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Che l’Europa cominci ad imporre i diritti

 

L’estensione del congedo di maternità a venti settimane e l’introduzione del congedo di paternità vanno nella direzione della creazione di regole civili imposte in tutta l’Unione Europea

di    Aldo Ciummo

Da tempo si è ripetuto, anche su queste pagine, che l’Europa non può acquisire una forza competitiva reale se non assicura il rispetto di regole civili e sociali minime – parità di genere nelle istituzioni, tutela del lavoro, laicità – che in molti stati, compresi alcuni dei fondatori storici nel 1957, arretrano paurosamente, tanto da causare perfino il distacco dai blocchi più conservatori di forze tradizionalmente a destra ma intimorite dalla rapidità del ritorno a situazioni socioculturali da prima rivoluzione industriale.  Il Trattato di Lisbona, con il rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo e dell’Unione Europea come stato, lascia sperare in una funzione dell’Europa sostenuta da poteri più pesanti quando si tratta di ottenere l’introduzione di valori contemporanei ed occidentali all’interno di tutte le aree del continente.

Il 20 ottobre il Parlamento Europeo ha approvato modifiche alla legislazione riguardante il congedo di maternità minimo, aumentandolo da quattordici a venti settimane remunerate al cento per cento dello stipendio, con diverse varianti per i paesi che hanno regimi di congedo parentali. Un’altra novità importante è stata l’introduzione del congedo di paternità, per quanto al momento stabilita nella misura risibile di almeno due settimane. Come è noto, negli stati più avanzati (ad esempio in vari paesi della fascia nord della nostra Europa) il tempo a disposizione dei padri è molto lungo e si tratta evidentemente di una norma che oltre ad andare nel senso più realistico nel 2010 di un diritto alla vicinanza agli affetti della persona è una tutela per la parità di genere non appensantendo le donne in un modo che rappresenta un allontanamento dal mondo del lavoro e dall’ambito sociale.

Tornando ai lavori parlamentari europei, la relazione di Edite Estrela (Socialisti e Democratici) è stata approvata con 390 voti a favore, 192 contrari e 59 astensioni. Si nota ovviamente, come in gran parte delle risoluzioni, la labilità di regole che restano minime, mentre si lascia di fatto agli stati membri la possibilità di introdurre regimi di congedo più favorevoli alle lavoratrici, rispetto a quelli previsti dalla direttiva. Una serie di deputati si sono opposti all’introduzione del congedo di paternità con l’argomentazione che la legislazione in discussione riguarda le donne in gravidanza.

 Occorrerebbe però staccarsi da una considerazione a senso unico delle tutele, centrata essenzialmente sulle nascite con una prospettiva piuttosto limitata, perchè proprio in base all’ambito trattato e cioè quello lavorativo si parla nei congedi di diritti delle donne e quindi non andrebbe escluso un discorso specifico anche sulla libertà di lavoro e di vita sociale che va assicurata anche in presenza della formazione di una famiglia e che è certamente ampliata con l’estensione della cura del privato a entrambi i soggetti coinvolti.

La Commissione per i Diritti della Donna ha adottato poi emendamenti per impedire il licenziamento delle donne almeno fino al sesto mese dopo la fine del congedo di maternità, tutela come si nota solo parziale, permettendo il ritorno all’impiego precedente o posto equivalente, anche in termini di retribuzione, categoria professionale e responsabilità. Si può aggiungere che occorrerebbe oramai una tutela più ampia dei diritti delle donne in ambito lavorativo, perchè si registrano situazioni di difficoltà anche al di fuori del capitolo specifico della maternità, che non esaurisce certo le situazioni sociali odierne.

In realtà si comprende l’affanno dell’Unione Europea, perchè l’applicazione delle norme previste dal Trattato di Lisbona non è ancora a pieno regime, il peso delle istituzioni europee va crescendo con la pratica dell’attività legislativa e regolamentatrice ed incontra ostacoli nelle contraddizioni interne della costruzione europea e nella concorrenza con le norme nazionali, alcune delle quali bisogna dire sono spesso più avanzate di quelle della stessa comunità (ed in altri casi sono tanto meno avanzate o inapplicate di fatto da rendere quelle comunitarie di difficile introduzione nella società prima ancora che nel settore pubblico o nel mercato). Però è necessario che l’Europa si muova, perchè ciò che i cittadini attendono per partecipare più attivamente alla nascita della nazione comunitaria europea è proprio una maggiore associazione delle strutture europee alla realtà materiale delle società degli stati membri ed all’innovazione di quegli stati da parte della società.

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