l’Istituto ha sede, è stato presentato il libro “L’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma – The Swedish Institute in Rome” in una serata iniziata alle 18.00 e ricca di spunti per gli appassionati di architettura e di arte moderna.

L’atto di fondazione recita che l’obiettivo dell’Istituto è “portare la cultura svedese in creativo contatto con il mondo antico, diffondendone la conoscenza e promuovendo gli studi classici e, più in generale, operare nell’interesse della ricerca umanistica e dell’arte”. Oggi Stefania Renzetti e gli altri studiosi che operano nella struttura mantengono vivo il legame tra la cultura svedese e l’Italia soprattutto attraverso la continuazione dell’interesse architettonico ed archeologico espresso dalla tradizione svedese sul territorio di Roma.

Nel volume sono stati ripubblicati testi dell’epoca, di Ivar Tengbom e di Francesco Fariello. Il libro comprende fotografie di Cesare Faraglia e dell’archivio storico dell’Istituto. Altri contributi sono stati scritti per il volume da Barbro Santillo Frizell, Börje Magnusson, Jan Ahlklo, Hans Henrik Brummer. Nel volume è possibile ammirare anche nuove fotografie dell’edificio e degli interni di Åke E:son Lindman, mentre il lay out è di Carl Johan Hane.

Con molta passione per l’argomento trattato, che si lega alle loro biografie di studiosi, Antonello Alici (dell’Università Politecnica delle Marche) ed Andrea Vidotto (Università degli Studi di Roma Tre) hanno tratteggiato davanti al pubblico la storia dell’edificio e dei cambiamenti che sono stati apportati nel tempo senza mutarne sostanzialmente le caratteristiche basilari.

L’attuale sede è, fin dal 1940, un edificio disegnato da Ivar Tengbom, famoso ed apprezzato architetto. Secondo Francesco Fariello, collega e contemporaneo di Tengbom, la costruzione esprime, attraverso l’uso di materiali locali di Roma come tufo, mattoni e travertino, un “senso misurato e aristocratico, quell’amore per l’ordine flessuoso, che sono caratteristiche dell’attuale architettura svedese”.

Negli interni è ancora più evidente la sensibilità nordica: “tutto emana calma e dignità ottenute con sobrietà di mezzi e meticolosità di esecuzione”. Difatti, ancora oggi questi spazi sono molto accoglienti per i visitatori che vi accedono e la ragione è anche da ricercare nel fatto che l’arredamento fu affidato a quelli che erano i maggiori designer nordici dell’epoca: Carl Malmsten (mobili), Elsa Gullberg, Märta Måås Fjätterström, Maja Sjöström (tessuti). 

Gli organizzatori hanno spiegato che, a settanta anni dall’inaugurazione delle sede e in un momento in cui la presenza e l’operato degli istituti stranieri a Roma sono di grande attualità, la presentazione del libro è una conferma del rapporto forte tra i nostri due paesi europei.

Aldo Ciummo

Il paesaggio urbano è qualcosa che si può leggere in molti modi

Il libro Via Tiburtina - Space, Movement and Artefacts in the Urban Landscape è pubblicato dall’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma con il sostegno del Consiglio Svedese per la Ricerca ed è distribuito da eddy.se AB. Il libro è uscito sul mercato svedese in occasione della Fiera del Libro di Goteborg, 24-27 settembre 2009.

L’Istitituto di Studi Classici Svedese venerdì sera ha ospitato un dibattito sulla via Tiburtina. L’architetto Hans Bjur, professore dell’Università di Goteborg, e l’archeologa Barbro Santillo Frizell, direttore dell’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma,  hanno percorso per sei anni questa strada, alla guida di un progetto di ricerca sui tremila anni di storia di questa Via ancora oggi in uso.

Venerdì 11 dicembre l’Istituto di Studi Classici Svedese ha accolto l’iniziativa di dibattito “Via Tiburtina, Space, Movement,and Artefacts in the urban Landscape” un seminario internazionale su come le città integrano le stratificazioni storiche nel proprio sviluppo urbano.
Si è parlato di come vengono valorizzati ed interpretati, in una città e nello sviluppo del suo paesaggio, le eredità materiali ed immateriali e di quale significato può avere una città antica in questo contesto.

