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L’ Europa non sarà questa

 
 

A Rosarno è esplosa una nuova rivolta di immigrati. Questo è quello che accade quando si tratta la vita umana come una merce e si considerano le persone mera forza lavoro. Rivolte di clandestini – tali quando si tratta di reclamare diritti ma non quando si accetta che costruiscano parte della nostra ricchezza – si sono verificate in questi anni in Italia come in Francia ed in Grecia.

A  Rosarno tra ieri ed oggi è scoppiata una rivolta di extracomunitari, dopo il ferimento di alcuni di loro da parte di “ignoti”. Come di consueto quando sono trascinati per le braccia e per le gambe a rivoltarsi contro situazioni inaccettabili che ne mettono a rischio la semplice incolumità, gli immigrati diventano una notizia, non sono tali quando lavorano al nero costruendo parte importante della ricchezza dei nostri paesi, nè quando sono rinchiusi in silenzio nei centri di detenzione appositi, per il reato di essere entrati clandestinamente nel territorio che, diciamo così, li “ospita”.

Il lavoro sottopagato dei nuovi cittadini, spesso anche quando sono regolari e si tengono strette le condizioni che gli sono state dettate, è una realtà molto spesso tacitamente accettata e attivamente promossa da quelle stesse fasce sociali che della precarietà (straniera e generalizzata) del lavoro, si avvantaggiano e che poi attaccano la trasformazione della società, come se la presenza delle persone e di ciò che significano possa essere rifiutata come un fatto avulso dalla richiesta invece della forza lavoro. E come se i problemi di ordine pubblico scaturiti dalla marginalizzazione dei clandestin non derivassero dalla negazione dei diritti e con questi della partecipazione alla democrazia “ospitante”.

L’Europa, paese aperto come dimostra la sua storia anche recente, con l’ingresso di cittadini di origine straniera negli esecutivi di vari governi e città importanti in paesi avanzati (nel Regno Unito, in Olanda e in molti altri stati), fa dell’immigrazione, come forza lavoro anche qualificata ma non di meno come arricchimento culturale e sociale del continente, uno degli stimoli che la può portare a competere nel mondo di oggi, che non è un insieme di fortezze. Nonostante l’irrigidimento di una parte significativa della popolazione sul tema delle migrazioni, le culture politiche tradizionali in Italia non sono in sintonia con la gente comune, in buona parte politicamente laica o addirittura disinteressata – e non senza ragioni – alla politica del palazzo, l’integrazione non è un discorso partigiano: conservatori progressisti (nella improbabile ipotesi che l’Italia specialmente e l’Europa in generale possano dividersi lungo questa linea) sono tagliati da posizioni trasversali in materia.

I paesi più avanzati nella cultura della democrazia ed anche per questo indubitabilmente più forti pure economicamente (congiunture a parte) come Stati Uniti e Regno Unito, hanno accolto, nonostante aspre difficoltà iniziali, un gran numero di immigrati, anche raggruppati in comunità compatte ed estremamente diverse dal paese ospitante e grazie a queste esperienze oggi sono capaci di circoscrivere reazioni di tipo medioevale da parte di segmenti marginali popolazione autoctona (tendenze che peraltro lì si manifestano in presenza di una pressione demografica da parte delle “minoranze” di proporzioni ben diverse, nel senso di fortemente maggiori, rispetto a quelle conosciute dall’Italia o dalla Spagna).

L’Italia, assieme ad una gran parte dei paesi del sud e dell’est del continente ed in qualche misura in maniera comune a tutta la Ue, ha la fortuna di conoscere una immigrazione poco identitaria, perchè sfaccettata in mille comunità nazionali, con emigranti che si ritrovano in modo generalmente disomogeneo sul territorio nazionale con i propri concittadini e aspirano a diventare cittadini del paese di arrivo, pagando tasse ben prima di diventarlo e comunque buttando il sangue al nero nella costruzione della ricchezza dei propri benefattori ed ottenendo cittadinanza e servizi molto dopo, leggende a parte. Ben diversa la situazione in qualche stato europeo ed extraeuropeo, spesso definito ultraliberista da una sinistra rimasta ai primissimi anni cinquanta, ma dove non si fanno le differenze per il colore della pelle. Ma anche per quello lì ci sono società che non sono state schiantate dalla crisi, pur essendosela vista brutta.

