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Immagini al tempo della crisi

Il 12 aprile si inaugura al cinema Quattro Fontane una mostra di fotografie aventi come tema il problema della disoccupazione, partecipa l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata

L’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata (ISFCI) di Roma (San Lorenzo) partecipa al progetto fotografico sul tema della disoccupazione che a partire dal 12 aprile si concretizzerà in una esposizione al cinema Quattro Fontane.

La scuola si è distinta in questi ultimi anni per l’attenzione ai mezzi di comunicazione visiva emergenti come il final cut, oggetto di un corso apposito quest’anno. In occasione della proiezione del film “Il posto dell’anima”, alla presenza degli autori, verrà inaugurata anche questa mostra, il cui obiettivo è invitare alla riflessione sulla attuale situazione sociale italiana.

L’evento si inserisce tra le altre interessanti iniziative promosse dall’Istituto, ad esempio gli incontri che si stanno svolgendo in questo periodo con il fotografo Tano D’Amico, autore di inchieste sociali. Il lavoro per quanto riguarda la partecipazione dell’ISFCI al progetto è coordinato da Carla Rak sotto la supervisione di Dario Coletti e si sta articolando attraverso una serie di incontri.

L’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata è stato fondato a Roma nel 1985. Rinnovato all’interno dell’ex palazzo Cerere, l’ISFCI è un punto di riferimento nella formazione di fotografi qualificati in Italia. Un altro appuntamento che ha trovato posto nel corso del 2012 tra le proposte dell’Istituto è stata la presentazione del libro fotografico “Okeanos e Hades” di Dario Coletti nello scorso gennaio.

Aldo Ciummo

 

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Nella “Kalle Tihveräinen”

 

di   Aldo Ciummo

La Finlandia centrorientale è un polmone d’acqua dove scorre da secoli anche tutta la storia delle popolazioni locali: migliaia di laghi travasano uno nell’altro correnti e animali, storie e barche, indispensabili da sempre in una regione dove i traffici avvengono per necessità attraverso la navigazione. Accanto alla diffusione di internet a banda larga più capillare d’Europa, sopravvivono qui le bellissime e suggestive tradizioni del Juhannus, il giorno più lungo dell’anno, quando le comunità si ritrovano su isole e isolotti per accendere enormi fuochi. Qui, a fianco dei più moderni natanti, viaggiano le piccole navi a vapore che cento anni fa collegavano San Pietroburgo a Savonlinna attraverso i canali.

Incontriamo la “Kalle Tihveräinen”, sfuggita quasi mezzo secolo fa alla demolizione, grazie ad un pugno di appassionati che hanno ricominciato a navigare in compagnia di poche altre imbarcazioni del genere: nei decenni si sono trascinate dietro decine di altre navi a vapore, coinvolte in una regata nata per riportare in vita le tradizioni dei laghi e che oggi riempie di festa il lago Saimaa pochi giorni dopo il Solstizio d’Estate. Di nuovo come decenni fa, i tronchi vengono trainati nel lago e dai moli finiscono dentro le caldaie per far fischiare le navi.

Conoscendo questa nave a vapore (una höyrylaiva, come si chiama in finlandese) incontriamo anche tanti altri volti: un’isola minuscola che ospita una scuola dove l’associazione dei navigatori insegna ai bambini come si viveva sul lago, il ricordo di un marinaio del lago conservato dalla “sua metà” della barca, ovvero da una fondazione che porta il suo nome e che lavora assieme all’attuale capitano della “Kalle Tihveräinen”, suo amico che la acquistò e rimise assieme con lui. Un lago fatto anche di migliaia di isole e di imbarcazioni diverse, di case estive nel bosco. Un paese disperso da canali che poi lo riuniscono in mezzo alla musica e ai brindisi in giorni come il Juhannus e come la regata di cui raccontiamo la storia e i nomi.

 

LA STORIA E LE IMMAGINI DELLA “Kalle Tihveräinen” IL MESE PROSSIMO ON LINE IN NORDEUROPANEWS

REPORTAGE|Un cantiere a cielo aperto. Bruxelles, delitti e virtù dell’eurocapitale (2)

Più ci si avvicina al centro fiammingo della capitale e più ci si rende conto che le contraddizioni aumentano. La capitale dell’Unione Europea non se lo può permettere

testo e foto di Simone Di Stefano

Strade ed edifici nuovi che sorgono sulle macerie di quelli appena fatti crollare; altri in attesa di essere demoliti mostrano tutto il loro vero volto, nero e bruciato da qualche incendio. Caterpillar lungo le vie, anche in pieno centro a fare da cornice agli edifici storici di quella che è la capitale dello Stato più moderno e avanzato che si conosca, l’Unione Europea. E Bruxelles è lì, viva come non mai e chi ci vive dice che «è una città da sogno. Certo il centro storico si riempie solo dal venerdì al sabato, ma quando i ragazzi si riversano nelle strade c’è da divertirsi». Parola di italiano emigrato.

Eppure deve esserci qualcosa che non va in questa piccola ma subdola città nordica, dove le temperature raggiungono sempre più spesso i picchi massimi di quelle nostrane, dove per le strade è più facile vedere cartacce buttate in terra di quante ne offrano tutte le sue dirette rivali in quanto a senso civico: Germania, Svizzera, Inghilterra e la stessa Francia brulicano di cestini e nessuno ha scuse per sporacre: qui non è così.

