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UE: la riforma sulla protezione dei dati sarà votata nell’Europarlamento

Il dibattito nella commissione per i diritti civili ha sottolineato l’importanza di regole comuni nella UE

Tanto il regolamento quanto la direttiva sulla protezione dei dati dovranno essere votati al più tardi in ottobre, questa è la conclusione raggiunta nel corso della discussione di martedì 9 luglio nella commissione per i Diritti Civili dell’Europarlamento. Gli europarlamentari ritengono che l’itinerario della legislazione comunitaria in materia sia lento e insistono molto sul ruolo di regole simili all’interno della Unione Europea.

Il regolamento riguarderà l’insieme dei dati (dei cittadini europei) trattati, mentre la direttiva sarà in merito al segmento particolare dei dati trattati per ragioni di polizia in procedimenti giudiziari.  La prima a votare sarà la Commissione per le Libertà Civili, che fornirà poi all’Europarlamento il mandato per iniziare il negoziato con il Consiglio dei Ministri, nel quale sono rappresentati gli stati componenti la UE.

Quasi cinquemila emendamenti testeranno le due parti menzionate della legge, ma i negoziati all’interno dell’assemblea dovrebbero riassorbirne un numero consistente, velocizzando l’iter dell’approvazione.  Philipp Albrecht (Verdi-Alleanza Libera Europea, Germania) ha detto che la votazione non dovrebbe ritardare oltre ottobre. Dimitrios Droutsas (Socialisti e Democratici, Grecia) ha sottolineato che il periodo è adatto ad affrontare l’argomento: il dibattito sul programma statunitense “Prism” ha reso l’opinione pubblica internazionale attenta al tema. Axel Voss (PPE, Germania) ha dichiarato che gli eurodeputati sono concentrati sul problema, ma che questo richiede minore precipitazione nella sua soluzione legislativa.

Sarah Ludford (Alleanza dei Liberali e Democratici, Regno Unito) ha affermato che la scelta migliore non è la ricerca del consenso, ma l’elaborazione di una legislazione efficace. Cornelia Ernst (Sinistra Unitaria Europea, Germania) ha detto invece che l’obiettivo non può essere soltanto un compromesso tra gli stati componenti, ma piuttosto il raggiungimento di regole comprensibili in tutta la Unione Europea.  Il prossimo incontro rilevante della commissione per le Libertà Civili è stato fissato per il 5 settembre.                                                                                                                 

L’impegno danese per una politica Ue comune

 

La Danimarca sostiene meccanismi di finanziamento e di decisione legati alla verifica dell’efficacia delle azioni intraprese

La politica agricola comune ha avuto una grossa parte nella costruzione dell’ Unione Europea e tuttora rappresenta una porzione significativa del suo bilancio. Nella prospettiva delineata dal governo danese, la PAC dovrebbe continuare ad assicurare un ruolo da giocare a tutti gli stati membri, ma il rafforzamento delle regole comunitarie appare come un requisito fondamentale.

Per la Danimarca, soltanto attraverso una politica agricola comune possono essere assicurate uguali condizioni per la produzione agricola europea. L’area nord europea nel suo insieme si muove sulla linea dell’armonizzazione delle politiche nel continente, per evitare che ci siano ventisette posizioni completamente diverse, che non riuscirebbero ad assicurare l’efficienza del mercato interno e la competitività globale dell’Europa.

Copenaghen sostiene gli sforzi di consolidare un mercato interno ben funzionante con 500 milioni di consumatori, a vantaggio delle esigenze dei cittadini che sono al centro di crescenti preoccupazioni riguardanti la protezione dell’ambiente e la sicurezza alimentare. La Politica Agricola Comune in altre parole dovrebbe diventare al più presto il quadro nel quale collocare una serie di impegni attesi da chi acquista, dalle regole comuni sugli standard di qualità del cibo alle norme di etichettatura.

Il documento con il quale il governo della Danimarca illustra la propria posizione affronta anche l’importanza delle regole di produzione per l’azione europea nei mercati esterni che, attraverso la progressiva apertura al commercio soprattutto in Giappone, USA, Federazione Russa e nei mercati emergenti dell’Asia e dell’America Latina, l’Europa può fare leva anche sull’agricoltura per rafforzare il suo impegno a favore dell’accesso dei paesi in via di sviluppo al commercio mondiale.

Aldo Ciummo

L’Europa contro tutti i razzismi

strasburgo

Oggi il Parlamento Europeo ha chiesto alle autorità egiziane e malesi di garantire la sicurezza di coloro che non aderiscono alla religione musulmana ed adottato una risoluzione che condanna tutte le forme di intolleranza.