Via Tiburtina – Space, Movement and Artefacts in the Urban Landscape, è il titolo del libro che racchiude i risultati degli studi di Bjur e Frizell. “Si evidenzia la continuità tra la Roma antica, medievale e rinascimentale e la moderna metropoli – spiegano gli autori – percorrere una strada originariamente costruita dagli antichi Romani e che tremila anni dopo continua a essere un’arteria pulsante nel caotico traffico in entrata e uscita dalla capitale d’Italia significa percorrere la storia. Ma non solo: un viaggio lungo la Via Tiburtina dimostra quanto può essere importante una strada per lo sviluppo di una città e apre il dibattito su come la moderna pianificazione urbanistica si possa coniugare con il patrimonio storico urbano.”
 
Roma è una città sviluppatasi strato su strato nelle diverse epoche storiche e queste stratificazioni, non soltanto materiali, hanno creato diverse correlazioni tra loro, attraverso i millenni. Maria Margherita Segarra Lagunes, che insegna all’Università Roma Tre, ha sottolineato come abitudini ripetute ogni anno per secoli hanno trasformato gli atti in rituali ed hanno costruito la mentalità della gente, i percorsi contadini, “c’è, nella conformazione dei luoghi e nelle azioni con le quali vengono vissuti una consapevolezza, anche se a volte inconscia”.

Al centro dell’analisi c’è la strada, che è sempre la stessa ma nello stesso tempo è in costante evoluzione. Con il suo febbrile movimento, la Via Tiburtina genera nuove culture sociali, che potenziano il traffico e stimolano l’edilizia, oltre a creare nuovi elementi paesaggistici, i cui resti entrano a loro volta a far parte del patrimonio culturale e si adattano alla struttura sociale dei nostri tempi.

Paolo Liverani, dell’Università di Firenze, ha osservato che  “ci sono mappe in cui si possono trovare monumenti. La coscienza topografica ha origine da semplici considerazioni, sul territorio le testimonianze del tempo non si stratificano semplicemente l’una sull’altra, ma ognuna modifica le altre, le cancella, le ridefinisce”

Il dialogo tra patrimonio ereditato e esigenze del presente è proprio il nocciolo del libro sulla Via Tiburtina,  in cui Hans Bjur propone,  insieme a Barbro Santillo Frizell, professore di archeologia classica, un nuovo approccio alla moderna pianificazione urbanistica: l’archeologia paesaggistica urbana. In tredici capitoli ricchi di illustrazioni archeologi, esperti in conservazione dei beni culturali, studiosi dell’antichità, architetti, storici dell’arte e conservatori specializzati in beni architettonici mettono in relazione l’antica Roma con le intense trasformazioni dell’attuale metropoli.

Si tratta certo di un dibattito che non è neutro, come Gert-Jan Burgers, dell’ Istituto Nederlandese a Roma, ha fatto notare: “diverse visioni si confrontano, quella monumentale della storia coltivata dalla direzione nazionalista settanta anni fa, quella calata dall’alto oggi dall’Unione Europea, quella che mette al centro le esigenze locali”.

Identità, comunità, qualità della vita: diversi possono essere gli obiettivi dell’azione umana sul paesaggio. Il valore della eredità culturale per la società è mediato dalle scelte delle differenti culture, il patrimonio perciò è anche un processo, si tratta di progettazione dello spazio più che di semplice mantenimento di quello che esiste. Esistono paesaggi nascosti alla vista, presenti però nella nostra percezione culturale.

Su questo punto si è soffermato Wetterberg, moderatore della serata (Università di Gotemborg, Svezia) che ha riassunto le considerazioni di molti dei relatori sottolineando come un’area, così come viene percepita dalle persone, “è il risultato della azione e della interazione di fattori naturali ed umani, non è un fatto statico,  non è un dipinto, ci si vive dentro, eppure è una idea e non una cosa. Il paesaggio è un modo di agire e di pensare, non un oggetto immobile da preservare.”

Sono intervenuti anche Graham Fairclough (English Heritage) e Lionella Scazzosi (Politecnico di Milano). Il progetto di ricerca sulla via Tiburtina è nato nel 2003 da una collaborazione tra l’Istituto per la Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Goteborg e l’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma. Oggi, l’Istituto Svedese ospita un ambiente di ricerca interdisciplinare. Questa iniziativa inoltre ha gettato delle basi per la nascita dell’archeologia paesaggistica urbana come settore di ricerca. La ricerca portata avanti con il libro sarà anche un valido strumento all’interno dell’urbanistica e dell’edilizia come progetto sociale, sia in Italia che in Svezia.

Aldo Ciummo