I cittadini dell’area della Calabria dove si è verificata la rivolta hanno manifestato disagi reali. Come difficoltà concrete esprimono i lavoratori che si sentono messi nell’angolo dalla possibilità, per le aziende, di sfruttare immigrati che diventano così una concorrenza al ribasso. In tanti, soprattutto nelle generazioni più recenti che si rendono conto che comunque gli extracomunitari ci sono ed è meglio che un tetto dato che faticano lo abbiano e che in moschea o nella chiesa ortodossa se vogliono (e se come avviene pagano profumatamente tasse e documenti) possano andarci, si chiedono: ma non sarebbe meglio concedere ai nuovi cittadini gli stessi diritti che hanno gli altri, in modo che tra l’altro tutti possano reclamarli senza il ricatto del disperato che potrebbe fare lo stesso lavoro al nero perchè clandestino?

Sarebbe troppo facile, poi bisognerebbe investire nella ricerca industriale ed imprenditoriale piuttosto che nella precarizzazione del lavoro, ed in tanti perderebbero posizioni di rendita e postazioni di ruolo culturale. Non certo soltanto a destra.

Aldo Ciummo

Renata Polverini ed Emma Bonino, una competizione che svecchia la politica nella regione

 

La sede della regione Lazio

Le candidature che si sono profilate nel Lazio delineano una situazione nuova, in un’area che (per la presenza della capitale) fornisce indicazioni generali al paese. E sono innovative da almeno tre punti di vista: perchè si presentano in controtendenza al panorama sessista delle istituzioni più visibili, più vicine alla società come si è manifestata in questi anni ed espressione di culture politiche non tradizionali

 

di    Aldo Ciummo

 

Nella regione di Roma i giochi per le candidature sembrano fatti e i volti che sono stati messi in campo appartengono ad una sindacalista di area conservatrice ed a una attivista per i diritti civili che hanno costruito presenze politiche a partire dai luoghi del sociale e del civile nel corso di lunghi anni. Polverini e Bonino rappresentano categorie molto distanti non soltanto dal politico in senso stretto ma anche dall’impresa dello spettacolo o dall’autorità del mezzobusto televisivo, insomma dal personaggio di potere come si è insediato dall’immaginario italiano nel decennio che si conclude.

Si tratta di candidature in qualche modo fuori dal circuito autoreferenziale della politica, perlomeno in misura maggiore di ciò che si vede nel resto dell’attualità delle coalizioni. I personaggi presentati hanno riscosso l’apprezzamento e la vicinanza del pubblico degli elettori, Renata Polverini come rappresentante di categorie del lavoro largamente marginalizzate nel dibattito mediatico, che di queste fasce di popolazione è stata comunque riconosciuta come espressione (da tempo si è dovuto accettare il dato che il sindacalismo di area non di sinistra esiste e conta numeri significativi) ed Emma Bonino come portavoce di un insieme laico di istanze che la portò a sfiorare il dieci per cento in una elezione europea un decennio fa.

Inoltre, l’una per l’appartenenza ad una parte politica tuttora non riconducibile agli “azionisti di maggioranza” del partito conservatore e con sfumature più sociali, l’ex An, l’altra per la provenienza da un movimento “altro” rispetto alle sinistre ed agli apparati tradizionali del mondo progressista, il partito Radicale, le candidate nel Lazio spostano l’obiettivo rispetto al panorama immobilizzato nello scontro tra i due poli, omologhi rispetto alla filosofia iperliberista, ai sistemi di mantenimento degli equilibri e al rapporto con i poteri forti tradizionali in Italia.

In un paese dove l’area “progressista” fatica non tanto a riprendersi dalle emorragie elettorali e dalle disfatte strategiche, quanto ad elaborare una alternativa capace di chiedere sostegno e partecipazione sulla base di proposte, la scelta dell’area “conservatrice” di candidare una donna attiva nel sociale ha probabilmente influito sulla decisione del Centrosinistra di non fare affidamento su un calcolo che sarebbe stato trito e poco efficace (cercare l’appoggio di aree ultramoderate come l’UdC cattolico) e di puntare a propria volta su una novità sostanziale: una attivista che rappresenta una forza, i Radicali, che ha fatto leva più volte sulle idee piuttosto che sul numero, per modernizzare il paese, riuscendovi.

Al di là delle opinioni personali (per quanto riguarda la mia, almeno per chi segue il sito non sarà difficile immaginare una maggiore propensione per la candidatura di Emma Bonino, le cui posizioni laiche, anche da un punto di vista politico, darebbero un segnale culturale di cui c’è bisogno in una Italia che sembra rinchiudersi in uno strano pensiero unico a metà tra l’iperliberismo e le culture ultra tradizionali della chiesa e dei partiti) entrambe le scelte segnano una discontinuità concreta e non soltanto perchè in controtendenza col sessismo dominante. Anche la novità di una candidatura importante proveniente dal mondo del lavoro in uno schieramento conservatore va verso una laicizzazione, auspicabile, della politica italiana e di un suo parziale riavvicinamento alla società.