 

In Malesia si sono ripetute, nel 2009, ingerenze del Governo nei confronti dei diritti delle minoranze divergenti dal pensiero islamico maggioritario nel paese. Già nel 2007 lo stato aveva minacciato di proibire la pubblicazione del giornale “The Herald”. Contemporaneamente, si sono registrati attacchi alla libertà dei cristiani, che stanno passando un periodo brutto anche in Egitto, dove sei cristiani copti sono stati uccisi il 6 gennaio 2010 e sono avvenuti anche molti incidenti che solo per casualità non hanno avuto esiti drammatici.

Il Parlamento Europeo ha espresso con una risoluzione (sostenuta da tutti i gruppi politici) la condanna di tutte le forme di violenza, di discriminazione e di intolleranza basate sulla religione contro appartenenti ad altre confessioni, “apostati” e non credenti. In relazione ai recenti attacchi, l’assemblea ha chiesto alle autorità malesi ed egiziane di garantire la sicurezza delle minoranze presenti sul territorio. 

Nella risoluzione si osserva che anche l’Europa conosce crimini individuali di questa natura (ed è attuale nella cronaca il tentativo di alcuni ambienti, marginali nelle comunità immigrate, di perpetuare nella nazione di arrivo tradizioni incompatibili con i diritti come intesi nella tradizione umanistica e giuridica derivante dall’illuminismo) e si auspica che Consiglio della Unione Europea, Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri prestino una particolare attenzione alla situazione delle minoranze, nel quadro della cooperazione Ue con i paesi interessati.

Non tutti hanno libertà di pensiero e di coscienza, alle ben note forme di stato autoritario o di pressione economico militare esercitate a causa degli squilibri geopolitici ereditati dal passato si aggiungono le democrazie “controllate” del profondo est d’Europa e i regimi populisti e teocratici in Asia e altrove, dove il consenso più o meno diffuso verso i sistemi di controllo sociale tradizionali e i problemi sociali scaricati verso l’esterno, spesso verso l’occidente, produce quell’intolleranza di cui gli incidenti che poi si registrano a spese di cooperatori internazionali o comunità minoritarie rappresentano segni tangibili.

Come le guerre infinite per il controllo delle risorse (e anche per una malintesa semplificazione delle tensioni internazionali) hanno portato una significativa parte della popolazione dei paesi sviluppati ed occidentali a raggruppare culture diverse in un tutto indistinto, dipinto come dominato dalla religione e pericoloso per la sicurezza di una porzione del mondo, così una fascia non indifferente della gente comune di nazioni dove le tradizioni possono rappresentare un efficace strumento di controllo (in un contesto instabile dal punto di vista della sicurezza materiale) è coinvolta in forme di razzismo che non sono meno pericolose di quello tradizionalmente inteso.

In maniera analoga alla specularità di interventismo all’esterno (le occupazioni militari precedute dai bombardamenti mediatici e concreti) e contrazione del confronto all’interno delle società coinvolte (la diffidenza e la repressione verso alcune categorie di immigrati e per estensione verso ogni diversità) sperimentata in occidente dopo le ferite degli attentati, anche in larga parte del Sud del Mondo (e delle potenze emergenti, grandi e medie) si registra il tentativo,  da parte delle élite tradizionali, economiche, militari e religiose, di scaricare tutte le responsabilità dei problemi e le tensioni verso i paesi “ricchi” presi come bersaglio della propaganda, e di qui l’attacco contro i gruppi di persone originarie di queste nazioni, provenienti dagli USA, dall’U.K, dalla UE, contro chiunque si trovi temporaneaente nel terzo mondo oppure sia impegnato nella cooperazione e venga dai paesi sviluppati (in un immaginario che nei paesi in difficoltà finisce per costruirsi un logo uniforme di una fetta del pianeta), da qui l’ostilità verso i gruppi riconducibili alla storia del colonialismo nonostante, l’arricchimento che questi ultimi gruppi hanno portato spesso allo sviluppo della democrazia in aree dalla società complessa come i paesi in via di sviluppo.

Un argomento che su queste pagine web viene curato in maniera ricorrente è, non a caso, la necessità di non semplificare troppo, legittimando malintese pretese di decolonizzazione molto dopo la conclusione dell’era storica cui il colonialismo appartiene, e l’opportunità di ricoscere l’importanza delle comunità di origine europea nel mondo per la cultura e le istituzioni consolidatesi nel tempo grazie all’apporto di queste ultime. Le crisi regionali non si risolvono con il populismo terzomondista.

