
Uno dei dibattiti maggiori cui assisteremo nei prossimi anni è quello su chi dovrà decidere con quale faccia si presenteranno nel mondo tutti i cittadini di un'Europa in crescita (oggi 27, un domani 28 con la Croazia, 29 con l'Islanda e poi chissà)
Il Parlamento Europeo ieri ha chiesto di essere coinvolto pienamente nello sviluppo delle relazioni esterne della comunità, una domanda che apre un dibattito cruciale nella direzione che la democrazia europea imboccherà nei prossimi decenni
di Aldo Ciummo
I deputati dell’europarlamento ieri hanno approvato con 424 voti favorevoli, 94 contrari e 30 astensioni la relazione di Elmar Brok (PPE,DE) sul Servizio Europeo di Azione Esterna (SEAE), che assisterà l’Alto Rappresentante della UE per gli Affari Esterni. I deputati vogliono essenzialmente esercitare il loro controllo sugli aspetti riguardanti il bilancio, ma con ciò anche affermare il controllo dell’organo elettivo sulla gestione della politica estera.
L’Alto Rappresentante per la politica estera, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sarà qualche cosa di più di quello che è attualmente, sparirà la duplicazione che oggi vede le relazioni esterne dell’Unione curate anche dall’apposito commissario. Il ruolo del Rappresentante sarà di fatto quello di un ministro degli Esteri della Comunità, capace di competere in visibilità e prestigio con il Presidente di turno. Però la figura del politico incaricato di sostenere l’Europa nel mondo si inscriverà nella tradizione del Consiglio dell’Unione Europea, quella cioè di affidare le questioni ai ministri dei singoli stati, riuniti nei rispettivi settori in sede europea, una tradizione che ha privilegiato il metodo intergovernativo, il peso degli stati e degli accordi che raggiungono tra loro, rispetto al ruolo dell’Europa come insieme e del suo rapporto democratico, ancora labile, con la popolazione.
Non a caso, per nominare il ministro degli Esteri dell’Unione Europea (è ciò di cui si tratta in pratica, il primo vero ministro degli Esteri della UE)si fanno i nomi di politici che hanno ricoperto questa carica o compiti di governo nei rispettivi paesi, di solito i maggiori per importanza. Quello che chiede il Parlamento Europeo, protagonista di una competizione decennale con i poteri non elettivi e intergovernativi, è di sviluppare, sulla base del ruolo di controllo dell’assemblea eletta dai cittadini europei, una politica estera che risponda all’elettorato indipendentemente dalla sua appartenenza nazionale. L’Europa è stata prima un accordo tra stati, poi una comunità economica interdipendente, adesso vuole essere una comunità politica, ma per fare questo c’è bisogno della democrazia, della partecipazione.
Il Parlamento ha chiesto anche che le delegazioni della Commissione nei paesi terzi vengano unificate, per formare ambasciate dell’Unione, diretti da funzionari del Servizio Europeo di Azione Esterna o SEAE, che risponderebbe all’Alto Rappresentante della UE. Il personale dovrebbe assumere gradualmente funzioni di assistenza consolare e diplomatica verso i cittadini di qualsiasi paese della UE. Un vero progetto di costruzione dello stato, che ricorda per alcuni versi la nostra storia nazionale post-risorgimentale. Un’altra proposta è l’istituzione di una scuola europea di diplomazia, che formi coloro che porteranno avanti le relazioni esterne.
L’organizzazione del SEAE è qualcosa che lascerà il segno, sul volto che la UE assumerà di fronte alle altre realtà del pianeta: il suo funzionamento sarà deciso dal Consiglio dell’Unione Europea, su proposta dell’Alto Rappresentante e dopo una consultazione col parlamento e l’approvazione della Commissione. Il Parlamento Europeo, nel suo complesso, ritiene che il Servizio debba essere integrato nella struttura amministrativa della Commissione e che per rafforzare la coerenza dell’azione esterna dell’Unione le funzioni riguardanti le relazioni esterne dovrebbero essere immediatamente trasferite al SEAE.
Non ci si può illudere sulla rapidità di processi che richiederanno anni e anni, in particolare per quanto riguarda la concreta possibilità di un accordo chiaro e duraturo che bilanci il peso dei Governi, della Commissione e del Parlamento Europeo nel definire le linee guida e la forma organizzativa della politica estera, perchè questa si avvicini sempre di più ad una azione europea sottoposta al controllo democratico e ad una valutazione trasparente da parte dei cittadini degli stati che vanno ad integrarsi nella comunità.
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