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La responsabile delle questioni di genere nella Fnsi Lucia Visca: “progressi solo a fasi alterne nell’emancipazione femminile”

 

Qualcuno ricorda questo manifesto americano? illustrava un contributo senza il quale la lotta armata contro i razzisti in Europa non sarebbe stata vinta. Uno degli elementi medioevali sui quali i sistemi statalisti fascista e comunista facevano leva in Europa e cioè il sessismo permane in larga parte nelle società odierne di una vasta area del continente.

Lucia Visca è responsabile della Commissione Pari Opportunità Fnsi, anche a lei è stato chiesto un contributo di riflessione sui ritardi del Bel Paese (come lo chiamano) riguardo ai rapporti tra qualità della democrazia e partecipazione femminile, nel quadro dell’approfondimento di un tema che questo sito web non mollerà nel tempo. Anche perchè è una delle questioni sulle quali l’Europa si gioca il futuro.

Aldo Ciummo

Lucia Visca è la responsabile delle questioni di genere nella Federazione Nazionale della Stampa Italiana, come Presidente della Commissione alle Pari Opportunità, la comunicazione mediatica tiene il polso alla società più di altre organizzazioni e quindi le abbiamo chiesto, in base alla sua esperienza, cosa poteva riferire sulla altalenante situazione italiana in fatto di parità e sulle iniziative istituzionali ed europee che dovrebbero bilanciare le cose ma soprattutto indirizzare la cultura di massa e quella profonda della società.

Ci siamo chiesti se le istituzioni fanno qualcosa di positivo in materia e cosa fanno, a livello territoriale: “dipende – ha affermato Visca – ci sono le consulte regionali femminili e funzionano molto su alcuni temi come l’informazione, molto meno ad esempio sul lavoro. Ci sono molte situazioni regionali differenti, ad esempio in Emilia Romagna funziona bene il contrasto al mobbing.”  Ma il mobbing è già un fenomeno al limite, nel quotidiano le cose come vanno, la UE c’è ?

La presidente della commissione pari opportunità della Federazione Nazionale della Stampa Italiana dice a questo proposito che l’Unione Europea offre molte risorse per ridurre le disparità, investe molto sulle pari opportunità, però l’Italia spesso non chiede i fondi e non li spende. E che inoltre manca una informazione adeguata sul Fondo Sociale Europeo. “Permane una scarsa rappresentanza sul lavoro, questo è un grave problema perchè anche se aumenta la presenza numerica, non si riscontra un miglioramento della partecipazione perchè non c’è un riconoscimento adeguato delle competenze.”
 
I migliori risultati scolastici garantiscono un accesso sempre maggiore al mercato del lavoro, ma poi non si riscontra un riconoscimento attraverso la promozione agli alti livelli, questo in sintesi quello che da un osservatorio abbastanza accurato come la Fnsi si registra. Ma come è possibile, è stato quindi chiesto a Lucia Visca, che una dinamica che comunque ha portato importanti cambiamenti nel corso dell’anno si sia arenata. I movimenti femminili hanno semplicemente avuto lo stesso andamento che la spinta generale della società italiana prendeva, è stata la riflessione della responsabile Fnsi.
 
“La partecipazione è alla base della democrazia, negli anni ’70 ed ’80 anche la partecipazione  femminile ha fatto sentire i propri effetti, ma in seguito la disaffezione alla politica ha indebolito di più le conquiste che erano state date per scontate, accade con tutti i valori democratici.
Negli anni ’70 il movimento per i diritti delle donne aveva effettivamente contribuito a modificare in positivo i meccanismi di formazione della opinione pubblica”  ha ricordato Lucia Visca.

E la cultura generale della società non ha aiutato, si potrebbe aggiungere qui, terminato il contributo di riflessione gentilmente accordato da Visca. Il protagonismo femminile sta crescendo positivamente nei territori, nelle professioni e nei luoghi della vita di tutti i giorni, ma gli spazi che indirizzano la mentalità, dalle istituzioni alla televisione, hanno difeso spesso schemi dove le persone sono rinchiuse in schemi subalterni ed offensivi.

Anche nella polemica politica, (e qui si esprimono libere opinioni al di fuori dell’intervista della quale sono stati riportati prima i punti principali) ci si è trovati di fronte a maggioranze che danno un pessimo esempio nel modo di considerare le persone ed a minoranze politiche che fanno peggio, attaccando i governi con l’utilizzo di stereotipi inficiati da grave violenza maschilista nella mentalità,  oltre che in totale assenza di confronto tra proposte, povertà politica che accomuna gli schieramenti e si manifesta poi chiaramente nell’assenza di reali politiche di pari opportunità e nella diffusione di incultura nella comunicazione, assai più che nella società che presenta, sia pure a fasi alterne nel corso degli anni, elementi di maturità molto maggiore.

