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POLITICHE COMUNITARIE|Una pattuglia di euroscettici è pronta a Praga per il dopo Dublino

vaclav klaus

 

Vaclav Klaus, presidente ceco, ispira le forze disposte a dare battaglia in caso la strana alleanza del miliardario Ganley, dello Sinn Fein e degli opposti antagonisti fallisse a Dublino

 

 

 Diciassette senatori euroscettici hanno inoltrato una obiezione di costituzionalità presso la corte costituzionale della Repubblica Ceca: obiettivo evidente, sbarrare il passo al Trattato di Lisbona anche nel caso molto probabile che questa volta l’Irlanda voti sì, in seguito ad un dibattito che prolungandosi ha fatto emergere sempre di più la volontà europeista nella repubblica. I giudici sembrano orientati a respingere questa richiesta ispirata dal presidente Vaclav Klaus, notoriamente ostile alla cessione di quote di sovranità, ma potrebbe restare impantanata in sei mesi di analisi delle eccezioni avanzate dai senatori, un tempo abbastanza lungo per riaprire manovre euroscettiche in tutta Europa, anche se il Parlamento ceco è favorevole al Trattato e il Governo pare orientato a scavalcare lo stesso presidente ceco.

Oggi, 2 ottobre, l’Irlanda sta votando nuovamente per il referendum, in una situazione politica sostanzialmente mutata: chi si opponeva al Trattato per dispetto alla mancanza di dibattito insita nel sì incondizionato dei maggiori partiti adesso è informato che più non si può, quelli che nell’opposizione a Lisbona vedevano l’occasione per indebolire un governo impopolare hanno avuto soddisfazione alle elezioni europee e amministrative che hanno visto il partito quasi-stato Fianna Fàil quasi dimezzato per la prima volta (e l’opposizione, Fine Gael e Labour, ha detto chiaramente che votare no per attaccare il governo è inutile e sbagliato), Declan Ganley, il miliardario che con Libertas si è inventato una pur interessantissima coalizione continentale di eterogei oppositori al Trattato (capace di unire gente che diceva no all’Europa perchè ce ne è troppa e altri che ne volevano di più, più partecipata) contro ogni previsione ha fallito alle elezioni europee.

La bandiera di quelli che non vogliono che l’Irlanda dica sì al Trattato adesso è in mano allo Sinn Fein: lo Sinn Fein è il partito che riesce meglio a far funzionare la fantasia quando c’è poco altro da far funzionare, quello che fa marciare i bambini in divisa e fa gridare le piazze contro la guerra in Iraq, che difende i valori cattolici e riempie accuratamente le principali strade irlandesi di Belfast di bandiere palestinesi. E la coalizione più ampia di avversari del trattato assomiglia allo SF, in questa capacità di assumere una posizione apparentemente decisa, ma fatta di quattro o cinque posizioni che fanno a cazzotti tra loro: il socialista Joe Higgins (trozkista eletto da solo al parlamento europeo dalle aree popolari di Dublino), “non votate Europa perchè i lavoratori avranno meno diritti”, Mary Lou MacDonald (Sinn Feinn nel sud), “l’Irlanda sarà meno indipendente e non potrà essere militarmente neutrale”, Declan Ganley il miliardario “pagheremo più tasse”, il Còir (gruppetto ultraconservatore, letteralmente una rarità in Irlanda) “la paga minima sarà fissata per legge a una sterlina e 84 centesimi all’ora” (notizia priva di fondamento).

Ma la situazione in Irlanda è mutata, soprattutto tra la gente, la crisi globale ha messo in luce i potenziali effetti positivi della solidarietà europea, che tra l’altro
è una costante della ultra-europeista Irlanda. I più recenti sondaggi danno l’impressione di un capovolgimento a favore del sì in contemporanea alla riduzione del numero degli indecisi. Ricordo qualche frammento di conversazione con amici e conoscenti in Irlanda lo scorso dicembre, ad esempio un afroirlandese che ridendo mi disse “they repeat the referendum till the answer is yes” e un tassista che mi ripeteva “we don’t want a fucking superpower, we don’t want to send a thousand soldiers to Iraq or Afghanistan” tutti parlavano volentieri dell’Europa, e me ne parlano tuttora in chat; le persone citate non detestavano affatto l’Europa, solo come tanti altri erano irritati da un’Europa che non sembrava riguardarli nè interessarsi del loro parere (Europa che tirava in ballo storie sull’opposizione all’aborto direttamente mutuate da un’immagine dell’Irlanda presa dai film sugli anni settanta, quando la maggior parte dei manifesti contro il Trattato di Lisbona parlava della distrazione di Bruxelles sui diritti dei lavoratori e dell’aumento delle spese militari).

Un mio amico, Leo, uno studente di Dublino, ieri ha postato su internet un manifesto che ha letto in città, poster che recita che la Germania sta ottenendo con l’Unione Europea l’importanza su base continentale che non ha raggiunto sessanta o ottanta anni fa, Leo lo ha messo in rete accompagnandolo con risate condivise dal grosso degli altri contatti. L’Irlanda che difendeva il proprio isolamento è finita 36 anni fa, con un voto 83 per cento contro 17 per cento nel maggio del 1972, consultazione che ha preceduto il suo ingresso nella Ue nel ’73, contestualmente a Regno Unito e Danimarca.

La maggior parte dei cittadini, anche di quelli che hanno detto no ad una prassi che prevede una adesione acritica ad un canovaccio scritto da altri, hanno l’Europa nella loro cultura e lo dimostrano con un esempio di accoglienza, cooperazione e integrazione dei loro concittadini continentali. Gli irlandesi non sono affatto contro l’Europa, come non sono affatto contro l’Europa gli inglesi e i danesi. Loro sono per la partecipazione dei cittadini alla costruzione dell’Unione Europea, non solo nelle isole e nella penisola, ma in ogni paese.

Aldo Ciummo