Difatti, a ben vedere lo stesso antioccidentalismo, letto in termini di puro scontro tra regioni se osservato da lontano, dai suoi destinatari, si muove in un paesaggio sociale, il mondo emergente dell’Asia, dell’Africa, spesso dell’America Latina e moltissimo negli stati a forte presenza islamica, nel quale gioca un ruolo nelle trasformazioni interne di ogni nazione presa in esame, dove l’avversario delle oligarchie e del blocco sociale che le sostiene non è all’estero ma è l’insieme di categorie e di elementi culturali che spinge verso la modernizzazione della società, e lo spauracchio delle fasce marginali che si uniscono ai fanatismi religiosi non è la libertà e il paniere di valori occidentale, se ne esiste uno uniforme, ma l’insicurezza degli ultimi in un pianeta dove il costo di questa libertà è insostenibile per molti.

Nella stessa Unione Europea, è positivo che l’Aula (sempre oggi) abbia riaffermato il ruolo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e difeso le sue decisioni in merito alla garanzia della laicità delle scuole, respingendo il ricorso contro il divieto di apporre simboli cristiani. Ma la difesa della laicità da sola non bastera e occorrerà mettere l’Europa in condizioni di intervenire nelle situazioni sociali con più peso e soprattutto lavorare sull’integrazione tenendo conto che si tratta di un processo complesso nel quale le comunità immigrate non possono essere considerate in una condizione “infantile” ma devono assicurare reciprocità nello scambio. E i paesi di provenienza degli emigranti non possono supportare queste trasformazioni in maniera fruttuosa se non avviano una tendenza di apertura anche in casa propria.

Aldo Ciummo

Germania, la Merkel resta, ma lì c’è l’Europa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Infondate le voci che davano prossimo alla fine il cancellierato Merkel, simbolo di grandi cambiamenti in Europa con l’apertura a Est, inscritta nella stessa storia personale del personaggio politico (popolare ma proveniente dalle strutture della Ex Ddr), l’accelerazione del percorso unitario europeo sulla base del mantenimento dei rigidi criteri di responsabilità economica su cui si è mosso lo sviluppo tedesco negli ultimi decenni ed una evoluzione costante di una delle democrazie più grandi del continente (dopo l’U.K), con il raggiungimento delle massime cariche di governo da parte di categorie (donne, immigrati) ancora largamente bloccate ai margini delle istituzioni e degli organi decisionali nelle società di buona parte dell’Europa (soprattutto Italia).

Christoph Steegmans, come portavoce del Governo di Centrodestra che comprende i popolari della Cdu-Csu e i liberali della Fdp di Guido Westerwelle, ha smentito le indiscrezioni che volevano l’esecutivo della Merkel al capolinea in Germania.

Un dato interessante è che i timori rapidamente ingenerati intorno alla tenuta del governo hanno subito avuto qualche influenza  sull’andamento dell’euro nei mercati asiatici e causato preoccupazioni sulle ricadute nella crisi greca.

L’agitazione dei mercati seguita alla notizia poi rivelatasi priva di fondamento è un dato perchè indica chiaramente come la politica tedesca sia già europea, come dovrebbe essere dappertutto essendo quello il tappeto dove si gioca di fatto la risposta alla crisi economica. Questo avviene logicamente non per illuminazione divina, ma per il ruolo che storicamente ed economicamente la Germania svolge, anche a livello di influenza e potere all’interno dei meccanismi istituzionali della economia e delle decisioni nell’Unione Europea. Però Berlino ne paga i costi, mentre altrove soprattutto si parla (e si utilizzano i fondi, anzi a volte nemmeno quello, si bloccano e si lasciano lì, per pensare a lamentarsi dell’euro).

Gestione dell’Afghanistan, tasse da tagliare, sanità, gli argomenti anche “domestici” su cui ci si scontra nel governo di centrodestra non mancano, lì si tratta di una coalizione di pari e inoltre l’opposizione non fa sconti sulle questioni sociali e sostanziali, infatti la sinistra estrema è un big nell’arena politica tedesca ed arriva al venti per cento nelle elezioni regionali federali.

Altrove, non c’è da stancarsi a dirlo finchè i partitini italiani non avranno raggiunto il loro obiettivo di estinguersi ed ottenere premi per i loro rappresentanti da parte delle forze maggiori, i gruppi storici della sinistra si ammazzano tra di loro per difendere falci e martelli, soli che ridono e varie altre anticaglie e petrelle. Lavoratori, disoccupati, studenti, professionisti, immigrati, si rappresentano da soli, con effetti per ora desolanti per la società circostante, non per loro carenze, ma per la stupefacente impermeabilità delle strutture forti tramandatesi ai vertici del paese.

Intanto, i gruppi che governano l’Italia si dedicano ad una ristrutturazione del sistema giuridico e ad un accentramento degli avanzi del sistema economico che allontana il paese dall’Europa e che avvinghia gli stessi gruppi politici e sociali appartenenti all’area conservatrice in una stretta dalla quale non possono uscire neppure volendo, a causa del fatto che non esiste una opposizione. Ve ne è una di comodo e un’altra talmente intransigente, a parole, che non corre il rischio di confrontarsi con nessun problema concreto della società.

