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La sinistra sociale in Italia uno spazio che nessuno rappresenta

L'elettorato europeo è numericamente cento volte maggiore dei partiti che si sono ridotti all'uno per cento nel tentativo di indottrinarlo. E' tempo, nell'ambito della politica, di rivalutare la ricchezza della vita sociale che peraltro ha permesso alla storia di continuare il suo corso anche in assenza dei rappresentanti di ideologie ultraminoritarie dal parlamento. Storicamente infatti la sinistra è nata nelle strade e solo con l'apertura può pensare di confrontarsi con avversari imperfetti ma realistici

Rispetto al partito stato-nello-stato che era il Pci, alle divisioni degli anni ’70 e al berlusconismo senza Berlusconi del Partito Democratico, esiste uno spazio sociale del tutto estraneo alla destra ed al centro, ma che per ragioni anche anagrafiche è del tutto disinteressato ai miti dell’operaismo e avverso all’antioccidentalismo ideologico. E anche privo di tempo e di voglia per stare a guardare tutto il giorno quanto è bella la falce e martello.

C’era una volta la sinistra in politica, strettamente legata alla realtà sociale, anzi faceva della sua capacità di sentire il polso alla strada la sua forza, anche in situazioni di palese svantaggio istituzionale e mediatico.

All’inizio degli anni ’90, nel periodo di maggiore pressione negativa sull’area comunista derivante dalle vicende storiche dell’Est europeo, un quaranta per cento degli italiani apparteneva in qualche modo ad un’area post-socialista oppure progressista.

Studenti, operai e dipendenti erano in gran parte soggetti che dialogavano costantemente con le organizzazioni classiche di sinistra. Da allora la società è molto cambiata, nel tempo questi professionisti, immigrati, giovani, fasce sociali nuove oppure profondamente mutate hanno acquisito capacità anche maggiori di partecipazione e promozione dei progressi civili.

Ma gli eredi del Pci e delle organizzazioni sindacali sono rimasti ancorate ai modelli, di riproduzione delle oligarchie e di rappresentanza del lavoro che conoscevano meglio e dalle quali pensavano di ottenere il mantenimento di un controllo partitico e ideologico sulla società, perpetuando queste ritualità anche dopo la fusione con forze diverse.

Quanto alle sinistre alternative o estreme, hanno avuto più occasioni. La più grande è stata la possibilità, tra 2001 e 2003, di avviare un laboratorio di novità con i movimenti, fenomeno diffuso in alcune fasce (significative) della popolazione  e qualsiasi cosa ne dicano i cultori della forma partito, pratica politica che si affermò fin nei piccoli centri urbani e per anni.

Inoltre si trattò di una tendenza che non coinvolse solo qualche sbandato in cerca di stranezze e nemmeno solo intellettuali, ma che colpì proprio per la sua trasversalità e soprattutto per la varietà delle adesioni, che andavano dai giovanissimi agli immigrati e dai cattolici agli attivisti per i diritti civili.

Ciò attirò i partiti per la presenza di voti potenziali, ma li spaventò per la necessaria apertura alla società, ad una parte di società difficilmente catechizzabile in stile anni ’50, anche per il fatto che invece ci troviamo nel 2009 e ben venti anni fa il crollo del muro di Berlino ha rivelato che indottrinare la gente crea sistemi fallimentari innanzitutto dal punto di vista sociale.

I partiti di alternativa, dopo il farsi da parte di Bertinotti (che aveva tanti difetti ma sapeva che qualsiasi piccolo imprenditore, precario, immigrato o studente di sinistra è più interessato alle cose concrete che si vogliono portare avanti che ai simboli o ai libri di ideologie) i cultori degli anni settanta hanno spezzettato la sinistra istituzionale in partiti il più grande dei quali prende il tre per cento. Sommati prendono il sette. Ma senza poter essere nemmeno rappresentati.

Ma soprattutto questi partiti, con il loro interesse sterile per delle puntigliose distinzioni ideologiche, con il loro odio antioccidentale paradossale all’interno di una società aperta ed avanzata, con la palese indifferenza che dimostrano verso le punizioni elettorali che la gente in carne ed ossa infligge ad ogni appuntamento elettorale a simboli in via di estinzione, lasciano un vuoto a sinistra.

Perchè ancora un paio di anni fa lo spazio politico della cosidetta sinistra radicale veniva realisticamente stimato intorno al 15%, e lievitava di un altro dieci per cento se si consideravano anche coloro che intendevano non votare o votare Partito Democratico. Queste persone probabilmente esistono ancora indipendentemente dalla capacità visiva di Ferrero, Vendola e Pannella.

Sono proprio i soggetti sociali (lavoratori, immigrati, professionisti, attivisti, precari) da cui è più spesso nata la sinistra e di cui i rappresentanti dei frammenti istituzionali dei partiti minori si riempiono la bocca. Sono i soggetti sociali quotidianamente più alle prese con questioni di gestione finanziaria, integrazione, solidarietà. E quasi mai con il tempo per i libri di Marx.

