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Occupazione e ambiente, l’esempio di Londra

Stephen Lowe, consigliere per gli Affari Globali dell’ambasciata britannica a Roma, in una recente intervista all’agenzia nazionale Ansa ha stimato in 800.000 i posti di lavoro creati nel settore ecosostenibile di beni e servizi. Si avvicina Copenaghen e sul piatto c’è un accordo importante per il futuro del pianeta. I paradisi del Pacifico sono a rischio e in Europa un innalzamento della temperatura e del livello dei mari colpirebbe molto duro a Nord come a Sud (ed anche in Italia)

 

Una ricerca, presentata oggi dall’ambasciatore britannico in Italia, Edward Chaplin, e di cui le maggiori agenzie hanno dato notizia, illustra gli effetti pesantissimi che il cambiamento climatico sortirebbe. Lo studio è una mappa interattiva tracciata dal MET, servizio metereologico britannico. Tra ottanta anni in Italia la temperatura potrebbe essere di otto gradi maggiore rispetto alla media nei giorni più caldi dell’estate, si immaginino le conseguenze cliniche su una parte significativa della popolazione, in un paese abitato da molti anziani e naturalmente esposto alla diffusione di malattie di importazione, in un mondo globalizzato.

Non solo per l’Italia, ma per tutto il Mediterraneo, una massiccia riduzione delle risorse acquifere significherebbe non soltanto l’acuirsi di problemi sociali già difficili a causa di inefficienze ed iniquità distributive (ed anche come conseguenza di problemi strutturali ed infrastrutturali), ma anche una riduzione delle risorse agricole capace di portare a contrazione della ricchezza, aumento della disoccupazione e disagi alimentari in alcuni paesi dell’Africa e del Medio Oriente.

Stephen Lowe ha reso noto che nel Regno Unito 800.000 posti sono stati creati nel settore della economia ecosostenibile, tra il comparto dei beni e quello dei servizi. D’altronde l’Inghilterra gode di una prospettiva maggiore di quella di molti altri paesi riguardo alle vicende globali, cui di certo non è estranea la profonda conoscenza storica dell’area del Pacifico, una delle più minacciate dalle trasformazioni indotte dall’inquinamento. Pensare al clima oggi è infatti innanzitutto un atto di responsabilità verso i paesi più fragili anche economicamente ed ad esempio verso gli arcipelaghi del Pacifico la cui tutela è un test valido per il resto del pianeta perchè essi rappresentano l’equilibrio tra uomo ed ambiente.

Nauru, isole Salomone, Marshall, Fiji, Kiribati, Tuvalu, Palau infatti rilanciano rispetto agli obiettivi del mondo sviluppato e chiedono una riduzione del 40% delle emissioni nocive entro il 2020. L’Europa ha proposto il venti per cento (riprendiamo questi dati dall’Ansa). Nel caso tutti gli stati contribuiscano, si penserebbe di fissare l’obiettivo del 30%. I paesi meno sviluppati vogliono che sia riconosciuto il diritto di promuovere quella che è un pò la loro rivoluzione industriale e che le nazioni più ricche li aiutino, se vogliono che tutti costruiscano una economia verde.

Un segnale molto positivo, anzi due segnali, sono venuti dall’annuncio di Barak Obama, che parteciperà al vertice nei giorni più importanti, seguito dal premier indiano Manmohan Singh, che ha detto che ci sarà anche lui. Rispetto agli Usa, l’Unione Europea ha fissato sempre paletti più elevati e specialmente adesso, sotto la Presidenza Svedese e con la spinta anche della Danimarca che ospita il vertice, sta lavorando per un accordo il più responsabile possibile.

Aldo Ciummo

Il calcio gaelico diventa un ponte tra Irlanda e Svezia

 
 

Uno degli elementi più validi al quale gli emigranti si sono sempre appoggiati per coltivare il legame con la madrepatria, nel mondo globalizzato (ed all'interno dell'Europa e dell'Occidente sempre più aperto) di oggi è anche un mezzo efficace per saldare le diverse culture e rafforzarne le affinità

La comunità irlandese in Svezia, per quanto piccola, non è così sparuta, in un paese poco densamente popolato. La cultura locale, aperta alle novità, è terreno fertile per il mantenimento di tradizioni che tra i celtici sono forti, anzi, qualche svedese comincia ad essere contagiato dallo sport amato dagli irlandesi. D’altronde, le somiglianze tra i due diversi popoli esistono.

di   Aldo Ciummo

 

Patrick Reilly recentemente ha scritto su un notiziario in lingua inglese dedicato alla Svezia che gli abitanti del più grosso paese scandinavo cominciano a vedere, insieme con i non pochissimi irlandesi che hanno messo radici qui, una delle abitudini cui i celtici non rinunciano. Il calcio gaelico in Irlanda è qualcosa che è possibile guardare sui megaschermi di molti pub, e che i cittadini dell’isola verde condividono con poche comunità molto affini a loro, come l’Australia.

Almeno 1500 irlandesi sono in Svezia da molto tempo e le stime realistiche indicano che sono parecchi di più.  A Malmo e Gothenburg sono nati club del GAA (Gaelic Athletic Association) e quest’ultima è una realtà legata alla storia dell’Irlanda in maniera paragonabile a quella in cui il calcio è presente da noi in Italia, difatti l’associazione del calcio gaelico è una aggregazione che ha perfino subìto pressioni politiche durante il periodo in cui l’Irlanda non era ancora indipendente, per il fatto di essere un fortilizio delle tradizioni e della socialità nazionali.

Dopo alcuni anni, le squadre “verdi” cominciano ad attrarre anche giocatori ed appassionati del posto. Se accade di vivere in Irlanda e di trascorrere molto tempo contemporaneamente con irlandesi, svedesi, inglesi e finlandesi si finisce per realizzare che se le differenze culturali sono grandi, però in molte cose e prima di tutto nella capacità di essere una comunità estremamente accogliente per le singole persone, esistono forti affinità tra queste popolazioni. Non stupisce ciò che Patrick Reilly ha scoperto cioè la facilità con cui in tanti in Svezia sono stati uniti da uno sport, formando squadre che oggi organizzano tornei riconosciuti.

Se in Svezia ovviamente le folle non riempiono gli stadi come accade al Croke Park di Dublino in modo anche massiccio, con decine di migliaia di persone, però è una novità che si comincino ad organizzare tornei che coinvolgono naturalmente irlandesi e australiani (depositari di questa disciplina con regole leggermente diverse, è noto che anche per l’origine celtica di gran parte degli australiani le tradizioni in comune sono molte), ma ora anche svedesi e un pò di francesi e belgi. Una abitudine insomma che cresciuta in due aree del mondo anglosassone fa leva sulla forte radice di questo mondo nel nord per farsi conoscere in Europa.