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Solidarietà con la Norvegia

Con i terribili eventi di  venerdì 22 luglio sono stati feriti la civiltà e la democrazia. Il mondo si stringe in solidarietà con la capitale nordica.

Gli eventi sono purtroppo noti, attraverso le maggiori televisioni e testate italiane come straniere. Le azioni necessarie per assicurare i responsabili alla giustizia sono in corso di svolgimento, con ipotesi già consolidate e altre ancora non del tutto escluse. 

Perciò  non ci si sofferma sulle terribili immagini apparse sulle televisioni e sulle terribili cifre riportate che ci hanno sconvolto, nè sulle piste individuate e vagliate dalle autorità, che confermano come l’accaduto sia un attacco ad un modello di laicità, di diritti e di sviluppo.

Il mondo si stringe giustamente in solidarietà, dopo una aggressione alla civiltà. Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha inviato la propria partecipazione al dramma di Oslo, dove gli attacchi hanno avuto luogo. Per l’Onu, Ban Ki Moon ha condannato gli attentati.

Julia Jillard, la premier australiana, ed il primo ministro canadese Stephen Harper, hanno espresso sconcerto per l’aggressione ad un paese pacifico, così  il Segretario Generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen ed il Presidente della Commissione Europea, José  Barroso.

Il Ministro degli Esteri,  William Hague, ha dichiarato che il Regno Unito sta “spalla a spalla con la Norvegia”, rappresentando i sentimenti dell’intera Europa di fronte al dramma.  Angela Merkel ha detto che “il governo tedesco sta al fianco dei norvegesi, in solidarietà”.

Attestazioni di cordoglio sono giunte  dal Governo Italiano, attraverso il Primo Ministro Silvio Berlusconi ed il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. La politica  passa in secondo piano in un momento di sofferenza per l’Europa a causa dell’accaduto.

La Norvegia, oltre ad essere un modello di diritti e di democrazia per la sua identità istituzionale e sociale, è un paese che pur non facendo parte formalmente dell’Unione Europea si è sempre impegnato per aiutare le regioni della comunità europea più in difficoltà negli ultimi decenni e per lavorare assieme al resto del continente per una crescita equilibrata di economia e società. L’Europa dovrebbe fornire tutto il supporto di cui è capace in una situazione in cui lo stato norvegese vuole tornare rapidamente alla normalità.

Aldo Ciummo

INTERNAZIONALE|Obama già sotto tiro di Al Qaeda

Il benvenuto del fondamentalismo islamico al nuovo numero uno della Casa Bianca

Simone Di Stefano/Dazebao, l’informazione on-line

Non si è ancora insediato nella sua nuova dimora, al numero 1600 di Pennsylvania Avenue, che il neo Presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, ha già ricevuto la prima minaccia, arrivata per voce di Abu Omar al-Baghdadi, emiro di quello che si fa chiamare lo “Stato islamico iracheno”. Una sigla dietro la quale si nasconde la cellula terroristica di al-Qaeda.

«Ritiratevi, ritirate le vostre truppe dai nostri paesi e non entrate più nei nostri affari», il sunto del pensiero dell’emiro che poi, sempre attraverso la stessa registrazione audio della durata di 23 minuti circa, divulgata su siti e forum on-line di tradizione jihadista, ha proseguito esortando i nuovi capi della Casa Bianca e i loro alleati cristiani a convertirsi all’Islam. «Che la pace sia su chi segue la retta via», ha proseguito al-Baghdadi, che con il suo messaggio ha così interrotto il silenzio, rivolgendosi direttamente al nuovo capo dello stato a stelle e strisce.

Parole che ormai suonano come familiari alle orecchie dell’occidente intero, ma che all’alba di una nuova era, quella che si sta avviando con l’ascesa di Obama al potere, suonano più come un’esortazione ad accelerare i tempi di sgombero delle truppe in Iraq. Ma poi arriva anche il tremendo monito: «Se continuerete a perseverare nei vostri errori, sarete puniti come lo siete stati in passato. La vostra guerra oppressiva contro i paesi islamici sta portando grosse perdite e lo svuotamento della vostra forza e della vostra economia è la ragione principale della fine del gigante».

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USA|Piano di salvataggio in stallo dopo giorni di discussione

Un giovedì di passione all Casa Bianca. Il governo annuncia il piano di salvataggio per le società in crisi. ma è tutto rimandato perché manca l’accordo tra i repubblicani

di Simone Di Stefano

Gli usa sono sempre alle prese con la crisi economica che rischia di schiacciare il colosso americano. Sono ore delicate, in cui la politica statunitense si gioca una fetta importante del futuro della nazione. Serve un accordo per superare il crack down finanziario e non far finire in una bolla di sapone i 7oo miliardi di dollari che il governo ha messo sul piatto per salvare dalla bancarotta tutte quelle società finanziarie che rischiano ora di morire. Se ne sta parlando ala Casa Bianca, anche se c’è chi vede questi soldi bruciati già come neve al sole.

La giornata di ieri si è aperta con tutti i migliori auspici e con il Presidente George W. Bush dichiarare al congresso: «C’è ancora una possibilità di far crollare la crisi», ma le parole del numero uno Usa si mescolano all’incertezza che lo attanaglia perché è anche vero che lo stesso Bush ha ammesso che: «Siamo in una grave crisi economica», ai microfoni dei cronisti che ieri lo hanno assediato di fronte alla Casa Bianca.

Una giornata convulsa, quella di ieri a Washington. Iniziata con l’auspicio del dialogo, almeno in tempo di crisi, e di riuscire ad arrivare in serata a un accordo bipartisan, si è conclusa con una vera e propria rissa verbale che ha soltanto acutizzato il problema. Quando si sono visti arrivare alla White House, con passo militarmente cadenzato, i senatori Barack Obama e John McCain, candidati alle Presidenziali del prossimo novembre, si è pensato che forse, stavolta, si sarebbe raggiunto un accordo. Ma una volta chiuse le porte del Gabinetto, si è scatenata una rissa verbale che forse mai come ieri ha superato le private stanze dell’establishment a stelle e strisce, scendendo per le strade e le vie di Washington.

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