Aldo Ciummo

La responsabile delle questioni di genere nella Fnsi Lucia Visca: “progressi solo a fasi alterne nell’emancipazione femminile”

 

Qualcuno ricorda questo manifesto americano? illustrava un contributo senza il quale la lotta armata contro i razzisti in Europa non sarebbe stata vinta. Uno degli elementi medioevali sui quali i sistemi statalisti fascista e comunista facevano leva in Europa e cioè il sessismo permane in larga parte nelle società odierne di una vasta area del continente.

Lucia Visca è responsabile della Commissione Pari Opportunità Fnsi, anche a lei è stato chiesto un contributo di riflessione sui ritardi del Bel Paese (come lo chiamano) riguardo ai rapporti tra qualità della democrazia e partecipazione femminile, nel quadro dell’approfondimento di un tema che questo sito web non mollerà nel tempo. Anche perchè è una delle questioni sulle quali l’Europa si gioca il futuro.

Aldo Ciummo

Lucia Visca è la responsabile delle questioni di genere nella Federazione Nazionale della Stampa Italiana, come Presidente della Commissione alle Pari Opportunità, la comunicazione mediatica tiene il polso alla società più di altre organizzazioni e quindi le abbiamo chiesto, in base alla sua esperienza, cosa poteva riferire sulla altalenante situazione italiana in fatto di parità e sulle iniziative istituzionali ed europee che dovrebbero bilanciare le cose ma soprattutto indirizzare la cultura di massa e quella profonda della società.

Ci siamo chiesti se le istituzioni fanno qualcosa di positivo in materia e cosa fanno, a livello territoriale: “dipende – ha affermato Visca – ci sono le consulte regionali femminili e funzionano molto su alcuni temi come l’informazione, molto meno ad esempio sul lavoro. Ci sono molte situazioni regionali differenti, ad esempio in Emilia Romagna funziona bene il contrasto al mobbing.”  Ma il mobbing è già un fenomeno al limite, nel quotidiano le cose come vanno, la UE c’è ?

La presidente della commissione pari opportunità della Federazione Nazionale della Stampa Italiana dice a questo proposito che l’Unione Europea offre molte risorse per ridurre le disparità, investe molto sulle pari opportunità, però l’Italia spesso non chiede i fondi e non li spende. E che inoltre manca una informazione adeguata sul Fondo Sociale Europeo. “Permane una scarsa rappresentanza sul lavoro, questo è un grave problema perchè anche se aumenta la presenza numerica, non si riscontra un miglioramento della partecipazione perchè non c’è un riconoscimento adeguato delle competenze.”
 
I migliori risultati scolastici garantiscono un accesso sempre maggiore al mercato del lavoro, ma poi non si riscontra un riconoscimento attraverso la promozione agli alti livelli, questo in sintesi quello che da un osservatorio abbastanza accurato come la Fnsi si registra. Ma come è possibile, è stato quindi chiesto a Lucia Visca, che una dinamica che comunque ha portato importanti cambiamenti nel corso dell’anno si sia arenata. I movimenti femminili hanno semplicemente avuto lo stesso andamento che la spinta generale della società italiana prendeva, è stata la riflessione della responsabile Fnsi.
 
“La partecipazione è alla base della democrazia, negli anni ’70 ed ’80 anche la partecipazione  femminile ha fatto sentire i propri effetti, ma in seguito la disaffezione alla politica ha indebolito di più le conquiste che erano state date per scontate, accade con tutti i valori democratici.
Negli anni ’70 il movimento per i diritti delle donne aveva effettivamente contribuito a modificare in positivo i meccanismi di formazione della opinione pubblica”  ha ricordato Lucia Visca.

E la cultura generale della società non ha aiutato, si potrebbe aggiungere qui, terminato il contributo di riflessione gentilmente accordato da Visca. Il protagonismo femminile sta crescendo positivamente nei territori, nelle professioni e nei luoghi della vita di tutti i giorni, ma gli spazi che indirizzano la mentalità, dalle istituzioni alla televisione, hanno difeso spesso schemi dove le persone sono rinchiuse in schemi subalterni ed offensivi.

Anche nella polemica politica, (e qui si esprimono libere opinioni al di fuori dell’intervista della quale sono stati riportati prima i punti principali) ci si è trovati di fronte a maggioranze che danno un pessimo esempio nel modo di considerare le persone ed a minoranze politiche che fanno peggio, attaccando i governi con l’utilizzo di stereotipi inficiati da grave violenza maschilista nella mentalità,  oltre che in totale assenza di confronto tra proposte, povertà politica che accomuna gli schieramenti e si manifesta poi chiaramente nell’assenza di reali politiche di pari opportunità e nella diffusione di incultura nella comunicazione, assai più che nella società che presenta, sia pure a fasi alterne nel corso degli anni, elementi di maturità molto maggiore.