Forse i diversi paesi hanno situazioni politiche ed economiche non comparabili. Di sicuro, parlando di Germania, si può parlare di Europa. E l’Europa un giorno o l’altro dovrà arrivare anche in Italia.

Aldo Ciummo

La politica estera indiana guarda ad Occidente

 

In previsione delle sfide che attendono i rapporti internazionali nel 2010 Asia e Occidente vedono intensificarsi i loro rapporti economici, sociali e politici. Al termine del 2009 l’India attraverso il suo Ministero degli Esteri ha espresso apprezzamento per le linee guida della politica statunitense e stilato una lista di priorità dal punto di vista del proprio paese.

Shashi Tharoor, Ministro degli Esteri per gli Affari Esteri dell’India, in dicembre ha sottolineato attraverso una intervista all’International Herald Tribune Magazine le priorità che il suo paese vorrebbe vedere in cima all’agenda dell’amministrazione statunitense, dato che quest’ultima ha una forte influenza sui processi di pace e di ricostruzione economica al centro nel panorama mondiale odierno.

Come la più estesa democrazia nell’Est del Mondo, l’India esorta gli Stati Uniti, tramite le dichiarazioni del Ministro degli Esteri, a rafforzare le relazioni con il Sud del Mondo, contando sulla storia anche personale del nuovo presidente Usa, cresciuto nel Pacifico.

Un’altra richiesta è l’accelerazione del processo di disarmo nucleare, ma con il presupposto che non ci siano stati intitolati ad un maggiore sviluppo in questo settore rispetto agli altri.

Tharoor ha parlato anche di soluzioni multilaterali ai problemi, considerando la natura sovranazionale delle questioni ambientali, sociali e di sicurezza che si trovano sul piatto.

Nel discorso del politico indiano c’è stato posto anche per la riforma delle istituzioni globali: i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza sono ancora quelli scelti in base ad una guerra di sessantacinque anni fa, è stata la considerazione più importante di Tharoor, mentre il Belgio ha, nella Banca Mondiale, un peso maggiore della Cina, sebbene si conosca il peso concreto assunto da Pechino.

L’intervento del Ministro dell’India quindi è stato anche un richiamo ad una iniziativa per organizzare gli strumenti che dovranno risolvere problemi sempre più stringenti e complessi nella consapevolezza della realtà attuale, che non si può più affrontare con un approccio unipolare, laddove invece i centri di influenza socioeconomica, tecnologica, politica, si sono moltiplicati e le questioni si sono internazionalizzate.

INTERNAZIONALE|Malesia, un premio al progresso. A prescindere

Appena conclusa la seconda edizione del Merdeka che celebra l’indipendenza della Malesia e premia i migliori studi scientifici. Peccato il coinvolgimento delle multinazionali straniere che nel Borneo continuano a farla da padrone

di Simone Di Stefano/SG

Un paese, una storia. La Malesia è tuttora uno di quei crogiuoli di cultura cui nessun traguardo sembra precluso. Tante le religioni e tante le etnie che vanno a comporre questo pittoresco disegno formato da tante monarchie costituzionali quanti sono gli stati federati che lo vanno a comporre (13 più altri tre aggiunti successivamente). Due sponde, orientale e occidentale, che si guardano all’interno del Borneo. Un mix di culture e religioni che nonostante il complesso ordinamento politico e istituzionale ne garantisce la tenuta democratica, rappresentano una grande sfida per la loro integrazione.

La festa del Merdeka, che in malese significa «indipendenza» (dalle potenze coloniali britanniche e olandesi), è quella che per noi è la festa della Repubblica del 2 giugno, o per gli americani il 4 luglio. Simbolo di coesione sociale e di attaccamento ai valori condivisi il Merdeka vede ogni 31 agosto sfilare per le vie di Kuala Lumpur, fino a confluire nella piazza dell’indipendenza, Dataran Merdeka, le parate dei militari.

Lungo i viali transennati folle di famiglie sventolano la “Jalur Gemilang”, la bandiera della Malesia. In tanti piangono, secondo la tradizione voluta dal Primo Ministro, Tunku Abdul Rahman, che dichiarò l’indipendenza il 31 agosto del 1957. Esattamente cinquant’anni dopo, il 31 agosto 2007, per commemorare il cinquantesimo anniversario dell’indipendenza, veniva istituito il Premio Merdeka, di cui vengono insigniti personaggi pubblici che rappresentano gli alti valori della nazione, rendendo questo premio una sorta di Nobel al patriottismo malese, oltre che alla bravura e all’operosità scientifica.

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