Skapegoat è sempre a caccia di contraddizioni e quando le trova le denuncia con tutte le potenzialità che può avere un blog. E allora perché non volgere lo sguardo sui tetti delle case brussellesi, o in pieno centro, dove gli occhi si fanno più indiscreti, perché è lì che passano anche i signorotti della corte europea, quelli che si vanno poi a sedere tra i banchi dell’europarlamento.

Abbiamo preso un cantiere a caso, nei pressi di Gare du Midi e non ci è sembrato che ci fosse nulla di ineccepibile, se non fosse per questo brutto costume di demolire vecchi palazzotti in stile nordico fiammingo, per tirare su futuristiche strutture cubiche in metallo e vetro che ricordano proprio i palazzi dell’euro area, nei pressi di Rue de Luxembourg. Eh sì. Bruxelles si sta rifacendo la faccia. Certo non può una capitale di questo rango presentarsi con edifici crollanti e fatiscenti.

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REPORTAGE|Italia-Romania, lo strano «derby» al bar del Trullo

Tensione nel luogo dove due anni fa i romeni vennero aggrediti. Festa nei campi Rom dove la maggioranza tifa per gli Azzurri.

«Ma quale Italia-Romania noi tifiamo per la Roma». In via Candoni i gitani si dividono tra le due nazionali

Il bar c’è ancora. È l’ambiente a essere cambiato, forse come tutto il Trullo. Due anni fa il punto di non ritorno: una ventina di ragazzi italiani entrarono nell’esercizio di via Monte delle Capre e aggredirono i rumeni, abituali frequentatori. Poi diedero fuoco a tutto. Si giustificarono definendola una spedizione punitiva nata da un insieme di ingiustizie e angherie; i rumeni risposero accusando gli italiani di intollerenza. Ora gli uni sono da una parte, mentre gli altri restano quasi tutti chiusi in casa; solo in pochi azzardano la frequentazione del bar. Specialmente ieri in occasione di Italia-Romania. E chi «osa» sa bene che non deve proferire verbo: con ancora le mani sporche di calce e il cappello impolverato, si siedono fuori, lì dove partì la scazzottata dell’ottobre del 2006.

Non esultano, nonostante le occasioni favorevoli a Mutu e compagni, parlano a bassa voce e non si guardano mai negli occhi, preferiscono un sussurrio asettico. Ma bevono, e molto. Con alcuni ragazzi del posto che a mo’ di ronda passano e li guardano, mentre altri gli stanno intorno come a rimarcare l’appartenenza del territorio: il Trullo è loro, e fanno di tutto per dimostrarlo. E non sono i soli.

Poco lontano, a circa 300 metri, c’è un club, frequentatissimo, dove anche le donne sono una rarità: anche loro si sono sistemati in strada, un gesto che una volta poteva apparire come un invito alla condivisione; un invito agli avventori casuali a fermarsi e a vivere insieme un momento «nazionale». Eppure, tra un’azione di De Rossi, una parata di Buffon e il pericolo-Mutu, a turno si guardano intorno e bisbigliano: ma quello lo conosci? È dei nostri?. Anche loro sotto voce, appunto. Fino a quando l’attaccante della Fiorentina segna e qualcosa si incrina: «Rumeni di merda! Dove siete?». Urlano in tanti. Mentre i loro esultano rendendosi finalmente visibili.

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REPORTAGE|Un cantiere a cielo aperto. Bruxelles, delitti e virtù dell’eurocapitale (1)

Un viaggio alla scoperta della capitale dell’Unione Europea. Una città dalle due facce, in continua evoluzione, con cantieri, gru e uomini al lavoro in ogni angolo della strada per costruire il volto di domani. Una città che dovrebbe servire da esempio a tutte le metropoli del continente unito, dove quello che funziona sono la multiculturalità e i servizi, ma che troppo spesso cade nelle sue stesse contraddizioni. proviamo a spiegare perché.

Davanti alla Cattedrale di Bruxelles, a Sinter-Goedelevoorplein, si è riunito sotto una pioggia battente uno sparuto gruppo di manifestanti. Tra striscioni e slogan ripetuti reiteratamente al ritmo dei tamburi, quello che colpisce particolarmente è un brano cantato a gran voce dall’uomo al microfono, vicino al furgoncino parcheggiato proprio sotto la scalinata in marmo della chiesa, di fronte a lui gli striscioni, uomini, donne e qualche bambino, molti vestiti in abiti tradizionali di qualche paese del sud del mondo.

«Una mattina – cantava il tipo – mi son svegliato, po po po, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao. Una mattina, po po po, mi sono svegliato, po po po, ed ho trovato l’invasor». I manifestanti sono quelli dell’Udep (Union De Defense des Personnes Sans Papierse); il cantante è un omone belga, alto, biondo, sulla cinquantina; probabilmente nostalgico dei canti partigiani italiani e non solo.

Tutti riuniti per far blocco contro l’arresto di dodici clandestini, “sans-papiers” da queste parti, che avevano protestato a loro volta contro le autorità belghe, ree di aver “indotto” alla disperazione un loro compagno, un altro clandestino, un giovane camerunense di 32 anni che, costretto a lasciare il paese, si è impiccato all’interno della toilette del campo in cui soggiornava dallo scorso mese di aprile, situato a pochi chilometri da Anversa.

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