ROGER BALLEN: UNA MACCHINA FOTOGRAFICA AL CIVICO DELLA PAZZIA

 

Roger Ballen: dresie cassie twins western transvaal 1993 from platteland

Uno degli scatti più famosi di Roger Ballen: all'epoca della sua svolta stilistica il grande fotografo abbandonò gli spazi aperti per rivolgere la sua attenzione al mondo nascosto del disagio, dell'emarginazione e della follia

Immagini quadrate per stanze chiuse. Luoghi nei quali l’obiettivo di Roger Ballen ha messo sotto vuoto una dimensione inquieta e sinistra confinandola nello spazio asfittico delle sue fotografie, recentemente raccolte in un nuovo lavoro, “Boarding House”.

 

 

di   Claudia Papaleo

 

Ballen nacque nel 1950, nella New York in cui i barattoli di “Tomato”  si apprestavano a passare dal carrello della spesa alla serigrafia, e dove da un pennarello a vernice, imboscato dentro una tasca di jeans sbrindellata, sarebbe saltato fuori un quadro da milioni di dollari. Sin da ragazzino, oltre a respirare l’aria di cambiamento che attraversava l’arte, poté vivere a stretto contatto con la fotografia. Durante gli anni ’60, sua madre lavorò per la Magnum e fondò una delle prime gallerie fotografiche della grande mela. Di più, Ballen poté scorrazzare tra le gambe di monna lise come Cartier Bresson, Eliot Erwitt, Paul Strand e soprattutto Andre Kertesz. Il lavoro di quest’ultimo, infatti, è spesso rievocato nelle  immagini del fotografo, anche solo da piccoli accorgimenti aggiunti come  si aggiunge una punta di sale nella pentola.  

Pure, nei primi anni ’70 la macchina da foto si trasformò in un giocattolo da prendere sul serio. Tra bandiere schiaffate addosso al cielo, ammucchiate di capelli rincalzati nei pantaloni, e zeppe che marciavano per le strade come palazzi a portata di ratto, Ballen documentò la rivolta, arraffando le sue immagini succulente con qualche lazo di pellicola.

Diversi anni più tardi,  l’Africa del sud;  il suo sole tremulo e avvampato che scrosciava calore costante, fondendo le zone rurali in cui il fotografo cominciò a passare il tempo libero. Qui, la svolta.

Ballen abbandonò improvvisamente lo spazio aperto, i paesaggi ossigenati che lo circondavano, per intrappolare se stesso e la sua Rolleiflex 6X6 negli ambienti chiusi. Quello che doveva fare, infatti, era fotografare la trappola. Alcuni emarginati bianchi del posto accettarono di smezzare con lui l’aria delle loro camere scarne, marchiate dai segni di mobili estinti. Allora le sue foto, con tocco lapidario, ritrassero volti sconditi di qualunque serenità. Uomini e donne dai sorrisi ebeti, che fissano l’obiettivo con sguardi stranianti e corpi anomali, sui quali, a volte, cola qualche vestito smunto. Immagini che creano corrispondenze arbitrarie tra persone e animali, ponendoli in una realtà alterata che respinge e attrae, corrodendo qualsiasi controllo razionale in chi guarda. E ancora esseri umani spesso legati da lampanti vincoli sanguigni, di cui Ballen raffigura il lato sottilmente difettoso con una franchezza a tratti fastidiosa. Una serie di scatti disarmanti per la loro autenticità, in cui l’imperfezione punta i piedi di fronte alla macchina fotografica con dignità e coraggio.

Presto le stanze dalle mura ulcerate, che perdevano grumi di vernice su pavimenti dall’aria tombale, divennero i luoghi di strane fantasie dal retrogusto angosciante, e la macchina fotografica l’occhio che sembra guardare il fondo di una scatola degli scherzi, in cui gli oggetti vengono disposti secondo accoppiamenti ostili. Ballen, infatti, prese ad arredare gli spazi di cui disponeva assecondando le logiche di intuizioni visive minacciose, che tendono a snaturare le cose per come le conosciamo, caricandole di isteria.

Mani nodose, gambe spolpate, volti preda di urla eccessive, fanno da comparsa sbucando da vecchi scatoloni o da pile di materassi pregni di polvere, mentre qualche resto di bambola giace crudamente a terra senza possibilità di innocenza. Il tutto amplificato dalla presenza di stampelle ritorte, graffiti infantili e pelli zebrate di animali scuoiati.

Immagini psicotiche quelle di Ballen, lo scolo di un incubo che fa sgranare gli occhi e ti lascia con un battito accelerato, mentre allontani lo sguardo a braccetto della follia.